Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 luglio 2012

Pericolosità sociale: se la Cassazione «boccia» le norme della sanatoria 2009
Italia-razzismo
l'Unità, 12-07-2012
Lo scorso 6 luglio la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo un aspetto del provvedimento di regolarizzazione del 2009 (sentenza 172/2012). Si tratta della parte in cui quella legge rigettava automaticamente l’istanza di regolarizzazione del lavoratore straniero condannato per uno dei reati previsti dall’art. 381 del codice penale, senza prevedere l’accertamento della concreta pericolosità della persona. Nonostante per i reati indicati sarebbe ammissibile l’arresto in flagranza, questo è comunque subordinato alla verifica della gravità del fatto, ovvero della pericolosità del soggetto. Una pericolosità, dunque, desunta – come recita la norma – dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto. Questo significa che, se anche per procedere all’arresto in flagranza è necessaria una specifica valutazione «di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto», a più forte ragione – secondo la Consulta – non può desumersi automaticamente dalla condanna per questi delitti la pericolosità sociale del soggetto. In questo senso, è illegittimo rigettare l’istanza di regolarizzazione senza accertamenti ulteriori.
La Consulta ha precisato come l’automatismo di questa presunzione assoluta di pericolosità sociale sia tanto più irragionevole in quanto lede i diritti fondamentali della persona. Diritti – ha ancora una volta precisato la Corte – dei quali è titolare anche lo straniero non comunitario, perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere «considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi».
Né diritto penale d’autore, quindi, né sotto-sistemi giuridici speciali per i migranti, pena la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza.
Ma non è stato solo l’articolo 381 del codice penale a determinare la selettività della sanatoria del 2009. La stessa, infatti, doveva essere rivolta esclusivamente a colf e badanti escludendo così tutti i lavoratori impiegati in altre mansioni. È successo, quindi, che molti stranieri impiegati irregolarmente in altri settori si affidassero a datori di lavoro fittizi, sborsando enormi somme per accedere alla sanatoria e finendo in preda al racket. Su un altro aspetto, altrettanto selettivo, si era espresso il Consiglio di Stato nel marzo del 2011. Si tratta del fatto che numerose domande di regolarizzazione avevano ottenuto parere negativo a causa della presenza di provvedimenti di espulsione non ottemperati, rischiando, al tempo, la reclusione fino a quattro anni. Il Consiglio di Stato non aveva dichiarato esplicitamente che il reato di mancato ottemperamento non doveva essere considerato ostativo ma aveva precisato che tale decisione dovrà tener conto del fatto che, a causa della direttiva comunitaria sui rimpatri (2008/115/CE), era a rischio la sussistenza dello stesso reato. Anche quello era stato un piccolo passo verso la tutela dei diritti delle persone straniere.

 

«È italiano chi nasce in Italia»
L’Istat ha presentato la ricerca “I migranti visti dai cittadini”
Per il 72% degli intervistati «chi è nato in Italia deve avere la cittadinanza»
Il 90% condanna le discriminazioni a scuola e sul lavoro
l'Unità, 12-07-2012
Jolanda Bufalini
ROMA -Un quadro in chiaroscuro, lo definisce il ministro Fornero, sul cui intervento nella sala polifunzionale delle Pari Opportunità pesano i pesanti tagli appena inflitti al ministero. Un ritratto in movimento per il ministro Andrea Riccardi, per il quale il report Istat sui “migranti visti dai cittadini” mostra «l’evoluzione di una mentalità collettiva». Effettivamente uno degli aspetti più interessanti dell’indagine è la diversa modulazione della valutazione della presenza degli immigrati in Italia, a seconda dell’età e del tipo di rapporto. A cominciare dalla conoscenza diretta: il 38,4 per cento del campione fra i 18 e i 74 anni conosce immigrati perché sono colleghi di lavoro, il 32,1 ha un amico immigrato; per l’11,6 % c’è un membro della famiglia di origine straniera e per quasi il 10% c’è un compagno/a di scuola o di università. Un grado di compenetrazione nei luoghi di lavoro e di studio che probabilmente spiega la percentuale straordinariamente alta degli italiani che sono favorevoli al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli degli immigrati: 72,1%. Gli italiani sono, invece, in maggioranza contrari al diritto di voto amministrativo per gli immigrati che risiedono in Italia da alcuni anni ma non sono cittadini: la media dei favorevoli al voto è 42,6% ma, se si suddivide il campione per classi di età, si vede che il 46,5% dei giovani fra i 18 e i 34 anni è favorevole al voto amministrativo mentre solo il 38% degli anziani fra i 65 e i 74 anni non è contrario. Analoghe le percentuali sul diritto di cittadinanza, la stragrande maggioranza del campione è favorevole (91,4%), per ottenerla il 38% degli intervistati pensa che dovrebbero essere sufficienti 5 anni di soggiorno regolare, per il 42 gli immigrati dovrebbero aspettare 10 anni.
La vicinanza sul posto di lavoro e di studio influisce sulla percezione di atteggiamenti discriminatori verso gli immigrati. L’80% ritiene infatti che per gli stranieri la vita è più difficile a causa di questi comportamenti e quasi il 90% ritiene «ingiustificabile» prendere in giro uno studente, trattare meno bene un lavoratore perché straniero, per il 72 per cento non è giusto «assumere un dipendente senza riconoscere le qualifiche richieste» e per il 63% non è giustificabile non dare in affitto la casa «perché immigrato».
Appare contraddittorio con questi modi di pensare il fatto che la maggioranza degli italiani ritengono che in tempi economicamente difficili si debba dare lavoro prima agli italiani e che, a parità di requisiti, la casa popolare debba essere assegnata prima agli italiani. A commento di questi dati il presidente dell’Istat Enrico Giovannini invita a completare il quadro con le altre ricerche Istat sul tema dell’immigrazione: «quando vediamo che il reddito medio degli immigrati è la metà di quello degli italiani e che il 40% dei figli degli immigrati lascia in anticipo la scuola, ci rendiamo conto che stiamo disseminando mine sociali che prima o poi rischiano di scoppiare». E il ministro dell’integrazione Riccardi spiega che l’Italia è in mezzo al guado di una «radicale trasformazione del nostro mondo». l’immigrazione dice «è una questione nazionale di importanza pari a quella che fra nel XIX e XX secolo investiva i confini, allora si trattava di territori, ora si tratta di popolazioni».
La popolazione che suscita maggiore diffidenza negli italiani è quella rom/sinti. I matrimoni misti sono ben visti ma il discorso cambia quando si tratta della propria figlia, l’85 per cento degli intervistati «avrebbe molti o qualche problema» se la ragazza sposasse un rom, se il promesso sposo fosse un romeno il 69 per cento manifesta le stesse perplessità.
Se si allarga la prospettiva, però, il 60% considera positiva la presenza degli immigrati in Italia perché «permette il confronto fra le culture». Percentuale che fra i giovani crese al 66%. Elevate le percentuali di coloro che temono un incremento del terrorismo e dei reati, il degrado dei quartieri e il fatto che gli stranieri «tolgono lavoro agli italiani». La diversità religiosa non costituisce un problema ma il 41 per cento non vorrebbe una moschea vicino casa.



Dimenticati in mare
Per 15 giorni un gommone di disperati viaggia e poi affonda nel Canale di Sicilia e nessuno se ne accorge
il Fatto, 12-07-2012
Giuseppe Lo Bianco
Palermo Il Mediterraneo è un mare affollato, è probabile che qualcuno abbia visto l’imbarcazione in balia delle onde e non sia intervenuto. Ma l’omissione di soccorso è un reato”, denuncia Laura Boldrini portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Nessun radar li ha segnalati, nessun aereo li ha visti, nessuna nave li ha notati, nessun peschereccio li ha accostati, nessuno dei mezzi di pattugliamento Frontex si è accorto della loro presenza: 54 uomini e donne in fuga dalla violenza e dalla miseria arrivano su un gommone a ridosso delle coste italiane, vengono respinti dal vento verso il Nordafrica, e muoiono di sete. Disidratati dopo 15 giorni di agonia, inghiottiti dal Canale di Sicilia: non hanno potuto portare a bordo neanche una bottiglia di acqua, per non appesantire l’imbarcazione, come ha rivelato l’unico eritreo sopravvissuto e ricoverato a Zarzis, in Tunisia.
L’OMISSIONE di soccorso è un reato, dice la Boldrini, eppure non sono state ancora aperte inchieste sulle due sponde del Mediterraneo, né dalla Procura di Agrigento, né dalla magistratura tunisina. E, prima ancora, l’omissione di soccorso è una gravissima violazione della legge del mare; com’è possibile che ciò accada in un tratto di mare costantemente pattugliato da diversi Paesi? Questa è la domanda che ci poniamo tutti – risponde la Boldrini – certamente occorre un maggiore coordinamento tra gli Stati, in tema di soccorso a mare i rapporti sono spesso affidati a canali confidenziali”. Archiviato il governo Berlusconi, morto Gheddafi, la politica dei respingimenti ha subito un forte rallentamento, ed è ovviamente positivo, ma ciò ha probabilmente provocato un progressivo disinteresse verso la sponda sud dell’Europa, anche e soprattutto sul versante del soccorso a mare. “L’accordo Italia-Libia prevedeva che chi veniva intercettato in alto mare, anche se non libico, fosse portato a Tripoli – dice la Boldrini – nel 2011 questa politica non è stata messa in atto e negli ultimi mesi i respingimenti – per quello che sappiamo – sono stati molti di meno e solo verso la Tunisia. Questo è senz’altro un dato positivo”. Accordi bilateriali tra Italia e Libia che comunque “non sono sufficienti a garantire il rispetto dei diritti umani” come sostiene Rita Borsellino in un’interrogazione alla commissione europea in cui chiede di “attivare in tempi rapidi azioni di cooperazione internazionale da parte dell'UE per assicurare il rispetto dei diritti umani”. Concetti che il vescovo di Mazara Domenico Mogavero ha ripetuto ieri al ministro per l'Integrazione e la Cooperazione Andrea Riccardi, chiedendo al governo di “fare più attenzione e prestare più riguardo alla dignità delle persone”.
Ma la tragedia dei 54 morti disidratati in mare testimonia che oggi non c’è né accoglienza, né respingimento, ma solo indifferenza: il Mediterraneo dell’estate 2012 è un tratto di mare “fai da te”, in cui i clandestini che si avventurano in cerca di un futuro migliore muoiono assetati davanti agli occhi di chi avrebbe potuto salvarli.
Chi può aver visto senza intervenire? “Non penso alle unità militari o civili dei governi rivieraschi – risponde la Boldrini – penso ai privati, alle navi cargo o ai pescherecci che solcano continuamente quel tratto di mare. In passato chi ha condotto azioni di salvataggio a mare ha subito parecchi problemi, a volte anche azioni giudiziarie, oppure ha atteso per giorni in rada l’autorizzazione allo sbarco. E per loro sono giorni di lavoro persi”.
NON SI È scoraggiato, per fortuna, l’equipaggio della motovedetta della Guardia di Finanza che la notte scorsa ha intercettato a 60 miglia a sud di Porto-palo di Capo Passero, nel Siracusano, un gommone con a bordo 50 immigrati, provenienti probabilmente dalla Libia, trasferiti a bordo del natante militare e sbarcati a Pozzallo, nel Ragusano. A essere salvati, questa volta, oltre a donne e uomini, c’era anche una bambina di tre anni.



Profughi abbandonati in mare
risponde Furio Colombo
il Fatto, 12-07-2012
Caro Furio Colombo, spero con tutto il cuore che la storia dei 54 profughi morti di sete in mare (Mediterraneo) sia in qualche punto imprecisa o sviante. Se è come ce la racconta il superstite, quei 54 sono morti di abbandono. Nessuno li ha soccorsi. È possibile che succeda per caso?
BREVE ricostruzione della vicenda, di cui abbiamo saputo solo il 10 luglio, ma sarebbe avvenuta in giugno. Cinquantacinque eritrei in fuga dalla guerra perenne nel loro Paese, dopo la traversata del deserto, sono giunti in Libia. Ma in Libia non possono restare perché la maggior parte delle bande armate che controllano il Paese pensa ancora che tutti i neri siano ex mercenari di Gheddafi. Li aspetta prigione o morte. Su un gommone si imbarcano per l’Italia e ci arrivano in poco più di un giorno. Ma il vento furioso spinge indietro il gommone, e lo tiene alla deriva in mare aperto, per almeno 15 giorni. A uno a uno muoiono tutti di sete (disidratazione) e solo uno viene salvato in acque tunisine e racconta la terribile storia. Sono d’accordo con il lettore che ci scrive. O vi sono gravi imprecisioni nel racconto, o l’abbandono dei 54 che sono morti in mare è deliberato, nel senso che molti sapevano e nessuno si è mosso. Infatti il Mediterraneo è una frontiera. È impossibile che non sia monitorato tutto lo spazio per tutto il tempo. È impossibile che un natante alla deriva tra coste italiane e coste libiche non sia notato per 15 giorni. È impossibile che nessuno dei profughi avesse un cellulare a bordo. Nonostante la vigilante xenofobia inculcata a suo tempo dall’ex ministro dell’Interno Maroni, c’è un problema di sicurezza: terroristi, esplosivi, pirati, possono arrivare per mare, su un’imbarcazione non identificata. Nessuno sa? Nessuno nota? Non un peschereccio, non un aereo militare o di linea? Poiché è stato l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati a raccogliere e diffondere la testimonianza del superstite, ora qualcuno in Italia dovrà indagare. Per ragioni gravi di umanità. Per ragioni urgenti di sicurezza.



Cancellare i respingimenti? È costato centinaia di vite
Le vittime dei viaggi della speranza via mare nel 2012 sono già 110. Due anni fa si ridussero a 20 grazie al patto Italia-Libia. Ma gli ipocriti chiudono gli occhi
il Giornale, 12-07-2012
Paolo Granzotto
Dice bene, dice molto bene Alexander Aleinikoff, vice commissario dell'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite: quello che è successo al largo della costa libica, cinquantaquattro fra eritrei e somali morti per sete a bordo di un gommone, «è una vera tragedia». Che qualcuno ha voluto, però. E non si tratta, come insinua Aleinikof e si vergogni, del mancato rispetto da parte di qualche comandante di nave «dell'antica tradizione del salvataggio in mare». Si tratta di coloro che in nome della difesa dei diritti umani operano per negarli, quei diritti, conducendo alla morte centinaia di «migranti». Lasciando fare. Lasciando che la costa libica sia tornata a essere il punto di raccolta e di partenza di libici, somali, eritrei, ghanesi, nigeriani, sudanesi paradossalmente «in cerca di una nuova vita». Lasciando che si imbarchino sulle carrette del mare, su gommoni rappezzati, su gusci di noce sfasciati. Lasciando che con loro si imbarchino, in qualità di «scudi sociali», bambini e giovani madri. Lasciando che per muovere a compassione l'opinione pubblica giungano a destinazione come naufraghi, assetati e affamati, essendo ben noto che i mercanti di carne umana concedono loro per la traversata solo una mezza bottiglia d'acqua e un tozzo di pane.
Le cifre, signor Aleinikoff: nel 2008 morirono, nel Canale di Sicilia, mille e 247«migranti» e/o«rifugiati». Nel 2009, anno in cui, a fine marzo, l'Italia firmo col tiranno Gheddafi un accordo di contenimento del flusso migratorio clandestino, i morti scesero a 425. L'anno seguente, con gli strumenti dell'accordo a pieno regime, furono solo 20. E nel 2011, appena ebbe inizio la caccia a Gheddafi con conseguente intervento «umanitario» a suon di bombardamenti indiscriminati, sparita la sorveglianza, andati a farsi benedire gli accordi, gli annegati nel Canale di Sicilia tornarono precipitosamente a salire raggiungendo le mille e 822 unità. E allora, signor Aleinikoff, incoraggiare l'immigrazione clandestina lasciando carta bianca ai reclutatori e ai traghettatori - gli uni e gli altri lucrando assai sulla «merce», pagamento anticipato, ovvio - è un modo coerente di difendere i diritti umani o è spalancare le porte dell'inferno? Qui non si tratta dei diritto o meno di uno Stato sovrano al respingimento. Qui siamo all'inizio della filiera criminale e dunque si tratta di assecondare, spesso di favoreggiare dei delinquenti che facendo leva sulle loro speranze o meglio sui loro sogni giocano con la vita di povera gente. Arricchendosi.
Da un migliaio e passa di morti a ventidue. Eppure l'accordo italo-libico fu oggetto di indignate prese di posizione, di critiche sferzanti da parte del piagnisteo solidarista e terzomondista per il quale il principio (la libera circolazione clandestina) conta assai più della vita umana. Me muoiano pure a migliaia, purché sia salvo il diritto (dei deceduti) di espatriare a piacerloro. Siamo a questo: si sussurra che il governo Monti abbia firmato alla chetichella un nuovo accordo di contenimento con la «nuova» e primaverile Libia. I fatti sembrerebbero smentire quelle voci (ieri sono sbarcati in Italia un centinaio di migranti clandestini di varia nazionalità e in partenza dal terminal libico), però Amnesty già strepita alla infame violazione dei diritti umani. Nel frattempo festeggiando, c'è da pensare, le prossime immancabili mattanze in mare.


 

Sparizione in mare
l'Unità, 12-07-2012
Flore Murard-Yovanovitch
Oggi, con l’ennesimo abbandono di 54 profughi nel mare Mediterraneo saturato di radar, satelliti, controlli e pattugliamenti di Frontex, possiamo aver il coraggio di nominare quella strage per quel che è: sparizione organizzata, volontaria, politica e razziale, di migliaia di esseri umani. Nel caso dell’imbarcazione partita dalla Libia intorno al 25 giugno scorso, erano eritrei, tutti potenziali richiedenti asilo. Uccisi dalla sete e annegati da 15 giorni alla deriva, mentre nessuno abbia visto nulla nel mare più trafficato del mondo.
Non per colpa del gommone sgonfio, delle falle, del meteo e di Nettuno: ma per colpa della chiusura delle frontiere, che non lascia ai migranti alcuna alternativa che quella di perdere la vita in mare in un viaggio della speranza, o finire negli inumani centri di detenzione in Libia. Per colpa di una politica, condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, di espulsioni collettive e respingimenti (che continuano dalla Sicilia ad Ancona, nel silenzio dei media). Un’ennesima strage che dice che “esiste una vera e propria emergenza alla quale corrisponde un silenzio e un vuoto drammatico delle istituzioni come se si trattasse di fatti ineluttabili”, come dice Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato. Morti, che, infatti, si sarebbero potuti evitare instaurando corridoi umanitari, dall’inizio del conflitto libico per permettere di fuggire da questo Paese che caccia i migranti africani e le sottopone a trattamenti inumani e degradanti. Quel naufragio in provenienza dalla Libia è anche, non dimentichiamo, una conseguenza diretta della dichiarazione di Lampedusa come “porto non sicuro” adottata lo scorso anno da Maroni e confermata dal governo Monti. E soprattutto e in primis dei nuovi Accordi italo-libici condannati da Amnesty e siglati dalla Cancellieri ad aprile scorso. Tutte queste ragioni li hanno uccisi uno a uno. Infine, per l’incapacità a leggere la geopolitica, la mera indifferenza di fronte alle guerre civile e mattanze in tutto il Corno d’Africa e in Siria, pase da cui proviene l’ultimo sbarco, ieri, sulle coste calabrese. A vedere donne incinte, ultraottantenni e bambini, si capisce che quel viaggio non l’hanno fatto per scelta, ma per sfuggire alle persecuzioni.
Proprio questi giorni, mentre Boats4People naviga nel Mediterraneo ed è approdato ieri sulle coste tunisine, in ricordo del cimitero Mediterraneo e per chiedere ai governi europei di porre fine al controllo violento e criminoso delle frontiere. Intanto, in assenza di cambiamento della politica, è partita la reazione umana dal basso, la “torre di controllo civile”, come si definisce il progetto Watch The Med per documentare le violazioni dei diritti dei migranti e costruire la mappatura della fosse comune maritima. Come hanno ben intuito “gli indignati del mare”, la questione è come reagire a quella che ormai si è strutturata come strage, ormai risaputa ma lasciata accedere.
Come racconteremo e spiegheremo alla Storia, questa nostra disumana complicità passiva? Che nome darà, la Storia stessa, a questo latente accettare come “normale” quella morte certa? Questo è passivamente lasciare morire… o è “lasciare sparire”?



Lampedusa, la mafia dei migranti che sequestra e riduce in schiavitù
L'indagine è cominciata a marzo 2011, dopo l'arresto per droga di un ventenne a La Spezia della GdF. Lo spaccio era solo marginale. Il fine era finanziare il traffico di migranti dalla Nigeria in Italia. Il vertice si trovava a Lagos con rami in Niger, Libia e Germania. Si "acquistavano" giovani arrivate in Italia da destinare alla prostituzione
la Repubblica, 11-07-2012
LAMPEDUSA - Ogni tanto - ma purtroppo solo ogni tanto - capita che qualche "maglia" dell'enorme, cinica, rete di affaristi che avvolge il fenomeno dell'immigrazione venga scoperta e tagliata. Non servirà quasi a nulla, questo lo sappiamo, ma almeno la faccia di qualcuno di questi odiosi parassiti finisce così per essere conosciuta. E' successo che la Guardia di Finanza ha svelato un'organizzazione internazionale che organizzava le "traversate della speranza" dalla Nigeria a Lampedusa. Venti le persone arrestate in tutta Italia, che dovranno rispondere, tra l'altro, di riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona, stupro e rapina.
L'organizzazione in mano ai nigeriani. L'indagine dalle quali ha preso le mosse l'Operazione Caronte è stata avviata nel mese di marzo dell'anno scorso, dopo l'arresto per droga di un ventenne, residente a La Spezia. Lo spaccio era però solo l'attività marginale del gruppo africano, che aveva come fine ultimo quello di finanziare il traffico di migranti dalla Nigeria in Italia. Il vertice si trovava proprio nel Paese africano e aveva ramificazioni in Niger, Libia e Germania. Ne fanno  parte uomini e donne. Queste ultime "acquistavano" le giovani connazionali appena arrivate in Italia e le destinavano alla prostituzione.
Persone "imballate" come pacchi da viaggio. Nelle città di Agades e Dirkou, in Niger, erano presenti cellule che avevano il compito di organizzare i viaggi attraverso il deserto del Sahara e fornire mezzi di trasporto alle carovane. In Libia erano dislocati altri punti di smistamento dei migranti che, dopo una sosta di pochi giorni, venivano condotti fino ai porti di Tripoli e Sabratha, prima di essere imbarcati nelle carrette del mare alla volta di Lampedusa. L'organizzazione criminale nigeriana stabiliva periodicamente delle vere e proprie "quote" di persone da inviare in Europa, assegnando ai referenti, anch'essi di etnia nigeriana ed ormai radicati in occidente, il compito di destinarli ad attività illecite di ogni genere.
I cadaveri abbandonati in mare. Numerosi altri riscontri, invece, riferiscono di cadaveri abbandonati in mare nel corso dell'attraversamento del Mediterraneo, persone assetate costrette a bere le loro urine, ragazze sottoposte a stupri seriali. Giunti a Lampedusa i clandestini, dopo un breve periodo di permanenza, venivano destinati ai centri di accoglienza del sud Italia. In questa fase secondo gli inquirenti si sarebbero attivate le teste di ponte del gruppo criminale: nigeriani già domiciliati nel territorio nazionale avrebbero rifornito gli immigrati di schede telefoniche intestate a soggetti inesistenti al fine di renderli reperibili agli aguzzini ma invisibili alle autorità italiane, organizzandone la fuga per poi assegnarli alle dipendenze degli sfruttatori.
Sono entrate in Europa almeno 5 mila persone. Nel periodo delle indagini, almeno 5 mila persone sarebbero state fatte entrare clandestinamente in Europa, dopo viaggi infernali e rischiosissimi. Le vittime venivano trasportate con mezzi rudimentali e successivamente ammassate in veri e propri lager lungo le coste libiche in attesa della traversata sulle carrette del mare. Il viaggio attraverso il deserto del Sahara poteva avere una durata anche di sessanta giorni, la traversata in mare almeno cinque. Non tutti i migranti sarebbero riusciti a completare il viaggio, alcuni sarebbero morti di fame e di sete, altri sarebbero stati fermati dalle polizie nigeriana e libica.
Il conto delle vittime. Secondo le stime di Fortress Europe, organizzazione che monitora i flussi migratori verso l'Europa, dal 1996 sono circa 1600 le persone decedute lungo le rotte trans-sahariane. Le intercettazioni delle fiamme gialle hanno rivelato in proposito circostanze raccapriccianti: nel mese di agosto dell'anno scorso, durante una traversata nel deserto, uno dei camion che trasportava circa 80 persone, sarebbe finito fuori strada, ribaltandosi. Nell'incidente sarebbero morte diversi migranti, i sopravvissuti avrebbero implorato l'aiuto del mezzo che seguiva, ma non avrebbero ricevuto alcun tipo di soccorso.  
La fedeltà delle prostitute. Al fine di ottenere la fedeltà delle nuove prostitute le ragazze venivano sottoposte a riti woodoo in Africa e successivamente a numerose minacce di morte. In considerazione della gravità dei reati, l'indirizzo delle indagini è stato assunto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova. Eseguiti complessivamente 20 arresti, sia in flagranza che in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere, in Liguria, Toscana, Lombardia, Veneto, Campania, Piemonte, Emilia Romagna ed in Germania, e sessanta denunciati. L'ultima tranche ha consentito la notte scorsa l'arresto di altri sette nigeriani.



“L’INTOLLERANZA MORBIDA”
la Repubblica, 12-07-2012
ADRIANO PROSPERI
“L’Italia ha iniziato un percorso di guerra durissimo – ha detto ieri il presidente Mario Monti – una guerra contro i pregiudizi diffusi”. Si riferiva a quelli sugli italiani e sull’affidabilità finanziaria del paese. Chissà se qualcuno degli ascoltatori, nella sala del convegno dell’Associazione bancaria italiana, ha pensato per un attimo ai pregiudizi e alle discriminazioni degli italiani verso gli “altri”. Il mondo del pregiudizio diffuso e della discriminazione legalizzata dovrebbe richiedere qualche attenzione da parte di un governo degno di questo nome. La minaccia latente dei conflitti identitari del mondo attuale può essere tollerabile in condizioni normali, ma diventa devastante quando la violenza dello sfruttamento e il vilipendio dei diritti umani sono lasciati liberi di scatenarsi.
Secondo i più aggiornati rapporti periodici dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) il fenomeno della discriminazione razziale è in forte crescita in Italia. Lo documenta una fitta serie di rilevazioni che riguardano l’accesso ostacolato o negato ai diritti primari di lavoro, casa, sanità, istruzione. Nei primi mesi del 2012 gli episodi accertati hanno superato il totale dell’anno precedente. Sono storie che nella statistica generale appaiono ripetitive, quasi incolori. Ma basta entrare in una vicenda, incontrare un volto, un nome nella cronaca dei quotidiani, per rivelare ai più distratti in quale contesto siamo immersi, quale sia l’aria che respiriamo. Si pensi al caso recentissimo della piccola Blessed, promossa a Castel Volturno in prima elementare con tutti dieci, che non vedrà la pagella perché i genitori, privi del permesso di soggiorno, hanno paura a presentarsi in scuola per ritirarla.
Sono tante le vicende come questa: storie di studenti figli di immigrati ma nati e cresciuti qui che si sentono dire dagli insegnanti: “Sei più bravo degli italiani”: e imparano così sulla loro pelle che da noi vige una legge razzista della cittadinanza come privilegio del sangue. Una legge che nemmeno gli appelli del presidente della Repubblica Napolitano hanno convinto le forze politiche e il governo a modificare. Di fatto i percorsi sociali deputati all’integrazione sociale e alla educazione ai diritti di cittadinanza, svolgono spesso il loro compito alla rovescia, lasciando ferite quotidiane nell’esperienza e nella mentalità di quei milioni di italiani di fatto che la legge e la mentalità corrente continua a definire non italiani.
Questa è sempre più la realtà quotidiana di un’Italia dove una intolleranza morbida, quasi inconsapevole, frutto di ignoranza e di pregiudizio, esplode solo eccezionalmente in forme di razzismo conclamato e violento: un’Italia dove però vige un sistema che garantisce una discriminazione deliberata, utilizzabile a piacere a scopo di sfruttamento, di lavoro o sessuale che sia. Da noi, ricordiamolo, c’è un’antica vetta emergente di razzismo duro, banalmente quotidiano ma all’occorrenza spietato: è quello che riguarda gli zingari. E qui ci sono i delitti della gente per bene, come quelle famiglie che a Napoli non volevano bimbi zingari nelle scuole dei propri figli e per questo nel dicembre 2010 ricorsero alla camorra e fecero dar fuoco al campo rom (sono di martedì gli arresti dei 18 responsabili).
Accanto a questo picco razzista, c’è tutt’intorno quella pratica diffusa della discriminazione di cui parla il rapporto Unar, alimentata e incoraggiata già dal governo Berlusconi, che ci ha valso la condanna nel febbraio 2012 della Corte europea dei diritti umani per la prassi dei respingimenti in mare. Il governo Monti si è pubblicamente impegnato a dare attuazione alla sentenza. Ma poi il 3 aprile 2012 se n’è dimenticato quando ha firmato il nuovo accordo Italia- Libia sul controllo dell’immigrazione. Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, ha chiesto inutilmente una “comunicazione trasparente” su quegli accordi e qualche garanzia sui diritti umani di chi attraversa la Libia fuggendo da guerre e persecuzioni. A quanto si sa, l’Italia si è limitata a rinnovare alla Libia la richiesta di fermare le partenze dei migranti prestandole per questo uomini e mezzi. E intanto quel mare che la retorica nazionalista definì “nostro” e che è per noi quello delle vacanze estive, è sempre di più per “loro” l’immenso cimitero dove annegano ogni giorno tanti disperati. Proprio dalla Libia proveniva ieri il barcone con 54 eritrei: 53 di loro “si sono spenti uno ad uno, uccisi dalla sete», ha riferito l’unico sopravvissuto. E intanto l’Alto commissariato Onu per i rifugiati informa che ce ne sono altri 50 in arrivo. Un fenomeno che secondo ogni previsione è destinato a crescere.
Tutte queste cose il governo guidato da Mario Monti le sa. Ma non sembra intenzionato a occuparsene. In questa situazione gli sforzi generosi di singoli e di associazioni volontarie, laiche come Amnesty e religiose come i gesuiti della Fondazione Astalli, non ce la possono fare a invertire la tendenza. Non basta gettare in mare una corona d’alloro, come ha fatto una persona sicuramente di buona volontà come il ministro Riccardi. Questo governo si è dato un’auto-limitazione che danneggia il Paese perché lascia in essere cattive norme e cattive abitudini. Un governo, un Paese non vivono solo di economia.



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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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