Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Ci risiamo

Mauro Valeri
Il fatto che riprenda a scrivere per questa rubrica in coincidenza con la ripresa anche di eclatanti episodi di razzismo nel calcio italiano forse non è un caso. I fatti. Mercoledì 17 novembre, la Nazionale italiana gioca un’amichevole con la Romania, a Klagenfurt in Austria.
E’ una Nazionale multietnica, perché il c.t. Cesare Prandelli, dopo i disastri del periodo “lippiano” culminati nella brutta figura ai Mondiali in Sudafrica, ha pensato che fosse questo non solo un tentativo di avvicinare di più la Nazionale alla realtà del paese, ma anche perché convinto che nello scegliere i giocatori da schierare in campo non ha senso tener conto del colore della pelle o delle origini. L’importante è che sia un bravo calciatore italiano. L’abbiamo sempre sostenuto e abbiamo accolto questa decisione con molta speranza. Dopo il tanto atteso esordio di Amauri e di Balotelli avvenuti qualche mese fa, mercoledì è toccato a Cristian Ledesma che, come Amauri, è diventato italiano a seguito del matrimonio con una cittadina italiana. Ledesma, è nato in un paesino della Patagonia nel 1982, ed ha una faccia da Indio che sembra la versione malandrina di quel Zefirino Namuncurà, primo santo delle pampas, morto a Roma nel lontano 1905. Ledesma in Italia è arrivato nel 2001 per giocare con il Lecce. Qui conosce anche la sua futura moglie pugliese, Marta, con la quale ha due figli: Alice di 6 anni e Daniel di 3. L’Argentina non lo ha mai convocato, se non in uno stage nell’Under 20, che non vale nulla per la scelta di quale maglia della Nazionale maggiore si voglia indossare. Quando è stato convocato da Prandelli, ha subito dichiarato la sua felicità perché l’Italia è un paese che ama. E ha aggiunto anche di conoscere l’inno di Mameli. Ledesma non è certo il primo “oriundo” a giocare con l’Italia. Il problema semmai è che nel calcio italiano, e forse nello sport, il termine oriundo è utilizzato con molta confusione e, almeno ultimamente, con una declinazione negativa. Per molti commentatori (ma temiamo che valga anche per dirigenti e tesserati) sono oriundi sia coloro che hanno ascendenze dirette con genitori o nonni italiani, sia i ragazzi di seconda generazione, anche se nati e cresciuti in Italia, sia chi invece è diventato italiano a seguito di matrimonio (quello che qualcuno nella pallacanestro chiama, quasi con disprezzo, i “passaportati”). Lo stesso Ledesma ha dichiarato, a ragione, di non sentirsi un “oriundo”, ma semplicemente italiano, per legge e per scelta. Anche Balotelli è stato a volte classificato come un “oriundo”. Lui che è semplicemente un “italiano nero”, termine che, per come siamo messi in questo paese, già nel pronunciarlo sembra aver a che fare con più con Marte che non con la nostra storia. A Klagenfurt Balotelli e Ledesma sono stati vittime di insulti razzisti da parte di un groppuscolo di falsi tifosi che si riconoscono in un movimento politico che ha sede in molti stadi italiani, “Ultrà Italia”, che si era già messo in pessima evidenza a Sofia durante un’altra partita della Nazionale nell’ottobre 2008. Le istituzioni calcistiche e qualche quotidiano li hanno definiti “i soliti imbecilli” (che fa il paio con quella di “oriundi” per l’insensato modo con cui è utilizzata). In realtà, proprio il pericoloso precedente bulgaro dovrebbe mettere qualche pulce in più nell’orecchio dei responsabili delle forze dell’ordine (nelle trasferte internazionali non dovrebbe funzionare una specifica task force contro i razzisti?) e delle istituzioni calcistiche. La coreografia è la solita: saluto romano durante l’inno di Mameli; ululati contro Balotelli, a cui indirizzare i cori “non ci sono negri italiani”. Nuovo invece, in questa sorta di “almanacco degli orrori” il coro “Nell’Italia solo italiani”, indirizzato presumibilmente anche a Ledesma, al quale era indirizzato anche lo striscione appeso nel secondo tempo (“No a una Nazionale multietnica”), per fortuna immediatamente rimosso dagli attenti stewards dello stadio (uno dei quali, però, si è beccato una testata da un “ultrà” di Udine). 41 i razzisti italiani identificati e riconsegnati alla polizia italiana, che, visto l’andazzo, presto ritroveremo sugli spalti di qualche stadio. Anche i tifosi rumeni non sono stati da meno, con i loro buuu contro Balotelli. Ma a loro volta si sono beccati qualche “zingaro” da parte dei tifosi italiano, a dimostrazione di quanto facilmente nel razzismo la vittima si atteggi a carnefice. Limitate a poche battute il parere di Abete, che non ha neanche avuto il coraggio di rivendicare l’iniziativa a favore dei Rom che aveva preso insieme ai colleghi rumeni (e della quale i giornali di fatto non hanno neanche parlato). Il lato positivo di tutta questa vicenda sono le parole di Prandelli: “E’ dura trovare le parole. Sono episodi che lasciano dentro tristezza, delusione e rabbia: si fanno tanti discorsi, ma poi siamo impotenti di fronte a queste cose. A volte avrei voglia di dire qualcosa di forte, di clamoroso, ma forse certa gente è meglio ignorarla. Comunque tutti devono sapere che la mia sarà sempre una nazionale multietnica, che prescinderà dal colore della pelle, aperta a chiunque abbia la cittadinanza italiana. E Mario deve sapere che ha l’affetto e la considerazione di tutti, perché non è vero che alla fine tutto scivola via, come fa a scivolargli addosso… Io vorrei vedere qualche gesto in più verso di lui: ecco, magari la prossima volta entriamo in campo e lo abbracciamo” (La Gazzetta dello Sport, 18 novembre 2010). Parole sensate, che sembrano un trattato di filosofia se paragonate ai silenzi a cui ci aveva abituato Lippi. Bravo anche Quagliarella che a Mario Balotelli ha dedicato il gol del pareggio. Bravo soprattutto perché ha capito, come ha fatto in campionato Felipe Melo, che il razzismo non riguarda solo la vittima, ma tutti, ed è fondamentale che anche altri calciatori ci mettano la faccia. Balotelli è riuscito a non rispondere (come aveva fatto in precedenza, e per questo in passato accusato di “immaturità”), mentre Ledesma ha preso una posizione più defilata (forse perché ha capito che in Italia se qualche vittima di razzismo protesta, diviene oggetto di una ulteriore e particolare attenzione e derisione da parte dei sempre più numerosi criptorazzisti). Se i suoi colleghi hanno preferito ribadire che è meglio non parlare di queste cose, perché si fa pubblicità ai razzisti (posizione rispettabilissima, se però ci fosse un loro maggiore impegno a parlarne apertamente in altre situazioni), Ledesma ha addirittura invocato la libertà d’espressione anche quando gli hanno detto che un suo collega, Gaetano D’Agostino, aveva ribadito che in Nazionale dovrebbe giocare solo chi è nato in quel paese (quindi per il giocatore della Fiorentina sono da escludere i ragazzi adottati o coloro che - come Claudio Gentile, Giuseppe Wilson, Simone Perrotta, Giuseppe Rossi - sono nati all’estero ma figli di immigrati!). Di sicuro D’Agostino non se la può prendere con Balotelli, visto che entrambi sono nati a Palermo!
Sulle stesse pagine dei quotidiani sportivi di giovedì, si parla di un attaccante diciassettenne belga, di origini congolesi, Romelu Lukaku, autore di una doppietta con la Nazionale nella partita giocata e vinta con la Russia fuori casa. Non risulta che in Russia ci fossero belgi razzisti a urlargli contro, né che qualche collega abbia avuto qualcosa da ridire.
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