Respingimenti e diritto internazionale

Respingimenti e diritto internazionale
l'Unità del 26.05.2009
"Siamo in linea totale con le  direttive europee e il diritto internazionale". “In quei barconi, di profughi, non c’è praticamente nessuno…forse uno su dieci” (Silvio Berlusconi). 
Altro che uno su dieci: i dati dello stesso ministero dell’Interno dicono che il titolo di rifugiato è stato riconosciuto al 35% degli oltre 36 mila migranti sbarcati nel 2008. Secondo una ricerca condotta da A Buon Diritto, molti provengono da situazioni di guerra o di guerra civile: sono di origine curda (7,3%), somala (12,3%), palestinese (11,5%) o irachena (8,3%). E poi quei respingimenti sono davvero ''in linea totale” con il diritto internazionale?
La Convenzione sui Rifugiati del 1951, il Protocollo del 1967, la Convenzione sui Diritti Civili e Politici e quella ONU contro la Tortura e, infine, quella Europea sulla Protezione dei Diritti Umani vietano il respingimento di rifugiati alle frontiere e il rinvio verso i confini di territori in cui la loro vita o la loro libertà siano minacciate a motivo della loro razza o religione, della loro cittadinanza o appartenenza a un gruppo sociale o delle loro opinioni politiche (a meno che non costituiscano una minaccia per la collettività, a seguito di una condanna definitiva per un crimine particolarmente grave). L'obbligo di non respingimento si applica, senza vincoli geografici, a tutti gli agenti statali, all’interno e all’esterno del territorio nazionale, per 12 miglia nelle acque territoriali, nelle acque contigue, in mare aperto e nelle acque costiere di paesi terzi. Costituisce respingimento anche il rinvio indiretto verso un paese che potrebbe estradare la persona verso il luogo di temuta persecuzione, non garantendo i criteri base di protezione, l'impegno a esaminare in modo imparziale la domanda di asilo e la capacità/volontà di fornire efficace protezione. “In linea totale”? Ma va’. 
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