Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

15 aprile 2010

EMERGENZA
Sbarchi dalla Libia, 90 per cento in meno
Ma l'Acnur ribadisce: «Rifugiati tra i respinti
Avvenire, 15-04-2010
DA ROMA LUCA LIVERANI

L'accordo tra Italia e Libia «sta funzionando». A un anno dai discussi respingimenti sulle coste libiche di alcune "carrette del mare", alla direzione della Polizia di Frontiera del ministero dell'Interno assicurano che il flusso è agli sgoccioli: gli arrivi via mare sono crollati dai 34mila del 2008 ai circa 3mila dell'anno scorso. E il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in audizione al Comitato Schengen, fornisce gli ultimi aggiornamenti: 170 clandestini nei primi tre mesi del 2010, contro i 4.573 dello stesso periodo del 2009, comprensivo delle partenze da altri Paesi come la Tunisia. Così, mentre ieri Tripoli puntualizzava che «in Libia non ci sono rifugiati ma clandestini», l'Alto commissariato Onu per i rifugiati ribadisce tutte le sue preoccupazioni: «In Africa ci sono 10 milioni e mezzo tra sfollati, rifugiati e rimpatriati. E la Libia, che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, rischia di trasformarsi in un cui de sac per troppi disperati».
«L'accordo con la Libia sta funzionando», ripete il prefetto Rodolfo Ronconi, direttore della Polizia di frontiera. «Parlo come tecnico - precisa il prefetto - e registro che in Italia dalle coste libiche nel 2008 erano arrivati circa 34mila clandestini, che nel 2009 si sono ridotti a poco più di 3mila, con un calo di più del 90%». Contemporaneamente sul terreno «la polizia libica sta colpendo le organizzazioni criminali: la settimana scorsa è stato fermato un gruppo in partenza e sono stati arrestati 7 trafficanti, 4 libici e 3 somali». Restano però ancora, come denuncia Alto commissariato Onu per i rifugiati, molti dubbi
sul rispetto dei diritti umani dei migranti in Libia. Preoccupazione a cui aveva dato voce il segretario del Pontificio consiglio per i Migranti, l'arcivescovo Agostino Marchetto, che venerdì scorso aveva detto che «nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di trattamento degradante o disumano». Parole che solo ieri hanno provocato la reazione del ministero degli esteri di Tripoli che in una nota ha precisato che «in Libia non ci sono rifugiati ma immigrati clandestini e illegali, tenuti in centri di accoglienza per un periodo determinato, in attesa che gli accordi di provenienza li rimpatrino». Non la pensa così Laura Boldrini, portavoce italiano dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati: «Come Unchr siamo presenti in Libia, ma non abbiamo un riconoscimento formale delle autorità locali. Cosa che ha ricadute pesanti sull'assolvimento del nostro mandato. Non abbiamo accesso a tutti i centri di detenzione dove sono i rifugiati. Anche solo per avere il visto di ingresso nel Paese i nostri operatori devono affrontare lunghe attese. I richiedenti asilo ci sono e sono molti: non hanno accesso a forme di protezione, affrontano lunghe detenzioni, se sono liberi non hanno alcun sostegno all'integrazione». Il problema di fondo, dice Boldrini, «è che le autorità non riconoscono l'esistenza del problema, manca un quadro legislativo nazionale e non viene riconosciuta la Convenzione di Ginevra. È questo l'aspetto preoccupante, che vanifica la nostra disponibilità a collaborare col governo libico». Allora in Libia i rifugiati ci sono? «Lo dicono i fatti. Nel 2008 il 75% dei richiedenti asilo erano arrivati via mare. E l'Italia ha riconosciuto al 50% dei richiedenti una forma di protezione. O s'è sbagliata, oppure tra chi arriva dalla Libia ci sono molti uomini e donne in fuga da guerre o regimi». Ma il direttore della Polizia di frontiera difende la scelta del governo: «Quei rinvìi - dice Ronconi - sono stati un forte deterrente: l'immigrato che vuole entrare illegalmente in Italia deve trovare più conveniente entrare regolarmente. Sono stati rinvìi eseguiti a norma del protocollo aggiuntivo della Convenzione di Palermo del 2000 sulla lotta alla criminalità. L'unità italiana, se intercetta una nave sospetta priva di bandiera, informa la direzione centrale che accertata la provenienza interpella il paese dell' imbarcazione. Se arriva l'ok, li rinviamo. Nessun Paese si riprende una nave se non è certa che sia partita dalle sue coste. Se c'è un cittadino di un altro Paese, ce lo rimanda».
Ronconi nega che sulle carrette ci siano potenziali rifugiati: «Il nostro personale sulle navi è pronto a raccogliere queste richieste. Se ci fossero. Chi è tornato in Libia, ha raccontato alle ong che era un tentativo di emigrazione economica». La mancata sottoscrizione da parte della Libia della Convenzione di Ginevra sui rifugiati secondo il prefetto non crea rischi per i migranti perché la Libia presiede l'Unione africana che ha una Convenzione sui rifugiati. «E poi presiede la Commissione Onu per i diritti umani». Un'elezione a maggioranza - 33 sì, 3 no e 17 astenuti - che nel 2003 sollevò molte polemiche.









SE IL CLANDESTINO NON SBARCA PIÙ

il Giornale, 15-04-2010
di Vittorio Feltri

Roberto Maroni, ministro leghista dell'Interno, dopo tanti spuli in faccia si è preso una bella soddisfazione. I numeri dimostrano che sui cosiddetti respingimenti aveva ragione lui: lo sbarco dei clandestini è diminuito del 96 per cento. E scusate se è poco. Il dato si riferisce al periodo dal 1° gennaio al 4 aprile 2010 e, se confrontato a quello dello stesso trimestre dello scorso anno, fa impressione. Ecco il dettaglio: 170 stranieri sbarcati contro 4.573. E il calo, conviene ripetere, riguarda soltanto tre mesi. Avanti di questo passo, il 31 dicembre prossimo avremo sotto gli occhi cifre talmente vistose da far gridare al miracolo. Ma non si dovrà parlare di miracolo, bensì di applicazione del buon senso alla soluzione di un problema che mai nessuno era riuscito neppure ad affrontare.
Certamente, si sarebbe potuto provvedere con qualche lustro d'anticipo, ma quando manca la volontà politica, si sa, non si combina niente. Se pensiamo alla guerra che è stata fatta al governo per impedirgli di realizzare il piano contenimento immigrazione  via mare, dobbiamo rendere merito a chi più di tutti si è impegnato a tener duro: anzitutto Maroni, che ha dovuto sopportare attacchi anche personali pesanti e volgari, e Berlusconi, deriso e insultato perché sceso a patti con Gheddafi allo scopo di ottenere la collaborazione libica per vietare la navigazione alle carrette galleggianti cariche di poveracci.
È importante non dimenticare la campagna organizzata dalla sinistra contro Viminale e Palazzo Chigi tacciati di razzismo e di crudeltà, trascinati perfino dinanzi ai «giudici» europei con la grave imputazione di voler compiere un genocidio. Alle polemiche furibonde dei giorni precedenti e seguenti l'approvazione della legge contribuirono parecchi uomini di chiesa che reclamavano l'obbligo di ospitare i «bisognosi» a qualsiasi costo. Sembrava fossimo alla vigilia di uno sterminio decretato da un governo di spietati aguzzini. E adesso che i risultati sono lì a dimostrare non solo l'efficacia delle norme contestate stupidamente, ma anche il fatto, non secondario, che grazie ad esse non si sono più registrati affondamenti di barche e relative ecatombi, vedrete, i profeti di sventura non riconosceranno nemmeno di avere esagerato; figuriamoci se ammetteranno l'errore, dando atto al centrodestra di essere stato lungimirante.
Di già che siamo in tema, rammentiamo un altro caso che sollevò un polverone: le ronde caldeggiate dalla Lega Nord. I soliti progressisti retrogradi (ossimoro indispensabile per definire certa gente) ipotizzarono che l'Italia sarebbe stata percorsa da squadroni della morte pronti a massacrare di botte migliaia di extra-comunitari. Noi osservammo, invece, che al massimo le ronde si sarebbero rivelate inutili, ammesso e non concesso esistessero dei volontari disposti a trascorrere nottate per strada anziché all'osteria col conforto di un mezzolitro.
Cos'e in pratica? Essattamente ciò che avevamo preconizzato: nulla. I temuti manipoli  di Bossi non si vedono nè si segnalano spedizioni punitive: forse all'olio di ricino gli squadristi hanno preferito il Valpolicella, da bersi in compagnia.










IMMIGRAZIONE
Maroni: presto 4 nuovi Cie per avere mille posti in più

il Sole, 15-04-2010

«Puntiamo ad aprire nuovi Cie per aumentare di mille posti la capienza» dei centri per l'identificazione ed espulsione degli immigrati. Lo ha detto ieri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso di un'audizione in parlamento al comitato Schengen. «Abbiamo già individuato - ha spiegato Maroni - alcuni siti potenzialmente idonei, strutture del demanio vicino ad aeroporti, da aprire nelle regioni ancora privi di Cie, come Veneto, Toscana, Marche, Campania. Discuterò di queste proposte con i nuovi governatori».
Il responsabile del Viminale ha poi sottolineato che dal primo gennaio al 4 aprile di quest'anno sono arrivati in Italia 170 clandestini, contro i 4.573 dello stesso periodo del 2009, con un calo di oltre il 96 per cento. Maroni ha poi ribadito le sue critiche alla Europa: «La Ue - ha osservato -non ha accettato la suddivisione delle responsabilità per quanto riguarda i richiedenti asilo. Ma se l'Unione è davvero tale è giusto che siano tutti i membri a farsi carico di questo peso, non solo i paesi di frontiera». Il ministro, infine, ha escluso l'arrivo di un nuovo decreto flussi «stante la situazione di crisi economica e la perdita di posti di lavoro».










la firma a roma
Immigrati nei campi, ok a flussi
Corriere del Mezzogiorno, 15-04-2010
Rossana Lampugnani
Pomodoro e uva le coltivazioni pugliesi che se ne avvantaggeranno. Decreto per 80mila lavoratori

ROMA— Ok al decreto flussi. Firmato ieri, riguarda 80mila lavoratori stranieri stagionali. Lo ha annunciato il ministro al Welfare Maurizio Sacconi. Soddisfazione è stata espressa da tutti, parlamentari e associazioni di categoria, anche se non è mancata la preoccupazione per il ritardo con cui è arrivato il provvedimento.

Perché, per diventare esecutivo, ha bisogno di un ulteriore iter, quantificato dalla senatrice foggiana del Pd Colomba Mongiello in sessanta giorni. Il ministro ha accompagnato la notizia con un riferimento al collega dell’Interno che martedì aveva escluso un nuovo decreto flussi, in considerazione della situazione del mercato del lavoro italiano. Ha detto, quindi, Sacconi: «Fermiamo gli ingressi di stranieri per il lavoro subordinato, ma su quello stagionale io e Roberto Maroni siamo d’accordo».

Coldiretti, commentando positivamente il decreto, ricorda che «c’è molta attesa nelle aziende agricole per l’arrivo dei lavoratori stagionali, da cui dipende il 10% dei raccolti delle campagne italiane, dove stanno per iniziare i lavori di preparazione primaverili». Agricoltura, edilizia, turismo: sono i settori in cui è maggiormente impiegata manodopera straniera, senza della quale si avrebbe un collasso. Le produzioni del Made in Italy — continuano dal’associazione degli agricoltori— dipendono dai lavoratori stagionali: pomodoro e uva in Puglia, mele in Trentino Alto Adige, frutta in Emilia Romagna, barbatelle in Friuli Venezia Giulia, fragole nel Veronese, uva in Piemonte, mentre in Lombardia sono indiani gli stranieri che svolgono l’attività di bergamini, cioè coloro che si occupano dei bovini, mentre i pastori sono prevalentemente albanesi. Sono 30mila le aziende che occupano manodopera straniera — dicono i dati di Coldiretti — e secondo l’Inps sono 90.091 i rapporti di lavoro in agricoltura identificati come extracomunitari, provenienti prevalentemente da Albania, India, Marocco, Tunisia, Macedonia, una comunità che rappresenta il 10% del totale di coloro che lavorano in Italia.

Ma perché possano entrare in produzione — ricorda Mongiello— c’è bisogno di espletare alcuni passaggi burocratici, come l’ottenimento dei visti dai consolati dei Paesi di provenienza e del via libera delle prefetture in ciascuna Provincia. Insomma, ci vogliono ancora delle settimane, «tempi lunghi che, cumulati a un imperdonabile ritardo— le associazioni di categoria e gli esponenti Pd da mesi sollecitavano il decreto— possono essere fatali per un settore, quello agricolo, che deve necessariamente rispettare i cicli della stagionatura delle produzioni».









Sbarcati in salento 44 irregolari

Corriere del Mezzogiorno, 15-04-2010
Gli immigrati sono stati subito soccorsi
Sono afgani curdi e iraniani, tra loro anche 8 bambini
Stremati, sono stati sfamati dai ristoratori del luogo

LECCE - Due gruppi formati complessivamente da 44 immigrati, tra cui otto bambini, cittadini di nazionalità afgana, curda e iraniana che, secondo gli investigatori, sarebbero arrivati in Italia nelle ultime ore, sono stati bloccati a Lecce e in provincia dagli agenti della Questura. Sebbene visibilmente stanchi, appaiono tutti in buone condizioni fisiche. In particolare stamattina un gruppo di 23 persone è stato rintracciato nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Lecce. L’altro gruppo, di 21 persone, sarebbe giunto ieri sera a bordo di un gommone nella rada di Porto Selvaggio dove sarebbe sbarcato, ed è stato sorpreso mentre percorreva a piedi la strada che collega Santa Caterina a Nardò.

A scoprire questi ultimi immigrati sono stati gli agenti del commissariato di Nardò avvertiti dalla telefonata di un cittadino. Provati per la traversata e affamati, i clandestini sono stati condotti negli uffici di polizia e successivamente trasferiti in un albergo della marina di Santa Maria al Bagno, dove hanno trascorso la notte, dopo essere stati rifocillati, grazie alla solidarietà, a quanto riferiscono le forze dell’ordine, dei ristoratori del luogo.









Cronaca
Immigrati/ Maroni: su clandestini e rifugiati Ue deve fare di più
Da inizio anno sbarcati solo 170 clandestini

Roma, 14 apr. (Apcom) - "Abbiamo chiesto all'Unione europea di fare di più. Qualche passo avanti è stato fatto ma bisogna fare di più". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nell'audizione davanti al Comitato Schengen parlando di contrasto all'immigrazione clandestina.

Il ministro, in particolare, non ha nascosto la delusione per il mancato accoglimento della proposta italiani di estendere il principio di solidarietà tra tutti i Paesi Ue per la gestione dei rifugiati che, ha sottolineato Maroni, sono "circa 100 mila".

Sul bilancio della collaborazione siglato con la Libia che prevede una cooperazione nella lotta all'immigrazione clandestina, Maroni ha sottolineato che i clandestini riportati in Libia con le cosiddette operazioni di respingimento "sono stati solo 834 e nel 2010 non c'è stat alcuna operazione di riconsegna".

Dal 5 maggio 2009 a fine anno, ha detto Maroni, sono sbarcati 3.185 immigrati clandestini sulel coste italiane a fronte dei 31.281 dello stesso periodo dell'anno precedente con una diminuzione del 90%.

Al 4 aprile di quest'anno, ha proseguito il titolare del Viminale, gli immigrati clandestini arrivati via mare sono stati 170, contro i 4.573 dello stesso periodo del 2009.

Nel 2009 sono diminuiti gli sbarchi (183) e gli scafisti arrestati (33, rispetto ai 77 del 2008 quando si sono registrati 665 sbarchi).









Scontri per i 9 clandestini del cargo
Tensione in via Ferraris tra un gruppo di manifestanti e gli agenti
La "Vera D" lascia il porto nel pomeriggio e gli immigrati vengono inviati al centro di identificazione di Brindisi, primo passo per l'espulsione
la Republica Napoli, 15-04-2010
di CRISTINA ZAGARIA

I nove africani della "Vera D" vengono spediti al centro di identificazione di Brindisi e la Rete antirazzismo insorge. È scontro con la polizia, in strada. Cinquanta manifestanti che da giorni si battono in difesa dei nove africani bloccati da una settimana al porto, ieri sera, alle 21, si schierano davanti all'uscita dell'ufficio Immigrazione di via Galileo Ferraris. Un cordone umano e pacifico per impedire al blindato di uscire, al grido di "Siamo tutti clandestini".

Gli agenti in assetto anti sommossa si fanno largo, utilizzando i manganelli, per fare breccia nel cordone che impedisce l'uscita del mezzo con a bordo i nove clandestini. Altri manifestanti, tra cui il padre comboniano Alex Zanotelli, vengono sollevati di peso o spostati con la forza. Il furgone con i nove cittadini africani a bordo così riesce a passare e a raggiungere l'accesso alla vicina autostrada.
Ecco l'epilogo di una odissea di sette giorni e di 24 ore incandescenti. Gli attivisti della Rete Antirazzista e della Cgil martedì notte riescono a salire sulla nave e a fare parlare i nove africani (arrivati al porto il 7 aprile) con i loro avvocati, ottenendo così l'avvio della pratica per la richiesta d'asilo. La notte passa con il molo 21 presidiato dagli attivisti. Ieri mattina la situazione sembra sbloccarsi.

I nove extracomunitari scendono dal cargo battente bandiera liberiana, alle 13, e vengono accompagnati nell'ufficio Immigrazione della Questura per le procedure di identificazione.
"Per la prima volta i clandestini sono stati fatti scendere a terra e hanno avuto l'occasione di chiedere asilo - spiega Emanuele Fernicola, responsabile del settore marittimi e portuali della Filt Cgil - In genere la nave è costretta a vagare tra i porti, finché un paese non accetta di ospitare i profughi, con grandi perdite e economiche e rischi umanitari. È stata una battaglia importante, un precedente unico nella storia del diritto della navigazione".

Alle quattro del pomeriggio, sotto un cielo che minaccia pioggia, la "Vera D" lascia il molo 21 del porto. È finalmente diretta a Genova. Parte con il suo carico, con i containers, ma senza i nove immigrati africani. Le merci vanno. Gli uomini restano. Ed è il primo caso in Italia. Anche se come tutta questa storia, anche la conclusione è intricata. Infatti la partenza della nave senza i nove africani a bordo è una vittoria della Cgil, della Rete antirazzista e di chi per una settimana non ha mai lasciato il molo 21, presidiando e lottando. Ma se il cargo lascia la banchina, sbloccando il porto, i nove immigrati (per la Questura tutti maggiorenni), non rimangono a Napoli. E qui scatta la nuova battaglia e si arriva allo scontro, dopo una giornata di trattative. A far esplodere la scintilla la decisione del ministero degli Interni di non lasciare i nove africani a Napoli come aveva sperato tutto il movimento antirazzista e come ha chiesto con forza per tutta la giornata l'assessore alle Politiche sociali Giulio Riccio, che in giornata ottiene anche l'ok dal Servizio Centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Ieri pomeriggio interviene anche Rosa Russo Iervolino, per tentare di tenere a Napoli i nove immigrati della "Vera D", ma la lunghissima trattativa con il ministero degli Interni, si conclude con un nulla di fatto.
"C'erano tre possibilità: li potevano lasciare a Napoli, visto che il Comune si era offerto di prendersene carico; mandarli al centro per i rifugiati di Crotone o spedirli al Cie di Brindisi - spiega Jamal Qaddorah rappresentante per gli immigrati della Cgil - La Questura ha deciso di mandarli a Brindisi. Ha prevalso la linea più dura: il primo passo verso l'espulsione".

Il segretario generale della Camera del lavoro, Giuseppe Errico esprime "preoccupazione e condanna in merito al clima di irrigidimento sulle politiche di immigrazione". A lasciare l'amaro in bocca a tutto il fronte Antirazzista che da una settimana lotta in difesa dei nove africani è il dubbio che alcuni di loro siano minorenni, anche se secondo gli esami della misura del polso risultano tutti maggiorenni. "Ma l'esame ha un margine di due anni di errore. Nel dubbio bisogna tutelare i minori prima di tutto", ribadisce Qaddorah.









METROPOLI
Il boom dei romeni di Bologna

Sono 5796, giovani e non sposati, guadagnano 10mila euro all'anno. E al Navile sono già il 20% della popolazione. Dieci anni fa erano in 200 ora sono la prima comunità in città. I contribuenti sono appena un terzo: reddito medio meno della metà dei bolognesi
la Republica Bologna, 15-04-2010
di ANTONELLA CARDONE

Dieci anni fa erano appena 220, a dicembre scorso sfioravano le 5.800 unità. Sempre più rumeni hanno scelto Bologna come città dove costruire il loro futuro, tanto che la loro comunità è oggi numericamente la più importante fra tutte le realtà straniere presenti sotto le Due Torri. E' quanto emerge dall'indagine che il Dipartimento Programmazione - Statistica del Comune di Bologna ha redatto sui cittadini di origine non italiana, con approfondimenti tematici dedicati alle 15 nazionalità più rappresentate a Bologna, che raggruppano complessivamente oltre 35.400 persone, l'81% della popolazione straniera residente in città. Il primo focus è sulla comunità proveniente dalla Romania.

Il reddito, anzitutto. Su 5.796 residenti rumeni, a pagare le tasse e risultare veri e propri contribuenti sono 1.787 persone, che rappresentano il 10% dell'intera comunità degli stranieri bolognesi. I redditi denunciati sono mediamente molto bassi (10.300 euro l'anno), mentre gli stranieri di altre comunità dichiarano circa 500 euro in più in media e i bolognesi, in generale, guadagnano più del doppio (23.400 euro l'anno).

Il lavoro in cui i rumeni sono più frequentemente impiegati, del resto, è quello di muratore, facchino, badante, colf, anche se si registrano già 327 imprenditori. Le donne - come accade anche tra gli italiani di nascita - guadagnano in media il 20% in meno degli uomini (9.300 contro 11.300).

A guardare dove vivono i rumeni di casa a Bologna - compresi anche i cittadini di etnia rom - si scopre come il quartiere dove sono più presenti è il Navile (1.238 persone), mentre l'area dove è maggiore l'incidenza è quella di Santa Viola (dove ci sono 27 rumeni ogni mille abitanti, alla Bolognina, invece, il rapporto è 20 ogni mille). In città in totale ci sono oltre 2.900 alloggi dove abita almeno un cittadino di nazionalità rumena.
"La nostra comunità è di recentissima immigrazione - spiega Ion Rimboi, parroco della chiesa ortodossa di via Sant'Isaia e presidente dell'associazione culturale rumena Ovidio - la gran parte è arrivata qui dopo il 2005, quando la Romania entrò nella Cee e i suoi cittadini divennero europei a tutti gli effetti.

Alla nostra associazione ne sono iscritti tantissimi, più di 2.600 persone. Conducono vita regolare, luoghi di aggregazione esclusivi dei rumeni, a parte la chiesa che però si rivolge a tutti gli ortodossi, non ce ne sono, esistono solo un paio di negozi di alimentari provenienti da Sofia in via Serlio e in via Emilia - Ponente".

L'ultimo dato del Comune fotografa le seconde generazioni: ci sono quasi 400 rumeni che non hanno alle spalle un'esperienza migratoria: si tratta di bambini e ragazzi che, pur avendo la cittadinanza dei genitori, sono nati e vissuti in Italia. Quasi tutti sono sempre rimasti a Bologna e provincia.








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