Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Il Dio delle carceri
Chiara Bazzanella
Arrivano da tutto il mondo, ognuno con la propria cultura, parlano lingue diverse e sono costretti a convivere in un'unica struttura.
A fronte di una capienza regolamentare di 43.262 unità, le carceri italiane al momento sono popolate da oltre 59 mila detenuti, di cui all'incirca 21.800 sono stranieri. Un sovraffollamento che va toccando il suo tetto limite in un miscuglio di religioni ed etnie diverse, per lo più marocchina, rumena, tunisina e albanese. Ma se per i cattolici è prevista dall'ordinamento penitenziario la figura di un cappellano del carcere, chi crede in un altro Dio potrebbe avere qualche difficoltà nel riuscire a incontrare i rappresentanti della propria fede.
Ad avere maggiori problemi sono soprattutto gli imam islamici, che al momento entrano solo negli Istituti di Firenze, Secondigliano, Brescia, Milano, Roma Rebibbia e Roma Regina Coeli.
Nel carcere “Le Vallette” di Torino l'accesso è consentito senza problemi a preti ortodossi, religiosi cattolici diversi dai cappellani e persino a una comunità buddista. “Con i musulmani le cose si complicano un po' -  spiega il direttore della struttura Pietro Buffa - perché potremmo avere dei problemi nel riconoscimento dell'imam. In ogni caso basta che facciano richiesta di entrare come assistenti volontari  ai sensi dell'articolo 17  dell’ordinamento penitenziario e sarà il Dap a provvedere al loro riconoscimento”.
L’articolo 36 dell’ordinamento penitenziario riconosce ai detenuti di religione diversa da quella cattolica il “diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti”. Per i musulmani la difficoltà nasce proprio dal fatto  che  la religione islamica non prevede un elenco degli imam, date le peculiarità di questa figura. Per ovviare a l problema, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con una circolare del 1997, “stabiliva con il Ministero dell’interno una procedura che prevede l’individuazione da parte della direzione dell’istituto del ministro di culto, la comunicazione delle sue generalità all’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento, l’acquisizione dal Ministero dell’interno del parere di rito per rilasciare l’autorizzazione all’accesso”. Circolare confermata da quella del 2002 che chiedeva inoltre di “specificare anche la moschea o la comunità di appartenenza dell’imam e di comunicare alla Direzione Generale i nominativi di tutti i rappresentanti di fede islamica autorizzati all’ingresso nelle carceri, anche ai sensi dell’art.17 dell'ordinamento penitenziario”.
Spiega il direttore della Casa Circondariale di Verona, Salvatore Erminio: “I ministri di culto vengono indicati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, alcuni entrano e altri no”. L'istituto veronese in passato ha ospitato un rappresentante buddista, ed entrano senza problemi sia dei Testimoni di Geova che un prete greco ortodosso e uno rumeno. Continua il direttore: “i preti ortodossi hanno magari difficoltà nell'utilizzo della Chiesa visto che i loro riti sono diversi, ma possono svolgere attività di intercultura e incontrare i detenuti in colloquio. Da quando sono io il direttore – ossia da almeno sei anni - non ho ricordi che sia invece mai entrato nessun ministro di culto musulmano”. A questo proposito il portavoce del consiglio islamico di Verona, Mohsen Khochtali dichiara: “Nel 2007 abbiamo fatto richiesta per entrare in occasione di grandi festività o per dei colloqui, ma l'esito è stato negativo. Per noi sarebbe importante parlare con chi è dentro per incoraggiarlo a cambiare vita, a non sognare e cercare di trovare un lavoro onesto una volta fuori”.
Anche a Roma, nel carcere di Rebibbia, gli ortodossi entrano con continuità. “Nel passato ci sono state delle intese anche con i musulmani - spiega il direttore Carmelo Cantone - ma ultimamente non c'è una grande attenzione della comunità esterna nei confronti di chi è in carcere. Gli imam sono molto severi. Noi comunque rispettiamo il ramadan e celebriamo la conclusione del digiuno grazie a un circuito di volontari in contatto con imam esterni e grazie anche al mediatore di lingua araba”.
Circa i musulmani, la direttrice del carcere di Bollate Lucia Castellano dichiara: “in ogni reparto abbiamo moschee attrezzate di tappetini e corani, e rispettiamo il ramadan e la  festa del sacrificio. Al momento nessun detenuto ha mai chiesto l'ingresso di qualcuno di esterno e a fare da imam è uno di loro”.
In case circondariali come quella di Verona i detenuti stranieri rappresentano oltre il 70 per cento della popolazione reclusa. Le varie etnie vengono divise in diverse sezioni, ma in ogni caso il cappellano della struttura Don Maurizio rassicura che “la convivenza tra le varie religioni è buona, vengono a messa un po' tutti e persino qualche musulmano non si nega questa possibilità”. La maggior parte dei musulmani prega però nelle proprie celle o nei corridoi e in occasioni particolari come il ramadam – viene messa a loro disposizione la palestra. Continua don Maurizio: “Gli albanesi non hanno una vera formazione all'islam. Algerini e marocchini sono più convinti, scrivono in arabo e leggono il Corano. Indossano le loro tuniche ma solo per pregare nelle celle. Se qualcuno chiede di conoscere meglio il Cristianesimo potrebbe però essere guardato con sospetto dai più fanatici”. 
Del resto, conclude il prete ortodosso che entra nel carcere di Verona, padre Gabriel Codrea : “sono le persone con un basso tasso d'istruzione e una forte sofferenza a  nascondersi dietro i fanatismi. Consentire l'accesso a figure istruite ed equilibrate delle diverse religioni contribuisce a fare del carcere un luogo di reale rieducazione”.


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