Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 maggio 2011

Avvenire-Giornale, scontro su Tettamanzi il cardinale: "Gli attacchi non mi turbano"
La Repubblica 25 maggio 2011
Zita Dazzi
"Quando intervengo, faccio di tutto per intervenire da credente, da vescovo. Il mio punto di riferimento è il Vangelo. Se poi ci sono reazioni, queste non mi turbano". L'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, ha usato tutto il suo fair play nel rispondere agli attacchi subiti durante la campagna elettorale per le amministrative, in particolare dal campo del centrodestra, come l'editoriale di fuoco scritto contro di lui dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti.
E su uno dei temi di maggiore polemica in vista dei ballottaggi, quello della moschea a Milano, è arrivato anche un chiaro pronunciamento della Conferenza episcopale italiana (Cei), che nella persona del segretario generale, monsignor Mariano Crociata, ha spiegato che la costruzione di una moschea risponde al "diritto fondamentale della libertà religiosa e di poter disporre di luoghi di culto". Tuttavia, ha detto Crociata in una conferenza stampa durante l'assemblea Cei, essendo la moschea anche luogo di "aggregazione sociale", deve rispondere anche "alle esigenze di vita sociale e comunitaria secondo la nostra comunità civile, la nostra Costituzione e le leggi che in Italia regolano la convivenza".
Anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, interpellato a margine di un convegno ha detto che non c'è alcuna "riserva nei confronti dei luoghi di culto: lamentiamo che non sempre ci vengano riconosciuti i diritti di avere anche noi dei luoghi di culto dove li chiediamo, ma non per questo possiamo ripetere qui quell'errore di principio e di carattere umanitario. Chiunque ha la libertà di professare la propria fede e ha il diritto di professarla nei luoghi che gli sono consoni".
La risposta di Tettamanzi a Sallusti ("non contento di aver quasi distrutto la diocesi, oggi Tettamanzi e compagni cercano di distruggere anche la città. Tanto lui, il cardinale, tra pochi mesi andrà finalmente in pensione e i cocci saranno tutti nostri", aveva scritto il direttore del quotidiano di casa Berlusconi) è venuta durante la conferenza stampa in Vaticano sui preparativi del VII Incontro mondiale delle famiglie in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. "Sarebbe interessante entrare nel dialogo, ma non è possibile farlo ora", ha detto ancora l'arcivescovo accennando con un sorriso al fatto che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, aveva invitato i giornalisti ad attenersi al tema della conferenza. Sulle politiche familiari in Italia, comunque, l'arcivescovo ha rimarcato che "non solo si può, ma si deve fare di più". D'altronde, ha aggiunto, "l'Italia dal punto di vista demografico non brilla come potrebbe e come dovrebbe".
In difesa del cardinale stamane c'è stata una levata di scudi del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che ha definito quella di Sallusti "una cantonata gigantesca, dal punto di vista morale e sul piano politico": un articolo, ha commentato, che "mi ha lasciato letteralmente senza fiato", scritto "menando fendenti ingiusti e scriteriati". Per Tarquinio "non si possono mistificare le parole di un pastore come il cardinal Tettamanzi. E pur di accreditare suoi presunti silenzi o omissioni - in questo caso sui temi della vita e della famiglia, della lotta alla droga e, udite udite!, dell'ateismo - non si dovrebbe neanche tentare di capovolgerne il limpido magistero e d'ignorarne l'azione pastorale e le iniziative di solidarietà". "Come quel Fondo famiglia e lavoro - ha aggiunto - che, in questo tempo di crisi, ha risvegliato e mobilitato la Milano col cuore in mano e incalzato esemplarmente le istituzioni civili, pubbliche e private".
Secondo il direttore del quotidiano dei vescovi, "sul piano politico l'autogol è altrettanto evidente. Se c'è - e infatti è emerso - un problema di rapporto tra settori rilevanti del centrodestra milanese e lombardo e parti importanti e sensibili del mondo cattolico, qualcuno si illude davvero di risolverlo attaccando a testa bassa l'arcivescovo Tettamanzi e vibrando, per sovrappiù, come ha fatto appunto il Giornale, stilettate contro il cattolico governatore lombardo di centrodestra Roberto Formigoni?". "Un antichissimo proverbio, per nulla cristiano - ha concluso - avverte che le divinità accecano o rendono folli 'coloro che vogliono perdere'. Verrebbe, quasi, da aggiungere una riga: accecati e insensati sono anche i polemisti incendiari che 'vogliono far perdere' quelli che dichiarano amici...".




La Cei, «sì alle moschee dentro le regole», parla monsignor Mariano Crociata
Il Corriere della Sera 24 maggio 2011
«È un diritto fondamentale permettere ai credenti delle varie religioni, musulmani compresi, di pregare nei loro luoghi di culto». Così il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata illustrando ai giornalisti i lavori della 63esima Assemblea generale in corso in Vaticano. Crociata non ha citato direttamente la polemica che agita la sfida Pisapia-Moratti, ma ha ricordato che la moschea «non è un semplice luogo di culto, ma un luogo sociale, culturale e di incontro ed è quindi giusto tenere conto di questa caratteristiche e delle esigenze che questo luogo risponda nell'utilizzo pratico alle esigenze di vita sociale della nostra nazione e comunità civile secondo la Costituzione e le leggi del Paese».
IL SOSTEGNO A TETTAMANZI - Le parole di monsgnor Crociata sono suonate anche come la presa di posizione della Cei a sostegno dell'Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, attaccato da Il Giornale: lunedì, in un editoriale, il quotidiano di Paolo Berlusconi ha accusato Tettamanzi e una parte del mondo cattolico di «darsi da fare per Pisapia», a sua volta criticato per la posizione sui luoghi di culto. «I credenti - spiega Crociata - esprimono le loro convinzioni dentro una visione della fede cristiana che guarda al bene comune e non come interesse di parte e dunque esprimono il voto nelle elezioni politiche o amministrative secondo la loro coscienza senza coinvolgere la comunità cristiana, cercando di rappresentare il bene comune dell'uomo nell'uno o nell'altro schieramento». «Non ci si può sostituire - conclude il segretario della Cei - alla coscienza di nessuno», «i fedeli si esprimono responsabilmente scegliendo in base alla propria coscienza cosa meglio risponde al bene comune nella visione cristiana della realtà».
L'ACQUA UN BENE DI TUTTI - «L'acqua è questione di responsabilità sociale e bene comune, è necessario che vi sia responsabilità verso i beni comuni. E che rimangano e siano custoditi per il bene di tutti», ha detto ancora Crociata, parlando dei referendum ambientali, che esprimono «una delle forme della volontà popolare e sono da apprezzare».




Moschee, frattura tra la Lega e la Cei
Il Giornale 24 maggio 2011
No alla costruzione di nuove moschee fino a un’eventuale intesa tra Stato e islam mentre, in via transitoria, ogni edificio di culto dovrà essere autorizzato dalla Regione previo referendum tra la popolazione del Comune interessato. A chiederlo è un disegno di legge depositato in Senato dalla Lega Nord e che prevede la creazione di albi degli imam. Il testo si basa sull’articolo 8 della Costituzione che stabilisce che i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato siano regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. A smorzare i toni ci pensa invece la Cei ricordando che la libertà religiosa è sancita dalla Costituzione, per quanto debba essere regolamentata dalla legge.
"Il diritto di esercitare una fede non è messo in discussione, ma altra cosa sono gli edifici di culto che hanno un impatto sul territorio", ha spiegato il vicecapogruppo del Carroccio Sandro Mazzatorta. "Tutti a parole dicono di voler disciplinare la materia, ma nessuno fino a oggi ha avuto il coraggio di farlo", ha aggiunto l'esponente leghista. Da qui i dieci articoli proposti dai lumbard. Il Carroccio si pone il problema di regolare in concreto la presenza di comunità molto numerose che rivendicano a vari livelli il mantenimento di una loro identità culturale e religiosa contrapponendosi alla nostra.
Il fatto stesso che all’interno di numerose moschee italiane siano state segnalate pericolose contaminazioni di matrice fondamentalista e concrete attività terroristiche ha spinto la Lega a non perdere tempo e lavorare per una disciplina legislativa che "garantisca l’integrità della sovranità statuale e l’ordine pubblico e la sicurezza stessa dei cittadini". Secondo Mazzatorta, infatti, c'è il "fondato sospetto" che "spesso la moschea sia anche un luogo 'militare' e le cronache quotidiane sono piene di fatti raccapriccianti".
In via transitoria, le Regioni potranno autorizzare comunque i luoghi di culto. Per ottenere il permesso, la confessione religiosa dovrà presentare domanda alla Regione "corredata del progetto edilizio, del piano economico-finanziario con indicazione anche degli eventuali contributi pubblici richiesti e dell’elenco degli eventuali finanziatori italiani o stranieri". L’edificio "deve avere dimensioni stabilite in rapporto al numero degli aderenti alla confessione religiosa che lo ha presentato". Il progetto sarà, quindi, trasmesso al sindaco del Comune in cui sorgerà l’edificio e potrà essere autorizzato dalla Regione solo previo referendum. Saranno sempre le Regioni a dover provvedere alla redazione del piano di insediamento dei nuovi edifici "tenendo conto del numero di immigrati legalmente residenti". Il piano poi andrà trasmesso al ministero dell’Interno e aggiornato ogni cinque anni. Nel ddl non mancano tutta una serie di paletti che puntano a garantire la sicurezza dei cittadini: non potrà esserci nel raggio di un chilometro un altro edificio di culto diverso (per esempio una chiesa); sarà vietata la diffusione con altoparlanti della preghiera del muezzin; i Comuni potranno individuare aree in cui sarà vietato costruire moschee.
Le confessioni devono essere organizzate secondo statuti conformi ai principi dell’ordinamento giuridico. Statuti che dovranno essere approvati dal ministero dell’Interno e dalle Camera. Non solo. Per i ministri del culto, i formatori spirituali e le guide di culto il ddl prevede un apposito registro, un sorta di "albo" che sarà gestito dal ministero dell’Interno: per l’iscrizione sarà necessario avere la cittadinanza italiana e non avere condanne a carcere passate in giudicato. A questi sarà vietato lo "svolgimento di attività non strettamente collegate all’esercizio del culto negli edifici autorizzati", comprese "le attività di istruzione e di formazione e le attività culturali e commerciali". Ma sarà, soprattutto, vietato l’uso di lingue diverse da quella italiana in tutte le attività pubbliche che non siano strettamente collegate all’esercizio del culto e l’abbigliamento dovrà consentire l’identificazione della persona.  A rispondere indirettamente alla Lega Nord ci pensa monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei. "La costruzione di una moschea - spiega Crociata - risponde al diritto fondamentale della libertà religiosa e di poter disporre di luoghi di culto, ma non essendo la moschea solo luogo di culto, ma anche di aggregazione sociale, deve rispondere anche alle esigenze di vita sociale e comunitaria secondo la nostra comunità civile, la nostra Costituzione e le leggi che in Italia regolano la convivenza".




Moschee STRANIERI, SICUREZZA E CULTO DUE IDEE DI INTEGRAZIONE
Corriere della Sera 25 maggio 2011
Andrea Galli
Una macchia nerastra. E poi un’altra. L’edificio resisterà oppure crollerà? Infiltrazioni d’acqua e crepe si moltiplicano sul soffitto d’un garage sopra il quale, in uno stanzone col pavimento irregolare tutto gobbe e buchi, per le canoniche cinque volte al dì pregano i musulmani di Milano. Siamo in viale Jenner. In un’ex fabbrica sgarrupata, ecco il centro islamico. Lo chiamano moschea. Non lo è. Se non altro perché ce ne sono altre. Sette. Più o meno regolari, più o meno autorizzate. Moschee in palazzi e capannoni. Una situazione che dura. Da decenni. Arriverà una soluzione, con il nuovo sindaco? Letizia Moratti propone «luoghi di culto più piccoli e decentrati» . Giuliano Pisapia sostiene «il diritto fondamentale di poter esercitare in libertà e dignità la propria fede» . Dunque sì alla moschea. A favore della quale ieri s’è pronunciato il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata. Purché, beninteso, si rimanga «dentro le regole della Costituzione» . La preghiera del venerdì Nessuna moschea, sostiene da tempo il Pdl. Per la Lega «non è una priorità» . Del resto, ha detto il leader Umberto Bossi, «il programma di Pisapia non è compatibile con una Milano decente. Vuole costruire una zingaropoli e la più grande moschea d’Europa» . Non è un caso che sia stato un leghista, il ministro dell’Interno Roberto Maroni, a ordinare la fine della preghiera del venerdì in viale Jenner. Era il 2008. I fedeli, troppi per gli spazi minuti dell’ex fabbrica, avevano invaso il cortile, il marciapiede e perfino la strada. Non una vietta di periferia. Viale Jenner è un importante asse viabilistico nel Nord di Milano. Da quel 2008, per il venerdì, la comunità musulmana ha iniziato una sorta di tour. Meglio, un pellegrinaggio. Vigorelli, Fabbrica del vapore, infine il PalaSharp. Che sarà abbattuto. «Il prefetto ha garantito che fino a settembre potremo stare al PalaSharp» dice Abdel Shaari, il direttore di viale Jenner. Quattro mesi ancora, dopodiché andrà trovato un luogo. Dove? Le ipotesi si sono sprecate. Qualcuno ha suggerito nelle vicinanze della zona dei padiglioni dell’Expo, l’Esposizione universale del 2015. Paesi arabi ed Expo Del resto, racconta Asfa Mahmoud, presidente della Casa della cultura islamica di via Padova, che «quando vengono in città ricchi imprenditori delle nazioni arabe chiedono dove sia la moschea di Milano» . E lei, Mahmoud, cosa risponde? «Che non esiste. Che siamo ormai un caso europeo. Scusate, forse non arriveranno musulmani per l’Expo?» . Mahmoud è stato premiato con l’Ambrogino d’oro. La massima onorificenza del Comune. Lui l’ha ricevuto dalla giunta di Letizia Moratti. La quale ricorda che «nella nostra città hanno scelto di vivere 161 comunità con radici diffuse in tutto il mondo. La buona convivenza è garantita anche dal rispetto della legalità e dalle misure di sicurezza che ho attuato in questi anni. E che intendo rafforzare sempre più» . In che modo? Potenziando «le "funzioni di sicurezza"della polizia municipale» . Gli stranieri. E la sicurezza. Binomio non accolto da Pisapia: «Hanno piluccato frammenti, parole da usare come cava propagandistica per generare paure. Una di queste storie è la moschea, fantasma inventato a tavolino per scopi denigratori» . Da chi prega al sondaggio Dal comitato di residenti di viale Jenner mandano il seguente messaggio: «Berlusconi dice che con Pisapia sarà una città islamica. Noi gli rispondiamo: dica alla Moratti di chiudere il centro islamico. Faccia il miracolo e ringrazieremo in cabina elettorale» . I musulmani garantiscono che troverebbero in un attimo sponsor e finanziamenti, e «non per forza vogliamo una moschea nel senso architettonico del termine» . A Milano, su un milione e 300 mila abitanti, vivono tra i 70 mila e i 100 mila cittadini di religione islamica. Il centrodestra sostiene che «soltanto il 3%prega nei luoghi di culto» . L’arcivescovo Dionigi Tettamanzi per infinite volte ha riproposto l’urgenza d’una moschea. In un sondaggio del 2010 della Camera di commercio, il 70%degli imprenditori intervistati aveva detto di non volerne una. In una lettera al Corriere, la gioielliera e anima del Quadrilatero della moda Claudia Buccellati — Buccellati, marchio nella storia della milanesità— consigliava: «Vale la pena ogni tanto di rileggersi testi antichi, pensare a Menenio Agrippa e smetterla con la mentalità dell’orticello» .




A Segrate il primo minareto d’Italia
Corriere della Sera 25 maggio 2011
A. Ga.
Ma allora può succedere. Nella ricchissima Segrate, la Milano 2 costruita da Silvio Berlusconi, luogo in cima alle classifiche nazionali per reddito, c’è una moschea che è davvero una moschea. Con cupola e minareto. La prima cupola e il primominareto d’Italia. Ci vengono i musulmani a pregare e le scolaresche in gita a conoscere gli altri e le culture altrui. Segrate è governata dal centrodestra. Il sindaco Adriano Alessandrini, per capirci, è uno che ha già avuto occasione di dire: «Noi abbiamo i crocifissi e nessuno ci vieta di esporre i nostri simboli. Gli islamici hanno i loro» . Se qui, 33 mila abitanti a nordest di Milano, qualcheduno protesta contro gli immigrati, è per i rom. Che di tanto in tanto, magari reduci da sgomberi, si sistemano in campi e aree dismesse, provano a nascondersi. Per il resto si procede tranquilli, nel senso che gli abitanti non partono con fiaccolate, petizioni, non assaltano il municipio con lettere ed esposti, non chiamano i giornali per attaccare gli islamici, non scendono in strada. Si procede tranquilli, dicevamo. Invece no. Ancora non s’è placata la gran bufera per le parole dell’imam Ali Abu Shwaima. A inizio mese aveva detto che anche l’omosessualità rientra fra gli elementi da tenere in considerazione nel giudizio di un candidato alle elezioni. L’imam, medico internista e dietologo, classe 1950, in Italia dal 1969, giordano, ha fondato la moschea nel 1988. Se lo avete visto in televisione potrebbe esser stato in uno dei (numerosi) burrascosi incontri-scontri con Daniela Santanchè. Naturalmente il mondo omosessuale l’ha subito contestato. Il diretto interessato ha fatto un esempio: «Come dire, se uno ha rapinato una banca, io non lo voto» . A Segrate possono pregare anche 300-400 musulmani insieme. Di spazio ce n’è. Unito alla moschea c’è il centro islamico. Una cucina, l’ufficio di Ali Abu Shwaima, gli spazi per corsi e incontri, per mostre e rassegne. Fuori ci sono trentadue lapidi, sono sepolti cittadini musulmani. Il prato delle lapidi confina con il cimitero di Lambrate, un quartiere milanese.




La Ue e i migranti Diventerà più facile ripristinare i visti
Corriere della Sera 25 maggio 2011
Ivo Caizzi
La Commissione europea ha annunciato un progetto di revisione delle regole dell’immigrazione nell’Unione europea, che prevede la possibilità di reintrodurre rapidamente l’obbligo del visto per alcuni Paesi balcanici e di riorganizzare in modo efficiente gli afflussi dal Nord Africa. Il commissario Ue per gli Affari interni, la svedese Cecilia Malmstrom, ha presentato a Bruxelles il suo pacchetto di proposte orientate anche a rassicurare l’Italia e gli altri Paesi membri da tempo sostenitori della necessità di un maggiore impegno comune dell’Europa nell’affrontare le emergenze provocate dagli arrivi in massa di clandestini. Un segnale politico importante la Malmstrom l’ha lanciato inserendo tra le nuove misure una clausola di salvaguardia che permetterebbe di reintrodurre — temporaneamente e con urgenza — l’obbligo del visto «in caso di improvvisi aumenti dei flussi» dai Paesi extracomunitari con cui sono stati conclusi accordi di libera circolazione. Attualmente ci vogliono tempi lunghi per entrare nella lista degli Stati esentati dal visto o per la eventuale revoca della concessione. L’attenzione principale di questa restrizione rapida è diretta verso Stati dei Balcani occidentali come la Serbia, l’Albania, il Montenegro o la Macedonia. Ma, in caso di necessità, potrebbe essere applicata anche a tutti gli altri cittadini extracomunitari che oggi non hanno bisogno del visto per entrare nell’Ue. La Malmstrom ha specificato che l’obiettivo è principalmente di tipo preventivo e che spera non si «debba usare mai» la possibilità di revoca rapida. La liberalizzazione dell’ingresso nei 27 Paesi membri non riguarda il Nord Africa. Gli immigrati tunisini, egiziani o libici devono sempre disporre del visto. Le masse di clandestini in arrivo da quelle aree hanno convinto la Malmstrom, a puntare su «accordi su misura» . Le prime trattative dovrebbero essere impostate con Tunisia ed Egitto per cercare di frenare i flussi di immigrazione illegale. Contemporaneamente da Bruxelles offrirebbero ai governi di Tunisi e Il Cairo la possibilità di organizzare il trasferimento di quegli immigrati regolari necessari all’Europa per coprire principalmente le carenze di manodopera. Un canale preferenziale verrebbe poi aperto per consentire un più facile ingresso nell’Ue agli uomini d’affari, agli studenti e ai ricercatori, utili per lo sviluppo dei 27 Paesi membri, dove tra l’altro spuntano problemi di invecchiamento della popolazione e di riduzione delle nascite. «L’Europa sarà sempre più dipendente dai lavoratori immigrati e il potenziale del Nord Africa dovrebbe essere sfruttato con benefici reciproci» , ha detto la Malmstrom, che porterà le sue proposte al prossimo Consiglio dei ministri degli Interni in vista della valutazione finale nel vertice Ue dei capi di Stato e di governo del 24 giugno.




La Commissione Ue propone una clausola di salvaguardia per reintrodurre i visti ai Paesi confinanti in caso di crisi migratorie. Presentate le proposte per “migliorare la gestione dei flussi migratori”.
immigrazioneoggi.it 25 maggio 2011
Al. Col.
Una clausola di salvaguardia con la momentanea reintroduzione dei visti per i Paesi confinanti, politiche per attirare lavoratori qualificati, accordi di partenariato e cooperazione con i Paesi nordafricani, politiche comuni sull’asilo.
Sono alcune delle misure per “migliorare la gestione dei flussi migratori che provengono dal sud del Mediterraneo” proposte dalla Commissione europea per promuovere “la solidarietà verso gli Stati membri più esposti alle pressioni migratorie” e migliorare la cooperazione con i Paesi terzi “in chiave preventiva”.
L’iniziativa, presentata ieri alla stampa dalla commissaria agli Affari interni Cecilia Malmström, fa seguito alla “comunicazione” dell’esecutivo Ue dello scorso 4 maggio e alla successiva discussione al Consiglio Giustizia e Affari interni del 12 maggio.
Le nuove proposte verranno prese in esame dal Consiglio Giustizia e Affari interni del 9 giugno, per poi passare alla discussione in sede di Consiglio europeo con i 27 Capi di Stato e di governo, in programma il 24 giugno.
Presentando il documento dell’Esecutivo, la commissaria Malmström ha spiegato: “la situazione nel Mediterraneo chiede nuove misure a livello europeo. L’Ue ha già assunto varie iniziative a breve termine per aiutare i Paesi dell’Africa del nord a far fronte alle pressioni migratorie e per sostenere gli Stati aderenti che si trovano in prima linea”. Ma “ciò che si propone oggi guarda più lontano. La nostra ambizione è di dar vita a una cooperazione più strutturata” con Stati come Libia, Tunisia, Egitto, perché sia l’Ue che questi Paesi “hanno interesse a promuovere una migrazione ben gestita”.
“L’Europa – ha rilevato la commissaria svedese Malmström – dipenderà sempre più dai lavoratori immigrati e il potenziale offerto dal Nord Africa dovrebbe essere valorizzato con benefici per entrambe le parti”.
Tra le indicazioni provenienti dalla Commissione appare la clausola di salvaguardia che consentirebbe di reintrodurre l’uso dei visti “in caso di improvvisi aumenti dei flussi migratori” da Paesi o regioni vicine all’Ue con i quali esistono accordi di libera circolazione. La misura, riguarderebbe in particolare i Paesi occidentali dei Balcani (Serbia, Macedonia, Montenegro e Albania), anche se tali accordi riguardano i Paesi latino americani e alcuni Stati asiatici, oltre che Israele, Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda. La Commissione, in sostanza, potrà decidere la reintroduzione del visto per un massimo di sei mesi qualora vi sia un aumento improvviso ed eccezionale di migranti da un determinato Paese, o di richieste respinte di richiedenti asilo. Tale decisione potrà essere bloccata solo dalla maggioranza qualificata degli Stati membri.
La Commissaria ha detto di “non avere alcun Paese in mente” verso il quale pensare ad una reintroduzione dei visti e che la clausola è pensata come “ultima ratio”, pensando “di non doverla usare mai”, ma che essa sarà necessaria “per garantire l’integrità del sistema”.
In particolare, il documento della Commissione, si sviluppa in tre proposte:
1 - UNA COMUNICAZIONE PER UN “DIALOGO PER LA MIGRAZIONE, MOBILITÀ E SICUREZZA CON I PAESI DEL MEDITERRANEO MERIDIONALE”. La Commissione propone di instaurare dialoghi in materia di migrazione, mobilità e sicurezza con i Paesi del Nord Africa. Il dialogo dovrebbe comprendere tutti gli aspetti legati alla migrazione per le future relazioni della Ue con la regione. Partenariati per la mobilità saranno concordati per gestire al meglio le opportunità di mobilità tra l’Unione europea e i Paesi del Nord Africa. Queste partnership saranno create “su misura” insieme a ciascun Paese partner e in cooperazione con gli Stati membri dell’Ue e dovrebbero aiutare i Paesi a fare un uso migliore della loro potenziale forza lavoro, per esempio, fornendo assistenza per lo sviluppo di programmi di assunzione, il riconoscimento di competenze o assistendo i migranti tornati in patria che vogliono contribuire a costruire il loro Paese di origine. Tale cooperazione strutturata dovrebbe inoltre aiutare gli Stati membri a soddisfare le loro carenze sul mercato del lavoro. Naturalmente dovranno essere messe in campo garanzie sufficienti per la facilitazione del movimento. Nel quadro del dialogo i nostri partner, evidenzia Bruxelles, dovranno garantire di adottare tutte le misure efficaci per prevenire la migrazione irregolare e consentire il rientro dei cittadini che non hanno il diritto di rimanere in Europa. La Commissione ha già preso i primi contatti con la Tunisia e l’Egitto nelle ultime settimane per iniziare questi dialoghi, e spera di coinvolgere altri partner interessati in un prossimo futuro.
2 - LA RELAZIONE ANNUALE SULL’IMMIGRAZIONE E L’ASILO (2010). Il Rapporto evidenzia i principali sviluppi, a livello comunitario e nazionale, in materia di immigrazione dello scorso anno e ricorda, ad esempio, le misure adottate a favore della Grecia nella gestione delle sue frontiere esterne. Per ovviare alle carenze individuate, la relazione contiene raccomandazioni politiche in particolare per quanto riguarda il potenziamento del controllo di frontiera, la prevenzione della migrazione irregolare, la facilitazione della migrazione legale, lo sviluppo di un sistema europeo comune di asilo, l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi e lo sviluppo della dimensione esterna della politica migratoria dell’Ue.
3 - UNA PROPOSTA DI MODIFICA DEL REGOLAMENTO UE 539/2001 IN MATERIA DI VISTI. La politica dei visti è una componente fondamentale per una politica migratoria europea efficiente. L’attuale legislazione comunitaria in materia di politica dei visti non consente di accelerare il processo decisionale. La procedura per il sollevamento o l’introduzione di obblighi di visto viene attuata attraverso la procedura ordinaria e può quindi richiedere anche qualche anno. Gli emendamenti proposti prevedono l’introduzione di una clausola di salvaguardia che permetterebbe, in certe condizioni eccezionali, la reintroduzione temporanea dell’obbligo del visto per i cittadini di un Paese terzo. Questo meccanismo dovrebbe dotare l’Unione europea di uno strumento, da utilizzare solo in casi eccezionali, per evitare eventuali e gravi conseguenze della liberalizzazione dei visti e, in particolare, l’arrivo in Europa di un gran numero di immigrati irregolari o richiedenti asilo le cui richieste non sono fondate. Le modifiche proposte aiuteranno anche ad aumentare la fiducia degli Stati membri nella gestione dei visti e in una futura liberalizzazione.





IMMIGRATI: BOLDRINI (UNHCR), EUROPA RIDIMENSIONI SUE PAURE
Asca 25 maggio 2011
''L'Europa ridimensioni le sue paure perche' la Tunisia e l'Egitto, i Paesi confinanti dove si sta rifugiando la maggioranza dei profughi, hanno mantenuto le frontiere aperte nonostante le proprie difficolta' interne''.
Lo ha dichiarato la portavoce dell'Alto commisariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Laura Boldrini in un'intervista a 'La Stampa'.
''Dal 26 marzo e' arrivato il primo barcone dalla Libia, - ha spiegato la Boldrini - fino a quel momento avevamo accolto soprattutto giovani tunisini in cerca di lavoro. Da allora sono sbarcate 14 mila persone, inizialmente somali, eritrei, ivoriani poi anche immigrati del Bangladesh in fuga dalla tragedia libica. Ci tengo a ricordare pero' che si tratta di 14 mila persone su un totale di oltre 850 mila scappate dalla Libia soprattutto via terra''.
Gli immigrati, ha spiegato la Boldrini, per le traversate in mare prima usavano ''gommoni artigianali che caricavano 70,80 persone. Oggi dalla Libia partono vecchi pescherecci in disuso stipati di gente e privi di qualsiasi condizione di sicurezza. Inoltre il viaggio non costa piu' 1.200 dollari come un tempo ma molto meno, qualcuno ha raccontato d'aver dato tutto cio' che aveva ed essersi imbarcato con pochi soldi''.
L'emergenza immigrati, ha concluso la Boldrini, ''dipende dalla guerra in Libia. Noi esortiamo tutte le navi commerciali e militari in transito nel Mediterraneo ad incrementare la collaborazione nei soccorsi. Oggi qualsiasi carretta in partenza dalla Libia e' di per se' a rischio''.



"Parte da Bengasi la riconquista del Mediterraneo"
Intervista a Catherine Ashton
La Stampa 25 maggio 2011
Marco Zatterin
L’ obiettivo non è cambiato, Gheddafi se ne deve andare e la violenza in Libia deve finire. Tuttavia c’è qualcosa di nuovo, a Bengasi e oltre: la gente parla già del futuro, pensa e fa piani; nessuno vuole che alla caduta del rais si crei un pericoloso vuoto politico». Catherine Ashton è appena tornata dalla Cirenaica dove ha aperto il primo ufficio a dodici stelle, in tempo per farsi criticare dal drappello di governi che contesta il suo Servizio Esterno e varare, oggi col collega per l’Allargamento Stefan Füle, la revisionata strategia per il vicinato dell’Ue, 27 miliardi di fondi in tre anni, la metà dei quali indirizzati ai Paesi Mediterranei del Sud. «Si attendono molto dall’Europa - assicura la baronessa inglese -. Non possiamo tradirli». La novità è che il sostegno ai vicini diviene più ricco e condizionato, secondo il principio «More for more», più soldi per chi fa di più. «Le risorse vanno spese bene - ha detto la Signora Ashton parlando con alcuni europei -, sono denari dei contribuenti e devono finire laddove a cui sono destinati». In passato non sempre è successo. «Io la chiamo “responsabilità reciproca” - insiste il capo della diplomazia europea e vicepresidente della Commissione -. Noi dobbiamo rispondere a loro, loro a noi».

È il tanto sventagliato nuovo piano Marshall?
«Esito a usare questa definizione. Quando il generale George Marshall chiese 13 miliardi al Congresso nel 1947, cercava i mezzi per ricostruire una Europa devastata dalla guerra. La nostra proposta ha solo qualche similitudine, soprattutto i prestiti e l’esigenza d’un piano onnicomprensivo e coordinato. Non c’è l’elemento della distruzione bellica ed è una iniziativa europea a cui se ne aggiungeranno altre».

Dite «More for more». Tuttavia in molte capitali si inneggia al «più per meno», con riferimento agli immigrati.
«Gli egiziani che ho incontrato, come i tunisini e libici, sono orgogliosi di ciò che sono e non mi pare che in molti pensino a prendere una barca e venire da noi. Chi è costretto alla fuga sa di perdere qualcosa. La gente con cui ho parlato vuole essere aiutata a ricostruire il proprio Paese per restare dov’è».

Che possiamo fare?
«Dobbiamo approfondire le prospettive di mobilità nei due sensi. Si tratta di favorire la formazione per costruire i lavoratori di domani. Poi sviluppare le professionalità di cui abbiamo bisogno noi. Il fine del piano deve essere chiaro, per i vicini del Sud dell’Est: è una maggiore integrazione con la Ue».

Rafforzare i legami commerciali? Gli stati sono d’accordo?
«I tempi economici sono duri e le opzioni sono solo due. O abbiamo partner economici che crescono e consumano creando le premesse per una maggiore stabilità complessiva. Oppure non apriamo i mercati e poniamo le basi perché si avveri lo scenario opposto. È evidente cosa ci conviene».

Va bene. Però in Libia c’è la guerra.
«Vero. Tuttavia a Bengasi ho visto prender forma una nuova società civile. Sono nati 55 giornali in tre mesi, si fondano associazioni umanitarie e politiche. C’erano persone venute da Tripoli e Misurata, tutta gente che ha interessi comuni e non era mai stata nella stessa stanza. C’è chi tenta di scrivere il prossimo capitolo. Vogliono il voto, ma come parte di un processo più grande».

E la Siria nel caos?
«Ci sono state le prime sanzioni, poi le altre. Cerchiamo un dialogo sul territorio. Occorre trovare una via per convincere il governo a fermare la violenza. Il lavoro è in corso».

L’hanno contestata in molti, lunedì in Consiglio.
«E’ stato un buon dibattito. Ho chiesto ai ministri di esser aperti e lo sono stati. Il Servizio è attivo da cinque mesi in uno scenarioricco di conflitti e, tutto sommato, è in buona forma. Certo sono delle nuove sfide e delle risorse che servono. Se inauguri un ufficio a Bengasi devi poterlo tenere aperto».

Però perché l’Ue ha tre uomini a Kabul e sette alle Bahamas?
«Chi l’ha detto è stato inopportuno. Ci sono luoghi che sembrano esotici se ci vai in vacanza, ma che i realtà nascondono una terribile povertà rurale. Succede a Bahamas, come a Mauritius. Lì i nostri non sono ambasciatori, bensì esperti sociali che svolgono un lavoro importante. Mi sembra che questo faccia la differenza».




Immigrati, se la Lega è vittima dei propri attacchi
Corriere della Sera 25 maggio 2011
Umberto Curi
Per certi aspetti, quanto sta accadendo, in particolare nel Veneto, ha l’aspetto emblematico di una nemesi storica. Sul tema dell’immigrazione la Lega Nord, soprattutto nel nostro territorio, aveva costruito la sua identità politica e le sue fortune elettorali. Alimentando la paura, inevitabilmente conseguente all’incontro con lo straniero il Carroccio era riuscito a scavalcare perfino il Pdl nelle preferenze dell’elettorato di centrodestra. Speculando spregiudicatamente sull’impatto emotivo derivante dalle grandi ondate migratorie, i seguaci veneti di Bossi si erano imposti come la forza di riferimento per quanti temevano di essere in qualche modo penalizzati dai nuovi arrivati. Insomma, a differenza di altri soggetti politici, impegnati a delineare una proposta articolata su più fronti della politica interna e della politica internazionale, per anni la Lega aveva goduto di un privilegio speciale.

Quello di non essere tenuta a dire quali fossero le sue opzioni sui temi all’ordine del giorno dell’agenda politica, essendo essa invece totalmente assorbita da un’unica questione dominante - e cioè l’immigrazione. Come è testimoniato dall’esito delle recenti consultazioni amministrative (sempre che lo si sappia interpretare adeguatamente), questo regime speciale, questa sorta di esenzione privilegiata, non soltanto è saltato, ma si è perfino capovolto. La Lega sta ora pagando in termini di perdita di consensi proprio sul piano dei problemi connessi con l’immigrazione. Anzitutto, è risultato evidente che il Carroccio non ha affatto una propria proposta autonoma su questo terreno. L’unico discorso che è stato finora ripetuto in maniera perfino ossessiva ha riguardato e riguarda soltanto un aspetto, e non il più importante, della complessa problematica relativa ai migranti, vale a dire la questione degli accessi. Come se la decisione di quanti possano legittimamente accedere al territorio e in esso risiedere esaurisse ogni e qualunque difficoltà. Come se - esattamente al contrario - le vere questioni di fondo non cominciassero (anziché finire) proprio dopo l’accesso. Se ne vuole una prova? Sono ormai, sulla base di stime prudenti, più di 5 milioni le persone straniere stabilmente presenti sul nostro territorio, dunque quasi il 10%della popolazione. La loro presenza pone problemi sul piano del mercato del lavoro, dell’abitazione, dell’assistenza sanitaria, della formazione scolastica, della coesistenza religiosa, della convivenza culturale. Su tutte queste materie la Lega non ha una proposta politica che possa essere assunta come riferimento almeno relativamente coerente.

Di più: sul modello di società che consegue dall’ormai inesorabile e comunque irreversibile massiccia presenza di stranieri il Carroccio è letteralmente afasico, non dice e non saprebbe dire nulla. Ne consegue un esito che potrebbe sembrare perfino paradossale, e che invece è estremamente realistico, e cioè che la forza politica che da anni si è totalmente immedesimata con un’unica tematica - quella dell’immigrazione - in realtà non ha affatto una proposta politica organica, capace di offrire risposte adeguate su quel terreno. La battuta di arresto fatta registrare dai seguaci di Bossi nel recente turno elettorale si spiega essenzialmente proprio in questi termini, con la scoperta da parte dell’elettorato del carattere del tutto retorico e ineffettuale delle posizioni leghiste in tema di immigrazione. Con l’aver capito che, sotto il vestito delle frasi ad effetto, davvero non c’era nulla. Insomma, la Lega perisce (o, almeno, patisce) di ciò di cui finora ha ferito. Il privilegio è cessato. D’ora innanzi, anch’essa dovrà far vedere che cosa sa fare veramente come forza di governo.




IMMIGRATI: DI GIOVAN PAOLO (PD), DOPO DATI ISTAT SI' A IUS SOLI
Asca 24 maggio 2011
''I dati Istat di oggi sull'immigrazione ci dicono che bisogna intervenire sulla cittadinanza. Bisogna passare dallo ius sanguinis allo ius soli. Questo se vogliamo davvero essere un grande Paese europeo. E comunque lo stesso Tremonti nel Def riconosce che servono 260 mila immigrati per ripianare i conti previdenziali ''. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei.

''Chi nasce in Italia deve essere italiano. Lo ius soli e' presente in tanti altri Paesi europei, in Italia invece e' un tabu' - continua Di Giovan Paolo - .Una destra moderna, e non populista come quella italiana, dovrebbe ragionare, serenamente, su questi temi''.




IMMIGRAZIONE: CISL, CONTRIBUISCONO A TENUTA ECONOMICA E SOCIALE
Agenparl 24 maggio 2011
"I dati diffusi dall’Istat sul tasso di natalità sempre più ai minimi storici nonostante la presenza degli immigrati che comunque mantengono attiva la popolazione italiana, costituiscono la cartina di tornasole di quanto da tempo la Cisl sostiene e cioè che la presenza degli immigrati che vivono e lavorano sul nostro territorio non è un fenomeno transitorio ma un fatto oggettivo e positivo per il nostro Paese". Lo dichiara in una nota Liliana Ocmin, Segretario confederale della Cisl, commentando l'annuale 'Bilancio demografico nazionale' relativo al 2010, pubblicato dall'Istat. "Non c’è dubbio, infatti- continua Ocmin- che gli stranieri contribuiscano alla tenuta economica e sociale del sistema-Italia, ed in questo senso occorre dare vita a politiche di integrazione che ne consolidino la presenza sul nostro territorio. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare alla risorsa immigrati per risolvere l’annoso problema delle nascite, rispetto al quale è necessario dare vita ad una politica strutturata di interventi mirati in favore delle donne, sulle quali continua a gravare il peso del lavoro di cura per la carenza di servizi adeguati di assistenza, della famiglia, che da sola, come ci confermano tutte le statistiche, è uno straordinario ammortizzatore sociale e più in generale dei giovani che vanno incoraggiati sia sul versante del lavoro attraverso politiche attive di ingresso e permanenza nel mercato del lavoro, sia su quello del 'fare famiglia'. Perché dare un futuro ai giovani significa anche metterli nelle condizioni di metter su famiglia quale risorsa per se stesso e bene per il Paese". "Giovani donne ed immigrati- conclude Ocmin- sono linfa vitale su cui investire se vogliamo dare una prospettiva di crescita e di sviluppo all’Italia".




Immigrati clandestini ed esibizione documenti. Abrogato reato mancata esibizione. Cassazione
immigrazione.aduc.it 25 maggio 2011
Claudia Moretti
Con la pronuncia a sezioni Unite dello scorso 24 febbraio 2011 (motivazioni depositate lo scorso 27 aprile) si è finalmente conclusa -speriamo in via definitiva– la lunga e travagliata storia del reato previsto dall'art. 6 comma 3 del testo unico sull'immigrazione, che puniva gli stranieri che non esibissero i documenti identificativi o di soggiorno a richiesta delle autorità.
Originariamente (norma in vigore fino alla riforma del Pacchetto Sicurezza nel 2009) la norma prevedeva che si configurasse il reato laddove lo straniero non esibisse alternativamente o i documenti di identificazione (passaporto o altro documento equipollente), ovvero il titolo di soggiorno (permesso di soggiorno o carta di soggiorno). Ovviamente, gli stranieri irregolari, avevano un'ottima ragione (e infatti vi è stato un vero “intasamento” nelle aule penali dovuto al proliferare delle imputazioni per tale violazione) per incorrere nel reato: da un lato, se erano irregolari, non avevano certo il permesso di soggiorno, dall'altro, preferivano incorrere nel reato in questione pur di impedire una compiuta identificazione, prodromica poi alla ben più grave e inevitabile conseguenza dell'espulsione. A nulla erano valsi i tentativi della giurisprudenza di merito, a nostro avviso più illuminata, che riteneva sussistere, nel caso dei clandestini, un “giustificato motivo” per non ottemperare all'ordine di esibizione, connaturato alla loro condizione di irregolarità sul territorio. La Cassazione aveva ribadito costantemente la punibilità della condotta di chi, a richiesta, non esibiva il proprio documento di identità, a nulla rilevando se si trattasse di soggetto passibile o meno di espulsione.
Con il Pacchetto Sicurezza (l. n. 94/2009), il legislatore ha modificato il testo dell'art. 6 citato, sostituendo al criterio dell'alternatività (congiunzione “o”) della condotta di omessa esibizione o del documento identificativo ovvero del pds/carta di soggiorno, quello della compresenza (inserendo la copula “e”), inasprendo poi le pene per il reato in questione.
Si è posto, pertanto, il dilemma se si possa o meno continuare a punire coloro che, a richiesta, non esibiscano entrambi i documenti (di identità e di soggiorno) e se, il fatto che il clandestino non possa per ovvi motivi esibireil titolo di soggiorno essendone privo, non crei una categoria di stranieri non più assoggettabili al reato in questione.
La Corte di cassazione ha sciolto i nodi in questione contravvenendo ad un proprio orientamento precedente (nella sentenza Calmus n. 44157 del 23/09/2009), affermando che non possono ritenersi ormai punibili i soggetti clandestini per il reato di cui all'art. 6 comma 3 D.lvo 286/98 riformato e chiarendo come ciò sia frutto di una precisa e consapevole volontà da parte del legislatore (cosa non immediatamente intuibile a prima lettura)
Questi, in sintesi, i passaggi chiave:
1. l'abrogatio criminis in questione si inserisce in un quadro di riforma legislativa che inasprisce le sanzioni già esistenti e crea nuove sanzioni penali a carico degli irregolari (ad esempio creando il reato di immigrazione clandestina di cui all'art. 10 bis T.U. Immigrazione, oppure l'art. 5, comma 8 – bis stesso t.u. che punisce assai severamente chi si avvale di permessi di soggiorno contraffatti).
2. Per questo, l'art. 6 comma 3 ha il residuo scopo, non già di punire i clandestini (che già hanno altri percorsi sanzionatori autonomi e tendenti alla rapida espulsione), bensì quello di costringere i “regolari”, a svelare le proprie carte subito, se le hanno, e a mettere invece così a nudo, sin dal primo approccio, chi regolare non è;
3. In altre parole, la norma vuol proteggere l'interesse dello Stato all'immediato accertamento della condizione di regolarità dello straniero, e non già, come nella vecchia formulazione, limitarsi ad assumere informazioni sulla sua identità, punendo chiunque si sottragga.
4. Per questo, l'agente della pubblica autorità che procede, potrà, sin da subito, chiedere l'esibizione di entrambi i documenti (che i regolari saranno costretti a portarsi sempre appresso), col risultato che solo chi li ha ma non li esibisce violerà l'art. 6 comma 3.
5. Chi invece risulterà clandestino andrà esente dall'imputazione in questione ma avrà speciali sanzioni penali ad hoc, previste nel medesimo T.U.
6. La sentenza chiarisce, poi, che il mutato quadro normativo, corrisponde anche al mutato interesse del legislatore, che intende in primo luogo attivare quelle procedure penal- amministrative che portano all'immediata espulsione e non già al processo penale volto alla repressione, magari con dibattimento pieno ecc.. (con costi e tempi incompatibili con una celere espulsione dello straniero irregolare).
7. A suggello di tale mutato interesse dell'ordinamento, la sentenza cita numerosi sbocchi alternativi/deflattivi che sostituiscano celermente l'espulsione (tanto in fase di cognizione che di esecuzione della pena) con qualsiasi altro procedimento finalizzato alla mera punizione.

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