Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 novembre 2011

 

Viaggio al termine dell'Italia
La vicenda di Saidou Gadiaga, morto in carcere per un attaco d'asma, rivela l'inaccettabile stato delle nostre prigioni e di una legge xenofoba. Il suo "reato"? Non avere il permesso di soggiorno
l'Unità, 11-11-2011
Luigi Manconi
Una cella di sicurezza, un video, l’immagine dell’agonia di un uomo: intorno a questi tre elementi si può ricostruire quella che, in un telefilm di Fox Crime, verrebbe definita la scena del delitto. In questo caso non sappiamo se di delitto in senso proprio si possa parlare, ma certamente sappiamo che Saidou Gadiaga, senegalese trentasettenne, è l’ennesima vittima della giustizia italiana e, in particolare, delle sue leggi xenofobe. E uno dei tantissimi “morti di carcere”. E, dunque, quella cella di sicurezza, quel video e quelle immagini ci danno l’opportunità di riflettere su molte questioni, a partire da quella più evidente dello stato in cui vengono custodite le persone sottoposte a fermo o ad arresto, nelle caserme o all’interno delle carceri. Gadiaga viene fermato il 10 dicembre 2010, perché sprovvisto di permesso di soggiorno valido e già raggiunto da un provvedimento di espulsione, al quale non aveva ottemperato. Da qui, tre considerazioni. 1) Innanzitutto c’è da dire che il fermo per l’identificazione si è protratto oltre le 24 ore previste (cosa che, notoriamente, avviene con una certa frequenza) nonostante Gadiaga avesse con sé i certificati medici del suo ricovero, da cui risultava chiaramente l’identità. Questa circostanza, appunto perché frequente, suscita preoccupazione in quanto segnala una completa sottovalutazione del valore che deve essere attribuito, per legge, alla libertà personale. 2) In una relazione di servizio dei carabinieri troviamo che il maresciallo contattò il pubblico ministero di turno per chiedere che Gadiaga, affetto da asma, venisse trasferito in carcere, dove c’è un presidio medico permanente. Il P.m. non lo ritenne necessario, rispondendo che, all’occorrenza, si sarebbe potuto richiedere l’intervento del 118. Quello stesso P.m. si è visto affidare le indagini per la morte dell’uomo, così come i carabinieri hanno avuto il compito di interrogare i soggetti coinvolti (compresi gli stessi carabinieri presenti quella mattina). Non sarebbe stato forse opportuno affidare tali compiti a qualcun altro? 3) Altro fatto importante è la presenza di quel video. La richiesta di archiviazione è arrivata nonostante l’esistenza di quelle immagini. E tuttavia, grazie a Radio Onda d’Urto di Brescia, che le ha fatte conoscere e che intorno a esse sta sviluppando una intelligente campagna di informazione, l’opinione pubblica è ora in grado di formulare un proprio giudizio. L’opposizione alla richiesta di archiviazione, comunque, si basa anche su altri elementi. Le dichiarazioni dei carabinieri, soprattutto per quanto riguarda la cronologia degli eventi, sono in contraddizione. L’avvocato che con grande professionalità si sta occupando del caso, Manlio Vicini, ipotizza che le incongruenze di orario siano dovute alla volontà di accorciare il più possibile i tempi di progressione della crisi respiratoria di Gadiaga, al fine di escludere l’ipotesi di un ritardo nei soccorsi. Stessa spiegazione può essere data alla dichiarazione dei carabinieri che la morte sarebbe avvenuta in ospedale. Circostanza incontrovertibilmente smentita dagli operatori del 118, i quali affermano che, al loro arrivo in caserma, Gadiaga era già deceduto. In ultimo, c’è la testimonianza del vicino di cella, che dichiara di essersi svegliato a seguito delle richieste di aiuto di Gadiaga, richieste rimaste inascoltate per “15/20 minuti”. Il testimone non è stato ritenuto attendibile nella sua ricostruzione perché in stato di dormiveglia, ma il buon senso dice che lo stato di dormiveglia avrebbe dovuto, eventualmente, accorciare i tempi percepiti dal testimone, non allungarli. In ogni caso, sollecitato sul punto, il testimone ha negato che potesse trattarsi di quei soli “3 minuti” indicati dai carabinieri. In buona sostanza la tesi portante della richiesta di opposizione all’archiviazione si basa sull’eventualità che, se Gadiaga fosse stato soccorso anche solo 5 minuti prima, la sua morte si sarebbe potuta evitare. Per finire, poi, c’è un ulteriore elemento che dovrebbe far riflettere. Perché quell’uomo si trovava in una caserma dei carabinieri? Come abbiamo detto prima, il motivo era la sua condizione soggettiva, il suo stato di “clandestino”. Non aveva commesso alcun reato efferato, nemmeno un furtarello o lo spaccio di qualche grammo di hashish. Gadiaga, residente in Italia da vent’anni, aveva semplicemente perso il lavoro. Si è trovato così, con un permesso di soggiorno scaduto, come altri 684.413 stranieri nel corso del 2010. E ciò grazie a una legge persino più ottusa che iniqua. Il che dimostra come la “scena del delitto” prima descritta riveli, forse, le impronte digitali e l’identikit di molti possibili colpevoli.
 
 
 
Immigrazione:gommone alla deriva soccorso a sud di Lampedusa
A bordo natante anche una donna che aveva appena partorito
(ANSA) - PALERMO, 11 NOV - Un gommone alla deriva nel Canale di Sicilia, con 44 migranti a bordo, e' stato soccorso nella notte dalla nave 'Foscari', della Marina militare, dopo una segnalazione di un peschereccio. A bordo anche una donna che aveva appena partorito e che e' stata trasferita in elicottero prima nel poliambulatorio di Lampedusa (Ag), quindi nell'ospedale di Agrigento. L'imbarcazione, che era in precarie condizioni, si trovava 55 miglia a sud di Lampedusa, in acque di competenza maltese. (ANSA).
 
 
 
Immigrazione: Gdf soccorre barca con 14 nordafricani
Intervento ieri sera a 10 miglia da Capo Teulada
(ANSA) - CAGLIARI, 11 NOV - Stanno bene ed hanno trascorso la notte nel Centro di prima accoglienza di Elmas i 14 immigrati nordafricani giunti ieri sera nei pressi della costa sud occidentale della Sardegna e soccorsi dai militari della Guardia di Finanza. La tregua del maltempo ha favorito la ripresa dei viaggi di extracomunitari e cosi' la piccola imbarcazione con gli immigrati e' stata avvistata dall'equipaggio di un pattugliatore delle Fiamme Gialle a 10 miglia da Capo Teulada. I nordafricani, che si sono dichiarati tunisini, sono stati fatti salire a bordo e condotti a terra dove sono stati rifocillati.
 
 
 
Il vescovo agli immigrati: “Siete i benvenuti”
News&tvLucera, 11-11-2011
Il vescovo della Diocesi Lucera-Troia ha fatto visita agli immigrati che dallo scorso 28 luglio sono stati accolti nell’ostello di Carlantino. L’incontro è avvenuto mercoledì 9 novembre e Monsignor Domenico Cornacchia ha espresso “massima soddisfazione” per un’iniziativa che rinnova concretamente i valori universali e cristiani dell’accoglienza e della solidarietà. Il vescovo ha cenato con il gruppo di ragazzi africani e con i volontari della struttura, ha annunciato loro che saranno ospiti della Diocesi il prossimo 17 dicembre ed ha avuto modo di apprezzare il progetto nel quale sono impegnate diverse realtà carlantinesi, a cominciare dall’associazione di volontariato “Araba Fenice”. Il sodalizio, che opera a Carlantino dal 2003, sta promuovendo attività socio-culturali e di animazione finalizzate a creare una socialità nuova, una convivialità pronta a ricevere l’altro e a farlo diventare parte integrante della Comunità. L’associazione, oltre ad offrire servizi e attività agli immigrati, offre opportunità di collaborazione a giovani del posto dando loro la possibilità di fare un’esperienza formativa di crescita e integrazione con culture diverse che sono fonte di arricchimento. Le attività organizzate dall’associazione, infatti, vedono impegnate dodici persone del posto, soprattutto giovani, che con cadenza giornaliera si recano all’Ostello per svolgere le diverse iniziative con i ragazzi ospiti della struttura.  “Araba Fenice” ha pensato, fra le iniziative rivolte a questi ragazzi, a corsi di lingua italiana ma anche a iniziative di valorizzazione del tempo libero. Le attività proposte sono molteplici: tornei sportivi, laboratori artigianali, laboratori linguistici (di letto-scrittura), incontri di socializzazione con la popolazione, educazione alla cittadinanza italiana, educazione stradale, organizzazione di spettacoli secondo le tradizioni dei paesi d’origine, visite sul territorio, giornate ecologiche e giochi vari. Il progetto è coordinato dalla divisione “Emergenza Nord” del Ministero del Lavoro in collaborazione con il Ministero degli Interni, l’organizzazione “Save the Children”, il Comune di Carlantino e l’associazione di promozione sociale Mondo Nuovo, a cui è affidata la gestione della struttura. Al fine di organizzare e gestire l’emergenza, sono stati attivati i necessari servizi di prima accoglienza. Tranne il vitto, appaltato ad una ditta di catering esterna, “Mondo Nuovo” si occupa di offrire alloggio, sicurezza e controllo della struttura e dei suoi ospiti, curando inoltre l’organizzazione dell’intera giornata per i ragazzi: ore 8.30 colazione, dalle 10.00 alle 12.30 lezione di lingua italiana con Angelo Coscia, professore e storico locale, dalle 13.00 alle 14.00 pranzo. Nel pomeriggio attività ludico-ricreative organizzate dall’associazione di volontariato carlantinese “Araba Fenice”. Dalle 19 alle 20 la cena. I ragazzi hanno poi possibilità di uscire, guardare la tv, connettersi a internet, grazie alle quattro postazioni di computer presenti nella struttura, fare passeggiate in paese e ascoltare musica, etc. Ore 23.30 rientro. Tra gli altri servizi, oltre a fornire abiti estivi e invernali, a cadenza mensile viene consegnato loro un kit completo di tutti i prodotti per l’igiene personale, settimanalmente un pocket money dal valore di 10 euro e una scheda telefonica da 5.
 
 
 
Immigrati, in 21 annegarono in canale Otranto: arrestato scafista ricercato dal 2004
Roma, 11 nov. - (Adnkronos) - Un cittadino albanese di 31 anni e' stato arrestato dai carabinieri della stazione Roma Appia in esecuzione di un mandato di cattura internazionale. A suo carico un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte di Appello di Valona (Albania) nel 2005 con le accuse di favoreggiamento e attraversamento illegale di confine, reato punito dal codice penale albanese con 25 anni di reclusione.
Il 31enne e' lo scafista del barcone che nel 2004 naufrago' nel canale di Otranto provocando la morte di 21 albanesi. L'uomo, insieme a un connazionale 42enne, e' stato notato dai militari mentre si aggirava nel quartiere Statuario a Roma. Il loro atteggiamento guardingo ha insospettito i carabinieri che hanno deciso di controllarli. I documenti esibiti dai cittadini albanesi, visibilmente contraffatti, hanno convinto i carabinieri della stazione Roma Appia ad approfondire le verifiche sul loro conto.
Il responso ottenuto dalle impronte digitali non ha lasciato scampo agli stranieri, risultati entrambi gravati da provvedimenti restrittivi: il 42enne da un ordine di carcerazione, emesso dal Tribunale di Trani nel 2004 per traffico di droga.
Sul conto del 31enne, invece, e' emerso qualcosa di ben piu' grave.
I fatti risalgono al mese di gennaio del 2004, quando l'albanese, a soli 24 anni, organizzo' insieme ad altri connazionali uno dei tanti viaggi della speranza: a bordo di un gommone partito dal porto di Valona e diretto in Italia, furono stipati 36 profughi albanesi disposti ad affrontare qualsiasi avversita' pur di raggiungere nuove prospettive di vita nel nostro Paese. Ogni passeggero pago' agli scafisti una quota di 1.500 euro.
Purtroppo per loro, dopo alcune miglia di navigazione, giunti nel canale di Otranto si trovarono ad affrontare pessime condizioni meteo e onde altissime, fatale connubio che porto', in breve tempo all'affondamento del gommone e alla morte per annegamento di 21 dei 36 passeggeri albanesi. Entrambi i ricercati sono stati arrestati e associati al carcere di Regina Coeli.
 
 
 
GIUSTIZIA. Lavoratori immigrati qualificati, Ue avvia procedura d'infrazione contro l'Italia
Help Consumatori, 11-11-2011
La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia e di altri Paesi europei per il mancato adeguamento alla direttiva "Carta Blu", sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. La direttiva doveva essere attuata entro il 19 giugno scorso. Il 18 luglio 2011 la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora, che rappresenta la prima fase della procedura d'infrazione, in relazione alla mancata comunicazione alla Commissione delle misure adottate per attuare la direttiva. L'Italia non ha ancora risposto, e le è stato inviato un parere motivato che prelude il ricorso alla Corte di Giustizia europea.
L'Aduc mette in evidenza una situazione paradossale: "Nonostante siamo nel pieno di una crisi economica, caratterizzata da tassi di disoccupazione particolarmente elevati, i datori di lavoro spesso non riescono a trovare i lavoratori altamente qualificati di cui hanno bisogno". Secondo uno studio del 2011 "Satisfying Labour Demand through Migration", realizzato dalla rete europea sulla migrazione, gli Stati membri registrano carenze di manodopera e di competenze in vari settori. "L'Italia rende particolarmente difficile l'ingresso di lavoratori particolarmente qualificati - conclude l'Aduc - mentre dovrebbe capire che stare nella Unione Europea comporta diritti ma anche doveri".
 
 
 
Discriminazioni in crescita: i dati dell’Unar, 859 casi e 51 aggressioni nei primi dieci mesi dell’anno.
Erano 653 nel 2010. Quasi la metà è avvenuta tra Lazio, Lombardia e Veneto. In forte aumento i casi avvenuti in ambito lavorativo. Oltre metà delle vittime sono donne.
Immigrazione Oggi, 11-11-2011
Aumentano nel 2011 i casi di discriminazione rilevati dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri. Sono stati registrati 859 episodi nei primi dieci mesi dell’anno a fronte dei 653 rilevati nello stesso periodo dello scorso anno.
Per quanto riguarda le aree geografiche, il 31% (266 casi) delle discriminazioni si è verificato nell’Italia Centrale, il 25,3% (217 casi) nel Nord Est, il 24,9% nel Nord Ovest (214), il 9,1% nel Meridione (78), il 3,7% nelle isole (32 casi), per 52 episodi non è nota la localizzazione territoriale.
Nell’ordine sono Lazio, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana le regioni maglia nera, dove sono concentrate la maggior parte delle discriminazioni e sono aumentate rispetto a un anno fa.
Il 61,4% ha subìto una discriminazione diretta, il 17,2% diretta con l’aggiunta di molestie, l’8,6% indiretta, il 3,8% è stato discriminato per l’orientamento sessuale e il 2,6% per un handicap. Per quanto riguarda l’ambito in cui si è consumata la discriminazione, i primi 4 sono: il lavoro, con il 20,7% degli 859 casi registrati, seguono la vita pubblica con il 17,6%, i mass media con il 17% e il 12,2% nell’erogazione di servizi da parte di un ente pubblico, evidenziando così preoccupanti fenomeni di “razzismo istituzionale”.
Rispetto al 2010, quando le vittime erano maschi per il 57% e donne per il 43%, nel 2011 si registra un’inversione di tendenza, con le donne al 52,8%. Un dato questo, come spiega il direttore dell’Unar Massimiliano Monnanni a Redattore Sociale, “frutto della campagna fatta nel 2011 per fare emergere le discriminazioni subìte dalle donne, il dato attuale è più in linea con la popolazione statistica dei migranti”.
Il 40% delle segnalazioni è arrivato all’Unar tramite il web, con l’invio di email o compilando un modulo sul sito dell’Ufficio antidiscriminazioni. Il 26% delle istruttorie deriva dal monitoraggio dei Media. Il 7,3% sono segnalazioni che arrivano dagli sportelli sul territorio, un dato in crescita. Nel 66% dei casi l’Unar è stato interpellato per un parere, nel 30% per sostegno o aiuto. È stato l’Ufficio a prendere l’iniziativa nel 37,7% dei casi, su richiesta della vittima nel 35,7% delle istruttorie. Seguono le segnalazioni da parte di un testimone o di associazioni. Dopo i primi dieci mesi del 2011, un caso su due è stato risolto con esito positivo (57,9%), vuol dire che la discriminazione è stata risolta o c’è stata una compensazione.
 
 
 
I cinesi non più come concorrenti ma come concittadini: migliora la percezione dell’immigrazione nei cittadini di Prato.
Presentato il VII Rapporto “Oltre la pratesità, identità e appartenenza nella città multiculturale” della Provincia di Prato.
Immigrazione Oggi, 11-11-2011
Migliora la convivenza tra i cittadini pratesi e gli immigrati, questo nonostante la crisi economica e l’accentuarsi di problemi legati alla perdita del lavoro. È quanto emerge da Oltre la pratesità, identità e appartenenza nella città multiculturale, il rapporto sull’immigrazione della Provincia di Prato che mette insieme i risultati di due ricerche: l’indagine telefonica su un campione di 500 residenti per rilevare gli atteggiamenti nei confronti dei cittadini stranieri e un’indagine su 400 migranti per rilevare il senso di appartenenza nel territorio italiano.
Nelle interviste ai pratesi, rispetto ad un analogo sondaggio realizzato nel 2006, emerge un’opinione dell’immigrazione ancora prevalentemente negativa, ma si modifica in positivo la percezione dell’immigrato come competitore sul mercato del lavoro, con un’attenzione sui diritti di cittadinanza politica e sociale. Dal rapporto emerge che i giovani, gli studenti e i laureati, oltre a coloro che occupano la fascia più alta del mercato del lavoro, sono più aperti rispetto ai rispondenti con basso titolo di studio e alle casalinghe.
L’indagine con gli stranieri ha invece evidenziato che il 53% del campione sente molto l’appartenenza all’Italia, percentuale che sale al 73% per coloro che esercitano un’attività imprenditoriale, mentre scende al 32% tra i disoccupati.
Il Rapporto, giunto alla settima edizione, “ha scattato una fotografia, a distanza di quattro anni dal precedente, della complessa realtà pratese proprio in un momento che potremmo senz’altro definire di svolta” ha dichiarato il presidente della Provincia, Luca Gestri.
Per il presidente “ci mostra che dei passi avanti sono stati fatti nell’atteggiamento sia dei cittadini autoctoni che degli stranieri, ma sta a noi utilizzare bene questo strumento prezioso per fare ulteriori progressi”.
 
 
 
Ghanesi: rientro pilotato
il Friuli.it, 10-11-2011
PORDENONE - Return Home: parte il progetto di ritorno in patria facilitato e re-impiego assistito degli immigrati ideato dalla Provincia
Parte “Return home”, progetto di rientro facilitato e assistito degli immigrati disoccupati ideato e sviluppato dalla Provincia di Pordenone, che questa mattina lo ha presentato alla stampa.
L’idea è partita dalla considerazione della presenza di una crisi economica i cui effetti si stanno via via acuendo e che non risparmia nemmeno gli immigrati. “Considerato che oggi non c’è lavoro per nessuno e che migliori opportunità si offrono all’estero piuttosto che in Italia – ha spiegato l’assessore all’Immigrazione Eligio Grizzo – agli stranieri che sono in stato di disoccupazione diamo la possibilità di rientrare a casa con la sicurezza e la serenità di essere in grado di sviluppare un’attività redditizia. Molti degli immigrati che hanno lavorato qui per anni hanno imparato un mestiere e sono già in grado di esportare la loro competenza, forti di un’esperienza maturata negli anni. Ma se ciò non fosse, diamo la possibilità di un rientro costruttivo anche a chi ha necessità di imparare un lavoro offrendogli un corso di formazione professionale e un sostegno all’avvio dell’attività”. 
“Questa è una modifica all’approccio assistenzialista all’immigrazione che ha regnato per anni – ha sottolineato il presidente della Provincia Alessandro Ciriani – per lungo tempo ci hanno dipinto l’immigrazione come una festa di colori, profumi, sapori e suoni, una sorta di pubblicità del Mulino Bianco. Invece, spesso, si trascina dietro il dramma di chi arriva e di chi ospita. Questo progetto è frutto di un lavoro egregio, di collaborazione e coordinazione con gli enti competenti, i Comuni e le comunità straniere presenti sul territorio. Se la buona integrazione di chi arriva in Italia fallisce, la legge prevede un rientro senza alcuna facilitazione. Questo progetto, invece, va oltre, favorendo un rientro dignitoso, consentendo all’immigrato di non chiedere nulla ma di essere messo nelle condizioni di avere una sua autonomia di vita. Ovvero, non viene più chiesto il pesce, ma gli strumenti per pescarlo, e questo anche alla luce della progressiva crescita dei paesi poco industrializzati. Perciò, chiunque tacci la Provincia di disimpegno nei confronti dei problemi dell’immigrazione è francamente offensivo, e non fa altro che gettare benzina sul fuoco. E dirò di più: mi auguro che questo possa fare da progetto pilota a livello nazionale e che venga esportato anche in realtà diverse da quella ghanese”. 
Grazie ad uno scrupoloso lavoro di equipe, durante il quale sono stati coinvolti i maggiori enti di tutela degli immigrati, 30 persone potranno dunque beneficiare del progetto di rientro in patria e sostegno al re-impiego. La Provincia ha destinato al progetto 80mila € (in collaborazione con la Regione) ai quali si somma la partecipazione fattiva dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (che attinge al Fondo europeo per il rimpatrio), la quale farà da garante della prosecuzione del progetto una volta che l’immigrato rientra in patria, come ha testimoniato in videocollegamento la Chief of Mission Dyane Epstein.
L’idea parte dalla valutazione che la crisi ha lasciato a piedi molte famiglie di immigrati, i quali risentono maggiormente delle conseguenze perché ciò minaccia la loro permanenza in Italia. Per questo non pochi stranieri hanno espresso esplicita volontà di chiudere la loro parentesi italiana e ritornare alla loro terra. Spesso però l’immigrato non è nelle condizioni di rifarsi una nuova vita, ed è qui che interviene la Provincia.
DI COSA SI TRATTA
Il progetto è rivolto ai cittadini ghanesi residenti in provincia - tra le comunità straniere costituiscono quella più numerosa e con un più alto tasso di disoccupazione - e, in particolare, a quelli che hanno espressamente richiesto di rientrare in patria per avviarvi un’attività lavorativa. Il piano è riservato ai ghanesi regolari e in via preferenziale a famiglie con minori.
A CHI E’ RIVOLTO IL PROGETTO
Il progetto si concentra in modo particolare su chi, in patria, ha terreni, case, laghi o strutture di proprietà che possano essere utilizzate come base per lo sviluppo della loro attività. In esse verranno poste le basi e installati gli strumenti per iniziare a svolgere il mestiere più consono.
L’ITER
Si parte da una valutazione iniziale (attualmente in corso) alla quale, oltre al candidato, sono presenti uno psicologo e un facilitatore di lingua ghanese. L’incontro ha l’obiettivo di ricercare le attitudini e gli interessi del candidato e supportarlo nel suo percorso, offrendo supporto psicologico individuale.
Novembre, dicembre e gennaio sono riservati ai corsi di formazione, che si svolgeranno presso l’Opera Sacra Famiglia e prevedono un percorso professionalizzante nel settore agricolo o ittico per gli uomini; nell’assistenza all’infanzia e la puericultura per le donne.
Seguono la preparazione al rientro (che prevede anche un supporto di tipo psicologico), il rientro programmato (gennaio per gli uomini, febbraio per le donne) e l’avvio vero e proprio delle attività. A questo si aggiungono il biglietto aereo e 400 € di indennità a testa per la sistemazione alla partenza e la copertura totale delle spese di viaggio fino a destinazione. All’arrivo in Ghana è poi previsto un contributo da 1.100 a 3.000 € in beni e servizi (quota che varia a seconda del progetto intrapreso) e 300 € a persona per il secondo, terzo e quarto mese di permanenza in patria, supportando così anche le difficoltà del periodo necessario ad avviare l’attività.
Le quote destinate dai cittadini ghanesi che rientrano in patria vengono ivi erogate per mano dei Padri Comboniani.
I MESTIERI
Verranno costruite 2 cooperative agricole nelle quali troveranno lavoro ben 12 persone che potranno coltivare i loro prodotti e metterli sul mercato.
6 persone troveranno impiego in una cooperativa ittica nella quale è previsto l’allevamento di carpe ma anche di altre qualità di pesce adatto al mercato locale.
4 posti sono riservati a coloro che vorranno accudire minori o i figli dei lavoratori rientrati.
8 persone verranno impiegate direttamente in aziende consortili in carico all’Oim.
RICADUTE SOCIALI
L’iter formativo e tutto il cammino fino all’impiego fa parte del Piano Territoriale per l’Immigrazione 2011-2012, con il quale la Provincia intende perseguire una buona integrazione, attiva, legale, responsabile ed emancipata. La mancanza di lavoro provoca inequivocabilmente uno stato di povertà e disagio che può sfociare in comportamenti illegali. Perciò, il progetto - nato per favorire il mantenimento dell’immigrazione regolare e supportare ed affiancare gli immigrati anche nel momento del rientro in patria - da un lato può essere visto come provvedimento per tutelare la sicurezza degli abitanti del territorio pordenonese, e dall’altro è un investimento che offre occasione di risparmio, dal momento che il costo del mantenimento degli immigrati disoccupati che competerebbe ai servizi sociali sarebbe nettamente più alto.
Perciò, il progetto:
-          favorisce il rientro degli immigrati regolari che qui si trovano in situazione di difficoltà
-          garantisce un rimpatrio dignitoso, cercato, voluto, supportato da una scelta consapevole e dalla competenza dei professionisti che si occupano del progetto
-          incoraggia lo sviluppo di una scelta responsabile
-          alleggerisce il territorio nazionale da sacche di povertà
I NUMERI
Attualmente gli stranieri residenti in provincia di Pordenone si assestano attorno all’11% contro il 7% della media nazionale e l’8% di quella regionale. Ovvero, sul territorio sono presenti 36.046 stranieri regolari. Ad essere rappresentate in provincia sono oltre 130 nazionalità straniere. Il primato spetta ai rumeni (7766), seguito dagli albanesi (6270), che però sono cittadini europei e per i quali non è possibile l’applicazione di questo bando. Sono i ghanesi a svettare nella classifica dei non comunitari (3411): nel 2010 erano 352 gli iscritti alle liste di disoccupazione, con un tasso pari all’8%.  Seguono Marocco, India, Ucraina, Macedonia, Bangladesh, Moldova, Burkina Faso.
 
 
 
L'odissea dei profughi eritrei Tratta di uomini e di organi
Avvenire, 11-11-02011 
Paolo Lambruschi
«Di incontrare i predoni beduini non se ne parla proprio», dice il contatto, l’uomo che con loro ha lavorato per anni da El Arish. Qualche giorno fa c’è stato uno scontro a fuoco con la polizia, e troppi media si stanno interessando alla vicenda degli ostaggi nel Sinai. Sono loro, però, la chiave per capire i misteri del Sinai, quanti sono attualmente i rapiti e dove è finita parte degli eritrei, quella che non riposa fuori dal cimitero di El Arish.
Secondo un agghiacciante lancio dell’agenzia di stampa palestinese Ma’an, l’azione dei trafficanti di organi sul confine tra Egitto e Israele è stata denunciata già a settembre da un profugo eritreo sfuggito ai suoi sequestratori beduini. L’uomo aveva denunciato l’uccisione dei suoi compagni dopo che era stato preso loro il denaro e asportati gli organi. I corpi erano stati gettati nei bagagliai delle auto dei predoni. 
Che in Egitto fiorisca un mercato clandestino di organi è noto. Lo scorso giugno è stata approvata una legge che lo contrasta, ma nel 2010 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha definito il Paese un hub – uno snodo – per il traffico verso il mondo arabo, classificandolo nei primi cinque Stati attivi in questo immondo mercato. Giudizio aggravato per il 2011 dal Dipartimento di Stato americano, che lo ha portato al terzo posto. Nel deserto il business milionario dei sequestri si sarebbe così saldato con quello altrettanto florido degli organi umani a spese degli africani. Il rischio è infatti pari a zero, le ambasciate dei Paesi di appartenenza non reclamano per la sparizione di disperati privi di documenti, e la polizia egiziana non interviene. I predoni, dal canto loro, si sono ben guardati dal rapire occidentali. 
Parte degli introiti del mercato nero dal Sinai prende probabilmente la strada del Cairo, altri finanzierebbero il terrorismo islamico. Ma qui la pista diventa troppo intricata, difficile separare le responsabilità criminali in un Paese dove è alto il tasso di corruzione anche nelle forze dell’ordine, indebolite dalla rivoluzione, che nel deserto non intervengono troppo.
I dati confermano comunque che i due luridi mercati, uomini e organi, si alimentano. I sequestri, infatti, continuano. Sono almeno 500 le persone in ostaggio da settembre dei rapitori che hanno creato un triangolo della morte nel deserto della Bibbia. Dopo un anno di indagini da parte delle organizzazioni umanitarie, che hanno pazientemente raccolto le testimonianze delle vittime, sono noti persino i nomi dei mercanti di uomini e dei loro complici eritrei che attirano i profughi in trappola e riscuotono i ricatti via money transfer. 
E sono stati trasmessi sia alla polizia israeliana sia a quella egiziana, ma senza esito. 
«Dopo 12 mesi – spiega don Mosè Zerai, il sacerdote cattolico eritreo che vive a Roma – il flusso di migranti che vanno volontariamente sulla rotta del Sinai è diminuito. Però i riscatti sono aumentati, da qualche mese vengono chiesti 26 mila dollari per ostaggio».
Da Stoccolma la giornalista eritrea Meron Estefanos lancia da luglio un nuovo allarme: «I Rashaida rapiscono gli eritrei fuori dai campi profughi di Shegarab, in Sudan. Poi li vendono ai beduini in Egitto. Li scelgono tra i più giovani, temiamo che chi non possa pagare sia rivenduto ai trafficanti d’organi».
Dall’altra parte del confine Sigal Rozen, avvocato e attivista israeliana per i diritti umani dell’associazione Hotline for Migrant Workers di Tel Aviv, ha raccolto migliaia di testimonianze di eritrei in due anni. Ecco cosa ha concluso: «Non è vero che nel traffico d’organi finisca solo chi non paga il riscatto. Ci sono ragazze giovani e carine segregate per mesi anche dopo i pagamenti solo per continuare a stuprarle. E molti giovani uomini le cui famiglie hanno pagato spariscono senza aver mai contattato i loro cari. Probabile che dopo aver incassato il denaro i beduini li abbiano comunque scelti per l’asportazione di fegato, reni e cornee moltiplicando così i guadagni, e poi li abbiano uccisi». 
Le gang più note fanno capo ai palestinesi Abu Khaled e Abu Ahmed, ma secondo le testimonianze dei superstiti, il più crudele e sadico è Abu Abdallah, arrestato in maggio dalla polizia egiziana e subito liberato: un beduino 40enne padre di otto figli, originario di Mekleh vicino a Nahkhab che agisce con il fratello, noto come Abu Musa. Di costoro sono conosciuti persino i cellulari, eppure sono liberi di girare sulla rotta del traffico che va da Aswan a Rafah.
I predoni beduini hanno chiuso i canale, mi dice il contatto di El Arish. Alla Cnn un leader della tribù beduina Sawarka, una delle più grandi nel Sinai, ha ammesso il traffico di persone e le violenze, e ha puntato l’indice su «alcune canaglie» del clan.
Un altro capo della tribù Tarabin ha riconosciuto il traffico con i Sawarka, spiegando che «su 150mila beduini riguarderebbe 50 persone». Anche lo sceicco del clan Tihi ha parlato in un filmato trasmesso a fine ottobre dall’emittente privata egiziana Channel 25 e girato a Nekhel, nel cuore del Sinai. Anche questo video è rintracciabile su YouTube. Mostra le fosse comuni con i cadaveri calcinati di africani privi di organi, dissanguati e poi strangolati. Il video mostra i resti di un accampamento, e poi farmaci, lacci emostatici. E documenti bruciacchiati di eritrei. Il capo beduino fa il nome del trafficante d’organi: è Solomon Abdallah, alias Abu Abdallah.
Probabilmente per smarcarsi i predoni beduini hanno rilasciato mercoledì 600 persone alla frontiera con Israele, secondo l’Acnur. Un fatto senza precedenti: i rilasci sono sempre avvenuti a piccoli gruppi. Non si sa quanti siano attualmente i prigionieri, ed è presto per dire se il clamore mediatico abbia interrotto lo spregevole mercato.
Il filmato di Channel 25 riporta – scritti nella lingua ge’ez usata dalla Chiesa cattolica eritrea – i nomi di alcuni prigionieri scritti sulle rocce, poco lontano dal luogo dove, di lì a poco, avrebbero trovato la morte più orribile. I nomi di questi cristiani uccisi come bestie sono Kibrom, Wedi Teyki, Almaz, Nazu, Yerus Wehatila, Feven, Ephrem, Eyob, Tsgum Dbarwa, Yonas. All’Occidente e alla sua coscienza addormentata nulla importa di loro, ma la diaspora eritrea li ricorda oggi con una fiaccolata in molte città. 
Abbiamo visto dove sono finiti gli eritrei morti nel Sinai, partiamo ora a cercare i sopravvissuti nelle galere egiziane, da El Arish fino ad Aswan.
 
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