Minori in fuga: dove scappano i ragazzini tunisini approdati a Lampedusa? Alfio Sciacca

 

Alfio Sciacca 
CATANIA – Per capire che fine fanno i minori non accompagnati che periodicamente arrivano a Lampedusa basta suonare al numero 146 di Corso Indipendenza a Catania. In un palazzone in cemento armato c’è il centro “Santa Maria del Lume”. Giuridicamente è un Ipab (Istituto di Pubblica Assistenza e Beneficenza) della Regione Siciliana, ma da alcuni anni accoglie prevalentemente i migranti minorenni.
 
VOLATILIZZATI - «Negli ultimi mesi ne sono arrivati circa 150 - spiegano gli operatori – anche se attualmente ce ne saranno meno di trenta». E gli altri? «Sono andati via, scappati, volatilizzati». Tradotto: oltre l’80% dei minori assegnati a questa struttura ha fatto perdere le tracce. «Il record lo abbiamo battuto con un gruppo di egiziani –spiega il direttore Ignazio De Luca- entrati la sera l’indomani mattina non c’erano più». Il centro “Santa Maria del Lume” è in testa ad una sorta di “black list” delle comunità per minori. Una terra di nessuno dove la situazione è ormai sfuggita di mano. E non solo perché è stato teatro di scontri e tafferugli che hanno richiesto l’intervento della polizia, ma soprattutto perché conta il più alto tasso di fughe tra tutti i centri della Sicilia e forse d’Italia.
SENZA VESTITI- I minori che scappano li puoi facilmente incontrare nei pressi della stazione centrale di Catania in attesa di saltare clandestinamente sui treni per il Nord. Scappano perché non viene offerta loro alcuna possibilità concreta di integrazione. Ma denunciano anche gravi condizioni di degrado all’interno della comunità. Dal loro arrivo a Lampedusa, il 18 marzo scorso, non avrebbero avuto nemmeno la possibilità di un cambio dei vestiti. Dicono di non avere la possibilità di chiamare casa e sarebbero costretti a dormine a decine nella stessa stanza, a mangiare cibo scadente e subire soprusi e persino pestaggi. Dall’altra parte replica a muso duro il direttore del centro Ignazio De Luca che smentisce tutto ed anzi mostra le foto delle devastazioni di cui si sarebbero resi responsabili proprio questi minori in fuga.
SOVRAFFOLLAMENTO - Le testimonianze dei ragazzi e la replica del direttore De Luca (nei video) rappresentano solo la punta dell’iceberg di un problema ben più vasto, complesso e sottovalutato. Perché si scappa da Catania ma si scappa da tutte le 52 comunità della Sicilia. Come conferma il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio, da anni in prima linea sul fronte immigrazione. «Il dato di Catania è sicuramente da considerarsi un picco –spiega- in media scappa quasi il 50% dei minori che collochiamo nelle varie strutture presenti sul territorio».
L’allarme è stato più volte lanciato da Save the Children che tiene costantemente aggiornato il flusso dei minori, dal loro arrivo a Lampedusa fino al collocamento in comunità. «Complessivamente c’è un alto tasso di fughe –ammette Viviana Valastro coordinatrice del progetto Presidium di Save the Children- anche se abbiamo riscontrato che si scappa soprattutto dalle comunità sovraffollate come nel caso di Catania. E questo perché più sono i ragazzi meno è possibile seguirli. Inoltre c’è un’accelerazione col trascorrere del tempo: più passano i giorni, più i minori vedono deluse le loro aspettative, più aumentano le fughe. E i primi a scappare sono quelli prossimi ai diciotto anni».
 
RICHIEDENTI ASILO - Perché temono di essere espulsi. Può infatti restare in Italia solo chi ha l’opportunità di raggiungere altri famigliari, di seguire un percorso di affidamento oppure chi riesce a trovare un lavoro. Tranne che si tratti di ragazzi che possono accedere alle tutele previste per i richiedenti asilo. Proprio per favorire l’integrazione dei minori le comunità (che percepiscono dallo Stato circa 60 euro al giorno per ogni ospite) in teoria dovrebbero assicurare corsi di apprendimento della lingua italiana, oltre a garantire istruzione e avviamento al lavoro. Ma nei fatti è difficile persino trovare dei semplici mediatori culturali che rendano possibile l’interlocuzione con i minori. Ecco perché restare in Italia una volta diventati maggiorenni è estremamente difficile. A quel punto non c’è alternativa alla fuga, magari per tentare di raggiungere altri connazionali.
 
PARENTI ASSENTI - Del resto i centri per minori non sono strutture di detenzione e dunque non c’è come fermarli. Molti dei ragazzi assegnati alle comunità siciliane sono tunisini che vorrebbero ricongiungersi con loro parenti, principalmente in Francia. Ma le procedure sono spesso lente e complesse. A quel punto non resta che la via della clandestinità. «Se da un lato le aspettative di questi minori restano deluse per la lentezza della procedure – osserva la Valastro- capita anche che siano gli stessi parenti indicati per il ricongiungimento a non volerli accogliere». Quali che siano le ragioni c’è ormai un piccolo esercito di minori clandestini che vaga per le città italiane finendo spesso nella rete della criminalità organizzata. «Lo riscontriamo –spiega Di Fazio- quando ci chiamano polizia o carabinieri di altre città dove sono stati fermati per qualche reato».
 
Con la ripresa massiccia degli sbarchi in Sicilia il numero dei minori clandestini cresce di giorno in giorno. Solo nei primi mesi del 2011 a Lampedusa sono approdati oltre 1.500 minori non accompagnati, 400 dei quali ancora “parcheggiati” sull’isola perché non si sa dove collocarli. Grandi numeri che rendono molto difficile la gestione dell’accoglienza e dell’integrazione. «Perché sia efficace il collocamento dovrebbe avvenire nell’ambito di piccole comunità di 10 minori –spiega Viviana Valastro- il fatto che ci siano centri che ne arrivano ad ospitare anche 70 rende praticamente impossibile parlare di scuola, apprendimento della lingua, integrazione. Per questo avevamo suggerito di utilizzare le strutture più grandi solo come luoghi di transito in vista di un collocamento finale in comunità più piccole».
Insomma se c’è grande attenzione e tanta commozione quando questi ragazzi sbarcano a Lampedusa, con le loro storie e il loro carico di dolore, finiscono per essere rapidamente dimenticati una volta collocati in comunità. Come se questo non fosse solo l’inizio di una fase ben più delicata e difficile da gestire.
 
corriere.it 16 giugno 2011
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