Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Eritrei ostaggio in Sinai, appello all'Italia: "Fate presto, stiamo morendo"
La richiesta d'aiuto lanciata attraverso il Mediterraneo dai profughi e raccolto dall'Agenzia Habeshia, che rilancia un appello alle istituzioni affinché possano fare pressione sul governo egiziano

ROMA - "Fate presto perche' qui stiamo morendo". È la richiesta d'aiuto lanciata attraverso il Mediterraneo dai profughi tenuti in ostaggio nel deserto del Sinai ormai da una trentina di giorni e raccolto dall'Agenzia Habeshia, che questa mattina nella sala stampa di Palazzo Madama, sede del Senato, rilancia un appello alle istituzioni italiane affinche' possano fare pressione sul governo egiziano per far sì che i circa 250 profughi eritrei, etiopi, somali e sudanesi prigionieri possano salvarsi dal baratro su cui pendono.

L'iniziativa, organizzata dall'associazione 'A buon diritto' e il Consiglio italiano per i rifugiati, e' stata voluta per porre l'attenzione del mondo politico sul ruolo dell'Italia in una nuova tragica vicenda di cui sono vittima i profughi che scappano da scenari di guerra e da condizioni di vita difficili.

La situazione aggiornata delle condizioni di vita dei profughi la fornisce don Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo, direttore dell'Agenzia Habeshia. "Ho chiamato alle 9.30 di stamattina per chiedere la situazione attuale- ha spiegato Zerai-. Ogni ora che passa è sempre più drammatica". In catene come schiavi: umani, uomini, donne -alcune incinta- e bambini. Tenuti in ostaggio da beduini trafficanti per chiedere un riscatto. Ma ora dopo ora, ha affermato Zerai, la situazione diventa sempre piu' critica. "Mi hanno riferito che non è cambiato nulla- ha raccontato-. Sono ancora in catene, in condizioni disperate. Una delle donne è incinta e mi ha detto che non ce la fa in queste condizioni. Vivono nella sporcizia, in condizioni igienico sanitarie pessime. Alcuni sono feriti a causa delle botte prese, soprattutto con lo scadere degli ultimatum lanciati dai trafficanti sabato e domenica, quelli che non hanno versato neanche un centesimo sono stati picchiati selvaggiamente. Parlano di teste fracassate, braccia e gambe rotte. C'è chi zoppica e chi sanguina, c'è un'urgenza di cure".

L'obiettivo dei trafficanti è ottenere un riscatto dai familiari. Don Mussie Zerai, infatti, riesce a mettersi in contatto con loro fingendo di essere un parente. Ma chi non ha parenti o possibilità economiche per pagare il riscatto fa una brutta fine, le intenzioni dei trafficanti vanno oltre ogni immaginazione. "Dalle informazioni che ci hanno dato ci risulta che li costringono a chiamare i familiari. Chi fa resistenza viene marchiato con il fuoco. Sabato, poi, hanno prelevato 4 persone che dicevano di non aver nessuno che poteva pagare il riscatto. Sono stati portati in clinica per poter asportate un rene e venderlo. Di loro non hanno avuto piu' notizia. Ogni ora che passa diventa sempre piu' pericolosa per queste persone".

Ma in questo scenario qual è il ruolo dell'Italia? La richiesta di un impegno immediato nel far pressione alle autorità egiziane, si affianca anche ad un'accusa alle politiche dei respingimenti. "La decisione di respingimenti e la chiusura dei propri confini porta anche a queste situazione. L'Italia in questo senso è coinvolta. Molti dei prigionieri sono partiti dalla Libia, sono circa 80. Tra loro anche una donna con un bambino di 8 mesi che era stata respinta il 6 giugno di questo anno, quando erano vicino a Lampedusa. Fui io stesso a lanciare l'allarme alle autorità. Hanno aspettato tre giorni perchè arrivasse una motovedetta italiana con agenti libici. Questa donna ora è lì". Oggi, però, sul nodo dei respingimenti prevale la necessità di salvare queste persone. "L'unico che puo' intervenire è lo Stato egiziano- ha affermato Zerai-.

Occorre insistere e premere sul governo egiziano perche' intervenga. Sono a poche distanze dal confine israeliano. Le informazioni sulla loro posizione e il numero di telefono a cui chiamo sono già state consegnate alle autorità italiane e all'Unhcr del Cairo per localizzarli al più presto possibile. I trafficanti sono al corrente del tam tam mediatico e c'è il rischio che vengano spostati in un altro luogo".(Dire - Redattore Sociale)

7 dicembre 2010 - Dire




Sul Sinai si aggrava la situazione degli eritrei rapiti, «il rischio è che li spostino»

Pubblicato da Emilio Fabio Torsello il dicembre 7, 2010 in Mondo, Società
Sul Sinai si aggrava la situazione degli eritrei rapiti, «il rischio è che li spostino» Thumbnail

«Adesso il rischio più immediato è che li spostino». A lanciare l’allarme sulla sorte dei profughi eritrei sequestrati in Libia è ancora una volta don Mussie Zerai, sacerdote eritreo della ong Habeshia, intervenuto oggi durante un incontro in Senato sulla questione degli ostaggi sequestrati sul Sinai.

La situazione dei 250 rapiti resta drammatica. Sei persone sono già state uccise, quattro sono sparite dopo essere state costrette a donare i loro organi per pagarsi il riscatto, numerosi sono i feriti. Almeno 80 dei rapiti, inoltre, fanno parte del gruppo di eritrei respinti dall’Italia il 6 giugno scorso, fuggiti in Egitto dopo la “sanatoria” del governo libico che ha svuotato le carceri di Gheddafi. Nonostante il Paese di Mubarak, a differenza della Libia, abbia ratificato la Convenzione di Ginevra, però, sembra che i migranti non abbiano alcuna garanzia. «L’Egitto – continua Zerai – non è nuovo a deportazioni di eritrei verso il loro Paese d’origine e quindi è necessario che quando la situazione si risolverà qualcuno si faccia carico di queste persone».

«Sono state trasmesse – ha proseguito Zerai – al sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, tutte le informazioni utili a individuare il luogo di detenzione degli eritrei. Trovarli anche attraverso le schede telefoniche per i governi non dovrebbe essere difficile». Secondo alcune informazioni, infatti, i rapiti si troverebbero alla periferia di una citta’ da cui riuscirebbero anche a sentire la voce del muezzin che chiama alla preghiera.

Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano Rifugiati, ha poi sottolineato come Israele stia costruendo un muro di 110 chilometri proprio nel Sinai, al confine con l’Egitto, per arginare l’immigrazione clandestina.  «Abbiamo notizia di alcune uccisioni di eritrei – spiega- perché i soldati hanno l’ordine di impedire l’attraversamento del confine».

«Si continua a fuggire da paesi come l’Eritrea o la Somalia, ma la gente non arriva più in un posto sicuro» ha aggiunto Laura Boldrini, portavoce italiano dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. E l’unica conseguenza della politica italiana dei respingimenti è numerica: si è passati dalle 31mila domande di asilo del 2008 alle circa 10mila previste per quest’anno. «Questa vicenda – ha concluso la Boldrini – non puo’ essere considerata come qualcosa che non ci appartiene».
Diritto di Critica 7 dicembre 2010

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