Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 marzo 2014

 

La porta d'Europa
I disperati dell’altra Lampedusa  
Migliaia di migranti, di notte, all’assalto della barriera di ferro e filo spinato.
la REpubblica, 06-03-2014
Daniele Mastrogiacomo
CEUTA. La rete è divelta. L’ultimo assalto, all’alba di martedì scorso, l’ha piegata e bucata in più punti. Non c’è stato neanche il tempo per raddrizzarla. Fronteggiare 1500 immigrati africani e subsahariani avvolti ancora dal buio non è stato facile. Un muro compatto di uomini e di donne. Moltissimi giovani, decisi a tutto. Divisi in due gruppi, sono usciti dai boschi sulla costa nord del Marocco dove erano rimasti in attesa del segnale. Hanno iniziato a marciare verso il ponte che divide la frontiera con l’enclave spagnola di Ceuta. Una parte ha piegato verso la spiaggia di Tarajal; l’altra ha affrontato direttamente la barriera di ferro e filo spinato. Sono stati respinti. A fatica. La rete ora è punteggiata da pezzi di stoffa e di plastica. Chi è riuscito ad arrampicarsi ha usato magliette e sacchetti per proteggersi le mani. Soprattutto in cima al lungo pontile in cemento armato che le onde e il flusso della marea hanno sventrato in piccoli blocchi. La Guardia civile ha creato un blocco con gipponi e autoblindo. Ma ha potuto fare ben poco. Era in allarme da tre giorni: le telecamere munite di sensori per le fonti di calore avevano registrato un movimento massiccio di persone. «Ci aspettavamo un assalto. Ma non di tali dimensioni. È stato impressionante», ammette un ufficiale della polizia spagnola.
Si vede che qui, a tre metri dall’Atlantico, la massa di immigrati si è fatta largo afatica. Prima la pioggia di sassi, bottiglie, bastoni, lattine. Poi la corsa verso la rete, alta sei metri. La spinta verso l’alto, le mani aggrappate alle maglie, le dita che restano impigliate, si slogano, si feriscono; i piedi che cercano un appiglio, le scarpe che scivolano, lo sforzo dei muscoli tesi, la bocca aperta in una smorfia, le urla e le grida degli altri immigrati, degli agenti che accorrono, i rumori secchi dei primi colpi di fucile caricati con proiettili di gomma, i fumogeni che liberano i gas, i bengala che fanno luce nella foschia dell’alba. Il grande salto verso l’Europa. Molti hanno paura. Era terrorizzata anche Mireille, 15 anni, del Camerun. Ha saltato sei metri di barriera con la tibia rotta. Un’eroina di questa battaglia terribile e silenziosa. Se ci ha provato lei, possono tentare tutti.
Sulla spiaggia di sabbia nera a Tarajal, da sempre una sorta di terra di nessuno, ci sono ancora i resti della battaglia. Pietre, sbarre di ferro, vestiti e magliette che nessuno raccoglie. Fare pulizia è inutile. Domani si ricomincia. Ceuta è assediata da 40 mila migranti. Melilla, l’altro avamposto spagnolo in Marocco, 400 chilometri a est, da 30 mila. Le acque scure dell’Atlantico sollevano altri sassi, detriti, fango. Dieci dei 15 morti affogati il6 febbraio scorso li hanno ripescati sul fondo. Erano in trecento. Africani, neri. Troppo scuri in un territorio dominato dai chiari. Per loro era impossibile passare la frontiera a bordo delle auto. Uno è stato abbandonato chiuso in una valigia. Gli agenti faticano a capire come sia riuscito ad entrarci. Il circo della disperazione. Per gli arabi è più facile. Mischiati agli altri passeggeri, muniti dei documenti falsi che le gang locali, legate alla mafia del traffico umano, forniscono per mille euro. L’alternativa è il doppio fondo delle macchine. Con il rischio di soffocare, di restare per ore sdraiati in una bara alta trenta centimetri.
A cento metri di distanza, dall’altra parte della barriera, una rete di acciaio e ferro alta sei metri, sormontata da telecamere e torrette, uomini e donne si accalcano in attesa del segnale. Via sms, Facebook e twitter. Lanciato dalla foresta, rimbalzato a Tangeri, Parigi, Londra, Bruxelles. Tre, quattro registi che decidono tempi e modi della strategia. Soprattutto adesso che alla Guardia civile è stato ordinato di non usare più armi da fuoco in caso di invasione. Il momento è propizio. «Ora o mai più», si legge sui social. Madrid ha spedito altri 400 uomini dopo le notizie che arrivano da Melilla. Qui gli assalti si susseguono senza sosta. Tutte le mattine. All’alba, con il cielo ancora scuro. Molti si tuffano in mare. La maggioranza punta alla barriera. Con il rotolo di filo spinato che ti strappa i vestiti, ti lacera la pelle, si infila nella carne. Assieme alle lame dei coltelli infilate sulla cima come baionette.
I Caronte del nuovo secolo la chiamano la rotta delle Colonne d’Ercole. In onore dell’eroe della mitologia greca, raffigurato da una grande statua che divide i due mondi. Roba per turisti. I trafficanti di schiavi puntano su altro. Soldi e potere. Hanno mezzi e strumenti per soddisfare il mercato. Vittime e carnefici si mischiano in una realtà dove leggi e diritti non contano nulla, dove si lotta solo per sopravvivere. Su tutto resiste il mito di un’Europa costruito in notti gelide dentro caverne e giorni roventi in mezzo al deserto.
Ai confini occidentali del Mediterraneo sorge l’altra Lampedusa. Due enclave spagnole ricavate sulla sponda africana del Maghreb, segnate da secoli di dominazioni, battaglie, trattative e concessioni. Ceuta, un piccolo promontorio di 18,5 chilometri quadrati con 80 mila abitanti. E Melilla, 12 chilometri quadrati, 70 mila abitanti. Porti franchi: poche tasse, molto commercio, industria peschiera, turismo e tanta polizia. Rappresentano il ponte alternativo per sbarcare nella Vecchia Europa. Se ne parla poco. Perché rispetto all’isola siciliana dove approdano 35 mila immigrati l’anno qui il flusso si aggira sui 20 mila.
Ma è proprio ai confini di queste cittadine, illuminate dal sole africano e bagnate da un mare e da un oceano, che si ammassano i dannati della Terra. I servizi segreti spagnoli sono in allarme. L’assalto alla barriera della spiaggia di Tarajal il 6 febbraio scorso, lungo il confine di 8 chilometri, concluso con 15 morti, colpiti da proiettili di gomma, fumogeni, gas lacrimogeni e poi affogati a tre metri dalla riva, ha aperto la botola della disperazione rimasta chiusa per nove anni. La stessa scena si è ripetuta il 23 febbraio. Per tutta la settimana. Venerdì 28 l’assalto ha visto 300 immigrati decisi a tutto. In 200 sono riusciti a superare la tripla barriera di Melilla. Un successo contagioso. Voci raccolte dai servizi di decine di paesi africani raccontano di un fiume di disperati che risale verso nord.
Le immagini della battaglia mortale del 6 febbraio scorso, registrate da 4 delle 37 telecamere della barriera e messe in rete dal ministero degli Interni spagnolo, le hanno viste anche al Ceti, il Centro di accoglienza transitorio creato a Ceuta e Melilla nel 1999. Karim, Ibou, Idris, Francois, tutti del Congo Brazeville e del Camerum, ce lo confermano a testa bassa. Attendono fuori dal Centro di Ceuta: 90 operatori per 521 ospiti, uffici, un ambulatorio, un grande refettorio, la cucina, le aule didattiche dove si insegna lo spagnolo, una lavanderia, perfino una palestra. La struttura scoppia: in due settimane si è riempita con 1300 immigrati in attesa della tessera gialla, il visto per rifugiati. Per la maggioranza il viaggio è durato sei mesi. Guinea, Burkina Faso, Niger, Mali, il Sahara, il Marocco. Camion, bus, auto, a piedi. Per mille, spesso 1500 euro. Anticipati. Nessuna garanzia. Niente documenti. Un salto nel buio. C’è chi ci ha provato tre volte e adesso ritenta. Con più esperienza, seguendo sentieri controllati dai trafficanti locali. Gente di “El Principe”, quartiere musulmano di Ceuta che si è ingrossato fino a 13 mila persone e dove vive anche una comunità indù. Un territorio liberato. La polizia spagnola si tiene alla larga. È la base della mafia locale del traffico umano, del contrabbando, della droga.
I 70 mila in attesa del grande salto sono tornati in montagna. Nascosti nelle grotte che sorgono tra i boschi che avvolgono Ceuta e Melilla. Cucinano animali catturati con trappole improvvisate. Alzano cartelli per i cronisti giunti dopo due ore di marcia forzata: «Siamo qui da un anno». Moltissimi africani. Il Marocco sa che ce ne sono a migliaia anche lungo il confine sud dell’Algeria. Accampati allo stesso modo. Ci sono anche indiani, indonesiani, afgani. Gruppi sempre più folti di siriani. Ognuno con la sua Odissea. L’obiettivo per tutti è il nord Europa. Al sud la crisi ha colpito duro. Niente lavoro, niente soldi. L’importante è il “salto”. Verso una nuova vita.



"L'ipocrisia dell'Europa che continua a respingerli"
La Repubblica, 06-03-2014
OMERO CIAI
"L'assalto dei migranti subsahariani sulle enclave spagnole di Ceuta e Melilla è un problema europeo. Non una questione locale e neppure un problema di ordine pubblico. È all'Europa che manca una politica seria e credibile sull'immigrazione».
Come a Lampedusa, professor Savater?
«Certo, ed è sconcertante che la reazione delle istituzioni europee sia soltanto quella di costringere noi o l'Italia a trattare l'emergenza come una questione di ordine pubblico. Non si può soltanto respingere, chiudere, impedire».
Perché?
«Stiamo parlando di una tragedia umana: coloro che arrivano fino alle barriere di Ceuta e Melilla, e che cercano di saltare, sono persone disperate, che vivono esiliati dall'umanità. Fuggono dalla miseria o da regimi dittatoriali e cercano lavoro, cittadinanza, diritti. Non vengono mica in Spagna, vengono in Europa. Luogo di cui hanno certamente una nozione molto idealizzata ma che è sicuramente molto meglio di quello da cui fuggono. Sono fenomeni che non si contengono con misure di ordine pubblico».
Cosa bisognerebbe fare?
«Fino ad oggi se non sbaglio l'unica relazione dei paesi europei con quelli di provenienza dei migranti è stata quella di garantirsi che li riprendano indietro. Banale politica dei respingimenti. Invece ci vorrebbe una politica europea forte che porti solidarietà in quei paesi, che si occupi di migliorarne l'istruzione, che offra sostengo per creare lavoro».
Invece l'Europa è sempre più xenofoba?
«Basta ricordare il referendum in Svizzera, dove si vuole limitare l'accesso non ai subsahariani ma agli Spagnoli e agli italiani».
È un fenomeno che la preoccupa?
«Vediamo adesso cosa accade con le elezioni europee. Sono sempre di più i movimenti che tendono ad attribuire tutte le responsabilità dei nostri problemi all'immigrazione, all'altro, al diverso da noi. È una conseguenza della crisi ma certo non è questa l'Europa che avevamo immaginato».
In Spagna vivono già migliaia di maghrebini..
«Ed hanno soprattutto creato ricchezza. Lavorano, si sono integrati. Da noi hanno creato famiglie, sono un pilastre dell'economia. Insisto è l'Europa che deve impegnarsi ad affrontare con coerenza il problema, tutto il resto è solo ipocrisia».



irellone, è scontro fra Maroni e i ciellini sulla riduzione dei fondi contro l'aborto
La leghista Cantù aveva annunciato un giro di vite perché nell'ultimo triennio il 75 per cento dei finanziamenti è stato destinato a extracomunitari. Ncd non ci sta. Ma il governatore non transige: "La giunta ha deciso"
la Repubblica.it, 06-03-2014
ANDREA MONTANARI
Non si placa la polemica in Regione Lombardia dopo l’annuncio dell’assessore regionale alla Famiglia, la leghista Maria Cristina Cantù, di voler innalzare da uno a cinque anni di residenza in Lombardia il requisito per poter usufruire dei fondi Nasko e Cresco. Si tratta dei fondi introdotti nel 2010 a sostegno della donne che, pur in difficoltà economiche, non rinunciano a portare a termine la gravidanza. Una novità resa necessaria, secondo l’assessore, dal fatto che nell’ultimo triennio «il 75 per cento dei fondi sono stati presi da extracomunitari».
Il giro di vite dovrebbe essere introdotto da una delibera che la giunta regionale dovrebbe approvare a fine mese, ma la maggioranza si è spaccata. Visto il “no” secco opposto dal consigliere regionale ciellino Stefano Carugo, a nome del Nuovo centrodestra. Il presidente Roberto Maroni fa quadrato intorno al suo assessore. «Cantù — ha spiegato il governatore — ha parlato a nome della giunta e quindi quello che ha detto lo ha deciso la giunta». Anche il fuoco di sbarramento di Ncd non lo turba: «Non è un problema che ci siano critiche, ci mancherebbe, ma noi abbiamo le idee chiare e stiamo facendo quello per cui siamo stai eletti».
Poche ore dopo, però, l’assessore regionale alle Attività produttive, Mario Melazzini, unico esponente ciellino nella giunta Maroni, in rappresentanza dell’Ncd, sembra prendere le distanze dal governatore. «Sui fondi Nasko non è stata presa ancora alcuna decisione — chiarisce in una criptica nota dove difende i contributi — I criteri di assegnazione non sono cambiati. È stata decretata l’istituzione di un gruppo di lavoro che ha il compito di definire i criteri per la stabilizzazione delle iniziative Nasko e Cresco entro il 31 marzo. Il Nuovo centrodestra è disponibile al confronto ex ante, mai ex post, su un tema che crede di fondamentale importanza».
La Lega, però, insiste. «Basta discriminare le donne lombarde — rilancia Fabrizio Cecchetti — Il problema emerso non è solamente relativo al fatto che il 75 per cento dei contributi stanziati è andato a sostenere domande di cittadine extracomunitarie. L’analisi dei dati evidenzia uno squilibrio a dir poco anomalo dell’erogazione della misura, dove emerge che poche strutture fagocitano quasi la metà dei contributi».
L’uscita di Maroni a un mese dall’appello del cardinale Angelo Scola a favore degli immigrati (durante in visita al consiglio regionale al quale il governatore aveva risposto: «Non lasceremo indietro nessuno») fa insorgere nuovamente il Pd. «Si deve andare oltre la logica dei fondi Nasko e Cresco per puntare di più al sostegno della maternità consapevole — affermano i consiglieri regionali pd Sara Valmaggi e Carlo Borghetti —  Spiace tuttavia constatare che l’ideologia leghista dei servizi da riservare
solo ai residenti in Lombardia da molti anni, venga utilizzata per tagliare servizi alle mamme e ai bambini». Contro il giro di vite della Regione, oltre all’Ncd, si è già espresso anche il movimento Cinque stelle. Favorevole, invece, il gruppo di Fratelli d’Italia.



Rientri col cedolino anche dal Pakistan. La Farnesina: "Situazione sbloccata"
Gli immigrati che attendono il rinnovo del permesso possono viaggiare tra l’Italia e il loro Paese. Nei giorni scorsi venivano bloccati agli aeroporti. Il ministero degli Esteri: "Disguido nato da una comunicazione sbagliata dell’ambasciata tedesca"
stranierinitalia.it, 06-03-2014
Elvio Pasca
Roma – 6 marzo 2014 - Chi attende il rinnovo del permesso di soggiorno può viaggiare tra l’Italia e il suo Paese. Il viaggio non deve prevedere scali in altri Paesi Schengen e bisogna portare con sé, oltre al passaporto, il permesso scaduto e la ricevuta della domanda di rinnovo, il cosiddetto “cedolino”.
Nelle scorse settimane, in Pakistan, questa regola era saltata. Centinaia di immigrati con il permesso in fase di rinnovo erano stati fermati in aeroporto mentre cercavano di rientrare in Italia: il cedolino, spiegava loro la polizia, non è più valido per attraversare la frontiera. Dovevano quindi rivolgersi quindi al consolato italiano a Islamabad per il rilascio di un visto di reingresso.  
La comunità pakistana in Italia aveva lanciato l’allarme e chiesto l’intervento della sua ambasciatrice, anche perché, nell’attesa del visto di reingresso, le persone bloccate in patria rischiavano di perdere il posto di lavoro in Italia. Intanto, la nostra cancelleria consolare a Islamabad confermava il blocco delle “partenze col cedolino”, addebitandolo a una fantomatica modifica dello "Schengen Border Code".
Quella modifica non c’è mai stata. Per chi attende il rinnovo del permesso di soggiorno non è cambiato nulla e da qualche giorno anche in Pakistan la situazione si è sbloccata. Ce lo ha confermato il Centro Visti del ministero degli Affari Esteri, spiegando che, a quanto pare, il problema è nato da un messaggio inviato alle compagnie aeree in Pakistan  dall’Ambasciata tedesca ad Islamabad. “Non sappiamo come mai abbia dato tali indicazioni, del tutto erronee” dicono i nostri diplomatici.
“La nostra Ambasciata – assicura la Farnesina - ha chiarito il disguido con le autorità aeroportuali e con il Ministero degli Affari Esteri  pakistano, chiarendo nuovamente che i cittadini pakistani in possesso della ricevuta dell’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno in Italia, e che si recano in Pakistan in pendenza del procedimento di rinnovo, possono ritornare esibendo la ricevuta del permesso di soggiorno richiesto, a condizione che si tratti di volo diretto, e comunque senza coinvolgere scali di altri Paesi Schengen”.
I pakistani in Italia, quindi, viaggino tranquilli. E tante scuse a chi è rimasto ingiustamente bloccato in patria per “un disguido”.



Fondo Europeo per l'Integrazione. Un milione per progetti di Capacity Building
Soldi alle Prefetture, anche per migliorare i servizi agli stranieri e formare personale di Sportelli Unici e Questure. I progetti dovranno essere presentati via web tra oggi e il 15 aprile prossimo
stranieriinitalia.it,
Roma - 6 marzo 2014 - Il ministero dell'Interno, autorità responsabile del Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi, ha invitato le Prefetture a presentare proposte progettuali a valere sull’azione 9 'Capacity building' del Programma Annuale 2013.
In particolare, i progetti presentati dovranno essere destinati a:
 -  promuovere il miglioramento dei livelli di gestione ed erogazione dei servizi amministrativi rivolti ai cittadini di Paesi terzi, anche in considerazione delle nuove procedure in vigore, riguardanti la sottoscrizione dell’Accordo di integrazione;
  - attivare e/o rafforzare, attraverso l’azione dei consigli territoriali per l’Immigrazione, reti di governance e coordinamento a livello territoriale tra istituzioni, enti locali e associazioni del terzo settore, ai fini di qualificare l’offerta dei servizi pubblici rivolti ai cittadini di Paesi terzi e migliorare in termini di efficacia ed efficienza l’adempimento delle procedure di carattere amministrativo ad essi rivolte;
 - promuovere l’aggiornamento degli operatori degli Sportelli Unici e delle questure al fine di migliorare la capacità degli uffici pubblici di fornire servizi mirati all’utenza straniera e comunicare in contesti multiculturali;
   - sostenere i processi di partecipazione attiva degli stranieri alla vita pubblica, attivando, laddove possibile, forme di raccordo con le consulte di stranieri presso gli enti locali ed i consiglieri aggiunti.
Le risorse destinate al finanziamento dei progetti ammontano a 1 milione di euro. Le proposte dovranno essere sottoscritte digitalmente e potranno essere presentate esclusivamente mediante il sistema informativo https://www.fondisolid.interno.it a partire dalle ore 12:00 del 6 marzo fino alle ore 16:00 del 15 aprile 2014.



Immigrazione: Cie come ultima frontiera, un film li racconta
Proiezione alla Camera.'Ridurre permanenza e controllo gestione'
Ansa, 06-03-2014
Luciana Borsatti
(ANSAmed)- ROMA - Storie scomode, volti giovani ma già scavati, sbarre alte a formare le pareti di una gabbia, e qualcuno che dice '"questa non è accoglienza, è sofferenza".
Sono gli interni dimenticati dei Cie, Centri di identificazione ed espulsione, in cui le telecamere di Alessio Genevose e Raffaella Cosentino sono entrate per girare il documentario 'EU 013 l'Ultima Frontiera', proiettato  in un incontro pubblico alla Camera.
Girato all'aeroporto di Fiumicino, al porto di Ancona e nei Cie di Roma, Bari e Trapani, il film è il primo a documentare - grazie alla collaborazione del ministero dell'Interno - la vita nei Centri, dove ogni anno circa 8mila persone restano per un periodo che arriva fino a 18 mesi, in detenzione amministrativa.
Immagini inedite che mostrano i retroscena del controllo delle frontiere italiane e la vita quotidiana nei Cie, e raccontano da sole, insieme alle testimonianze dei reclusi, il vuoto dell'attesa, il nulla in cui trascorrono i mesi, l'esasperazione che sfocia in violenza o lo sconforto che degenera in depressione o in tentativi di suicidio. Oppure in clamorosi gesti di protesta, come le bocche cucite al centro romano di Ponte Galeria. "Democrazia e diritti umani sono solo parole", denuncia uno degli irregolari intervistati, "voi avete paura", "ora la guerra è tra ricchi e poveri, tra il nord e il sud". I Cie come ultima frontiera, appunto.
Istituiti come Ctp (Centri di permanenza temporanea e accoglienza) con la legge Turco-Napolitano nel 1998, per ospitarvi gli irregolari per un massimo di 30 giorni, queste strutture hanno successivamente visto un allungamento dei tempi di permanenza, prima a due mesi con la Bossi-Fini e poi fino a 180 giorni, e l'accentuarsi del loro carattere detentivo.
Come strumenti per arginare l'immigrazione clandestina i Cie hanno però "clamorosamente fallito", ha detto Alberto Barbieri, dell'associazione Medici per i diritti umani, perchè "sulle 6 mila persone transitate nel 2013, solo il 45% sono state poi effettivivamente espulse". Quanto ai diritti umani, ha osservato, "si tratta di luoghi congenitamente incapaci di tutelarli - ha aggiunto - pronti ad esplodere come polveriere", e sono anche zone di "extraterritorialità sanitaria", dove anche un parere medico dell'Asl locale può essere disatteso. A finirvi sono ex detenuti, migranti appena sbarcati o altri cui il permesso di soggiorno è scaduto, minori e richiedenti asilo. La durata della permanenza non cambierà l'esito finale della loro vicenda, ma il loro mantenimento nei Cie, secondo le stime riportate dai due autori, è di 55 milioni di euro l'anno.
La stessa Corte dei conti del resto - ricordano i promotori della campagna 'LasciateCientrare' - rilevano una mancanza di trasparenza sui costi e le modalità di assegnazione degli appalti di gestione. "Servono una commissione di inchiesta della Camera sulla gestione dei centri e un decreto urgente per ridurre a due mesi i tempi di permanenza", ha osservato il deputato del Pd Khalid Chaouki, intervenuto alla proiezione con Celeste Costantino (Sel) e Tommaso Currò (M5S). Inoltre - ha proseguito il parlamentare italo-marocchino che nei mesi scorsi si è chiuso nel centro di Lampedusa per ottenerne lo sgombero in tempi brevi - bisogna cercare misure alternative al Cie". Non solo per i richiedenti asilo, ha precisato, ma per esempio anche per chi abbia già familiari in Italia o abbia perso il permesso di soggiorno insieme al lavoro. (ANSAmed).


 

 

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