Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

I diritti dei migranti dopo l'attentato di Charlie Hebdo

 
Valentina Brinis
 
Zeroviolenza, 03-02-2015
 
Una delle conseguenze non trascurabili dell'attentato alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio scorso, è quella di aver reso più vulnerabili i musulmani che vivono in Europa. L'efferatezza di quel fatto, attribuito a fanatici islamici che agivano in nome di Allah e contro l'Occidente, ha offuscato la fondamentale differenza che esiste tra i fedeli moderati e gli estremisti.
Ecco perché tutti gli islamici sono corsi ai ripari discostandosi da quanto era accaduto, ed evitando così il rischio di finire nel calderone di "tutti i musulmani sono terroristi". È stata sicuramente una mossa opportuna che però non li ha svincolati completamente da critiche sul loro stile di vita, sull'abbigliamento e, in alcuni casi, sulla mancata integrazione. E così, anche chi si trovava in Europa da decenni e aveva già acquisito la cittadinanza di uno degli stati membri, si è ritrovato a essere considerato ancora come uno straniero: ovvero un estraneo al patrimonio culturale comune del paese in cui vive. 
Si è dunque creato un clima in cui vengono accreditati atteggiamenti islamofobi e, più in generale, xenofobi condivisi anche da chi ha cercato in questo periodo di interpretare le cause della strage di Charlie Hebdo. E in particolare da esponenti politici tutt'altro che favorevoli all'ingresso in Europa dei migranti e di chi fugge da zone di guerra e affronta viaggi estenuanti verso le nostre coste per mettere al riparo la propria vita. Non solo. Si sono ipotizzate anche soluzioni per ostacolare ulteriormente il movimento all’interno dell’area Shengen, con proposte quali la “chiusura delle frontiere”. 
A tutto ciò si è aggiunto anche l’allarme terrorismo strettamente collegato all’arrivo di migranti via mare. In Italia, l’ultimo di questi proclami, è quello del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che ha espresso il timore, fondato su un serio rischio, della presenza di terroristi infiltrati tra i richiedenti asilo che giungono in Italia. Nel suo messaggio, però, ha raccomandato prudenza nel mantenere distinte le due figure: quella dei profughi e quella dei malintenzionati. 
Ma quest’ultima raccomandazione non elimina l'effetto di inquietudine provocato dalla prima parte di quel messaggio, oggi confermato da fonti libiche. Tutto ciò produrrà sicuramente delle conseguenze drammatiche: l’ostilità diffusa verso i nuovi giunti, oltre che ulteriori critiche al sistema di accoglienza già contestato in altre occasioni. Ma in questo momento ci sarebbe bisogno di un atteggiamento opposto, più razionale e pragmatico utile a  sviluppare un modello di integrazione e inserimento di chi arriva in Italia. Un sistema di accoglienza che deve essere attuato già prima della partenza, utile a controllare il vero status di chi parte (la sussistenza, cioè, dei motivi per la richiesta di asilo) e le sue reali intenzioni. 
Nell’ultimo anno si è discusso a lungo della questione e sono state numerose le proposte presentate che vanno in questo senso. Tra le altre vi è quella approvata dalla Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato che prevede la realizzazione di presidi internazionali dove le rappresentanze diplomatiche dei paesi europei possano concedere, a chi ne abbia diritto, un visto utile ad attraversare il mare Mediterraneo per raggiungere il nostro continente. 
I paesi coinvolti sarebbero quelli dell'Africa settentrionale dove transitano i flussi di profughi e migranti, dove le condizioni politico-istituzionali consentono un'attività diplomatica e dove già sono in corso forme simili di intervento umanitario, come il re-insediamento. Per la riuscita del progetto è fondamentale il supporto della rete diplomatica del Servizio europeo per l'azione esterna, della rete diplomatico consolare dei paesi dell'Unione, dell'UNHCR e delle organizzazioni umanitarie. 
Quella appena descritta è solo una delle idee che in questo periodo storico potrebbero essere attuate per invertire le tendenze prima elencate.  
Nonostante i luoghi comuni e gli stereotipi, gli allarmi sociali e l'agitazione di chi vuole alimentare la paura, è esattamente questo il momento più opportuno e, oso dire, propizio.
 
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