Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 marzo 2012

"Anche l'Italia responsable della morte di migranti"
la Repubblica, 30-03-2012
GIAMPAOLO CADALANU
SE I comandanti avessero seguito la legge del mare, se l'Italia avesse fatto il suo dovere, se la Nato non avesse ignorato gli appelli, i 63 migranti morti sulla barca alla deriva nel Mediterraneo nella primavera scorsa si sarebbero salvati. È una prima condanna, sia pure solo politica, il primo risultato dell'indagine aperta dal Consiglio d'Europa e curata dalla parlamentare olandese Tineke Strik. «Queste persone non dovevano morire», dice il documento intitolato Vite perse nel Mediterraneo: chi è responsabile. E la Tineke punta il dito prima di tutto sul nostro Paese, perché è stata la Guardia Costiera italiana a ricevere la prima richiesta d'aiuto, inoltrata il 27 marzo 2011 dal sacerdote eritreo Mussie Zerai, a sua volta contattato dai migranti disperati nel gommone alla deriva. Va aggiunto che a Bruxelles in quei giorni alla guida del comitato militare della Nato era l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, oggi ministro della Difesa del governo Monti: la relazione della Strik non lo sottolinea, ma è evidente che l'ammiraglio non poteva non sapere quello che stava succedendo al largo delle coste libiche.
Dopo nove mesi di inchiesta, il giudizio è severo: «Se i diversi attori fossero intervenuti, si sarebbe potuto mettere in salvo i migranti in molte occasioni. Molto si deve ancora fare per evitare che persone muoiano nel disperato tentativo di raggiungere l'Europa». È vero che le acque del Mediterraneo non sono pietose: l'anno scorso sono morte almeno 1500 persone nel tentativo di raggiungere l'Europa. Ma stavolta, sottolinea la relazione della Strik, il caso è diverso, perché «appare che le richieste di soccorso siano state ignorate da pescherecci, navi militari e da un elicottero militare». Il contatto con quest'uItimo, secondo le testimonianze dei nove sopravvissuti raccolte nella bella inchiesta della Radiotelevisione svizzera Rsi, è stato quasi una beffa: il velivolo militare ha girato a lungo sulla barca, si è allontanato, è tornato solo per lanciare qualche pacchetto di biscotti e poche bottiglie d'acqua.
La condanna a morte per i 63 disperati è dovuta a una serie di " errori" : non solo l'Italia e Malta non hanno dato seguito all'allarme lanciato dal Guardacoste, ma anche «la Nato non ha risposto alla richiesta di soccorso, anche se c'erano navi dell'Alleanza vicino alla zona da dove era stata lanciata la richiesta». In particolare, secondo quanto la Strik è riuscita a ricostruire, c'era una nave spagnola, la "Méndez Núnez", ad appena 11 miglia, (dato discusso dalla marina di Madrid), mentre l'italiana "Comandante Borsini" era a 37 miglia. Non è chiaro a quale nave appartenga l'elicottero che ha portato i pochi rifornimenti: entrambe hanno a bordo un velivolo, ma in nessun caso riporta sulla fiancata la dizione "Army", come raccontato dai superstiti. Le testimonianze dei sopravvissuti vengono considerate «credibili» dalla relatrice dell'inchiesta, anche quando parlano di un'altra nave militare, descritta come «molto grande», che si era avvicinata molto al gommone il decimo giorno, ma senza  fornire nssuna assistenza. I marinai si erano limitati a osservare con i binocoli e fotografare
Di chi sia stata la decisione ultima che ha condannato 63 esseri umani a morire di sete, di fame, o fra le onde, la Strik non lo dice. Il rapporto parla di «fallimento collettivo di Nato, Onu e dei singoli Stati nel pianificare gli effetti le operazioni militari in Libia e nel prepararsi per un atteso esodo via mare». Ma la storia non finisce qui: il documento della Strik sara al centro del dibattito all'assemblea del Consiglio d'Europa, il 24 aprile prossimo. Con la Speranza che le conclusioni non siano: colpa di tutti, quindi di nessuno.



I 63 migranti morti la Ue:"Fu colpa di Italia e Nato"
Il Messaggero, 30-03-2012
BRUXELLES. L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ieri ha accusato l'Italia e la Nato di essere responsabili della morte di 63 migranti che nel marzo dei 2011 avevano cercato di fuggire dalla guerra in Libia su un'imbarcazione, poi rimasta alla deriva per 15 giorni. Secondo un rapporto della Commissione per le migrazioni, i rifugiati e gli sfollati, «una serie di fallimenti» da parte delle autorità italiane, che avrebbero dovuto lanciare le operazioni di ricerca e soccorso in mare, e della Nato, che durante il conflitto libico controllava il settore, è all'origine del mancato salvataggio dei migranti. II barcone aveva lasciato Tripoli con 72 persone a bordo, una settimana dopo l'inizio dei raid aerei Nato, per tentare di raggiungere Lampedusa.



Il soccorso in mare è un obbligo per tutti
la Repubblica, 29-03-2012
Laura Boldrini
72 persone lo scorso marzo sono state lasciate alla deriva per 15 giorni. Eppure in tanti li avevano notati ma nessuno li aveva soccorsi. Come risultato di questa omissione 62 persone sono morte.
Secondo il rapporto presentato oggi all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, frutto di un’inchiesta durata 9 mesi, queste morti sono attribuibili ad una serie mancanze a cominciare da quelle riferibili alle autorità libiche che non hanno rispettato l’impegno di eseguire il soccorso in mare nella zona di loro competenza; ai centri di coordinamento di soccorso in mare di Italia e Malta che non hanno lanciato le operazioni di salvataggio; alla NATO che in quel momento aveva delle unità navali nelle vicinanze e non è intervenuta; agli Stati di appartenenza delle unità navali sotto mandato NATO (Italia e Spagna) ed infine a due pescherecci che avrebbero visto il gommone con i migranti a bordo e non li hanno soccorsi.
Per quanto riguarda questo specifico incidente non sta all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stabilire le responsabilità poichè non è nella posizione di poterlo fare. Va comunque sottolineato che l’obbligo di salvataggio in mare deve essere rispettato da tutti affinché il mar Mediterraneo non diventi una “terra di nessuno” dove vige l’impunità. L’antica tradizione del salvataggio in mare rischia di essere compromessa se gli Stati si dilungano a fare questioni di competenza.
Rimane incredibile e inaccettabile che nel corso dello scorso anno oltre 1.500 persone in fuga dal conflitto in Libia abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo, uno dei mari più pattugliati. Tutto questo dimostra che c’è urgente bisogno di sistemi di ricerca e soccorso più efficaci ed operativi. Nei primi tre mesi del 2012 altre 64 persone non ce l’hanno fatta, un numero che ci auguriamo non sia destinato ad aumentare nel corso dell’anno.



Il 90% dei richiedenti asilo sono clandestini in Europa
Molti di loro rischiando la vita in mare ed è dunque necessario permettere ai rifugiati di raggiungere in sicurezza il territorio Ue. Come? Un rapporto del Consiglio italiano per i rifugiati 1(Cir) assieme a Ong e istituti di ricerca di 10 Paesi europei, traccia le linee guida per aprire canali d'ingresso "protetti e regolari" ai richiedenti asilo: dalle evacuazioni umanitarie ai visti temporanei
la Repubblica, 29-03-2012
VLADIMIRO POLCHI

ROMA - Nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo sono arrivati irregolarmente in Europa. Molti di loro rischiando la vita in mare. Per questo è necessario permettere ai rifugiati di raggiungere in sicurezza il territorio Ue. Come? Un rapporto, realizzato dal Consiglio italiano per i rifugiati 2(Cir) assieme a Ong e istituti di ricerca di 10 Paesi europei, traccia le linee guida per aprire canali d'ingresso "protetti e regolari" ai richiedenti asilo: dalle evacuazioni umanitarie ai visti temporanei.
"Fermare le morti in mare". Secondo le stime di Fortress Europe 3, dal 1998 all'agosto 2011, 17.738 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l'Europa. Solo nel corso del 2011, circa 2000 tra uomini, donne e bambini hanno perso la vita nello Stretto di Sicilia: il 5% di tutti coloro che hanno tentato di raggiungere l'Europa dalla Libia. Chi sono le persone che muoiono nel Mediterraneo? "Molti sono rifugiati - spiega il Cir - che non hanno altra alternativa che tentare il pericoloso viaggio del mare per ottenere la protezione di cui hanno bisogno. Bisogna infatti sapere che la possibilità di richiedere asilo nell'Unione europea dipende dalla presenza fisica della persona nel territorio di uno Stato membro. Ma le misure introdotte nell'ambito del regime dei visti e delle frontiere dell'Ue hanno reso praticamente impossibile per quasi tutti i richiedenti asilo e rifugiati raggiungere i territori dell'Ue
in modo legale".
Visti di protezione e ingressi protetti. Il rapporto del Cir propone dunque che vengano introdotte misure per permettere alle persone bisognose di protezione internazionale di raggiungere i territori dell'Ue in modo sicuro. Tra queste, si raccomanda di introdurre la possibilità di emettere visti di protezione, che consentano di viaggiare per un massimo di tre mesi in ogni Stato Schengen e fare qui richiesta di asilo. E ancora: la Commissione europea dovrebbe proporre una direttiva sulle "procedure di ingresso protetto" da introdurre in tutti gli Stati membri. Tali procedure consentono al potenziale rifugiato di entrare in contatto con un Paese di accoglienza, presentando la richiesta di protezione internazionale presso le rappresentanze consolari all'estero.
L'appello del Cir. "L'Italia e l'Europa hanno l'obbligo, non solo morale, di dare protezione ai rifugiati  -  dichiara Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati  -  ma che significa protezione se le persone non riescono ad arrivare in Europa, se continuano a morire nei Paesi di origine, di transito o in mare? Delle soluzioni esistono, dalle evacuazioni umanitarie ai visti temporanei al reinsediamento, misure che possono evitare che le persone che sono in situazioni di pericolo si mettano su dei barconi rischiando la loro vita o che rimangano intrappolati in Paesi da cui non possono uscire".
Il Centro Astalli. Sulla stessa linea il centro Astalli: "Mentre in Italia attendiamo ancora una legge organica in materia di asilo - scrive Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli nel presentare il rapporto 2012 dell'associazione - l'Unione Europea è chiamata ad affrontare con coraggio le nuove sfide, come ad esempio l'eccessiva difficoltà e pericolosità dei viaggi con cui i rifugiati cercano di raggiungere l'Europa: immaginare la possibilità di chiedere protezione internazionale anche fuori dai confini potrebbe restituire concretezza a un diritto troppo spesso minato da respingimenti o tragici naufragi".



IO, STRANIERO PER CASO, SBARCATO NEL PAESE CON LA «ELLE» DAVANTI
iL vENERDI DI REPUBBLICA, 30-03-2012
Ascanio Celestini
Viaggio verso la città di L. Nell'aeroporto di G mi aspetta una signorina con un colore di capelli che non è riproducibile da nessuna tinta sintetica o naturale. Qui ce li hanno tutti cosi. Lei viene da L e parla la lingua della sua città. Io parlo quella della mia, che sta molti chilometri più a sud. Cerchiamo di capirci con una via di mezzo linguistica che entrambi parliamo smozzicata. Tiene in mano un cartello col nome del teatro che sta mettendo in scena un mio testo. Mi presento. Si presenta e nella lingua smozzicata che cerchiamo di parlare dice «tu sei l'autore?».
Annuisco. Poi si monta in macchina e si parte verso L, che ogni tanto compare scritta lungo la strada. Un minuto dopo l'altro si avvicina, mentre attraversiamo la campagna a ridosso delle montagne piene di neve. Le case sono diverse. Nella mia città non le fanno cosi.
A un certo punto lei prova ad iniziare un discorso. «Nel tuo paese reciti o sei solo l'autore?» smozzica. La domanda è semplice e annuisco smozzicando qualcosa. «E che teatro fai?». Questa invece è complicata. Non saprei rispondere correttamente manco in italiano. Allora smozzico pezzi di lingue straniere, gesticolo, cerco di fare esempi, ma lei scuote la testa. Fine del discorso. E mancano ancora trenta chilometri a L. Mi lascia in albergo con un numero di telefono scritto su un pezzo di carta, «se hai bisogno» dice. «Grazie» rispondo in un paio di lingue, non perché io sia poliglotta, ma per cercare di essere gentile.
La stanza affaccia sul lago. Gli abitanti di L ci vanno a passeggio parlando tra loro una lingua senza smozzicature. Con quella lingua sanno chiedere gentilmente e imporsi con violenza, si amano e si arrabbiano, pregano e bestemmiano. Senza una lingua da condividere sei come il padrone di un transatlantico sulla cima di una montagna. Vale miliardi, ma lontano dal mare è solo un impiccio. Lo scambieresti volentieri con un trattore. Mi chiudo nella stanza col caffè solubile fino a domani mattina. Fino a quando mi tornano a prendere per portarmi in un teatro dove capisco e mi faccio capire.
Allora penso a quelli che sbarcano su un'isola che sta sotto la Sicilia. Anche quella c'ha un nome che inizia con L pure se si trova a molti chilometri a sud dove la gente c'ha i capelli di un altro colore anche quando se li tinge dal parrucchiere. Pure li ci arrivano smozzicando una lingua, ma pochi si sforzano di smozzicare con loro. Nessuno li chiama «autori» perché sono comparse

  

Giovani tirano il velo a donna musulmana "In Italia non si porta, vai nel tuo paese"
Monterotondo, un gruppo di ragazzi ha insultato e percosso due donne tunisine, una delle quali vive in Italia da vent'anni. L'episodio di intolleranza religiosa e razziale è avvenuto alle porte di Roma. "La lite è degenerata in insulti e spinte" ha confermato il comandante dei carabinieri di Monterotondo, che ha seguito l'intera vicenda. Le donne ora chiedono giustizia
la Repubblica, 30-03-2012
PAOLA MENTUCCIA
"In Italia questo non deve succedere". Il suo velo da araba strattonato da un gruppo di bulli che le urlavano: "Levatelo, qui in Italia non lo devi portare, vattene nel tuo paese". E ancora: "Kamikaze, bombardati!". E' accaduto mercoledì scorso a Neila, una donna tunisina di religione musulmana, che ha denunciato tutto e ora racconta come è stata aggredita, prima a parole poi con calci e spinte, da un gruppo di ragazzi nel centro di Monterotondo, vicino Roma. "Un'aggressione razziale e religiosa" l'ha definita sua sorella Nadia, residente da vent'anni nella cittadina e presente al momento dell'accaduto. Tutto denunciato ai carabinieri di Monterotondo, col comandante che conferma: "Ci sono stati anche insulti e spinte".
Secondo la denuncia di Neila, nel pomeriggio di mercoledì scorso, le due donne prendevano un caffè in un bar, quando un gruppo di giovani seduti poco distanti hanno iniziato ad insultarle. "In Italia non puoi portare il velo, vai al paese tuo, kamikaze, fatti saltare in aria", le hanno detto.
Una coppia di italiani si è rivolta ai giovani rimproverandoli ma, quando Nadia si è avvicinata chiedendo loro il motivo di tali insulti, i ragazzi hanno aggredito le donne, spintonando e alzando le mani soprattutto su Neila. Gli altri intorno, decine i testimoni, si sono girati dall'altra parte o hanno dato man forte ai bulli. "Io abito a Monterotondo da tanto tempo, ho quattro figli che sono nati qui e sono perfettamente integrati e non mi è mai capitata una cosa del genere  -  ha raccontato Nadia  -  tutto questo è accaduto solo perché mia sorella portava il velo, come se non avesse il diritto di professare la propria religione".
Soccorse da vigili e carabinieri, le donne sono state portate al pronto soccorso locale dove Neila è stata ricoverata e tenuta sotto osservazione per 24 ore. Dimessa dall'ospedale, ha denunciato tutto alle forze dell'ordine e ora la vicenda è al vaglio della procura di Tivoli. 
"Abbiamo denunciato atti contro i culti ammessi dallo Stato all'autorità giudiziaria  -  ha spiegato il comandante della compagnia dei carabinieri di Monterotondo, Domenico Martinelli  - il reato è di lesioni e non di rissa". Secondo il comandante si è trattato prima di una "lite tra cittadini e non di un'aggressione", lite poi "degenerata in insulti di natura religiosa e razziale e in spinte". Un ventisettenne coinvolto nella vicenda è già stato identificato, fa sapere Martinelli.
Arrivata da poco in Italia come ospite della sorella, Naila aveva già vissuto un episodio di rifiuto per la propria credenza religiosa: "Avevo trovato un'occupazione come sarta  -  ha raccontato - Mi hanno detto che ero bravissima ma che per lavorare avrei dovuto togliere il velo". 
 
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