Se il bandito non è “sardo” e lo stupratore non è “rumeno”

Unità del 20 giugno 2009


L’interrogativo è semplice: perché sui giornali, accanto al nome di un presunto stupratore, si legge la definizione di “romeno”? E perché non quella di “friulano” o “lucano”? Non è uno scherzo. Il primo a fare una simile proposta, fu, trent’anni fa, lo storico Manlio Brigaglia irritato dal fatto che – nel pieno dell’ondata di sequestri di persona – il termine “sardo” accompagnasse, nei titoli dei giornali l’autore di qualunque nefandezza. Al di là dell’adozione vera e propria di una simile formula, il problema c’è, e riguarda il modo in cui l’intero sistema dei media tematizza l’immigrazione. Molto si è scritto sull’argomento, ma, forse, è più utile osservare quanto – in altra epoca e in altre condizioni – è stato fatto. Noi italiani (spesso lo dimentichiamo), siamo stati un popolo di emigranti e questa storia (raccontataci dal film Memoria, di Giovanni Panozzo prodotto dalla Fim-Cisl) riguarda, appunto, i tanti che dal 1946 trovarono occupazione nelle miniere belghe. Per anni e anni, lo stereotipo dell’italiano siciliano, mafioso, che importuna le ragazze era dominante nell’opinione pubblica, supportato anche dalla stampa. Fu così che, negli anni ’70, nacque il Centro di Azione Sociale Italiano, fondato da Padre Bruno Ducoli. Con il ruolo, da una parte, di formare e coinvolgere gli immigrati e, dall’altra, di intaccare i luoghi comuni anti-italiani nell’opinione pubblica belga. Una delle iniziative promosse fu quella di sensibilizzazione degli operatori dell’informazione. Dopo due anni, si arrivò all’elaborazione di un codice deontologico, che prioritariamente si proponeva di non qualificare attraverso la nazionalità gli autori di crimini. È  un precedente sul quale occorrerebbe riflettere oggi più che mai.
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