Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 marzo 2015

Nel silenzio generale il Friuli è diventato un'altra Lampedusa
Decine di profughi passano ogni giorno la frontiera a Tarvisio. E la regione è già al collasso
il Giornale, 09-03-2015
Ludovica Bulian 
La chiamano, ormai, la piccola Lampedusa del nord. Porta d'ingresso in Italia dalla rotta Balcanica, il Friuli-Venezia Giulia è oggi una regione sotto assedio, in un pressoché totale silenzio mediatico e nonostante l'allerta di un governatore, Debora Serracchiani, che è anche numero due del Pd nazionale.
Lega e Forza Italia salgono sulle barricate, il segretario del Carroccio in Fvg e capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga, grida all'invasione e annuncia per metà aprile una manifestazione di dissenso guidata dal leader nazionale Matteo Salvini. Sbarcano in Iran, raggiungono la Turchia, attraversano Ungheria e Serbia, fino all'Austria e alla Slovenia. Entrano facilmente a Tarvisio, un tempo perla turistica al confine con la Carinzia, oggi varco di passaggio di traffici umani dalla frontiera terrestre. Così arrivano qui decine e decine di profughi, ogni giorno, da Pakistan e Afganistan, e diretti a Gorizia, dove ha sede la commissione che esamina le richieste di asilo, mentre gli inquirenti indagano sull'esistenza di un centro di smistamento che opererebbe proprio a Udine.
Intanto, però, il sistema di accoglienza della minuta regione a Nordest è al collasso. E se pure l'Austria si è messa di traverso scongiurando l'ipotetica apertura di un Cara a Tarvisio, tra le comunità serpeggia la tensione, prefetti e sindaci chiamano in causa Serracchiani affinché interceda con il governo, ma una strategia unitaria per arginare l'emergenza sembra ancora lontana. Quella leghista sarà una protesta «diffusa su tutto il territorio regionale» spiega Fedriga, così come la politica di accoglienza decisa dalla giunta regionale, che mira a distribuire i profughi sul territorio per evitare che alcune zone si trasformino in bombe a orologeria. Il segretario tuona anche contro il meccanismo degli appalti e degli appartamenti per i clandestini, e ventila l'ombra che Mafia Capitale «si trasformi in Mafia friulana». E se, ricorda anche il pupillo di Salvini, la Lega ha chiesto l'apertura di una commissione d'inchiesta che faccia luce sui come vengono spesi i soldi, il problema è anche e soprattutto morale: «Mi chiedo come Renzi, Alfano e Serracchiani possano dormire sonni tranquilli mentre ci sono italiani che non hanno una casa e nemmeno i soldi per far mangiare i propri figli. Manifesteremo perché tutto questo è gravissimo e inaccettabile - precisa -, e crea una filiera opaca e non trasparente».
Parlano chiaro, invece, gli ultimi dati forniti dal ministero dell'Interno: i profughi ufficialmente registrati in Friuli-Venezia Giulia sono saliti a quota 1.870 e la regione risulta ai primi posti in Italia relativamente al rapporto tra richiedenti asilo e popolazione. Il vicino Veneto che ha quasi quattro volte la popolazione friulana, ha un numero di profughi di poco superiore. C'è anche Forza Italia a denunciare l'assenza delle istituzioni e a puntare il dito sui costi dell'accoglienza: «35 euro al giorno più Iva, di contro ai 29 dell'anno scorso». A conti fatti si tratta di «13 milioni di euro per il 2015» afferma Riccardo Riccardi, capogruppo azzurro in consiglio regionale. «Oneri - rincara il berlusconiano - che contrastano con il momento di crisi che ha messo in ginocchio tanti concittadini. Fa specie, poi, che negli appalti si faccia riferimento a cittadini stranieri giunti sul territorio nazionale a seguito degli sbarchi sulle coste italiane, quando invece la gran parte dei profughi presenti in Fvg sono arrivati dai Paesi dell'Est attraverso il confine orientale».
 
 
 
Renzi: "No allarmismi né numeri a casaccio sugli immigrati"
"Sulla vicenda libica l'Italia sta costruendo un grande accordo nella comunità internazionale"
stranieriinitalia.it, 09-03-2015
Roma, 9 marzo 2015 - "No allarmismi e no a visioni superficiali: tutte le ipotesi sono in campo".
Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando al Tg1 dell'immigrazione dalla Libia e della minaccia dell'Isis.
"L'11 marzo - ha spiegato - sarà a Roma Bernardino Leon, l'inviato speciale dell'Onu, e la settimana dopo vedrò il segretario generale Ban Ki-Moon. E' importante non sparare a casaccio numeri, e' un momento delicato. Sulla vicenda libica l'Italia sta costruendo un grande accordo nella comunita' internazionale: speriamo di farcela senza suscitare panico tra la gente e senza sottovalutare nessuna minaccia".
 
 
 
Salvini e quel derby con i milanisti Bicolore
Dopo le critiche a Muntari «l`immigrato», ieri nuove scintille con Balotelli. E il centrocampista ghanese gli risponde: pensi al suo partito, che è in crisi
Corriere della sera, 09-03-2015
Monica Colombo Massimo Rebotti
MILANO Quando incontra Berlusconi e non vuole far sapere cosa si sono detti, Salvini dice che hanno parlato del Milan. Altre volte il leader della Lega del Milan parla davvero e la passione rossonera si mescola alla politica. 
E arriviamo a Sulley Muntari, centrocampista rossonero e del Ghana: durante il deludente pareggio interno con il Verona di sabato, Salvini se la prende con lui (è il peggiore in campo, voto 4,5 secondo le pagelle del Corriere) e su Facebook scrive: «Gli immigrati che lavorano bene sono i benvenuti. Quindi Muntari può tornare a casa sua». Battuta da tifoso che gioca però sull`argomento principe della Lega: gli immigrati. Che se «non lavorano bene» (a San Siro ma anche altrove secondo il Carroccio) sarebbe meglio rimandare «a casa». 
La risposta di Muntari è secca, affidata a una nota scritta: «Preferisco non replicare alle frasi di Salvini - dice al Corriere - perché a differenza sua sono un signore e sono educato. Penso altresì che Salvini dovrebbe occuparsi un po' più della Lega considerando lo stato in cui versa il suo partito invece di pronunciare frasi di questo tipo che sono sempre gravi. Ancor più in questo momento dopo gli avvenimenti in America». Il riferimento è alle tensioni razziali negli Stati Uniti, riaccese dopo gli omicidi di alcuni giovani neri durante operazioni di polizia. 
L`uscita del leader leghista è stata presa male anche da Mario Balotelli che su Instagram ha scritto: «Ma questa persona è seria quando dice questo? È pure un politico? Allora votate me, è meglio». Contro replica di Salvini: «Il senso dell`umorismo di Mario è pari alla sua  educazione». Tra il leader della Lega e il centravanti (ex milanista e di colore) c`è più dí un precedente. Nel maggio 2013 l`arbitro sospende Roma-Milan per gli ululati nei confronti di Balotelli. Il giocatore annuncia alla Cnn: «Se mi sarà rivolto un altro coro razzista, uscirò dal campo». Salvini ribatte svelto: «Allora io, al prossimo gol che sbaglia, lascerò lo stadio», lasciando intendere che i buu verso i giocatori neri non siano poi una faccenda tanto seria rispetto ai gol falliti da un attaccante. Concetto ribadito qualche mese dopo durante un comizio a Bergamo: «Fischiano Balotelli perché fuori dal campo è un cretino. E per questo lo fischierebbero anche se fosse biondo con gli occhi azzurri». In quell`occasione contro il leader della Lega prese posizione anche Liliam Thuram, ex difensore di Juve e Parma, molto attivo in tema di discriminazione. 
Più recentemente, sui giocatori di colore ci sono state le frasi di Arrigo Sacchi - «nel calcio giovanile sono troppi»- e quelle, celebri, del presidente della Figc Carlo Tavecchio su «Opti Poba e i mangiabanane». In entrambi i casi Salvini si è schierato in difesa, ha detto di avere nostalgia dei tempi in cui «in campo andavano al massimo tre stranieri» e aggiunto, in un cortocircuito assai spericolato tra calcio e immigrazione, che «l'ipocrisia italica se la prende con una frase infelice di Tavecchio, ma se ne frega dei milioni di italiani senza lavoro per colpa di una massa di stranieri disposta a fare tutto e a qualsiasi prezzo». Almeno in questo caso, però, non parlava del centrocampo del Milan. 
 
 
 
Immigrazione. Santangelo: "No a nuovi centri nel Trapanese. Situazione insostenibile"
Tp24.it, 09-03-2015
Mentre sta per arrivare la primavera, e riprenderanno ad essere più intensi gli sbarchi di migranti in Sicilia, Vincenzo Santangelo, senatore del Movimento 5 Stelle, ha incontrato il Prefetto di Trapani Leopoldo Falco, proprio per parlare dell’accoglienza nel territorio.
E’ stato un incontro cordiale quello con Falco. Dopo un lavoro di studio del fenomeno immigrazione, in particolare nel trapanese, e aver visitato circa 15 strutture aperte nel territorio, avevamo chiesto questo incontro con il Prefetto. Abbiamo affrontato le problematiche sull'accoglienza nel nostro territorio.
Che tipi di problemi abbiamo con l’accoglienza di immigrati in provincia di Trapani?
C'è un numero molto elevato di ospiti all'interno dei centri, che se messi a confronto con altre realtà pongono la provincia di Trapani al primo posto per accoglienza. Il numero di immigrati ospitati è il triplo della provincia di Palermo.
La vostra proposta?
Con il prefetto abbiamo discusso di mantenere o ridurre la concentrazione in alcune località, come Salemi, la zona di Bonagia, e Valderice. Soprattutto in previsione della primavera e dell'estate. Non aprire altre strutture, non per razzismo ma per qualità dell’accoglienza. In strutture affollate la qualità sarebbe più carente.
E' vero anche che l'accoglienza agli immigrati è diventato un business, anche in Provincia di Trapani. Ci sono strutture alberghiere che si sono trasformate in centri di accoglienza.
Sono circa 500 le persone che lavorano in questo settore. E' un fattore molto importante che va preso in considerazione. Va letto in maniera incrociata anche con quella che è la vocazione turistica del nostro territorio, parliamo di turismo e poi ci troviamo con questo dato.
Ha visitato anche villa Mokarta, a Salemi. Cos'è successo?
Quello che è accaduto in molte altre strutture.
Gli ospiti hanno protestato per le lungaggini burocratiche per il riconoscimento dello status di rifugiato.
La tempistica per dare l'asilo politico richiesto dagli immigrati è molto lunga. Queste persone piuttosto che rimanere 60, 90 giorni, come dovrebbe essere, restano olre 2 anni e mezzo. Tutto ciò diventa inaccettabile.
C’è poco personale in Prefettura per sbrogliare le pratiche.
Non c'è un piano di integrazione con questi ospiti, la maggior parte di loro non vuole neanche rimanere nel nostro territorio ed è proiettato ad andare in altri paesi. Costringerli a rimanere senza far nulla non è giusto. La vita all'interno di questi centri è molto difficile. O parliamo di integrazione, per chi vuol rimanere, di inserirli realmente nella realtà lavorativa. Ma se io ho un tavolo per 10 persone a casa mia, non ne invito 50, non avrei neanche le sedie. Ed è quello che sta avvenendo da noi.
 
 
 
Mara, donna rom partita dal campo, ora lavora da Eataly. "Volevo essere un esempio per i miei figli"
L'Huffington Post, 08-03-2015
Silvia Renda
Sono le 12 nel campo rom Candoni della periferia di Roma e Mara, 33 anni e cinque figli, sta cucinando per la sua famiglia. Lei è una ragazza rom, nata in una cultura fortemente patriarcale in cui la donna non ha un'esistenza per sé, ma vive in quanto moglie e madre. Per averla in sposa suo marito ha pagato la famiglia e la dote è stata valutata in base alla sua bellezza e alla sua bravura in cucina.
Che tu sia in grado di svolgere le mansioni domestiche è importante, dal momento che sarà quello il tuo compito principale nella vita. Mara, però, ha voluto ritagliarsi un ruolo diverso nella sua comunità. Insieme ad altre cinque donne ha deciso di partecipare a un progetto, realizzato da Arci Solidarietà, che le ha permesso di potenziare il livello di conoscenza dell’italiano, studiare nozioni igieniche e sanitarie in una Asl e infine tentare di trovare un lavoro.
“Abbiamo voluto cambiare le cose”, dice Mara ad Huffington Post, che sta adesso svolgendo un tirocinio retribuito da Eataly, “È stato molto bello imparare. Mi sentivo soddisfatta ed ero contenta. Noi abbiamo famiglie numerose, responsabilità come mamme. Però ce l'abbiamo messa tutta. Anche per essere un esempio per i nostri figli. Adesso ci vedono decise”.
Mara è diventata un modello anche per le altre donne nel campo e la sua esperienza è stata un traino per la diffusione di un desiderio di autonomia. In molte adesso vorrebbero poter fare esperienze simili, imparare e lavorare. Nel frattempo lei è il punto di riferimento: aiuta le donne con l’italiano e dà alle altre consigli in base a quanto appreso durante il tirocinio alla Asl, che, dice, “mi ha fatto capire come proteggermi”.
La sua esperienza e quella delle altre cinque donne che hanno fatto lo stesso percorso è raccontata nel libro “Sette donne rom” , il cui ricavato della vendita verrà in parte utilizzato per realizzare altri progetti simili di emancipazione e inserimento nella società italiana.“All’inizio eravamo di più a partecipare, ma molti hanno perso la voglia di combattere, perché devi lottare anche contro i pregiudizi. Fuori di qui ci chiamano ‘zingari’, ci insultano, ci guardano male. Tu resisteresti? A me questa esperienza ha reso più forte. Sono più forte degli insulti perché so che dobbiamo riuscire a tutti i costi a trovare un ponte tra noi e i gagé”.
La parola “gagé” viene usata dai rom per definire tutti coloro i quali non sono rom. L’esigenza di trovare un contatto nasce anche dalla voglia di uscire dal campo. Di poter vivere all’infuori di uno spazio ristretto che diventa per forza di cose il tuo quartiere, la tua città e il tuo mondo. Tutto ciò che sta fuori appare lontanissimo da qui dentro. Tutto ciò che sta qui dentro appare lontanissimo da fuori. Lontano il modo di pensare, diverse le tradizioni. “Per capire chi hai di fronte devi ascoltare e devi valutare. Il carattere è quello che conta. Essere buono o meno. Avere una cultura diversa, se ci si impegna a capire, può non essere un problema”. 
 
 
 
Nunù e la danza del Bakllava
Corriere.it, 08-03-20154
Germana Lavagna
« ‘Se non impari a fare la sfoglia, come farai il bakllava?’
Il bakllava, il re dei dolci, quello che si fa solo nelle occasioni speciali. Un dolce fatto da tante sfoglie sottili e riempito di noci tritate, profumate di cannella e chiodi di garofano, e infine bagnato con uno sciroppo fatto di acqua, zucchero, miele, una fetta di limone e vaniglia. Per farlo, chiamava tutte le sue donne: le sei nuore e le due figlie. Si raccoglievano tutte e otto nella cucina di Nunù, intorno al tavolo grezzo e si mettevano al lavoro.»
Zegjinè, detta Nunù, era la nonna di Adelina e Adelina è una bella donna di 34 anni, nata e cresciuta a Berat in Albania. Quando la incontro, davanti alla Caritas di via Crema a Milano, mi rimprovera scherzosamente per il ritardo. Ci sediamo in cortile, nel silenzio innaturale che certi antri di Milano riescono misteriosamente a regalare, anche a pochi pochi passi dalla strada. Ho raggiunto Adelina qui perché volevo fotografarla, e dare un volto prima alle parole del suo racconto e poi alla voce squillante e determinata che mi aveva risposto al telefono.
Con il suo Nunù e la danza del Bakllava, l’anno scorso si è guadagnata il primo premio di Immicreando, il concorso promosso dalla Pastorale dei Migranti dell’Arcidiocesi di Milano in collaborazione con la Fondazione Ismu.
    «Una sera d’inverno ero in cucina e stavo preparando il bakllava, raccontando a mia figlia da dove viene questo dolce: come si faceva, che cosa voleva dire prepararlo alzandosi presto la mattina, radunandosi con tutte le donne della famiglia nella cucina della nonna. Mia figlia è nata qui in Italia e io le racconto le sue origini, anche così, preparando un dolce.»
Adelina vive a Milano ormai da quindici anni, cosicché dentro di lei si congiungano due mondi.
    «Penso in italiano quando scrivo. E poi mi piace leggere, incontrare persone. Sa – confessa entusiasta – faccio l’aiuto catechista. Adoro raccontare storie ed è così che ho iniziato a scrivere.»
Si srotolano i ricordi, nello strano limbo tra due lingue. E così i racconti degli scrittori che partecipano ad Immicreando raccontano il loro passato nella lingua del loro presente. Adelina, che ha due figli nati qui, mi racconta dell’Albania in cui è cresciuta, delle sue tradizioni e del fatto che non vuole che i suoi bambini dimentichino il loro Paese d’origine. «Tutto è cambiato in trent’anni. Eravamo poveri, poverissimi. C’era il comunismo e la vita era difficile, ma io sono cresciuta felice perché ero amata in una grande famiglia.» Scrive da quando era bambina Adelina ed è chiaro che le parole, in italiano o in albanese, sono il suo mondo. Ci sguazza.
«Sto già pensando al prossimo racconto! – continua – Mi piacerebbe parlare del ricongiungimento con mio marito e il mio arrivo in Italia.»
Quest’anno Immicreando, che ha come titolo “Nutrire la vita. Racconti di ospitalità, festa, cibi e condivisione”, è partito ufficialmente il 18 gennaio, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Anche l’anno scorso il cibo era stato il tema su cui si chiedeva di svolgere i racconti, ma quest’anno con l’EXPO alle porte, non si poteva che andare in quella direzione.
Il concorso prevede la premiazione di tre testi – il migliore per ciascuna sezione –, scelti da una giuria di esperti composta da uno scrittore, docenti universitari e da rappresentanti della Fondazione Ismu e dell’ufficio diocesano per la Pastorale dei Migranti. A ciascuno dei vincitori – due individuali e uno collettivo, per la sezione gruppi – sarà consegnato un premio in denaro, nel corso della manifestazione diocesana ‘Festa delle Genti’, che si terrà durante la domenica di Pentecoste.
 
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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