Tre naufragi in pochi giorni in Libia, oltre duecento morti
Un barcone si è capovolto a Zuawrah, altri due Garabuli e Tajura. Il Cir: "I profughi usano imbarcazioni di fortuna inadatte navigare per poche miglia"
stranieriinitalia.it, 07-10-14
Roma – 7 ottobre 2014 - Sarebbero circa 100 le vittime del sono dispersi dopo il naufragio di un barcone al largo della costa libica.
Lo si apprende da autorità locali, secondo le quali il naufragio sarebbe avvenuto nel weekend a circa 10 miglia dalla città di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 migranti, per lo più siriani e subsahariani, sono stati salvati, trenta corpi sono stati recuperati, molti dei quali trascinati a riva dalle onde. “Il barcone è affondato due giorni fa - afferma un funzionario della cittadina - i superstiti riferiscono che a bordo c’erano 250 persone”
È il terzo naufragio davanti alle coste libiche in pochi giorni. Altri due barconi, riferisce infatti il Consiglio Italiano per i rifugiati, si sono capovolti il 2 ottobre a tre miglia di distanza dalla costa tra Garabuli e Tajura. Sembra che il totale dei passeggeri delle due imbarcazioni fosse di 250 persone, solo 120 sono state salvate dalla guardia costiera libica
“Dobbiamo purtroppo constatare - dichiara il direttore del CIR Christopher Hein - che la situazione nella tripolitana libica è tale che i profughi sono più che mai costretti a prendere il mare su imbarcazioni di fortuna che non sono adatte neppure per navigare qualche miglia. Dobbiamo temere che in assenza di urgenti misure anche in territorio libico, il numero di vite perse nel Mar Mediterraneo non andrà a diminuire”,
Libia, affonda barcone: dispersi oltre 100 migranti
L'ennesino naufragio al largo di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 persone tratte in salvo, 30 cadaveri recuperati
la Repubblica, 06-10-14
BENGASI - Più di 100 migranti sono dispersi dopo che il barcone su cui speravano di raggiungere l'Europa è affondato al largo della costa libica. Lo hanno reso noto autorità locali, secondo le quali il naufragio sarebbe avvenuto nel weekend vicino alla città di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 migranti, per lo più siriani e subsahariani, sono stati salvati, 30 corpi sono stati recuperati, molti dei quali trascinati a riva dalle onde. "Il barcone è affondato due giorni fa - ha affermato un funzionario dell'amministrazione di Zuawrah - i superstiti riferiscono che a bordo c'erano 250 persone, in maggioranza provenienti da Siria e Africa sub-sahariana".
La Libia è ormai un Paese in preda al caos. Il governo ha perso il controllo di grandi aree, teatro di scontro tra varie fazioni armate. In questa situazione le coste libiche sono una base ideale per il traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo. E sono diventate punto di partenza per i barconi carichi di disperati che cercano in un futuro migliore e sempre più spesso incontrano la morte. Quello dello scorso fine settimana è l'ennesimo naufragio. Pochi giorni fa, in occasione del primo anniversario della strage di Lampedusa in cui persero la vita più di 360 persone, sono state rese note cifre agghiaccianti: in un anno i morti in mare durante la traversata della speranza sono stati oltre 3.000.
Intervento della Santa Sede a Ginevra
Più solidarietà verso i rifugiati africani
l'Osservatore Romano, 07-10-14
Pubblichiamo la traduzione italiana dell`intervento pronunciato il 30 settembre dall`arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l`Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, durante il Segmento di alto livello della 65a Sessione del Comitato esecutivo dell`Unhcr, sul tema «Accrescere la cooperazione internazionale, la solidarietà, le capacità locali e l`azione umanitaria per i rifu` giati in Africa».
Signor Presidente, La Delegazione della Santa Sede appoggia la Dichiarazione del Comitato esecutivo dell`Unhcr sull`accrescimento della cooperazione internazionale, della solidarietà, delle capacità locali e dell`azione umanitaria a favore dei rifugiati in Africa. La Dichiarazione è un puntuale promemoria sul flusso persistente di popoli forzatamente sradicati e un invito a vincere la globalizzazione dell`indifferenza alla loro sofferenza.
All`interno del continente africano, come anche dall`Africa verso l`Europa e il mondo, la ricerca di un porto sicuro e di una vita dignitosa spinge molte persone ad abbandonare le proprie case e a varcare confini per sfuggire al pericolo e a condizioni oppressive. Esse rischiano consapevolmente persino la morte su barche inconsistenti e spesso la crudeltà dei trafficanti. Troppe vittime hanno trasformato le acque del Mediterraneo in un cimitero silenzioso. Politiche di regolamentazione delle frontiere eccessivamente restrittive, che si prestano alla pericolosa pratica di trafficare esseri umani come "merce", hanno spinto migliaia di richiedenti asilo a compiere una traversata fatale, nella quale sono andati distrutti i loro sogni e le loro vite.
L`ospitalità dei Paesi africani si è dimostrata un importante salvavita nelle molte crisi che hanno tormentato il continente negli ultimi decenni. I rifugiati sono stati accolti e hanno avuto l`opportunità di sopravvivere Fino a quando è diventato possibile il loro rimpatrio. In molti casi è stata loro generosamente offerta l`opportunità di stabilirsi sul posto. La solidarietà internazionale è stata spesso pari alla generosità africana, ma né l`una né l`altra sono risorse inesauribili. E ormai urgente un rinnovato impegno per una politica di prevenzione. Da parte della comunità internazionale sono necessari sforzi per prevenire i conflitti e il cattivo governo che soffocano lo sviluppo, al fine di ridurre il numero di persone forzatamente dislocate. In sostanza, ciò esige una cultura di pace, che è possibile solo quando la persona umana viene posta al centro delle preoccupazioni, dei programmi nazionali e degli obiettivi sociali, riconoscendo in tal modo la sua dignità inerente e il rispetto che meritano i suoi diritti umani fondamentali. Occorre un cambiamento di mentalità, che respinga la violenza come mezzo per affrontare le differenze personali e comunitarie e che trascenda gli interessi tribali, etnici e nazionali nel servizio al bene comune.
Le nazioni africane hanno investito un capitale politico ed economico per coordinare la loro azione continentale al fine di dare una risposta più efficace al loro bisogno di sviluppo e di risoluzione pacifica delle differenze. Gli strumenti giuridici prodotti per proteggere le popolazioni forzatamente dislocate offrono mezzi utili per affrontare le cause del dislocamento forzato, di modo che oggi i richiedenti asilo e le persone sradicate possano ricevere una protezione adeguata.
Nella Dichiarazione del Comitato esecutivo sono indicate altre misure pratiche. Oneste possono dare un sollievo efficace alla piaga dei richiedenti asilo e delle persone internamente dislocate. Papa Francesco ribadisce: «Invito soprattutto i governanti e i legislatori e l`intera Comunità Internazionale a considerare la realtà delle persone forzatamente sradicate con iniziative efficaci e nuovi approcci per tutelare la loro dignità, migliorare la loro qualità di vita e far fronte alle sfide che emergono da forme moderne di persecuzione, di oppressione e di schiavitù»
(Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, 24 maggio
2013).
Signor Presidente, Purtroppo il dislocamento forzato nel continente africano continua come conseguenza delle violenze commesse nella ricerca di potere egoistico e cli imposizioni ideologiche. Sviluppare nuove strategie incorporando i metodi migliori, provati dall`esperienza, è l`unico modo per far fronte alle sfide attuali. La determinazione politica a prevenire conflitti attraverso il dialogo e l`inclusione, e una solidarietà efficace che colmi il divario tra le regioni in via di sviluppo e quelle sviluppate del mondo, apriranno un cammino verso un futuro pacifico.
Grazie, Signor Presidente.
"Un premio a Mare nostrum". Oltre la tragedia pure la beffa
Mentre i migranti muoiono e l'economia del Sud è in ginocchio la melassa retorica va in onda anche in tv con la comandante Catia
il Giornale, 07-10-14
Gian Micalessin
di Tremila donne, uomini e bambini in fondo al mare. Centocinquantamila disperati in un'Italia che non può, né sa, come accoglierli.
Il tutto al costo complessivo, secondo le stime del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, di poco meno di un miliardo di euro. Il bilancio di Mare Nostrum, anche se trasformato in opportunità politica o in «docu-fiction televisiva», difficilmente perde i suoi connotati di tragedia umana, sociale ed economica. Rischia però di diventare rappresentazione stantia e insopportabile. Soprattutto se qualcuno cerca di lucrarci aggiungendoci la melassa della retorica condita con l'interesse personale.
Il ministro per gli affari regionali Maria Carmela Lanzetta ci sta provando. La sua proposta di candidare al Nobel per la Pace l'operazione Mare Nostrum assieme alle regioni Sicilia, Puglia e Calabria - unite in sinergica disgrazia con il Comune di Lampedusa - ha il sapore del peggior opportunismo politico. Da un ex sindaco come Maria Lanzetta si pretenderebbe la capacità di cogliere i sentimenti dei cittadini. E di capirne il disorientamento di fronte ad un'operazione che ha scaricato su di loro costo e peso di una missione sbagliata nei presupposti e devastante nelle conseguenze. Un'operazione di soccorso diventata calamita per i disgraziati convinti che le nostre navi rappresentassero un ponte sicuro tra gli inferni africani e le illusioni del Paradiso Europa. Ma quel ponte spesso non era lungo abbastanza. E l'illusione diventava salto negli abissi. Assegnare un Nobel per la Pace ad una missione indirettamente responsabile dell'annegamento di tremila persone che, senza la fata Morgana di Mare Nostrum, sarebbero rimaste altrove appare macabro e grottesco. Ma ancor più di cattivo gusto è l'idea di garantirsi quarti d'ora di notorietà immaginando di sanare con la lucciola di un Nobel i danni al turismo e all'economia subiti da regioni e comuni vittime dell'invasione migratoria. Sul versante dell'indigesta retorica spicca invece il tentativo di trasformare in mielosa telenovela l'impegno professionale del comandante Catia Pellegrino e degli 80 fra marinai e ufficiali della nave Libra impegnati nelle operazioni di soccorso di Mare Nostrum.
«La scelta di Katia, 80 miglia a sud di Lampedusa» propinataci da Corriere della Sera e Rai Fiction è una via di mezzo tra una telenovela e un filmato da Istituto luce montato con specifiche del Minculpop.
L'uso di musiche hollywodiane alternate ed un editing spregiudicato ed accattivante punta a privilegiare i sentimenti sulla ragione. Trasformando Catia e i suoi marinai in protagonisti di un prodotto che non è né da grande quotidiano, né da servizio pubblico. Un prodotto in cui la spettacolarizzazione della tragedia e le emozioni da libro Cuore servono a coprire errori e scelte sbagliate di chi ha deciso e mantenuto in vita quell'operazione. E a non farci capire perché prima di lanciare quell'immane e costosa missione non si sia raggiunto un accordo con Bruxelles per la suddivisione dei costi e degli immigrati. Questa melassa indigeribile, dove una puntata dedicata al salvataggio di bambini, donne e uomini in balia dei flutti si alterna al compleanno tutto palloncini e candeline di capitan Catia, qualche verità indesiderata però la regala. E quella dell'infermiere che veste mascherina, camice e guanti prima di esaminare gli immigrati provenienti da una Nigeria dove ci spiega infuriano «malattie endemiche». Dicasi Ebola. Alla faccia di chi per mesi raccontava di rischi inesistenti. O quella dell'ufficiale che sorridendo ripete «Ce la faremo a svuotare un continente... serve solo un po' di tempo ma lo svuotiamo».
Piccole scomode verità che neanche la retorica sdolcinata e stucchevole di musica, montaggio e frasi ritagliate ad effetto riescono a seppellire.
"No a bimbi in classe". Genitori spostano i figli in un'altra scuola
Il caso in un'elementare di Trani. La vicepreside: “Hanno detto che puzzano e portano malattie”
stranieriinitalia.it, 07-10-14
Bari – 6 ottobre 2014 - “Mi hanno chiesto che io cacciassi i bambini rom perchè, secondo questi genitori che mi hanno detto parole irripetibili, questi bambini portano malattie puzzano e sono sporchi. Al mio rifiuto, hanno deciso di traferire i propri figli, augurandomi di rimanere da sola con i rom”.
É il racconto di Maria Mingrone, vicepreside e docente della scuola elementare Beltrani di Trani, “colpevole” di non fare distinzioni tra i suoi piccoli alunni.
Tutto è iniziato con l'arrivo a scuola di due fratellini di sei e sette anni che vivono in un campo nomadi tra Trani e Bisceglie. Sono seguiti dai servizi sociali, che hanno convinto le famiglie a mandarli tra i banchi. La vicepreside ha deciso di “non farli stare nella stessa classe per evitare che potessero isolarsi”.
I fratellini sono diventati un esempio nel campo, così poco dopo si è iscritto a scuola anche un loro cuginetto, che Mingrone ha accolto nella sua classe insieme a uno degli altri due. A quel punto è scoppiata l'ira dei genitori di quattro loro compagni: “Nonostante vessi tutte le certificazioni sanitarie sono venuti da me come belve inferocite: il primo l'abbiamo accettato, hanno detto, il secondo proprio no”.
La vicepresidente ha cercato di farli ragionare, ma è stato inutile. I genitori hanno ritirato i figli dalla Beltrani e li hanno iscritti in un altro istituto.
“Episodi spiacevoli, che non dovrebbero mai accadere” commenta l'assessore regionale all'Istruzione Alba Sasso. “La scuola deve essere in grado di conciliare esigenze diverse e di far capire ai genitori che la convivenza è necessaria e che , prima di ogni altra cosa, la scuola non si può negare a nessuno”.