Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 dicembre 2010

Immigrati e balle mediatiche C'è un'Italia che non ha paura
l'Unità, 02-12-2010
Vittorio Emiliani SCRITTORE E GIORNALISTA
Dicono che sono una decina di milioni, ma sono la metà. E che arrivano via mare, mentre è solo una minima parte. E che sono concentrati nelle regioni del centrodestra, Ma è in Emilia che sono di più
Sono ancora recenti le proteste disperate di immigrati irregolari truffati da imprenditori con molto pelo sul cuore. Immigrati sulla gru a Brescia, nelle cui fabbriche venne eletto una ventina di anni fa il primo delegato sindacale extra-comunitario, Amhed se ben ricordo. Immigrati sulla ciminiera di Bresso alle porte di Milano. Necessari alla produzione industriale, al Nord e al Centro. Ma dove si concentrano in Italia gli immigrati regolari? Ci sono "balle mediatiche", per usare un termine berlusconiano, da sgonfiare. La prima: gli immigrati in Italia sono una decina di milioni o giù di lì. Balle: nel 2010 (dati Caritas) risultano 5 milioni, la metà di quella cifra "terroristica". La seconda: dal mare arrivavano centinaia di migliaia di clandestini. Balle: erano meno di trentamila all'anno (il grosso arriva, tuttora, via terra, da est). Un'altra ancora: quella immigrazione si concentra essenzialmente nel Nord Est là dove cioè dove essa "fa notizia" con quei bravi cristiani di sindaci che gli extra-comunitari propongono di impallinarli «come le leprotti» o che negano ai loro figli l'asilo, la mensa scolastica, l'assistenza e così via. Ed ora propongono come sbarramento l'esame di lingua italiana (ma quanti parlamentari leghisti la conoscono a fondo?). È la terza "balla". Vediamo come e perché.
Rispetto alla popolazione residente, secondo l'Istat, gli immigrati sono distribuiti così: il Veneto figura soltanto al 4° posto col 9,8 %, la Lombardia al terzo col 10,0, preceduta (udite, udite) dall'Umbria seconda col 10,4 % e dall'Emilia-Romagna prima assoluta col 10,5. Cioè due regioni di centrosinistra, le quali sfatano la leggenda che, se ci sono molti immigrati, per reazione vince il centrodestra. Non basta, perché subito dopo il Veneto vengono altre regioni a maggioranza di centrosinistra dove l'immigrazione non alimenta granché la cronaca nera, e sono la Toscana col 9,1 e le Marche con l'8,9 % . Dopo di loro si piazzano Lazio, Piemonte, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia tutte sopra l'8 % e la Liguria col 7,1. Che è poi, all'incirca, la media dell'Italia (nel 2010 salita all'8). Sotto la quale si collocano la Valle d'Aosta (6,4) e tutto il Mezzogiorno, con province però come Teramo oltre la media Italia.
Ma quali sono le province con la quota più elevata di immigrati? Non quelle del Veneto. In testa figura Brescia (13% circa) divenuta città-simbolo con i clandestini che reclamavano una regolarizzazione dall'alto della gru. Seguita da Prato, Chinatown d'Italia, col 12,7, e, subito dopo, da Piacenza, Reggio Emilia, Mantova e Modena, tutte sopra il 12. Quindi Treviso, Verona e Vicenza, ma vicinissime a queste province spesso al disonore della cronaca per episodi di razzismo leghista si collocano, con Pordenone, Perugia e Macerata di cui giornali e tv non si occupano quasi mai. Ha dunque ragione Giuseppe De Rita ad osservare che integrazione, o comunque coabitazione, danno problemi meno drammatici nelle città piccole e medie (di una certa Italia, aggiungerei) rispetto alle periferie delle aree metropolitane.
La comunità di gran lunga più numerosa? I romeni, 900.000 circa, il doppio degli albanesi e dei marocchini, secondi e terzi, quasi alla pari. Seguono i cinesi e gli ucraini (o meglio, le ucraine) sulle 200.000 unità. Più lontani, ma sempre oltre quota 100.000, filippini, indiani, polacchi, moldovi, tunisini. Appena più sotto i macedoni. Nell'anno passato gli incrementi più forti negli arrivi li hanno segnati moldovi (+18,1 %), pakistani (+17,1), indiani, ucraini/e.
Dove si dislocano queste comunità tanto diverse? I romeni prevalentemente a Roma, Torino, Milano e Padova. Gli albanesi a Roma, Torino e Firenze. I marocchini a Torino, Milano e Roma (ma pure a Genova e a Bologna). I cinesi a Milano, vecchia residenza tradizionale, Prato e Roma (Esquilino). Gli ucraini a Caserta, Napoli e Cusio-Ossola. Gli indiani a Roma, ma pure ovunque ci siano stalle e allevamenti: Brescia, Suzzara, Luzzara, il paese di Zavattini. Senza di loro, addio latte, addio formaggi come grana e parmigiano-reggiano. I moldovi a Roma, Padova, Venezia e Parma. I macedoni a Vicenza, Roma e Piacenza. I tunisini nelle città siciliane delle serre orticole e/o della pesca: Vittoria, Mazara del Vallo, Trapani (ma anche a Parma). I polacchi a Roma e provincia, a Napoli e Bologna. I peruviani a Milano, Roma e Torino. Mentre gli ecuadoriani prevalgono in tutta la Liguria, come a Trieste i serbi e a Gorizia gli immigrati dal Bangladesh.
In Liguria si trova, secondo l'Istat, il Comune con più immigrati rispetto alla popolazione residente. Si tratta di Airole, sulla collina imperiese: su 500 abitanti, un residente su tre è straniero. Un 31% che fa record in Italia.



Immigrati, la gran parte si trova nelle città del nord

la Padania, 02-12-2010
GIOVANNI POLLI
MILÀN - Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco: la rivista Libertàcivili, "Bimestrale di studi e documentazione sui temi dell'immigrazione" diretta da Mario Morcone ed edita da Francoangeli è una pubblicazione dichiaratamente dalla parte degli immigrati, come testimoniano le frasi di Kennedy in materia pubblicate in quarta di copertina del numero 5, settembre/ottobre 2010. I dati, le inchieste e le valutazioni riportate sono quindi da leggere senza pregiudizio ma con la consapevolezza della loro fonte. Tanto più che i numeri brutali di grafici e tabelle sono presi di peso da elaborazioni Censis su dati Istat.
Diversi allora gli spunti di riflessione presenti nel "Primo piano" del numero citato, intitolato "La Sfida del territorio". I dati più interessanti si sviluppano intorno a due concetti base: «La corsa mondiale verso le metropoli» e «Gli stranieri seguono la geografia dello sviluppo italiano». Enunciati e sviluppati nel saggio a cura di Giuseppe Roma, direttore del Censis, questi due concetti sarebbero sufficienti per avallare la percezione di un fenomeno che è evidente a tutti: la grande maggioranza degli immigrati si situa al Nord, in prevalenza nelle grandi città. «Dei tremilioni e novecentomila stranieri ufficialmente residenti in Italia all'inizio del 2009 - si può leggere - il 36 per cento abita nelle città capoluogo di provincia. Ormai in media 82 residenti su 1000 dei capoluoghi sono immigrati e il loro insediamento ricalca la mappa delle aree più ricche e produttive del Paese. Nelle città del Nord-Est (Triveneto più Emilia - Romagna) la densità di immgirati è 2,6 volte superiore a quella del Mezzogiorno: sono presenti, infatti, 35,1 stranieri per 1.000 abitanti al Sud, 91,5 nel Nord-Este, inoltre, 86 per 1.000 abitanti nelle regioni nord occidentali e
82,8 nel Centro Italia».
Quali allora gli effetti, quali i problemi? «Le nostre città - scrive ancora Roma - hanno sempre mostrato una spontanea capacità di integrazione per gli immigrati di primo arrivo, ma ora con la progressiva entrata in campo delle seconde e terze generazioni straniere e l'acuirsi dei problemi abitativi, i meccanismi spontanei potrebbero esaurirsi senza adeguate politiche di supporto».
Frasi tratte dal capitolo "Politiche urbane e convivenza", uno dei passaggi chiave dell'intera trattazione. Che non può che rilevare la realtà di fatto che ab-biamo sotto gli occhi tutti i giorni: «Il disagio di chi vive la realtà metropolitana si può trasformare in paura per il solo fatto di dover condividere spazi ristretti con chi si trova in condizioni estreme di marginalità e di degrato, o in quato la relazione con i nuovi venuti implica una contiguità senza mediazioni». «Ad esempio - continua il passaggio - secondo un'indagine Rur gli accampamenti abusivi di Rom vengono giudicati la minaccia più pericolosa per la comunità urbana e questo sentimento riguarda i pensionati, come i professionisti, i giovani studenti e le casalinghe». Ma la cosa più sorprendente è che si dà atto di come senta «ostilità sia chi appartiene da seniore al terriotrio sia chi ci è arrivato da meno di cinque anni, presumibilmente da immgirato straniero».
Chiara e netta l'enunciazione della problematicità della situazione che - a differenza delle entusiastiche aperture fondate sull'elogio dell'accoglienza indiscriminata che andavano per la maggiore sino a pochi anni fa - viene letta ancora senza una soluzione possibile: «Come possano convivere in modo equilibrato, nel contenitore denso delle metropoli, fasce sociali tanto diverse, per culture e livelli di benessere, resta un problema aperto».
Ed è scritto a chiare lettere il "no" ai ghetti: «L'esperienza consiglia di evitare un eccesso di barriere e chiusure, la formazione di quartieri etnici e le enclave di marginalità, perché i forti squilibri costituiscono la base per fratture non sempre ricomponibili». Ma il pensiero che deve fare riflettere ancora più approfonditamente è quello che chiude il capitolo: «Una comunità che perde la sua base identitaria e con essa la voglia di innovare e crescere non-potrà che subire passaivamente gli effetti dei grandi processi sociali in atto». I sempre più stonati e rauchi al-  fieri del "multicultu-  ralismo" a tutti i costi sono ora pregati di tenerne  conto.



A Brescia il record dei residenti

la Padania, 02-12-2010
DIEGO MORANDI
BRÈSA - È Brescia la città con più immigrati residenti d'Italia: a confermare un dato già conosciuto, soprattuto, dai suoi abitanti che si sono accorti di come sia cambiata in questi anni la faccia della loro città, la rivista bimestrale di studi sull'immigrazione Libertàcivili, forte di dati provenienti da numerosi fonti, in particolare Istat.
A Brescia il 16,5% dei residenti sono stranieri ed, anche, il territorio provinciale non è da meno, anche esso al primo posto tra le Province, con un 12,2% di stranieri residenti nel 2009. Una percentuale, quella provinciale, che fornisce un quadro chiaro dell'impennata del fenomeno migratorio, soprattutto, se confrontata con quelle degli anni passati: nel 2001 gli stranieri residenti erano solo il 4,4%, con Brescia al terzo posto tra le province caratterizzate dall'elevata presenza di extracomunitari, nel 2005 era già prima, con un dato   quasi raddoppiato dell'8,5%. Sia chiaro  che,  nel caso specifico, si parla solo di residenti e, quindi, nella realtà la percentuale di stranieri è, comunque, più elevata, se si prendono in considerazione clandestini e non residenti, spesso i più problematici.
Non sono solamente i numeri, sempre significativi quando si parla di immigrazione, ma anche, e soprattutto, i fatti di cronaca o una semplice passeggiata in determinati quartieri di Brescia a fare comprendere come, se si eccettua quella parte di immigrati che lavorano e cercano una effettiva integrazione, spesso l'alta percentuale di stranieri sia veramente un problema.
Via Milano,  la Stazione, alcune zone   del  centro storico, grazie soprattutto al lassi¬smo del centro sinistra che per decenni ha governato la città, si sono velocemente trasformate in ghetti. Via Milano, che la nuova amministrazione del sindaco Adriano Paioli, e soprattutto del suo vice leghista lo "sceriffo" Fabio Rolfi, è decisa a tutti i costi a riqualificare, in questi anni, da via di accesso alla città è scivolata pian piano nel degrado, con un'impennata della presenza di stranieri ed, ovviamente, dei consueti problemi: prostituzione, spaccio, risse, oltre che ad una progressiva diminuzione di residenti e negozianti bresciani.
«Dal buonismo dell'ex sindaco Corsini e del centro sinistra nei confronti degli immigrati abbiamo ereditato sicuramente una situazione non facile, con alcun quartieri caratterizzati da fenomeni delinquenziali che con impegno stiamo combattendo raggiungendo progressivamente risultati positivi» ha spiegato il vicesindaco ed assessore alla sicurezza Fabio Rolfi che, attraverso la sua polizia locale, lotta quotidianamente contro clandestinità e microcriminalità.
A dare conferma dell'emergenza stranieri a Brescia ancora più significativo è il numero degli straneri presenti nel carcere cittadino, percentuale che supera il 70%.
Non è un caso, quindi, se Brescia più volte è finita al centro delle cronache per episodi più o meno gravi, di cui, l'ultimo in ordine di tempo,  è rappresentato dalla vicenda della gru, sicuramente il meno grave se paragonata all'arresto di alcuni elementi legati al terrorismo internazionale, qualche anno fa, o alla tragica fine di Hiina, la ragazza uccisa dal padre perché troppo occidentale, l'esempio più doloroso di come l'integrazione sia ancora un miraggio lontano.



Ricatti e fughe, continua il dramma degli eritrei

Servono 500 dollari per "comprarsi" la libertà. «174 superstiti in condizioni disperate»
Avvenire, 02-12-2010
PAOLO LAMBRUSCHI
MILANO - Non è una spietata banda di predoni allo sbando, ma una vera e propria organizzazione di trafficanti di schiavi. Sono i rapitori che tengono in ostaggio i profughi eritrei nelle sabbie del Sinai e che minacciano di ucciderli tutti, nell'indifferenza dei governi e nel silenzio di molti media, se non verrà pagato un riscatto di 8mila dollari. Ne hanno già ammazzati 6 in 48 ore, tra lunedì e martedì.
ieri il quadro si è arricchito con nuove testimonianze dei prigionieri. I carcerieri consentono loro chiamate con i cellulari aparenti e conoscenti per reperire il riscatto. E i racconti al te-lefonino, unico legame con il mondo, dimostrano che la rete dei trafficanti è ben radicata nel Nordafrica e in alcune città europee. Le modalità di pagamento prevedono infatti il pagamento attraverso agenzie di money transfer a persone residenti al Cairo oppure la consegna a emissari dell'organizzazione di sensali di uomini in alcune capitali europee, dove vive la nutrita diaspora dalla repubblica del Corno d'Africa. Chi ha potuto, ha pagato così, ma cifre più piccole, solo 500 - 1000 dollari, insufficienti per comprare la libertà. Dunque c'è un piano preordinato dietro al sequestro più di un mese fa del gruppo di 80 eritrei che aveva pagato ì passatori per andare in Israele e da lì tentare la rotta terrestre che dalla Turchia arriva in Europa. «1 74 superstiti - racconta don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo della diocesi dell'Asmara che vive Roma e che ha contati quotidiani con gli ostaggi - sono ormai in condizioni disperate. Mangiano una pagnotta ogni due giorni e bevono acquasanta che provoca forti disturbi, non si lavano e sono malmenati».
Dopo il tragico tentativo di fuga di 12 persone, costato tre vittime, i criminali hanno spostato i prigionieri incatenati in capanne di fango e legno più piccole. Questo ha consentito di scoprire la presenza di almeno tre donne in stato di gravidanza.
«Secondo il mio interlocutore ce ne sarebbero altre - conferma don Zerai - ma non sono in grado di dire quante». intanto ieri è iniziata la mobilitazione delle organizzazioni umanitarie per rompere il muro del silenzio e chiedere al nostro governo di intervenire sul governo del Cairo per salvare gli ostaggi.
«Oggi - commenta padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli -assistiamo a una delle pagine più nere della nostra civiltà: la morte di esseri umani in cerca di libertà. Reagiamo a tutto ciò: poniamo fine alla distruzione del diritto d'asilo e ritorniamo a dare protezione ai perseguitati della terra. Non possiamo restare in differenti-prosegue il gesuita-nell'apprendere le tragiche notizie che giungono dall'Egitto. Don Zerai sta denunciando un massacro di cui l'Europa e l'Italia sono corresponsabili. Esseri umani in pieno diritto di ottenere protezione internazionale hanno perso la vita nell'indifferenza assoluta delle istituzioni». Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII si è unita agli appelli. «Sei rifugiati sono stati uccisi perché non hanno ceduto al ricatto - ricorda l'associazione - non hanno pagato il prezzo della loro libertà. Facciamo appello al governo italiano, al governo egiziano e alle autorità europee ed internazionali a tutela dei diritti umani affinché intervengano con urgenza perché vengano liberate e salvate queste vite».



Immigrati, se si dimentica la storia

Avvenire, 02-12-2010
Vincenzo Andraous
Ero a un incontro sul tema "Migranti, conoscenza,  solidarietà" e dapprima ho ascoltato con attenzione, poi con partecipazione, quando sono state ricordate le nonne e i nonni partiti tempo addietro per altre città, altri paesi, altri continenti. Quando si trattano problemi planetari come la povertà, la fame, la guerra, l'ingiustizia, non ci sono possibilità di chiamarsi fuori, perché l'indifferenza, «peso morto della storia», è già violenza nei confronti di chi è costretto a sopravvivere alle rimozioni della memoria. Ho ricordato due anziani seduti al bar, a darsele di santa ragione a colpi di asso di bastoni e sette di denari; spesso le carte da gioco consentono di barare con la voce agli anni che incalzano. Entra il ragazzo indiano, vende roselline rosse, così rinsecchite che è un dovere acquistarne una, quanto meno per non averle più sotto il naso. Le carte sono improvvisamente ferme, le voci urticanti aprono varchi alle parole lanciate come sassi: «Ma vai al tuo paese, smettila di dare fastidio, tornatene a casa tua». Il ragazzo non proferisce parola, come un pugile suonato se ne ritorna al suo angolo nascosto. Un film già visto altre volte, ma che non ha insegnato nulla. La mente va alle immagini di spostamenti da una parte all'altra del pianeta, di uomini, donne e bambini sulle navi, sui treni, con le valigie di cartone e le suole bucate. E mentre le carte ritornano al piano, tra un bicchiere di vino e una imprecazione alla sfortuna, c'è dimenticanza per quanti sono partiti tanti anni fa, stanno ancora sparsi in terre lontane e nonostante le avversità rimangono in quei continenti a dare il loro contributo per diventarne parte rispettata e vivificante. Infatti le civiltà si sono formate nell'incontro che costringe a ricorrere a tutte le nostre energie interiori per risultare fruttuoso. Indipendentemente dai percorsi che porteranno a rispettare di più noi stessi e gli altri, occorre avere maggiore cura delle parole e del valore insito in tutte le persone. È un itinerario educativo che non possiamo abbandonare, per non abboccare all'amo di una disinformazione che alimenta scarsa consapevolezza, dissotterra antiche e nuove intolleranze, non promuove solidarietà e integrazione, né fratellanze allargate. Migranti, conoscenza, solidarietà: per starci dentro bisogna camminare con la giustizia come nostra compagna di viaggio, unico collante che ci fa schierare dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali. In questa guerra dei più poveri, degli ultimi, c'è un campo minato di sofferenze e dolore, dove il futuro non è più domani, ma adesso, perché in ballo ci sono gli affetti, gli ideali, i valori, le radici profonde di ogni possibile cambiamento.



Mantica: «Dobbiamo agire sui governi di Egitto e libia»

Avvenire, 02-12-2010
GIOVANNI GRASSO
ROMA -Chiederò al ministro  Frattini e al ministro  Maroni di intervenire sul governo libico e su quello egiziano, per vedere se è possibile trovare una conclusione positiva a questa drammatica vicenda». Il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, «da amico del popolo eritreo», assicura in questa intervista il suo impegno a favore degli ostaggi eritrei finiti in mano dei predoni. E afferma: «Credo che sia venuto il momento che il governo italiano chieda al Colonnello Gheddafi di riservare un trattamento diverso a quei profughi che vengono dall'Eritrea e che hanno diritto all'asilo politico». Sottosegretario Mantica, non le pare che ci sia a livello di governo ma anche di stampa italiana una sottovalutazione di quello che sta accadendo ai profughi eritrei? Sicuramente queste vicende non sono conosciute a sufficienza. Credo che occorra un'opera di sensibilizzazione, sia a livello di Parlamento che di opinione pubblica.
La politica italiana dei respingimenti non è, in qualche modo, corresponsabile di queste tragedie?
I respingimenti hanno sicuramente la loro dolorosa durezza, ma per gli eritrei hanno una importanza relativa. Il discorso è lungo e parte da lontano. Nella zona di Kassala, al nord del Sudan, ci sono campi profughi di eritrei, costituiti da 200-300mila persone che fuggono dal regime dittatoriale di Isaias Afewerki. E che si ritrovano nel deserto con scarsissime probabilità di sopravvivenza. Si tratta, in sostanza, di un decimo della popolazione eritrea, che fugge da condizioni di miseria e da una leva obbligatoria che li costringe alle armi e a servizi umilissimi fino a quarant'anni d'età. Da questi campi profughi, alcuni giovani cercano di arrivare in Europa (e specialmente in Italia) attraverso il deserto libico o l'Egitto, risalendo il Nilo. Tenendo presente che chi fugge dalla leva è considerato disertore e sarebbe sanzionato in modo pesantissimo se provasse a tornare in patria. E, dunque, cosa si può fare a livello internazionale?
Credo che bisogna innanzitutto agire sul Colonnello Gheddafi, per due ragioni. La prima è che continua a sostenere il regime di Isaias Aferweki, cedendogli ad esempio petrolio a prezzo politico. E si badi bene che Isaias è stato duramente criticato anche a livello africano, per le condizioni in cui versa la popolazione eritrea e per il suo contributo all'instabilità del Corno d'Africa. La seconda è che i libici utilizzano molta mano d'opera eritrea per l'agricoltura, trattata in condizioni di semischiavitù. Credo, allora, che il governo italiano debba chiedere alla Libia di trattare i profughi eritrei in un modo particolare, tenuto conto della specificità della loro condizione.
Il governo italiano si muoverà, allora?
Quello che posso garantire, personalmente, è che lancerò un appello al ministro degli Esteri Frattini e a quello dell'Interno Maroni perché si muovano con il governo egiziano, con il quale c'è da sempre grande collaborazione, e con quello libico. Si tratta di compiere un urgente intervento umanitario, non di infrangere patti o trattati internazionali.



Ostaggi di un Paese fantasma Ecco perché da Asinara partono migliaia di disperati

Avvenire, 02-12-2010
ROMA. Perchè migliaia di eritrei ogni anno lasciano il proprio Paese e partono con il miraggio di arrivare in Europa? Per capirlo, occorre tornare all'Asmara, la capitale dei Paese africano.
Il futuro di molti giovani, infatti, e nelle mani di qualcun altro. Appena maggiorenni, i ventenni di belle speranze (magari con buoni titoli di studio alle spalle) vengono mandati a vivere con centinaia di migliaia di altre persone in tende soffocanti e senza luce, nei campi al confine con l'Etiopia. Dieci, quindici, vent'anni. a difendere pietraie e sterpaglie in attesa di una guerra che forse nemmeno ritornerà.
Parliamo del vecchio conflitto tra Etiopia ed Eritrea. Prima di diventare profughi, schiavi di criminali senza scrupoli che li costringono a viaggi impossibili, attesti giovani sono infatti ostaggio del loro Paese, che li rinchiude in centri educativo-militari. Di fatto si tratta del primo atto di una strategia di deportazione di massa. Gli eritrei, infatti, sono praticamente prigionieri in casa loro. Volete un esempio? La carta d'identità non basta nemmeno per spostarsi all'interno dei Paese. Ovunque, serve un permesso di viaggio da mostrare ai posti di blocco: il governo vuole sapere dove ti trovi. L'idea del conflitto permanente" dà cosi un alibi anche al presidente Issaias Afeworki. in carica dal 1993. dalla mancata approvazione della Costituzione, pronta dal 1997 e mai promulgata.
Il dissenso interno non esiste, la stampa privata e abolita dal 2001. L'attività economica praticamente non esiste. Negozi, magazzini e botteghe sono spesso vuoti. Il risultato? Per molti non e altro che la fuga. Anche a rischio della vita. Cosi, se sei giovane e vuoi respirare un po' di libertà, da questo Stato-prigione prima o poi cerchi di scappare.
Dell'Europa, forse, hai sentito parlare a scuola. Dell'Italia, di un'Italia che non c'è più, dai racconti di tuo nonno. La fuga è il primo passo. Poi si entra in un circolo pericoloso e (in alcuni casi, purtroppo) senza uscita, in cui i protagonisti sono le guardie, le spie di regime, i trafficanti d'esseri umani. Che a volte fanno meno paura di una realtà quotidiana che. in Eritrea, appare come un abisso senza fine.



Le domande dal 9 dicembre. Richiesta una comprensione elementare
«Quanti figli hai?». Arriva il test d'italiano per stranieri
Corriere Della Sera, 02-12-2010
Fabrizio Caccia
Via alle prove per chi chiede soggiorno di lungo periodo Chi è bocciato si potrà ripresentare. Interessati 80 mila
ROMA - Entrate in una bottega da barbiere, se vi capita. In una di quelle gestite oggi da immigrati, spesso bengalesi. Se ne trovano, ad esempio, nei quartieri popolari di Roma. Ebbene, là dentro scoprirete che il «figaro» di Dacca comunica coi suoi clienti, non solo romani e connazionali ma anche cinesi e arabi, usando l'italiano. Il fenomeno meriterebbe l'attenzione di un linguista: l'italiano come esperanto. Chissà quale sarà l'evoluzione di questa nuova lingua «in progress», frutto di così tante e recenti contaminazioni. Di sicuro, il processo d'integrazione passa anche attraverso la comprensione reciproca ed è per questo che dal prossimo 9 dicembre diverrà operativo il decreto del 4 giugno scorso del ministero dell'Interno, che introduce il test obbligatorio di lingua italiana per gli stranieri.
Attenzione, però. La novità riguarderà per ora «solo» gli stranieri «regolarmente» presenti in Italia «da almeno 5 anni», che abbiano compiuto i 14 anni di età e che vogliano richiedere il rilascio del cosiddetto «permesso CE per soggiornanti di lungo periodo», il documento cioè che rispetto al normale permesso di soggiorno è invece «a tempo indeterminato» e rappresenta, perciò, una specie di anticamera per arrivare, dopo 10 anni di legale residenza in Italia, ad acquisire il sospirato status di cittadini. Sono esclusi comunque dal test gli immigrati che dimostrino con titoli di studio o professionali di avere già una buona conoscenza della lingua italiana. E le persone affette da gravi patologie o handicap.
Però niente panico, raccomanda il ministero, che negli ultimi giorni sta registrando un cospicuo aumento delle domande tra quelli - in Italia sono circa 60-80 mila - che, avendo i requisiti per richiedere il permesso in questone, stanno cercando di presentare la documentazione prima della data fatidica, con l'obiettivo di sfuggire all'esame. E invece «niente paura e nessuna fretta», ripete ancora il viceprefetto Daniela Parisi, del Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione del Viminale. Innanzitutto, perché il 9 dicembre si parte - è vero - ma non occorre precipitarsi.
Chi già tra una settimana, infatti, vorrà presentare la sua domanda di partecipazione al test, verrà poi convocato dalla Prefettura entro 60 giorni due mesi!, perciò i primi esami d'italiano si terranno solo a gennaio-febbraio 2011 e, in caso di esito negativo, lo straniero potrà comunque ripetere la prova effettuando una nuova richiesta. Insomma, la «bocciatura» non comporterà alcunché di drammatico. Inoltre, il test non è di quelli insuperabili. Si basa sulla «comprensione di brevi testi, frasi ed espressioni di uso frequente» un po' come nella bottega del barbiere di Dacca... con un livello di difficoltà pari a quello «A2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento», terminologia burocratica che però dal ministero dell'Istruzione partner dell'iniziativa decriptano agevolmente: «Lo straniero dovrà dimostrare di essere in grado di capire e farsi capire, a voce e per iscritto, su temi che riguardano la vita di tutti i giorni». E fanno esempi rassicuranti.
A gennaio poi uscirà una vera e propria «Guida al Test», con gli indirizzi standard forniti dagli «enti certificatori» Università di Roma Tre, Università di Perugia, Università di Siena e Dante Alighieri. Un vademecum, però, è già disponibile oggi. La richiesta di partecipazione va fatta via web ma lo straniero a digiuno di internet potrà sempre rivolgersi ai vari patronati. L'immigrato si registrerà all'indirizzo previsto http://testitaliano.interno.it ed entro 60 giorni riceverà «per posta» la convocazione della Prefettura. «Il test sarà gratuito - assicura il viceprefetto Parisi - e si svolgerà nelle scuole. Ognuno verrà convocato nell'istituto più vicino a casa, secondo il Cap indicato nella domanda». Sostenuta la prova, collegandosi dopo pochi giorni allo stesso indirizzo web l'immigrato ne potrà conoscere l'esito. E se l'avrà superata ottenendo almeno l'80 per cento del punteggio complessivo non riceverà un diploma ma potrà, a quel punto, presentare la sua domanda per avere il permesso per soggiornanti alla Questura, che vaglierà la sussistenza degli altri requisiti: reddito e alloggio idoneo, certificato del casellario giudiziale...



Anche la lingua ha fatto la storia d'Italia

La Stampa, 02-12-2010
MICHELE AINIS
Lo Stato italiano ha 150 anni, la lingua italiana 7 secoli. Ma la Repubblica italiana ha mai saputo imbastire una politica linguistica? A parte qualche legge che prescrive l'italiano nell'etichettatura del cacao o nei fogli informativi dei giocattoli, la risposta è no. O meglio, una legge ci sarebbe: la n. 4 del 1974, che ha vietato a tutti gli uffici pubblici di usare le parole lebbra, lebbroso, lebbrosario. Qui però non s’affaccia l’esigenza di proteggere la lingua italiana, ma casomai l’opposto, perché vi si prescrive che questi termini vengano sostituiti da «Morbo di Hansen» o da «hanseniano». Dunque una legge all'insegna del politicamente corretto, anche a costo di suonare incomprensibile per chi non abbia in tasca un paio di lauree in medicina: difatti negli usi collettivi sentirsi dare del lebbroso significa ricevere un insulto, mentre se apostrofi qualcuno chiamandolo hanseniano otterrai in cambio uno sguardo stralunato.
In compenso c’è un fiume normativo che si riversa sulle minoranze linguistiche, dividendole però in figli e figliastri (il gruppo tirolese di lingua tedesca è fra le minoranze più protette al mondo). C'è anche una legge generale su tali minoranze (la n. 482 del 1999), che le elenca una per una: quelle albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, nonché le popolazioni che parlano il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano, il sardo. Tuttavia da quest’elenco mancano gli zingari, mancano varie parlate regionali al di là del sardo e del friulano, mancano le nuove minoranze forgiate dall’immigrazione. Insomma la politica linguistica dell'Italia repubblicana è un po’ come un ascensore: viziata da una sorta d’imperialismo normativo nei confronti delle etnie più deboli, arrendevole con le minoranze più ricche e più coese, pressoché silente rispetto alla tutela della nostra lingua nazionale.
Un solo esempio: gli immigrati. Qui le preoccupazioni linguistiche si limitano a un unico episodio, perché non ve n’era quasi traccia né nella legge Martelli del 1990, né nella Turco-Napolitano del 1998, né nella Bossi-Fini del 2002. Ma il punto di svolta sta nel primo «pacchetto sicurezza» incartato dal ministro Maroni, e più precisamente nella legge n. 94 del 2009, quella che ha introdotto il reato d'immigrazione clandestina. Anche se in realtà è clandestina questa stessa novità legislativa, dato che si nasconde nell'art. 1, comma 22, lettera i), che a sua volta modifica l'art. 9 del d.lgs. 286/1998, aggiungendovi un comma 2-bis. Un insulto alla matematica, se non proprio all'italiano. Eppure questo comma al cubo esige dagli immigrati una prova che molti cittadini non supererebbero: un test di conoscenza della lingua italiana, per ottenere il permesso di soggiorno.
No, non è questa l’idea che ci avevano consegnato i nostri padri fondatori. Se c'è uno spazio per la politica linguistica nella Carta del 1947, questo spazio va colmato rispettando la libertà di lingua, che a sua volta è figlia della libertà di parola. E avendo cura inoltre della nostra lingua nazionale, ma senza il bastone usato dal fascismo, non foss’altro perché in ogni manifestazione della vita culturale c’è una scintilla che non può essere pianificata, o che altrimenti muore. Come diceva Adorno, quando le feste di paese vengono messe in calendario una dopo l’altra per agevolare i viaggi culturali, finiscono per perdere la loro qualità di festa, che si regge sull'unicità del rito, sulla sua irripetibilità. Le feste vanno celebrate come cadono, la lingua va accettata per com’è, per come spontaneamente evolve, anche quando assume sonorità estranee alla nostra giovinezza. Ma la lingua è al tempo stesso un bene culturale, è insieme la memoria dei padri e l’orizzonte dei figli, ed è disgraziata la Repubblica che non abbia cura del proprio patrimonio culturale.
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Questo testo è una sintesi dell’intervento del professor Michele Ainis al nono convegno dell’Asli (Associazione per la storia della lingua italiana) «Storia della lingua italiana e storia dell’Italia unita» in programma da oggi a sabato a Firenze organizzato con l’Accademia della Crusca in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.



Emigrazione, quegli italiani che se ne vanno Sempre più chi dice "Io qui non ci sto più"

la Repubblica, 02-12-2010
VLADIMIRO POLCHI
Il Rapporto Italiani nel mondo 2010 della Fondazione Migrantes: 510 pagine di dati sui nostri connazionali all'estero che, all'8 aprile scorso erano 4.028.370, cioè il 6,7% dei residenti in Italia, un numero vicino a quello degli immigrati nel nostro Paese. L'aumento è di 113 mila persone rispetto all'anno precedente e di quasi 1 milione rispetto al 2006. Vivono in Europa (55,3%), America (39,3%), Oceania (3,2%), Africa (1,3%) e Asia (0,9%).
Emigrazione, quegli italiani che se ne vanno Sempre più chi dice "Io qui non ci sto più"
ROMA  -  Andrea è un cacciatore di comete: ben quindici corpi celesti portano oggi il suo nome. Andrea Boattini è fiorentino, ma per completare i suoi studi planetari è dovuto emigrare in America. Dal 2007 scruta le stelle dal Lunar and Planetary Laboratory dell'Arizona. Andrea non è un caso isolato: tanti sono gli italiani che nel 2010 vivono e lavorano all'estero. Quanti? Oltre quattro milioni: 113mila in più, rispetto al 2009.
Italiani nel mondo. Gli emigranti continuano dunque ad aumentare, come dimostra il quinto "Rapporto Italiani nel mondo 2010" della Fondazione Migrantes 1: 510 pagine che fotografano i nostri connazionali all'estero. I dati? All'8 aprile 2010 i cittadini iscritti all'anagrafe degli italiani all'estero sono 4.028.370 (il 6,7% dei residenti in Italia, un numero quasi pari a quello degli immigrati nel nostro Paese). L'aumento è di 113mila persone rispetto all'anno precedente (frutto anche di nuove nascite all'estero) e di quasi 1 milione rispetto al 2006. Quella degli italiani nel mondo è dunque una presenza in aumento. Dove vivono? In Europa (55,3%), America (39,3%), Oceania (3,2%), Africa (1,3%) e Asia (0,9%). Tra i Paesi, l'Argentina supera di poco la Germania (entrambi con oltre 600mila residenti), la Svizzera accoglie mezzo milione di italiani, la Francia si ferma a 370mila, il Brasile raggiunge i 273mila, Australia, Venezuela e Spagna
superano i 100mila.
Italiani e oriundi. Tra gli italiani residenti all'estero più della metà non è sposato, quasi la metà è costituita da donne, più di un terzo è nato all'estero, mentre 121mila si sono iscritti all'anagrafe dopo aver acquisito la cittadinanza. I minorenni sono un sesto del totale, ma sono superati dagli ultrasessantacinquenni (18,2%). All'estero, oltre agli italiani che hanno la cittadinanza (quindi con passaporto e diritto di voto) vi sono gli oriundi (i discendenti degli emigranti): quasi 80 milioni secondo una recente stima dei Padri Scalabriniani (25 milioni in Brasile, 20 in Argentina, 17,8 negli Stati Uniti e in Francia, 1,5 in Canada, 1,3 in Uruguay, 0,8 in Australia, 0,7 in Germania, 0,5 sia in Svizzera che in Perù).
Migrazioni interne. Il Rapporto Migrantes prende in considerazione anche la mobilità interna all'Italia e valuta che nel complesso "tra spostamenti interni e verso l'estero, in andata e in rientro, temporanei o di lungo raggio, italiani che vanno o che ritornano, si arriva a quasi 400mila spostamenti totali, 1 ogni 150 residenti".
Cervelli in fuga. Quanto ai casi come quello di Andrea Boattini, non è disponibile un censimento completo dei ricercatori all'estero. Duemila sono gli iscritti alla banca dati "Davinci"  2 e lavorano in tutte le più importanti università del mondo. Solo 1 su 4 intenderebbe ritornare in Italia, gli altri si dicono soddisfatti della vita condotta all'estero. Non è un caso che dalla graduatoria Top Italian Scientists, risulta che l'Italia ha i suoi più bravi scienziati all'estero.
Rientro dei cervelli. Nel 2001, il ministro dell'Università ha varato un programma per il rientro dei cervelli fuggiti dall'Italia. I risultati? Scarsi. "Dei 460 ricercatori, faticosamente riportati in patria, infatti, solo 50 sono stati richiesti ufficialmente dagli atenei italiani e di essi solo un quinto avrebbe superato le forche caudine del Consiglio Universitario Nazionale.  L'emorragia dei cervelli è, quindi, destinata a continuare, specialmente dal Sud: se si prende l'esempio della Puglia, si constata che annualmente il 45% dei 23.500 nuovi laureati lascia la regione, per lo più definitivamente".
Tagli alla lingua italiana. Leggendo i dati del ministero degli Affari Esteri ci sarebbe da essere orgogliosi: 23.988 corsi di lingua italiana nel mondo, per un totale di 393.897 allievi. "Ma  -  ricorda il Rapporto Migrantes  -  ha giustamente suscitato scandalo il fatto che i finanziamenti alla società Dante Alighieri siano stati ridotti a 600mila euro annui, il costo di due retribuzioni pubbliche di alto livello (o addirittura solo di una, in certi casi), un sostegno assolutamente inadeguato e non paragonabile né agli investimenti culturali di un piccolo paese come il Portogallo né, tantomeno, a quelli di Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia".



Nasce la lista degli immigrati Shaari: corro per Palazzo Marino

Corriere Della Sera, 02-12-2010
Alessandra Coppola
La prima volta di un candidato sindaco musulmano e di origine straniera: «È l'unica novità da vent'anni a questa parte...». Si presenta alla corsa per Palazzo Marino Abdel Hamid Shaari, presidente del Centro islamico di viale Jenner, alla guida di un gruppo eterogeneo di aspiranti consiglieri comunali raccolti sotto l'etichetta «Milano Nuova». Intesa anche come la Milano di una volta: «Vogliamo farla tornare la città col cuore in mano, dell'accoglienza, della solidarietà».
Un partito musulmano? «Innanzi tutto non è un partito, ma una lista civica, — corregge E poi è laica, raggruppa immigrati 1 residenti a Milano e cittadini italiani che condividono il nostro programma». Candidati di ogni confessione e provenienza, rivendica Shaari: oltre a egiziani e marocchini, il movimento avrà esponenti peruviani e romeni. Qualcuno l'ha già definito il «partito etnico». La Lega l'ha già criticato: iniziativa «preoccupante, demagogica e strumentale — sostiene il presidente del Consiglio regionale Davide Boni —. E un gesto di evidente discrimi-nazione nei confronti del Paese ospitante». Anche il Pdl è scettico: «Rischia di generare paura tra i cittadini — dice Romano La Russa, coordinatore provinciale e assessore regionale —, ottenendo l'effetto contrario sui musulmani che vogliono l'integrazione».
L'aveva annunciato in estate, Shaari, e sembrava una boutade. Oggi si presenta davvero: l'elenco dei nomi è quasi pronto, questa mattina il movimento calca ufficialmente il palco del Ciak per farsi conoscere. Scende in campo e dove si colloca? «Partiamo da un'idea molto semplice: la scuola, la sanità, l'ambiente non hanno collocazione di destra né di sinistra, ma di buon senso. Dare colore politico a una lista civica è inutile». Impossibile parlare di alleanze? «E prematuro, vedremo in un eventuale secondo turno». Perché la corsa viene presa sul serio, la speranza di prender voti c'è. Non dagli  immigrati  che non hanno diritto («Ma è un bacino potenzialmente vasto, 210 mila iscritti all'anagrafe a Milano»). Shaari punta soprattutto ai delusi: «Alle ultime elezioni quasi il 37% non ha volato. Noi speriamo di poterli sensibilizzare».
Un'anticipazione del programma? «Lo smog, per esempio, che riguarda tutti i cittadini, non solo immigrati  Non siamo contro qualcuno né contro qualcosa, ma per i problemi di tutti».
Un passaggio che fa riferimento agli immigrati? «Siamo per il diritto di voto alle amministrative, e la cittadinanza agli stranieri che sono nati qua, e poi ci occuperemo anche dei diritti degli immigrati, certo, delle questioni che riguardano il permesso di soggiorno, la sanatoria, eccetera»
C'è almeno un punto che può connotare la lista come islamica? La costruzione della moschea a Milano? «Non è nel programma. Noi la rivendichiamo in quanto diritto di culto garantito dalla Costituzione, ma è una battaglia che devono fare i musulmani, noi la sosteniamo, ma non è il momento di mettere tanta carne sul fuoco.



IMMIGRATI: PRONTO PROGETTO ANCI-VIMINALE PER FORMAZIONE

(ASCA) - Roma, 1 dic - E' stato presentato il progetto Ministero dell'Interno - dipartimento liberta' civili e immigrazione, Anci e Ancitel, per l'innovazione dei processi organizzativi di accoglienza e integrazione dei cittadini stranieri e comunitari rivolto ai Comuni italiani. Il progetto si propone di promuovere un corretto approccio nella gestione dei cambiamenti normativi, procedurali e tecnologici e approfondire le soluzioni migliori organizzative gia' adottate da numerosi Comuni per l'erogazione dei servizi ai cittadini stranieri. La prima edizione del programma e' destinata ai Comuni di quattro regioni, Piemonte, Veneto, Marche e Lazio, nei successivi anni di programmazione del Fondo l'esperienza verra' estesa poi ai Comuni appartenenti alle altre regioni italiane. Grande soddisfazione e' stata espressa da Maria Assunta Rosa, viceprefetto del Ministero degli Interni - dipartimento liberta' civili e immigrazione - nel presentare il progetto istituito con i fondi europei per l'integrazione di cittadini di Paesi Terzi. ''Il programma di 'Formazione Immigrazione' risponde pienamente ad una delle linee di azione che il Ministero dell'Interno, in collaborazione con tutti gli stakeholders coinvolti, ha programmato nell'ambito della realizzazione del Fondo Europeo per l'Integrazione dei cittadini di paesi terzi per promuovere interventi che migliorino la capacita' di gestione degli uffici della pubblica amministrazione centrali e locali e dimostra ancora una volta come Viminale e Anci perseguano gli stessi obiettivi nell'ottica di fornire servizi sempre piu' efficienti nel campo dell'accoglienza degli immigrati''.
Il viceprefetto si e' soffermata poi sull'utilizzo del Fondo FEI: ''Il Fondo Europeo per l'integrazione dei cittadini di Paesi Terzi e' stato istituito nel 2007, con l'obiettivo di migliorare i processi volti a favorire l'integrazione dei cittadini stranieri. Il Ministero, in sinergia con il territorio, intende ottimizzare al meglio l'utilizzo di queste risorse che l'Europa ha messo a disposizione degli Stati Membri. Un'iniziativa interessante potrebbe essere quella, indicata nel percorso formativo del Progetto, di sostenere l'istituzione di uno sportello comunale per l'integrazione, che in collegamento con gli Uffici della Prefettura, Sportelli Unici per l'immigrazione e Consigli territoriali per l'immigrazione, possa svolgere un ruolo importante nella diffusione di notizie e informazioni certificate e corrette''.
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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