Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

La solitudine della vittima

Mauro Valeri

Avevo chiuso l’articolo della settimana scorsa con una nota di speranza: che l’allenatore della Roma, Claudio Ranieri, esprimesse parole chiare e nette contro le offese razziste subite dal suo calciatore, Stefano Chuka Okaka, nel corso di una partita di Europa League, da parte degli stessi tifosi romanisti dopo il suo gol (tra l’altro il primo segnato all’Olimpico). Le parole sono arrivate. Le ha riportate La Gazzetta dello Sport: “Lasciamo stare, non fosse altro perché non si fischiano i propri giocatori. La mamma degli idioti è sempre incinta”. La frase di Ranieri si presta a molte critiche. Sembrerebbe quasi che, se quegli stessi tifosi avessero fischiato un calciatore nero avversario, sarebbe stato un comportamento quasi accettabile! Inoltre, l’allenatore retrocede una espressione razzista ad una espressione di idiozia, senza però definire quale sia la differenza tra l’uno e l’altra. Non è una novità. Alcuni mesi fa, Seedorf e Ancelotti, in genere piuttosto attenti al tema del razzismo, ed anche Mourinho, hanno posto una distinzione, altrettanto indefinita, tra ignoranza e razzismo. Probabilmente, per loro, come per molti, è razzista soltanto chi aderisce ad un’ideologia razzista, e non chi mette in atto comportamenti o atteggiamenti razzisti (come fare buuu ai calciatori neri). Arrivando quasi all’assunto che non possa esistere un razzista “intelligente e informato”. In realtà, è possibile che molte persone mettano in atto comportamenti razzisti senza attribuirgli una valenza razzista, o limitando il loro razzismo a quel gesto “da stadio”. Ma ciò rende ancor più preoccupante l’assoluzione che spesso viene offerta a questi gesti, proprio perché inconsapevoli della loro gravità. In ciò sta l’ignoranza: non sapere che quello che stanno mettendo in atto è un gesto razzista. E deve essere considerato un campanello d’allarme soprattutto perché, nell’attuale contesto culturale, è assai probabile che questo atteggiamento assolutistico finisca per comprendere atteggiamenti e comportamenti razzisti ben più gravi. Certo è che, con le sue parole, Ranieri torna a riposizionarsi tra gli allenatori che tendono a sottovalutare il razzismo (ed è un peccato, perché da allenatore della Juventus aveva denunciato con fermezza i cori razzisti dei tifosi juventini contro Balotelli). In una classifica negativa delle prese di posizione degli allenatori di calcio in materia di razzismo, decisamente peggio di lui fece Papadopulo quando allenava la Lazio, che, in presenza di spalti con striscioni con svastiche e croci celtiche, non ha trovato di meglio che affermare che per lui, quello che conta durante una partita, è soltanto ciò che avviene dal terreno di gioco fino all’altezza della traversa. Quindi, sopra i 244 cm non è affar suo!

Ma il caso Okaka è emblematico anche perché evidenzia la solitudine con cui deve spesso fare i conti chi è vittima di insulti razzisti nel calcio. Ciò che una vittima si aspetta è innanzitutto la solidarietà dei suoi compagni, del suo allenatore e della società per cui è tesserato. Ma per Stefano non è stato così. Un precedente risale ad alcuni anni fa, quando il nigeriano Makinwa aveva trovato il coraggio di denunciare pubblicamente di essere stato insultato, nel corso di una partita, da un avversario con termini razzisti. A differenza di quanto accaduto a Stefano, in questo caso si tratta di un episodio di razzismo sul campo, che, in base all’etica sportiva, è più grave del razzismo degli spalti perché compiuto da un altro tesserato. Invece, Makinwa si è dovuto beccare anche il rimprovero del suo allenatore, Delio Rossi, allora allenatore della Lazio, secondo il quale “certi episodi devono restare in campo”. E’ probabile che per molti sportivi, denunciare di essere stati vittime di razzismo vuol dire affermare di essere deboli, di avere una sorta di tallone d’Achille facilmente sfruttabile dagli avversari. Forse è per questo che lo stesso Stefano, a chi gli chiedeva cosa avesse provato davanti a quel comportamento offensivo dei “suoi” tifosi, ha risposto che non si era accorto di niente, negando l’innegabile. Stefano, oltre ad essere un vero talento (ha esordio in serie A nel dicembre 2005, quando era ancora “nigeriano”, avendo poco più di 16 anni), è un ragazzo serio. Quando il 13 novembre 2008 è stato ospite al Quirinale del presidente Napolitano, ha voluto leggere un comunicato (poi proposto anche nel suo sito personale www.stefanochukaokaka.com) che si chiudeva così: “Mi sono sempre sentito italiano e non ho mai avuto nessun tipo di problema e, come me, non ne hanno avuti i miei genitori, ma sono consapevole del fatto che esistono delle situazioni difficili. Mi tengo informato e spero che lo Stato Italiano faccia molto perché tutti coloro che lavorano, anche se non sono nati in Italia, possano ottenere la cittadinanza italiana e contribuire alla crescita del nostro paese in tutti i campi. Io spero di farlo nei campi da calcio di tutto il mondo”. Se Stefano non parla è quindi perché la linea adottata dalla Società sembra essere quella di voler “minimizzare per non fare pubblicità ai razzisti”. In realtà, appare più credibile che all’origine di questo silenzio vi sia la paura della Società di doversi misurare con una frangia razzista della tifoseria romanista, che probabilemnte non perdona a Stefano proprio quella sua presa di posizione a favore di una integrazione degli immigrati e di una società “multietnica” e “multirazziale”.

Anche in questo caso, esistono esempi di maggiore correttezza. All’inizio di questo campionato (terza giornata di andata), durante la partita in Seconda Divisione tra Noicattaro – Cisco Roma, il senegalese della squadra romana, Diaw Doudou, e l’attaccante della squadra avversaria, De Lorenzo, si scontrano involontariamente. Diaw aiuta l’avversario a rialzarsi, il quale, per tutta risposta, gli dice: “Non lo fare più, negro di merda”. Per fortuna, l’arbitro, che è a due passi, ascolta tutto e lo espelle. A Diaw però arriva la solidarietà del capitano del Noicattaro, Zotti, che gli chiede scusa a nome di tutta la squadra, e del vicepresidente della squadra pugliese, Giampetruzzi, il quale dichiara: “Se tutto sarà confermato, non esiteremo a prendere duri provvedimenti. A Doudou va la nostra solidarietà”. Per il senegalese, che già in passato era stato vittima di episodi simili, sono gesti e parole che chiudono il caso. Da parte sua, il giudice sportivo penalizza De Lorenzo con tre giornate di squalifica “per avere rivolto ad un calciatore avversario di colore una frase offensiva e di discriminazione razziale”. Tre domeniche per riflettere.

Il razzismo sportivo però non si manifesta solo sugli spalti o nei campi di calcio, ma anche con incursioni pirata su internet. E’ ciò che è capitato alla pagina che Wikipedia dedica a Mario Balotelli, nella quale qualcuno ha inserito una frase razzista (“sporco negro”), eliminata dopo un colpevole ritardo (un’ora e mezza) da parte dei responsabili dell’enciclopedia libera on-line. Come se non bastasse, su Facebook ci sono una decina di gruppi accomunati dal fatto di “odiare Balotelli” (ma per fortuna molti di più sono i fan del calciatore). Tra coloro che dichiarano di “odiarlo” ci sono razzisti espliciti, ma anche chi scrive di non esserlo ma di odiarlo per il suo modo di fare. E’ un argomento che, come già scritto, è molto ipocrita, e sul quale è interventuo di recente anche il saggio maliano Mohamed Lamine Sissoko, in forza alla Juventus: “E’ una vergogna. Bisogna crescere, andare avanti (…). Balotelli, in campo, ha degli atteggiamenti particolari? Può essere e se vorrà potrà cambiarli, ma questo è un altro discorso. Certe espressioni razziste non c’entrano nulla. Anche l’Italia deve progredire”.
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