Quando razzista è il farmaco: e se poi l’iperteso è «meticcio»?

Italia-razzismo  Osservatorio
Mauro Valeri

L’altro giorno, un mio amico figlio di madre etiope e padre italiano, mi ha telefonato piuttosto preoccupato. A causa di un’ipertensione arteriosa il medico gli aveva prescritto un determinato farmaco.

L’ha comprato e ha letto il foglietto illustrativo. Ad un certo punto della lettura, si è trovato di fronte la seguente frase: «In particolare, essi sono risultati meno favorevoli nelle donne e nei soggetti non di razza bianca». E più avanti: «Sono apparentemente meno efficaci nel diminuire la pressione arteriosa nei pazienti neri rispetto a quelli non neri, probabilmente a causa di una più alta prevalenza di condizioni a bassa renina nella popolazione ipertesa di razza nera». La presunta appartenenza razziale era ripetuta in altri passaggi. Allora il mio amico mi ha chiesto: «E io di che razza sono?». Una domanda che potrei pormi anch’io, nonostante i miei genitori siano entrambi bianchi. L’impressione è che la “razza”, cacciata dalla porta della scienza, stia rientrando dalla finestra. Accade, per esempio, nelle assicurazioni mediche che, affidandosi a grossolane statistiche razziali, offrono i loro pacchetti assicurativi a seconda della presunta “razza” dei clienti. Nel 2001 l’organismo di controllo federale degli Usa su alimentazione e farmaci, aveva finanziato gli studi su un “farmaco etnico”, il BiDil. «Etnico» perché, secondo quella ricerca, sarebbe particolarmente indicato per la popolazione nera più soggetta a insufficienza epatica, ipertrofia cardiaca e diabete. Così dal 2004 il BiDIl è in vendita, con l’indicazione di essere particolarmente (se non esclusivamente) utile per neri con problemi di cuore. Ma come la mettiamo con i «meticci»?
l'Unità 26-03-2011

 

 

Manifesto Antirazzista 2008

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