Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 marzo 2012

Rinchiusi, affamati e senza una patria l'esodo sfibrante dei 32 mila rifugiati
Rapporto Centro Astalli: povertà, burocrazia e fame i problemi dei richiedenti asilo che nel 2011 si sono rivolti al servizio di assistenza dei gesuiti. Il 65% vittime di torture
Corriere della sera, 29-03-2012
Lilli Garrone
ROMA - Sempre più mesi passati nei Cie, pratiche infinite per ottenere lo status di rifugiati, raddoppiati gli immigrati che si rivolgono alle mense per i poveri per sfamarsi. Eppoi problemi di riabilitazione psicologica e difficoltà nella ricerca di un domicilio. È la fotografia aggiornata delle condizioni di circa 32.600 richiedenti asilo e rifugiati politici che durante il 2011 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Emerge dal «Rapporto annuale 2012» del Centro Astalli che viene presentato giovedì 29 marzo nella sede di via del Collegio Romano.
Un rapporto che racconta come «la crisi colpisce tutti, ma soprattutto i migranti» e come sia peggiorata la situazione di chi è giunto nel nostro Paese per sfuggire a persecuzioni o guerre: quasi il 65 per cento dei 562 nuovi arrivi (soprattutto dall’Africa) seguiti dal Centro, sono risultati vittime di tortura e violenza. Intanto il centro loro dedicato presso l'ospedale San Giovanni è chiuso e circa 200 pratiche di richiesta di asilo politico giacciono bloccate negli uffici del Nirast, l'ambulatorio per le patologie post traumatiche.
115 MILA PASTI L'ANNO - Drammatici i numeri dei Cie: la permanenza nei centri di accoglienza si allunga, mentre nel 2011 il numero di persone che hanno chiesto di poter utilizzare come indirizzo quello del Centro Astalli è aumentato del 20 per cento rispetto al 2010. Il numero dei pasti distribuiti dalla mensa è raddoppiato, passando dai 60 mila del 2010 a più di 115 mila, con una media di 500 pasti giornalieri che vengono offerti.
Le nazionalità più rappresentate sono l’Afghanistan con il 15 per cento di utenti, seguiti dalla Costa d’Avorio con il 12 per cento e specialmente nella prima metà del 2011 dalla Tunisia, sempre con il 12 per cento. Ma il grande aumento dei pasti distribuiti ogni giorno dal centro - secondo l’analisi sviluppata nelle oltre cento pagine del rapporto - è il dato più allarmante: che peraltro non si discosta da quanto fatto registrare dalle altre mense sociali di Roma.
I SENZA CIBO - La carica dei senza cibo è dovuto a diversi fattori: su tutti prevalgono l'effetto dell’interruzione della politica dei respingimenti e la grave crisi economica, che si è abbattuta con maggior violenza sui soggetti più vulnerabili come i rifugiati. «Non è stato un anno facile quello che descriviamo nelle pagine del nostro rapporto annuale - spiega il presidente dell’associazione, padre Giovanni La Manna - . Il succedersi di crisi politiche e la depressione economica globale hanno alimentato un generale senso di insicurezza, che ha colpito in primo luogo i migranti forzati».
I PAESI IN VIA DI SVILUPPO - «L’80 per cento dei rifugiati sono accolti dai Paesi in via di sviluppo - prosegue padre La Manna - , in campi profughi costruiti nelle zone più inospitali e isolate, oppure nelle grandi città dove, privi di qualsiasi assistenza, lottano ogni giorno per sopravvivere». L’Europa, ripiegata sui suoi problemi interni, ha abbondantemente disatteso le sue promesse di solidarietà: «Ad oggi si contano molti più rifugiati nel solo Kenya che nei 27 Stati membri».
CARCERE E POVERTA' - Detenzione, dinieghi, povertà estrema, marginalizzazione, aggiunge padre La Manna, «sono i muri su cui si infrangono le speranze di chi è arrivato in Europa a costo della vita». Ma il Rapporto annuale 2012 descrive anche il Centro Astalli come una realtà che, grazie agli oltre 400 volontari, si adegua e si adatta ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che stenta a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca di giungere in Italia in cerca di protezione.
LA CARITAS A CAMPO DE' FIORI - E, sempre per aiutare i rifugiati politici, in particolare le vittime di torture, è stata inaugurata la mattina del 27 marzo la nuova sede del progetto «Ferite Invisibili», l’ambulatorio medico della Caritas diocesana per la cura di immigrati e rifugiati vittime di violenza intenzionale e di tortura. La nuova sede dell’ambulatorio, in Via di Grotta Pinta 19, è stata realizzata in collaborazione con il Municipio I di Roma Capitale, la Asl Roma A e l’Istituto Tata Giovanni.
PSICHIATRI E MEDIATORI - Qui continuerà l’opera di medici psichiatri, psicologi, mediatori culturali e volontari che, dal 2005, hanno avviato una progettazione di interventi mirati alla riabilitazione psicologica e fisica di chi ha subito violenza, tortura ed in genere traumi legati alla mancanza di accoglienza ed all’ingiustizia sociale. Nei sette anni di attività finora svolta, il progetto ha preso in carico 183 pazienti effettuando 2.259 colloqui psicoterapeutici con una media di 12 visite a paziente, a sottolineare la complessità dell’approccio terapeutico. Nei primi 3 mesi del 2012, sono stati seguiti 49 pazienti, di cui 18 nuovi, e sono state effettuate 203 sedute terapeutiche. Nel 2011 sono stati prevalenti gli arrivi da Costa D’Avorio, Afghanistan e Camerun.



Droga e overdose tra le sbarre del Cie
Avvocati della class action al Tribunale: chiudetelo
Gazzetta del mezzoggiorno, 29-03-2012
GIAINLUIGI DE VITO
• Droga tra le stanze sbarrate e supersorvegliate del Centro d'espulsione di Palese. La «fortezza» Cie è bucata da spac- ciatori di eroina e cocaina. E non si tratta solo di pusher parenti che tentano di rifornire il familiare.
L'ultimo episodio risale a giovedi scorso. Come verbalizzato dagli agenti della sesta sezione antidroga della squadra mobile, in un'intercapedine ricavata tra il tacco e il plantare di un paio di scarpe da trekking, misura 41 e di colore grigio-nero, sono stati rinvenuti sette involucri di quasi cinque grammi complessivi di eroina, un pezzettino di due grammi di eroina in polvere e un involucro con mezzo grammo di cocaina. Quelle scarpe erano in un bustone di tela plastificata, sparse tra altri capi di abbigliamento. Un bustone che N. R., una 23enne tunisina, voleva consegnare all'mterno del Centro immigrati al suo compagno, M. A, 29 anni, anche lui tunisino, trattenuto da mesi nel Cie. I due sono stati arrestati: la donna è stata colpita dall'obbligo di dimora e il 29enne è finito in carcere dove è tuttora recluso.
D'altro canto, il gip Ambrogio Marrone, nella convalida dell'arresto, annota un episodio del 13 marzo che ha visto protagonista lo stesso M. A: «[...] era stato colto da malore nel centro e trasportato in ospedale per essere sottoposto a cure mediche per overdose da sostanze stupefacenti». Già, overdose.
Nelle ultime settimane le forze dell'ordine che presidiano il Centro  immigrati hanno fatto perquisizioni personali su più di un immigrato, qualcuno dei quali è risultato positivo. Perquisizioni avvenute non solo in concomitanza di visite e colloqui. Gli stessi agenti della questura nel verbale di perquisizione dei due amanti tunisini parlano di «operazione di Polizia finalizzata alla prevenzione e repressione del traffico illegale di sostanze stupefacente o psicotrope»: segno evidente che il fenomeno, all'interno, c'è eccome.
Gli arresti, le perquisizioni e le indagini per droga e l'episodio di overdose vengono alla luce nello stesso giorno in cui l'associazione di giuristi democratici «Classactionprocedimentale», guidata da Luigi Paccione e Alessio Carlucci, rilancia una battaglia giuridica avviata più di un anno e mezzo fa. Il gruppo di avvocati, in sostanza, cita in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, il ministero dell'Interno e la prefettura di Bari e chiede al Tribunale civile che ordini l'immediata chiusura del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) del capoluogo pugliese, per «accertata violazione dei diritti dell'uomo».
Un atto giuridico senza precedenti e coerente con le precedenti azioni giuridiche intraprese dai giuristi dall'associazione «Classaction procedimentale». Prima si sono sostituiti alle istituzioni in virtú dell'istituto dell'azione popolare dopo il silenzio di Provincia e Comune sulla mancata tutela dei diritti umani e sulle violazioni in materia sanitaria e di diritto alla salute. Poi, hanno chiesto al presidente del Tribunale, Vito Savino, un accertamento tecnico delle condizioni di vita interne. Il presidente del Tribunale ha disposto l'accertamento e nominato un perito. Comune e Provinda ( e Regione), pur condividendo l'azione popolare «non sono stati conseguenziali» rispetto all'esito della perizia arrivata dopo i so- pralluoghi, al termine del quali si è rilevato che il Cie «nato per fini umanitari è un vero e proprio carcere che non garantisce neanche gli standard minimi previsti dall'ordinamento penitenziario».
Non un «centro di soccorso» come le linee guida indicano che debba essere un Cie, ma un luogo di restrizione ingiusta della libertà personale senza l'accertamento di un reato, «un carcere extra ordinem» in cui «manca un presidio dei servizio sanitario nazionale a tutela dell'integrità fisica e psichica delle persone ivi ristrette». Paccione va giú dritto: «Pretendiamo che nella storia di Bari non ci sia la macchia di una struttura lesiva dei diritti fondamentali dell'uomo, la cui difesa deve venire dalla società civile che noi rappresentiamo, attraverso lo strumento della sovranità della cittadinanza sociale quale rimedio democratico per superare situazioni di grande fragilità delle strutture pubbliche che sono lontane dagli interessi reali delle persone, sorde rispetto ai problemi reali, ma molto attente al mantenimento dei sistemi di potere».
La citazione in giudizio è stata condivisa nel tardo pomeriggio dall'assessore regionale all'immigrazione, Nicola Fratoianni. Che ha ricordato anche la situazione all'interno dell'altro Cie, quello di Restinco-Brindisi.



Oggi a Bruxelles la presentazione dell’indagine del Consiglio d’Europa sui 63 migranti morti nel Mediterraneo senza soccorsi. La Nato specifica che nessun mezzo “ha avuto contatti” con i naufraghi.
In quella che sembra una difesa preventiva, l’Alleanza atlantica specifica che “per determinare cosa è successo, la Nato ha consegnato al Consiglio d’Europa una quantità significativa di informazioni”.
Immigrazioneoggi, 29-03-2012
Nessuna nave o aereo della Nato “ha avuto contatti“ con l’imbarcazione con 63 migranti in fuga dalla Libia affondata il 27 marzo dello scorso anno. Lo dichiara la portavoce della Nato, Oana Lungescu, ad un anno dalla vicenda definita “un incidente veramente tragico”, e alla vigilia della presentazione oggi a Bruxelles dei risultati dell’indagine condotta dal Consiglio d’Europa.
“Per determinare cosa è successo, la Nato ha consegnato al Consiglio d’Europa una quantità significativa di informazioni”, riferisce la portavoce.
“Tutte le forze sotto il comando Nato sono pienamente consapevoli dei loro obblighi che derivano dalla legge del mare”, premette la Lungescu. Il 27 marzo dello scorso anno, in pieno conflitto libico, le forze Nato ricevettero “un avviso generale da parte delle autorità italiane su una piccola imbarcazione probabilmente in difficoltà, con la richiesta di segnalare ogni informazione al riguardo”, riferisce la portavoce. L’avviso fu diffuso a tutte le unità navali dell’Alleanza. “Mentre non abbiamo alcuna registrazione sul fatto che navi o aerei Nato abbiano avuto contatti con questa particolare imbarcazione, la Nato – rivendica la portavoce – ha condotto in quel periodo altre operazioni di salvataggio nell’area e salvato centinaia di persone”.
In particolare, aerei o navi Nato avrebbero assistito direttamente al salvataggio di “oltre 600 persone” e aiutato a coordinare le operazioni di salvataggio di molte altre. Tutte queste operazioni, “sono state immediatamente notificate” alle autorità preposte, incluso l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite. La vicenda dell’imbarcazione fu rivelata lo scorso anno dal quotidiano inglese The Guardian. Il barcone carico di migranti era partito da Tripoli il 25 marzo, diretto a Lampedusa. In balia delle onde per sedici giorni, l’imbarcazione naufragò senza ricevere alcun soccorso nonostante l’allarme lanciato in un triangolo di mare in cui, secondo il Consiglio d’Europa, erano attive navi maltesi, italiane, della Nato e della Ue. Sulla vicenda è stato da poco diffuso il documentario inchiesta Mare deserto, realizzato da Emiliano Bos e Paul Nicol e prodotto dalla Televisione Svizzera Italiana, con le testimonianze dei sopravvissuti. Il filmato è disponibile on-line.



Minori non accompagnati: un organismo specializzato che accerti l’età di coloro che sbarcano. È la richiesta della Commissione parlamentare infanzia.
Presentato il rapporto dell’indagine conoscitiva sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati.
Immigrazioneoggi, 29-03-2012
Creare una vera e propria task force, formata da personale specializzato e rappresentanti delle ong, che riesca a procedere tempestivamente all’identificazione dei minori stranieri non accompagnati fin dal momento della prima accoglienza: è la richiesta avanzata della Commissione parlamentare infanzia a conclusione dell’indagine conoscitiva sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati.
Secondo la deputata dell’Idv Anita Di Giuseppe, tale organismo garantirebbe l’efficace tutela dei diritti di questi ragazzi anche attraverso il rilascio di un vero e proprio documento d’identità.
“In quest’ottica – ha dichiarato – è necessaria la collaborazione bilaterale tra l’Italia e i Paesi di provenienza dei minori stranieri per conoscere gli specifici motivi che li spingono a migrare”. La deputata ha inoltre spiegato che, nell’ottica dell’integrazione, la Commissione ha sperimentato con i minori provenienti dalla Libia la possibilità di trasformare i sussidi per l’accoglienza in borse lavoro “cosi da favorirne l’inserimento socio-lavorativo ed evitare il rischio di devianza e criminalità”.
“La Commissione – aggiunge Di Giuseppe – propone poi il rifinanziamento del Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati gestito dall’Anci, l’attivazione di speciali procedure di adozione o di affidamento familiare e maggiori aiuti e sostegno di tipo psicologico e sociale”.

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