Dal carcere al Cie la storia di Nuer nell'Italia del diritto


Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, la scorsa settimana, ha confermato la propria intenzione di aumentare di mille unità i posti disponibili all’interno dei Centri di Identificazione e di Espulsione.
E ha già ipotizzato che le quattro regioni finora sprovviste di Cie (Veneto, Campania, Toscana e Marche), potrebbero diventare i luoghi prescelti per aprirne degli altri (immaginiamo che le regioni e i loro abitanti ne sentissero la mancanza). C’è da dire che Maroni, a parte questo aspetto, non pare occuparsi troppo di quello che accade in questi centri. Per esempio: lo sa, il ministro, che nel Cie di Via Corelli a Milano da parecchie settimane molti trattenuti sono in sciopero della fame? E che sono in sciopero della fame i trattenuti del Cie romano di Ponte Galeria? E che, da qualche giorno, si sono uniti a questa forma di protesta 50 reclusi nel Cie di Bologna? E che un “ospite” del Cie di Torino ha provato a togliersi la vita settimana scorsa (per fortuna senza riuscirci)? Immaginiamo di no, dato che a riguardo non vola una mosca. Forniamo noi alcune notizie: Nuer, il tunisino che ha tentato il suicidio mercoledì scorso, è stato in carcere per due anni, accusato di violenza privata, fino a quando non è arrivata l’assoluzione e la conseguente scarcerazione. Da lì, come sempre più spesso succede, è stato mandato al Cie, senza neanche avere i cinque giorni di tempo che il decreto di espulsione prevede per lasciare l’Italia. Questo perché dopo due anni di carcere aveva perso, ovviamente, il permesso di soggiorno. Allo stato attuale, Neur, non è neanche certo di riuscire ad ottenere il rimborso per ingiusta detenzione. Conserverà, immaginiamo, un buon ricordo dell’Italia “culla del diritto”.
l'Unità, 20-04-2010
Italia-razzismo
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