Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 maggio 2010

«Aprire Centri in Iibia sotto il controllo Ue»
Avvenire, 06-05-2010
Nello Scavo

Mentre sale la tensione per l'escalation di minacce eversive, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano guarda avanti, proponendo all'Ue di «cooperare con la Libia, realizzando lì centri di accoglienza adeguati, con la partecipazione dell'Europa».
Come valuta la ripresa delle azioni eversive? Distinguerei i profili. I Cie sono al centro del mirino sia da parte dell'opposizione esterna al parlamento, sia da parte di realtà estreme. Proprio queste ultime, come gli anarco-insurrezionalisti, ci devono preoccupare. Costoro hanno compiuto una sorta di "trasferimento ideologico": per essi i proletari sfruttati di una volta oggi sono gli immigrati clandestini.
Gli stessi operatori dei Cie denunciano però come le nuove norme, che consentono un trattenimento fino a sei mesi, stiano creando disagio e tensioni tra gli immigrati.
Molti Paesi forniscono a rilento le informazioni necessarie all'identificazione, ma oggi chi entra in un Cie sa che molto probabilmente, a differenza che nel passato, sarà espulso. Nessuno nega che ci possano essere problemi, ma gli standard italiani restano i migliori d'Europa. Il meccanismo di contrasto dell'immigrazione clandestina passa anche attraverso l'espulsione. Il governo fa vanto di aver azzerato gli sbarchi. Intanto migliaia di persone vivono in condizioni disumane nei centri-prigione in Libia.
Resterete con le mani in mano?
Su questo ho avuto un colloquio con il commissario europeo agli Affari interni, Cecilia Malmstrom: la questione Libia non è e non può essere un problema solo italiano.
E l'Italia cosa propone? In questi anni abbiamo superato enormi difficoltà e preclusioni da parte libica, perciò possiamo mettere a disposizione dell'Ue il buon rapporto maturato con Tripoli, grazie al quale muovere una iniziativa europea per stabilire sul suolo libico alcune commissioni per esaminare le domande d'asilo verso l'Europa. In questo modo si fermerebbero definitivamente le rischiose traversate in mare svolgendo sul posto il controllo e l'assistenza umanitaria. Resta il fatto che lì non ci sono strutture adeguate. Il nostro rapporto di collaborazione con Tripoli è passato anche attraverso la fornitura di mezzi di polizia e la formazione del personale. L'Ue potrebbe fare analoga cosa realizzando in Libia centri di permanenza per immigrati, collaborando nella gestione, assicurando in tal modo il rispetto dei diritti umani.








Immigrazione, minacce dai gruppi anarchici

Avvenire.it, 06-05-2010
Nello Scavo

È allarme attentati nei Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati. E stavolta non si può escludere il «ricorso all’omicidio». Lo sostiene un documento di polizia emesso dopo che il 21 aprile è stata evitata una strage di carabinieri. Un congegno esplosivo destinato a una caserma era stato scoperto nel centro meccanografico postale di Fiumicino. Il pacco era stato caricato con polvere pirica e chiodi, così da devastare chi fosse stato investito dalla deflagrazione.

Il fallito attentato è stato rivendicato alcuni giorni dopo, come confermano fonti investigative, da una sigla anarcoinsurrezionalista. La minaccia, non nuova, è quella di rispondere «colpo su colpo ai soprusi quotidiani compiuti nelle carceri, nelle caserme, nei tribunali, nei lager per migranti chiamati Cie». Stavolta c’è di più. Una nota di polizia, che Avvenire ha potuto visionare, avverte che gli eversivi potrebbero spingersi fino a fare dei morti.

L’ordigno rinvenuto a Roma era indirizzato ai Carabinieri della caserma Gianicolense, nel quartiere Monteverde. Il plico, una busta commerciale gialla, conteneva un porta-trucco per donna. Apparentemente un pacco regalo. I sistemi di sicurezza hanno però rilevato alcune anomalie, poi confermate dagli artificieri: una pila da 9 volt, una lampadina e polvere esplosiva ricoperta di chiodi. Il consueto meccanismo della bomba a strappo, ideata perché scoppi al momento dell’apertura dalla busta o del suo contenuto, ma che stavolta avrebbe trasformando i chiodi in schegge mortali nel raggio di diversi metri.

Per questa ragione in alcuni Centri per immigrati del Nord Italia sono stati intensificati i controlli postali. «In generale il clima è abbastanza teso», conferma Orazio Micalizi, del consorzio Connecting People, ente che gestisce le strutture di Gradisca d’Isonzo, Brindisi, Foggia e Trapani. «Non che i Cie rappresentino un modello che condividiamo appieno – chiarisce Micalizi –, abbiamo però ritenuto di stare comunque al fianco delle persone che lì vengono accompagnate, per alleviare il più possibile il loro disagio». Impegno ripagato il 19 dicembre scorso con una busta esplosiva recapitata proprio al Cie di Gradisca.

A prendere in consegna la corrispondenza quella mattina fu il direttore della struttura. Fece in tempo a gettare lontano la busta scampando alle ferite che invece il 27 marzo ha subito a Milano un dipendente delle poste a cui scoppiò tra le mani un ordigno rudimentale destinato alla Lega Nord.

Al personale dei Cie le autorità suggeriscono di adottare «ogni possibile cautela nei confronti di plichi od involucri sospetti», ricorrendo alle Questure che dispongono di una speciale apparecchiatura in grado di rilevare le trappole confezionate dai terroristi.

Nello stesso giorno in cui a Roma veniva scoperto l’ordigno che avrebbe potuto uccidere i carabinieri di Monteverde, a Bologna 14 appartenenti a circoli anarchici facevano irruzione negli uffici del giudice di Pace attaccando volantini in «solidarietà agli ospiti del Cie». Medesimo copione a Torino dove un gruppo di attivisti ha interrotto una riunione degli operatori di Connecting People minacciando ritorsioni contro chi gestisce i centri di permanenza.

Strutture che alcune regioni non vorrebbero mai vedere sul proprio territorio. Il 15 aprile la Corte Costituzionale ha bocciato una norma approvata in Liguria, su proposta di Rifondazione comunista, nella quale si afferma «la indisponibilità della Regione ad avere sul proprio territorio strutture in cui si svolgono funzioni preliminari di trattamento e identificazione personale dei cittadini stranieri immigrati».

Domenica scorsa c’è stato chi si è spinto oltre. A Modena nel corso della Messa del mattino un gruppo di manifestanti ha interrotto la celebrazione in Duomo gridando ingiurie contro la confraternita della Misericordia, che gestisce i centri di identificazione di Modena e Bologna.

Un’azione tesa «a intimidire gente innocente – scrive in una nota l’arcidiocesi modenese –. È scorretto coinvolgere persone ignare e inermi. È offensivo per il luogo e per il momento in cui è avvenuta». Nel mirino ancora una volta gli operatori delle Misericordie e il presidente Daniele Giovanardi, da tempo sotto scorta. «Credevamo, come associazione cattolica, di poter essere in qualche modo di aiuto a questi infelici – ha detto Giovanardi dopo l’irruzione – e di contribuire anche a un miglior quadro legislativo nei loro confronti. Ora assistiamo sbigottiti a una crescita incontenibile di violenze verbali e materiali».








Blitz immigrazione clandestina

TGCOM, 06-05-2010

Numerose perquisizioni nel Nordest
Operazione anti immigrazione clandestina in Veneto, Lazio e Friuli Venezia Giulia da parte della Polizia di Stato. Perquisite abitazioni e aziende di appartenenti a un'organizzazione internazionale che gestiva l'immigrazione illegale in Italia, attraverso corsi formativi di lavoro. Sono circa 500 gli extracomunitari coinvolti nella  truffa, ognuno dei quali ha pagato tra i 5 e i 10 mila euro per partecipare agli stage formativi, tutti fittizi.

L'operazione è coordinata dal pm trevigiano Barbara Sabattiniche e segue i quattro arresti del 2009 che portarono a sgominare un'altra organizzazione italo-marocchina. Il nuovo filone di indagine, nel quale è indagato anche un avvocato, ha coinvolto la ForCoop di Venezia che avrebbe garantito agli immigrati l'iscrizione a cicli didattici e stage formativi, facendo credere che al termine sarebbero stati assunti da aziende italiane, ottenendo così il permesso di soggiorno legato a motivi di lavoro.

Il blitz, scattato alle prime ore del mattino, vede impegnati un centinaio di agenti della Squadra Mobile di Treviso, diretta da Riccardo Tumminia, dell'Ufficio Immigrazione, del Reparto Prevenzione Crimine del Veneto, con il supporto del Servizio Centrale Operativo di Roma e della Direzione Centrale dell'Immigrazione, che stanno operando nelle province di Roma, Venezia, Treviso, Pordenone e Vicenza.








PICCHIA FIGLI TROPPO "OCCIDENTALI",ARRESTATO MAGREBINO

AGI, 06-05-2010

Bari - Non condivide lo stile di vita "occidentale" dei suoi figli, da tempo residenti in Italia e per questo li avrebbe picchiati, minacciandoli anche di morte.
Vittima delle aggressioni, anche la madre dei ragazzi, intervenuta per difenderli. L'uomo, un 46enne di origine maghrebina residente ad Andria, e' stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. I militari sono intervenuti nell'abitazione degli stranieri dopo una segnalazione al "112", e poiche' la porta era gia' aperta, sono entrati ed hanno bloccato il 46enne che stava malmenando con schiaffi e calci una ragazza, tenuta ferma per i capelli. La moglie dell'uomo, che si era rifugiata per paura in camera da letto, ha poi raccontato ai carabinieri che le aggressioni ai figli, quasi quotidiane, erano causate della tendenza dei due, una 20enne e un 16enne, residenti in Italia sin da piccoli, ad assumere comportamenti e stili di vita dei giovani del luogo. La ragazza, infatti, ha riferito che, fidanzatasi con un italiano, e' stata costretta ad interrompere la relazione, in quanto non gradita dal padre. Suo fratello, invece, era vittima di continui maltrattamenti poiche' portava un orecchino. Quest'ultimo, inoltre, nella circostanza, per sfuggire all''ira del padre, era scappato di casa. Lo straniero arrestato e' stato rinchiuso nel carcere di Bari, mentre la ragazza e la madre, medicate al pronto soccorso, sono state giudicate guaribili in una settimana.











"Viaggiatori rom schedati sui treni" i controllori si ribellano: è razzismo
Polemica per il modulo da compilare sulla Roma Tiburtina-Avezzano

la Repubblica, 06-05-2010
ELEONORA CAPELLI

ROMA — Segnalare e contare «eventuali passeggeri di etnia rom» che salgono e scendono dal treno alla fermata di Salone, tra Roma Tiburtina e Avezzano. La "selezione" è affidata a controllori e capotreni alle prese con un modulo prestampato di Trenitalia, secondo l'azienda però mai in pratica utilizzato, che non menziona passeggeri senza biglietto o molesti, ma semplicemente gli appartenenti all' etnia rom. Un asterisco tra voci burocratiche, proprio sopra la casella "annotazioni", che ha scatenato la denuncia dei ferrovieri del sindacato autonomo Fast Ferrovie, che conta 3mila iscritti soprattutto tra i macchinisti. Con un piccolo giallo: Ferrovie dello Stato sostiene che il modulo non è mai stato impiegato, ma evidentemente ha circolato abbastanza per provocare la reazione di capotreni e addetti, scandalizzati dalla prospettiva di dover compilare quelle caselle.
Con una lettera indirizzata al ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna chiedono di correggere il modulo «dall'evidente intento discriminatorio». «La richiesta ai capotreni di indicare viaggiatori di etnia rom, meramente in quanto tali esenza alcun'altra motivazione, non può ave¬re altra lettura che la discriminazione —scrive al ministro il segretario di Fast, Piero Serbassi—Noi crediamo che tutto ciò non possa essere tolle¬rato. Per questo siamo a chiederle un intervento». Intervento che però, secondo Ferrovie dello Stato non è necessario, perché il modulo non è stato poi "attivato". «E comunque tutto quello che facciamo è per la sicurezza dei viaggiatori— spiegano dall'azienda— la fermata di Salone è nei pressidi un enorme campo nomadi, è stata chiusa nel 2002 per ragioni di sicurezza e riaperta solo dal primo aprile. La questione è molto seria, in passato ci sono state minacce ai viaggiatori, nessuno voleva più prendere il treno in quella stazione. La riapertura è stata concessa solo a patto di controlli molto rigidi sulla sicurezza, con tanto di telecamere. La questione di quell'area è nota a tutte le amministrazioni».
Gli addetti si pongono però anche problemi pratici. «Come fa il personale a stabilire che il cliente in questione sia inequivocabilmente di etnia rom? — chiede Serbassi nella lettera—il viaggiatore di etnia rom va segnalato anche se re-golarmente in possesso di biglietto?». La questione finisce su un blog di ferrovieri che ci¬tano Bertolt Brecht: «Vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Quando presero me non c'era rimasto nessuno a protestare».









Cgil: Bilongo, maggiore visibilità sindacale per gli immigrati

IGN, 06-05-2010

Rimini, 5 mag. (Labitalia) - "Il sindacato è un grande luogo di democrazia e partecipazione attiva di tutti gli iscritti. Noi immigrati, però, chiediamo maggiore visibilità e collocazione anche nell'assegnazione degli incarichi direttivi". Così Jean Renè Bilongo, originario della Costa D'Avorio e iscritto alla Flai Cgil di Caserta, parla con LABITALIA dell'integrazione all'interno del sindacato, a margine del XVI congresso nazionale della Cgil in corso a Rimini.

"Sono passati 20 anni -racconta- da quando la questione immigrazione è stata posta con 'acutezza'. In Italia, però, sono ancora ben pochi gli immigrati che ricoprono incarichi di responsabilità sindacale. Eppure -sottolinea Bilongo- siamo circa 400mila e vogliamo far pesare questa valenza numerica, in modo che abbia una corresponsione e un livello di collocazione nelle strutture sindacali".
Bilongo parla poi del suo percorso all'interno del sindacato. "A Caserta -spiega- ci sono grossi problemi che riguardano i braccianti e tutti i lavoratori immigrati impegnati nel settore agricolo. Anch'io ho fatto questa 'gavetta' lavorativa e quando ho avuto la possibilità di cominciare a dedicarmi alla tutela dei compagni di disavventura sono entrato nel sindacato per cercare di dare loro dei percorsi utili all'inserimento nel tessuto civile ed economico".








DUE PESI E DUE MISURE
Facebook censura a tempo di record chi critica i musulmani

il Giornale, 06-05-2010
Domenico Ferrara

Guai a parlar male dell'Islam che subito scatta la mobilitazione. Ancora peggio se si crea un gruppo su Facebook di diecimila iscritti, la cui unica colpa è quella di interrogarsi sulla legittimità della religione islamica in Italia. Censurato in men che non si dica. Tempo fa, per rimuovere il gruppo che voleva l'uccisione dei bambini affetti dalla sindrome di Down c'è voluto del tempo e il caso è dovuto finire sui giornali. Ma per «No all'Islam in Italia» è bastato un video messo su YouTube da una ragazza musul¬mana, dal nickname Velinal993, per scatenare la mobilitazione generale. La giovane islamica invitava gli utenti a segnalare il gruppo perché conteneva commenti incitanti all'odio e al razzismo. E in un paio di giorni la rimozione del gruppo è avvenuta. Eppure, nella presentazione di "No all'Islam in Italia", si leggeva: «Siamo un gruppo apolitico, questa pagina non serve a fare propaganda politica, non serve per insultare e per incitare alla violenza». Eppure nonostante il gruppo si dichiarasse attento a rimuovere ogni pubblicazione non idonea, la sua vita è stata breve. Perché, oltre a coloro i quali volevano creare un'area di discussione, di confronto e di dibattito sui precetti della religione musulmana, sono apparsi anche commenti inopportuni. Così il gruppo è stato eliminato e puntuale è arrivato il ringraziamento, sempre sul web, della promotrice della segnalazione a tutti coloro che hanno sostenuto la sua causa. La mobilita¬zione per rimuovere "No all'Islam in Italia" è stata istantanea e ha raggiunto risultati inaspettati per celerità, soprattutto se si pensa a quanti siti o gruppi che inneggiano al terrorismo e incitano all'odio verso gli occidentali o al razzismo siano ancora in giro sul web o a quanto tempo sia trascorso prima di riuscire a rimuoverli. Basta navigare su Internet per trovarne alcuni che inneggiano alla lihad o all'odio nei confronti dei cristiani. Su questi non c'è nessun controllo. Intanto, gli ideatori di "No all'Islam in Ita-lia" non si sono arresi e hanno creato altri gruppi regionali dallo stesso titolo di quello censurato. Tutti legati dallo stesso filo conduttore: discutere su argomenti riguardanti l'Islam senza scadere nella propaganda politica. Sperando che anche questi siti non scatenino altre mobilitazioni per colpa di alcuni commenti inopportuni. «Non si può filtrare tutto perché si dovrebbe stare a controllare il gruppo 24 ore su 24- ha spiegato l'amministratore del gruppo veneto- . Siamo per il confronto aperto, ho pure invitato Velina 1993 a discutere, ma non ho ricevuto risposta». «Sono aperto al dialogo con i musulmani ha continuato il curatore di "No all'Islam in Italia Veneto- ma, nel mio nuovo gruppo, l'unico musulmano che si è iscritto ha cominciato a recitare i versi del Corano».








Immigrati LORO E NOI

Famiglia Cristiana, 06-05-2010
Antonio Scortino

Gli immigrati sono una "scomodità", ma ci fanno crescere.
Da Paese di emigrati, in pochi anni, siamo diventati terra di immigrazione. Nel 2050 un abitante su sei sarà straniero.
l tema dell'immigrazione spacca il Paese ed eccita gli animi. Due Italie si contrappongono. A torto o a ragione. C'è chi soffia sul fuoco, alimentando paure e tensioni. Chi affronta il problema con superficialità. Quasi non lo riguardasse. Chi, di fronte a un immigrato, sbuffa infastidito. Sempre, e a prescindere. E chi, infine, capisce che una soluzione va trovata. Nell'accoglienza e nella legalità. La politica dello struzzo non paga. Non serve nascondere la testa nella sabbia. 0 girarsi dall'altra parte. Ma è deprecabile la chiamata alle armi per sbarrare il passo allo straniero. Anzi. È un terribile boomerang.
Tempi e occasioni perse, ogni giorno. A iosa. Con l'irresponsabile complicità di chi non sa governare il fenomeno. 0, meglio, preferisce usarlo. Perché è meno impegnativo. E, poi, rende di più. Per lo meno in consenso popolare. Cioè voti, tanti voti. Soprattutto al Nord. Come capita, quando si parla alla "pancia" del Paese. Meglio se in tempi di crisi. E non solo economica. Perché è comodo avere un "capro espiatorio", su cui scaricare la re-sponsabilità di tanti malesseri. Che non siamo attrezzati ad affrontare. E superare. Meglio, allora, il gioco al ribasso. Del tanto peggio, tanto meglio. Nella confusione, chi ha meno "talenti" profitta deU"'italica furbizia" (virtù per alcuni, il peggiore dei vizi per altri), per lucrarci qualcosa. Non importa a che prezzo. Anche quando ci sono in ballo la dignità delle persone e il "bene comune" del Paese. Che è sempre più lacerato: da tempo ha smarrito le ragioni dello stare insieme. E guarda al futuro con timore.
Ma quale futuro? E con chi? Perché nessuno, oggi, lo sta costruendo. Il meglio delle energie si spreca nelle beghe del "cortile" Italia. Come i capponi di Renzo, di manzoniana memoria, che si beccano tra loro, prima di una misera fine. Così il Paese arranca. Non andrà davvero lontano. Né basta imprecare contro lo straniero che ci ruba il lavoro, violenta le donne, svaligia le case e terrorizza interi quartieri. Accade anche questo, ma
quanta enfasi su Tv e giornali quando di mezzo c'è l'immigrato.
Due Italie si contrappongono. Quella "arrabbiata", pugno serrato e muso duro, che "digrigna i denti" e sbava di livore. E l'altra, quella dei buoni sentimenti, accusata di "buonismo", ma solidale e con i piedi per terra. Come chi guarda in faccia la realtà. La prima è chiassosa e impulsiva. Urla nelle piazze, agisce più d'istinto. Ha dalla sua maggiore visibilità mediatica, per amplificare parole e gesti. L'altra Italia, più silenziosa, è intenta alle emergenze e ai primi soccorsi. Ha meno tempo per i dibattiti, talora beceri, dei salotti televisivi. Spesso è volutamente ignorata. Perché si volto buono dell'Italia non ripaga. Meglio oscurarlo. Non è "politicamente cor-retto" dire che gli immigrati sono esseri umani. Come So siamo noi tutti. E che i loro bambini sono uguali ai nostri figli. In tutto. Certo, anche gli stranieri hanno dei doveri, non solo diritti. E devono rispettare, rigorosamente, le nostre leggi. E anche le nostre tradizioni. Quale Italia prevarrà? In gioco c'è il no¬stro futuro. E la speranza del Paese. (...)
Più facile vivere al nord del Mediterraneo. È la parte giusta. Quella dove i diritti sono acquisiti. E dove si vive meglio, con più tran-quillità. Almeno, all'apparenza. Una condizione invidiabile, migliorabile senz'altro, che al massimo si può temere di perdere. Soprattutto perché, sull'altra sponda del Mediterraneo, la sopravvivenza diventa, sempre più, un miraggio. Guerre, dittature, carestie, sfruttamento costringono milioni di persone a lasciare le loro terre. Un flusso di disperati alla ricerca di approdi più sicuri. Fuggono dall'Africa, continente delle guerre dimenticate. Che sono tante, anche se l'opinione pubblica le ignora. 0 fa di tutto per rimuoverle, come non esistessero. Così si tacita la "coscienza sporca" per gravi responsabilità del-l'Occidente sia nello sfruttamento delle risorse che nelle guerre locali. Nel 2007 si sono registrati quasi un milione di profughi. Solo nei maggio dei 2003 altri quarantamila profughi, dalia Somalia, sono andati a ingrossare le colonne di quanti vagano per l'Africa.
Esodo dei giorni nostri, senza meta e sbocchi. Tragico, soprattutto, quando sono intercettati dai trafficanti di esseri umani. Quelli che gestiscono la "tratta" verso l'Europa. Chi ha soldi per pagare è messo sulle carrette del mare per la traversata. Per gli altri, il lavoro forzato. 0 la prostituzione.
Una volta, era d'attualità lo slogan: "Educare alla mondialità". Oggi assistiamo agli effetti disastrosi di una società fondata sull'egoismo. L'educazione alla mondialità è passata di moda, finita nel cassetto. Semmai, è questione che riguarda pochi missionari, laici e religiosi. Considerati, per lo più, dei visionari, se non addirittura pazzi. Eppure, le migrazioni attraversano la storia. E il viaggio è condizione di vita che caratterizza i secoli. Chi non teme le culture diverse scopre in esse una risorsa. 0, comunque, un'opportunità. «L'esperienza mostra», ricordava Wojtyla, «che quando una nazione ha il coraggio di aprirsi alle mi-grazioni, viene premiata da un accresciuto benessere, da un solido rinnovamento sociale e da una vigorosa spinta verso inediti traguardi economici e umani».    








Da suor Blandina al Comandante Luigi, l'odissea dei NOSTRI MIGRANTI

Corriere della Sera Sete, 06-05-2010
Gian Antonio Stella

LA RELIGIOSA CHE FERMÒ BILLY THE KID. IL BERGAMASCO CHE SCOPRÌ LE SORGENTI DEL MISSISSIPPI E GLI ALTRI.
STORIA DEI NOSTRI NONNI PARTITI ALTROVE IN CERCA DI FORTUNA. RACCONTATA A TEATRO DAL GIORNALISTA
DEL CORRIERE ORA RACCOLTA IN UN DVD. ACCOMPAGNATO DA UN DIZIONARIO DELL'EMIGRAZIONE IN 178 VOCI
È pensato per i lettori, per gli insegnanti e per gli studenti il nuovo Dizionario dell'emigrazione italiana di Gian Antonio Stella, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, che viene allegato al dvd dello spettacolo che Stella sta portando in giro per il mondo con Gualtiero Bertelli e la Compagnia delle Acque. In queste due pagine pubblichiamo una parte della prefazione dell'autore.
Si chiamava Maria Rosa Segale, era stata portata in America dal papà e dalla mamma quando aveva solo quattro anni, si era fatta suora delle Sorelle di Carità con il nome di Blandina e il giorno che incontrò Billy the Kid, laggiù a Trinidad, nell'estremo Far West, era già una suorina incredibilmente conosciuta. Come raccontano Donatella Aurili Ruggiero e Carla Casa-grande Maschio nel libro Suor Blandina Segale, storia di una partenza e di un ritorno, era finita in quel paese del Colorado meridionale quasi al confine con il New Mexico, tra cowboy, pìstoleros, puttane, indiani, messicani e pionieri di tutte le razze, per animare una missione cattolica. L'ultima pericolosa tappa, in diligenza, di un lungo viaggio cominciato nel 1854 quando la piccola Maria Rosa era partita per la Merica con i genitori da Cicagna, un paese alle spalle di Chiavari. (...) Cresciuta a Cincinnati, si era fatta suora giovanissima e giovanissima era stata spedita in quello sputo di paese più adatto a John Wayne che a una ragazza dì 22 anni vestita da monaca. (...) Finché un giorno non si trovò davanti "the Kid". (...) L'incontro si concluse come possiamo immaginare: suor Blandina, che più in là nel tempo avrebbe rivisto Billy legato e imprigionato dopo la cattura, convinse il giovane assassino a rinunciare alla sua vendetta. E la storia, che pareva rifarsi a San Francesco e il lupo, finì addirittura in un fumetto dell'epoca.
IN UN SECOLO PARTITI IN 27 MILIONI
Certo, quella di Maria Rosa Segale è un'avventura speciale. Eccentrica rispetto alle grandi correnti migratorie che in un secolo, dal 1876 quando cominciarono a contare quelli che se ne andavano, al 1973 quando il numero degli arrivi di immigrati in Italia superò quello dei nostri emigranti, hanno visto la partenza di circa 27 milioni di persone. Pari più o meno alla popolazione che viveva sull'attuale territorio italiano al momento dell'Unità nel 1861. La storia del nostro Paese è però ricchissima di migliaia di storie di uomini che hanno scoperto le sorgenti del Mississippi (e scritto il primo dizionario inglese-sioux) come il bergamasco Giacomo Beltrami, costruito la Transiberiana come un folto gruppo di friulani, costituito una nostra comunità nel cuore della Cina come a Tianjin o fondato imprese cresciute a dismisura come il trevisano Amedeo Obici, che per primo ebbe l'idea di vendere le arachidi sbucciate e salate diventando con cilindro e bastoncino il leggendario "Mister Peanut". (...) Ecco il punto: l'emigrazione italiana è stata tutto questo insieme. Le grandi masse che partirono per i Paesi che più ci hanno accolto e i singoli pionieri giunti in capo al mondo al termine di viaggi a volte incredibilmente avventurosi.
GLI ZÃŒI D'AMERICA E GLI ALTRI
Vanno ricordati gli uni e gli altri. Gli "zìi d'America" che hanno fatto fortuna diventando favolosamente ricchi e i milioni di onesti lavoratori che si sono spaccati la schiena senza riuscire a cavare dalla loro zolla di terra niente più che il necessario. Gli uomini di eccellenza che si sono fatti largo ovunque nella politica, nella letteratura, nell'arte e quelli che sono andati alla deriva. (...) I boss di Cosa Nostra che hanno parzialmente macchiato la nostra reputazione negli Stati Uniti e le decine dì milioni di uomini e donne perbene che ci fanno fare bella figura da Los Angeles a) Sudafrica.
(...) La verità è che la storia dell'emigrazione italiana è una storia complessa. Di tante luci spesso luminosissime e alcune ombre che non ha senso occultare. Abbiamo dato alla Francia statisti come Leon Gambetta, il fondatore della Francia moderna, romanzieri e polemisti come Émile Zola, pittori come Paul Cézanne, nel cui cognome francesizzato c'è il timbro del paese dal quale erano emigrati i genitori, Cesana, in Piemonte. (...)
Ma soprattutto abbiamo donato uomini straordinari agli Stati Uniti. Come Luigi Palma di Cesnola, un militare che arrivò a comandare cinque reggimenti di cavalleria durante la guerra civile americana per poi diventare il leggendario direttore, per venticinque anni, del Metropolitan Museum dì New York. 0 ancora Fiorello La Guardia, il sindaco di New York figlio di un pugliese e di una ebrea triestina. Per non dimenticare gli scienziati, dall'inventore del telefono Antonio Meucci al padre dell'energia atomica Enrico Fermi. (...)
Ne abbiamo molti, noi italiani, di motivi d'orgoglio. Ma portiamo anche, sulle nostre spalle, il peso di molti errori, molti lutti, molto dolore. E non ha senso parlare della nostra emigrazione, così trascurata dai libri di testo scolastici, dai giornali, dal cinema, dalla televisione, dai grandi scrittori (fatte salve, s'intende, le opere di Edmondo De Amicìs e alcune cose di Giovanni Pascoli, Leonardo Sciascia, Nuto Reveili e pochi altri) se con i successi e le storie a lieto fine non ricordiamo anche il resto. Gli spaventosi naufragi spesso provocati da sbagli, sciatteria e superficialità come nel caso dell' Utopia, del Principessa Mafalda o del Sirio. I viaggi della morte sulle carrette del mare come il Carlo R.. La violenza, l'analfabetismo, la miseria. I linciaggi dei quali siamo stati vittime. Ad Aigues Mortes, in Francia. A Palestro, un paese fondato in Algeria da 46 famiglie trenti¬ne, spazzato via da una sanguinosa rivolta dei cabili. A Kalgoorlie, nel deserto a seicento chilometri da Perth, dove gli australiani decisero di "festeggiare" l'Australia Day del 1934 scatenando tre giorni di incendi, devastazioni, assalti ai nostri emigrati. A Tandil, in Argentina, dove il nostro ambasciatore Francesco Saverio Fava suggeriva (inascoltato) a Roma di tenere un conto mensile degli italiani uccisi per razzismo. Ma soprattutto negli Stati Uniti dove, dal massacro di New Orleans a quello di Tallulah, siamo stati i più linciati dopo i negri.
Ecco, ricordare la storia della nostra emigrazione, vuol dire ricordarla tutta intera. Per conservare nella nostra memoria non solo quelli che hanno fatto fortuna ma anche i vinti. (...)
Per questo, insieme con il dvd dello spettacolo che io, Gualtiero Bertelli e la Compagnia delle Acque (Paolo Favorido, Giuseppina Casarin, Elena Biasibettì, Cecilia Bertelli, Rosanna Zucaro, Simone Nogarin) abbiamo portato in giro per l'Italia e per il mondo, abbiamo deciso di allegare una cosa nuova. Dove concentrare una sintesi del lavoro fatto con i libri L'orda, quando gli albanesi eravamo noi, Odissee, Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Sogni e fagotti scritto insieme con Maria Rosaria Ostuni e poi con la creazione a Camigliatello, per conto della fondazione Napoli 99, della "Nave della Sila. Museo narrante dell'emigrazione" e con una guida scritta con Teti Vito ed edita da Rubbettino nel 2006.
È un Dizionario dell'emigrazione italiana. Dove i lettori, gli insegnanti, gli studenti, possono trovare più facilmente i temi principali della nostra emigrazione. E insieme le parole giuste per combattere il razzismo, la xenofobia, lo stravolgimento strumentale della nostra storia.    ??












I GRUPPI DI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI: «VOGLIONO SOLO ALIMENTARE L'ODIO»
«Niente cibo a chi non lavora»

Corriere della Sera, 06-05-2010

MILANO - È polemica in Slovacchia dopo la comparsa di alcuni manifesti elettorali a sfondo razzista fatti affiggere dal Partito Nazionale Slovacco, noto per il suo atteggiamento xenofobo e ultranazionalista, in vista delle elezioni generali del prossimo 12 giugno. I cartelloni raffigurano un uomo di etnia rom, seminudo, tatuato e con una vistosa catena d'oro al collo, accompagnato dalla scritta «Non diamo da mangiare a chi non vuole lavorare».

LE REAZIONI - I rom, una delle minoranze etniche più povere ed emarginate dell'Europa centrale, sono spesso bersaglio dei partiti ultranazionalisti di estrema destra. I manifesti oggetto della polemica sono stati portati all'attenzione pubblica da alcuni gruppi di attivisti per i diritti umani, che ora pensano di intraprendere azioni legali contro il partito. «Non fanno che diffondere luoghi comuni sui rom», è l'accusa di Irena Biharova, avvocato del movimento Persone contro il razzismo. «Questo manifesto non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione, punta solo ad alimentare l'odio contro i rom». Il Partito Nazionale Slovacco, il cui leader Jan Slota non fa mistero delle sue idee xenofobe, è attualmente al governo nella coalizione guidata dal primo ministro Robert Fico. L'ingresso del partito nel governo formato nel 2006 ha contribuito a inasprire i rapporti con l'Ungheria, «nemico» storico della Slovacchia (fonte: Adnkronos).









Labour e sbarchi

Il Foglio, 06-05-2010

"Non saremo troppi nel 2050?" Ecco la nuova domanda che perseguita la politica australiana
Roma. Australia, Regno Unito e Stati Uniti: nei tre paesi "di immigrazione" per antonomasia, l'ingresso di stranieri all'interno dei confini nazionali torna in questi giorni a infiammare il dibattito politico. Ma Gordon Brown che bistratta un'ex elettrice del Labour definendola "bigotta", o Barack Obama alle prese con una legge statale restrittiva sui clandestini, sono praticamente nulla rispetto a quello che sta accadendo in Australia. Qui il governo laburista di Kevin Rudd è per la prima volta "in minoranza" nei sondaggi, e i giornali - non dovendo affannarsi a parlare troppo dell'economia che è passata praticamente indenne attraverso la recessione globale - sollecitano politici e opinione pubblica su un tema quantomeno spinoso; fino a che punto potrà crescere la popolazione dell'isola-continente? L'immigrazione ovviamente è parte della risposta, in uno stato che soprattutto grazie all'arrivo di nuovi cittadini è passato dai 7,4 milioni di abitanti del 1945 agli attuali 22 milioni (se l'Italia fosse cresciuta agli stessi ritmi, oggi saremmo 130 milioni). Anche perché sessant'anni fa laburisti e liberali erano d'accordo su un punto: "L'Australia o si popola o muore". Ma 14 milioni di abitanti dopo, la convinzione non è più la stessa.
"Oggi il dibattito è a una svolta - dice al Foglio Katharine Betts, docente alla Monash University di Melbourne e una delle massime studiose nazionali di questioni demografiche - E paradossalmente sono stati i laburisti a sollevare un tema che era scomparso dall'agenda della politica ufficiale: prima il governo ha detto di prevedere che la popolazione raggiungerà i 36 milioni di abitanti da qui al 2050. Poi un esponente dello stesso esecutivo, Ken Henry, si è detto 'preoccupato' per gli effetti che questo incremento avrà sulle risorse ambientali del pae se, presto smentito dal premier Rudd che invece ha detto di approvare l'i dea di una 'Grande Australia'". Uomini di partito e analisti d'un tratto tornano a parlare della politica d'immigrazione dal governo laburista, che nel 2009 ha portato al record di 285 mila "arrivi da oltremare", come li chiamano a Canberra.
E i cittadini cosa ne pensano? La professoressa Betts, che da anni studia le oscillazioni dell'opinione pubblica in materia, anticipa al Foglio i risultati di un'indagine svolta su scala nazionale dai maggiori atenei del paese: "Alla domanda 'Ritieni che l'Australia abbia bisogno di un numero maggiore di persone?', il 69 per cento degli oltre 3 mila intervistati risponde negativamente. Tra questi, il 24 per cento spiega: 'Dobbiamo adoperarci perché la nostra forza lavoro sia qualificata, prima di attirare forza lavoro qualificata dall'estero', respingendo così una delle principali argomentazioni che dagli anni 70 in poi è stata addotta a sostegno di un elevato flusso migratorio". Un altro 43 per cento della popolazione, anche se con argomentazioni differenti tra loro, sì dice preoccupato per la sostenibilità "ambientale" di una eccessiva crescita demografica. "Soltanto il 10 per cento degli intervistati - nota Betts - dice di non volere ulteriore diversità culturale, a riprova che il 'razzismo' non è la motivazione principale delle critiche. alle polìtiche attuali".
Da quando l'argomento è all'attenzione dei media, le conseguenze polìtiche non mancano: lo scorso mese il governo ha creato un dicastero ad hoc "per la popolazione"; non solo, uno degli imprenditori più ricchi e in vista del paese - Dick Smith - ha fondato un partito il cui nome è un programma elettorale. "Stable population party", il Partito per una popolazione stabile. "Senza contare le critiche dei liberali sulla questione degli sbarchi di clandestini - nota Betts - il governo Rudd ha reso più 'umane', a suo modo di vedere, le regole per fronteggiare gli arrivi dal mare, e il messaggio si è subito diffuso tra i trafficanti di esseri umani". Risultato: le carrette del mare, bloccate dal precedente governo liberale, hanno ricominciato a solcare le acque: "Seimila arrivi in meno di tre anni. Sono numeri irrisori rispetto al flusso complessivo, ma bastano perché l'opinione pubblica sia meno ben. disposta nei confronti degli immigrati di quanto non fosse in precedenza con i conservatori al governo", Un paradosso? "Niente affatto - conclude Betts - perché allora la disoccupazione era ai minimi; il governo non sosteneva il multiculturalismo, inteso come separatismo etnico, e una politica ferma sugli sbarchi faceva sembrare che tutto fosse sotto controllo", (mvlp)





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