Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 marzo 2011

“Stranieri al razzismo”. Dall’Italia al Nord Africa
Terra, 2-03-2011
Dina Galano
DIRITTI. Oltre 300mila lavoratori immigrati ieri hanno scioperato occupando le piazze dello Stivale. Chiedendo la chiusura dei Cie, l’accesso alla cittadinanza e una «legge organica per i richiedenti asilo».
«Accogliete i profughi della rivoluzione». Il richiamo all’Italia ieri si è eretto proprio dalle piazze delle nostre maggiori città. Il Primo marzo, seconda edizione della giornata di sciopero degli stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese, ha così voluto costruire un solido ponte con i dirimpettai del Nord Africa. Chi si è trasferito qui da tempo ieri ha sfilato in corteo, abbandonando per un giorno le fabbriche del Nord e le campagne del Sud. Con lo sguardo rimasto puntato sul Mediterraneo e sui moti di ribellione, la mano tesa in aiuto a quanti sono riusciti ad arrivare ma si sono scontrati con le falle di un sistema di accoglienza che per molti ha significato improvvise detenzioni e trasferimenti coatti da una struttura all’altra.
«Si evoca un inesistente “stato di emergenza” solo per evitare accogliere le persone che stanno arrivando sulle nostre coste», dicono gli organizzatori del Primo Marzo, quando sarebbe necessaria «una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo». Le piazze di ieri, piene di italiani e non, hanno chiarito di essere “straniere” soltanto al razzismo e alla xenofobia. A Roma, uno striscione è stato esposto davanti alla Breccia di Porta Pia con la scritta «150 anni di Unità: razzismo, sfruttamento, precarietà». A Palermo, la manifestazione ha salutato il giovane Noureddine, ambulante di origini marocchine che si è dato fuoco perché gli era impedito di lavorare.
In quella Sicilia, la terra dove stanno inevitabilmente concentrandosi i flussi dei migranti nordafricani, il sistema di accoglienza in questi giorni sembra ancora più fragile. E il progetto del “Villaggio della solidarietà” di Mineo, che dovrebbe ospitare almeno duemila richiedenti asilo, piace poco sia agli operatori umanitari sia agli amministratori locali. Nonostante per la sua approvazione siano scesi in campo il presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro dell’Interno Maroni - quest’ultimo in visita alla struttura per la seconda volta lunedì scorso - ieri la portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, è tornata a esprimere contrarietà a un «sistema di accoglienza, come quello che si sta attuando nel “Villaggio della solidarietà” a Mineo, che va rivisto». Nel corso dell’audizione in Commissione diritti umani del Senato, Boldrini ha spiegato che il progetto «rimette in discussione l’intero sistema di asilo in Italia che, in un momento di emergenza, non so se sia saggio intaccare dal momento che, pur con tutti i suoi limiti, ha finora dimostrato di funzionare».
Eccentrico rispetto alla rete di assistenza che gestisce le domande di asilo, il progetto di Mineo non assicura che, come prevede la legge, vi venga istituita un’apposita commissione territoriale. «Diventa sempre più alto il rischio che il governo deporti da un centro all’altro, per tutta l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo spezzi i legami di integrazione ed abbatta le possibilità di presentare ricorsi contro i dinieghi degli status», ha commentato la sezione siciliana dell’Associazione giuristi per l’immigrazione (Asgi), nel timore che una cattiva gestione di questa fase esponga a ulteriori rivolte e violenze.
 

 

Ieri in diverse città italiane il secondo tentativo di una giornata nazionale di sciopero degli immigrati
Frontiere aperte a tutti: così la sinistra costruisce il perfetto incubatoio del razzismo
la Padania, 2-03-2011
ALESSANDRO MONTANARE
MLÀN - Chiedono l'abrogazione della legge Bossi-Fini del reato di clandestinità e del pacchetto sicurezza. E naturalmente dicono "no" anche ai Cie, ai rimpatri forzati e persino al permesso di soggiorno a punti. Quello che invece ci vuole, anche se il crollo dei regimi arabi lascia ipotizzare un esodo di proporzioni bibliche dalle coste del Nord Africa, è una nuova regolarizzazione di massa insieme allo smantellamento dei vecchi filtri per il conseguimento della cittadinanza, con il  passaggio dal criterio dello ius sanguinis al criterio dello ius soli in virtù del quale tutti i bimbi nati da genitori stranieri su suolo nazionale saranno automaticamente italiani, ciò che naturalmente permetterà anche ai loro genitori di non essere espulsi.
E' con questa piattaforma programmatica improntata al massimalismo ideologico che gli immigrati d'Italia ieri sono tornati in piazza con la replica, ugualmente grondante di retorica rivendicazionista, dell'iniziativa lanciata per la prima volta lo scorso anno e denominata «24 ore senza di noi: Scopo della mobilitazione, come suggeriscono gli stessi slo-gan degli organizzatori resta quello di dimostrare agli indifferenti autoctoni «che cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono oggi in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno».
Ci chiediamo se un'iniziativa del genere possa davvero servire a qualcosa, se possa essere in qualche modo utile alla società, se migliori il grado di coscienza civile del Paese, se aumenti il rispetto e la concordia reciproca; insomma, se alla fine unisca o divida.
Per rispondere a queste domande, però, non servono grandi ragionamenti. Infondo basta ricordare cosa accadde lo scorso anno. Secondo quanto ricordano gli organizzatori infatti, nelle oltre 60 città italiane che aderirono all'iniziativa scesero in piazza circa 300 mila per¬sone. Secondo quanto ricordiamo noi però, il grande blocco del Paese passò praticamente inosservato al grosso dell'opinione pubblica e, cosa ancora più notevole, i primi a snobbare la protesta furono gli stessi lavoratori immigrati consapevoli ieri come oggi che nel frangente socio-economico attuale scherzare con il bene primario del posto di lavoro, in-crociando le braccia per mere questioni politiche, è cosapo-ca seria e da evitare.
A ben guardare, infatti, la piattaforma di rivendicazioni della "grande" giornata di protesta degli immigrati d'Italia ricalca in tutto e per tutto le storiche posizioni della sinistra massimalista, quella che da sempre predica l'apertura indiscriminata delle frontiere e che proprio per questo gli italiani hanno letteralmente espulso dal Parlamento. Perché sono diventati razzisti? No, semplicemente perché, a differenza dei radicai chic da salotto angosciati dalla egemonia cultural-politica leghista, vivono nel mondo reale, quel mondo in cui grazie alle magnifiche sorti e progressive aperte dalla globalizzazione, gli stipendi e i diritti dei lavoratori diminuiscono, i posti di lavoro scarseggiano, i prezzi di beni e servizi impazziscono al minimo scossone che avviene all'altro capo del pianeta ed il costo della casa, per chi non può farsi infilare in qualche lista delle tante affittopoli che stanno emergendo, è una montagna sempre più alta da scalare.
Eppure è proprio nel contesto di questo mondo impoverito che, per lorsignori, chiunque deve poter entrare nel nostro paese in totale libertà, aprendo la porta senza più nemmeno chiedere permesso. Non più, cioè, come un ospite che chiede e quindi trova accoglienza, ma come un nuovo padrone di casa.
Possibile che chi organizza simili manifestazioni non si accorga di scherzare col fuoco? Possibile che non si renda conto di contrabbandare per vero il sogno di un Eldorado fasullo? E, soprattutto, è mai possibile che non veda il rischio che si corre mettendo a contatto due povertà, quella del proletariato interno e quella del proletariato d'importazione? Perché una società aperta a tutti, ma per tutti insoddisfacente e inospitale, non potrebbe che trasformarsi nel suo contrario ideale, cioè in un perfetto incubatoio di razzismo.



In 347 sbarcano a Lampedusa
Maxi sbarco in nottata a Lampedusa. Dopo una pausa durata una settimana, un barcone con 347 migranti, tra cui quattro donne, è approdato intorno alle 2.30 nel porto dell'isola scortato dalle motovedette della Guardia Costiera.
Avvenire, 2-03-2011
L'imbarcazione, lunga una quindicina di metri, era stata avvistata ieri sera mentre era ancora in acque territoriali tunisine. Un altro sbarco si è registrato invece direttamente a terra a Linosa, la più piccola delle isole Pelagie, dove i carabinieri hanno bloccato 22 extracomunitari. Era dal 23 febbraio scorso che non si registravano nuovi arrivi di immigrati, anche a causa delle cattive condizioni del mare che avevano scoraggiato la partenza di barconi dalle coste nordafricane.
C'erano anche due giornalisti di una televisione tedesca sul barcone. La troupe ha documentato, con una telecamera digitale, la traversata dalle coste tunisine. I due reporter sono stati fermati dalle forze dell'ordine e, dopo un controllo dei documenti, sono stati rilasciati.
Con l'arrivo dei 347 migranti torna a riempirsi il Centro di accoglienza di Lampedusa che in realtà è un Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Nella struttura, che ha una capienza di 850 posti letto, erano rimasti solo 218 extracomunitari dopo gli ultimi trasferimentI di ieri con due voli verso i Cpt di Bari e Brindisi. Proprio ieri la Procura di Agrigento ha confermato l'iscrizione nel registro degli indagati dei circa 6 mila migranti sbarcati nelle ultime settimane sull'isola. Gli extracomunitari, in gran parte tunisini, devono rispondere del reato di immigrazione clandestina. Anche il sindaco di Lamepdusa é stato iscritto ieri nel registro degli indagati per istigazione all'odio razziale, dopo l'ordinanza con la quale vietava l'accattonaggio e la circolazione degli immigrati per le strade dell'isola.



Immigrati: Lampedusa, anche i 347 sbarcati nella notte verranno indagati
Libero.it, 02-03-2011
Palermo, 2 mar.- (Adnkronos) - Anche i 347 immigrati nordafricani sbarcati la notte scorsa sull'isola di Lampedusa, subito dopo l'identificazione, verranno iscritti nel registro degli indagati per immigrazione clandestina dalla Procura di Agrigento, che parla di "atto dovuto" in applicazione della legge Bossi-Fini.
Gran parte dei circa seimila immigrati sbarcati in poco meno di un due settimane a Lampedusa sono gia' stati iscritti nel registro degli indagati e gli altri lo saranno appena verranno identificati.



L'UFFICIO ANTIDISCRIMINAZIONI
Razzismo, il governo indaga su Stival
Le parole pronunciate in tivù dall’assessore leghista all’Immigrazione («Il mitra per fermare i profughi») finiscono in un dossier di palazzo Chigi
Corriere.it, 02-03-2011
Marco Bonet
VENEZIA—I mitra evocati dall’assessore regionale all’Immigrazione Daniele Stival come efficace deterrente contro l’esodo dei profughi decollano dal Veneto e riecheggiano fin nei corridoi dei palazzi romani. O meglio, del palazzo romano per eccellenza, quello con la maiuscola: Palazzo Chigi. E’ lì, a due passi dallo studio di Silvio Berlusconi, che ha infatti sede l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) presieduto da Massimiliano Monnanni, che ha deciso di aprire un’istruttoria sul caso Stival per fare chiarezza sulle parole pronunciate dal leghista davanti alle telecamere di Rete Veneta. L’assessore, dopo la bagarre scatenata dalla metafora ardita, si è scusato, arrivando perfino a rimettere le sue deleghe (non c’è solo l’Immigrazione, ma anche la Caccia e la Protezione civile) nelle mani del governatore Luca Zaia che però, pur stigmatizzando le parole del collega di giunta, non ha preso e non intende prendere alcun provvedimento nei suoi confronti.
Anche in consiglio, dove pure Stival è stato pesantemente attaccato sia dall’opposizione che dagli alleati del Pdl mentre il capogruppo Federico Caner ne prendeva le distanze («Quella non è la linea della Lega»), ora le acque sembrano essersi chetate. La minaccia di tornare sulla faccenda lanciata dal Pd, che con Lucio Tiozzo dice di poter aprire di nuovo il fronte in Finanziaria grazie alla richiesta di uno stanziamento per i profughi libici, non sembra destinata a grandi fortune. A palazzo Ferro Fini, infatti, sono tutti presi dai numeri del maxi emendamento e l’obiettivo, più che rimettere in croce Stival, pare quello di chiudere una volta per tutte la discussione infinita sul bilancio. Scivolone archiviato per tutti insomma, meno che per l’Unar, che da Roma sta raccogliendo il materiale disponibile in circolazione (a cominciare dal video di Rete Veneta per arrivare agli articoli di stampa di questi giorni) per ricostruire esattamente che cosa sia successo e cosa intendesse dire l’assessore veneto con quel «ma ci riescono pure in Grecia, in Spagna, in Croazia... (sottinteso: a fermare gli stranieri, ndr.). Dovremmo riuscirci anche noi, ma usando il mitra».
L’interpretazione autentica, resa dallo stesso in aula, a quanto pare non è bastata. L’istruttoria dell’Unar, è bene chiarirlo, non è destinata ad esiti clamorosi: l’Ufficio, che dipende dal ministero della Pari Opportunità guidato da Mara Carfagna, non ha infatti alcun potere sanzionatorio, né diretto né indiretto. E’ soltanto un osservatorio con funzioni statistiche, di vigilanza, di studio e consulenza, che raccoglie le denunce sui presunti casi di discriminazione, ne aiuta le vittime, finanzia progetti di prevenzione e fornisce pareri al governo sui provvedimenti in materia. Stival, insomma, non rischia né la poltrona né di dover mettere mano al portafogli. L’unico pericolo è che il suo nome possa finire tra quelli all’indice del prossimo dossier che verrà recapitato sulla scrivania di Berlusconi, alla voce violazioni della Costituzione, articolo 3, principio di uguaglianza.



Immigrazione, "non sono razzista"
Sindaco Lampedusa su indagine Procura
tgcom, 1-03-2011
"Posso essere tutto ma non razzista". Lo ha detto il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, commentando l'inchiesta per abuso di autorità e odio razziale che la Procura di Agrigento ha aperto nei suoi confronti, dopo che il questore ha segnalato un'ordinanza del Comune discriminatoria. "A Lampedusa - ha detto De Rubeis - siamo accoglienti. Ho solo riproposto un vecchio provvedimento del 2009 che vale per tutti: italiani o cittadini stranieri".
"Di queste ordinanze, in Italia ce ne sono centinaia. E' puro buonsenso, altro che razzismo - prosegue De Rubeis -Nell'ordinanza non si parla nè direttamente nè indirettamente di immigrati.Mi sono limitato a riproporre i contenuti di una vecchia ordinanza che trattava di divietio di vendita dei superalcolici con il "divieto di accattonaggio e comportamenti non decorosi, utilizzando luoghi pubblici come siti di bivacco e deiezioni". Mi sembrano cose normali, di buon senso. Come fanno tanti altri sindaci".
Il primo cittadino di Lampedusa si dice comunque sereno: "Attendo con fiducia le decisioni della magistratura - aggiunge infatti De Rubeis, sostenendo infine - Io non sono certo intervenuto su dove gli immigrati possono o non possono andare, per questo c'è il pacchetto sicurezza che dice in modo molto chiaro quali devono essere i comportamenti di cittadini privi di documenti di riconoscimento, da identificare".
Indagati i 6mila immigrati giunti a Lampedusa
Intanto per i 6mila immigrati sbarcati sull'isola siciliana, per lo più tunisini in fuga dalla crisi che sta attraversando il nord Africa, è scattata l'iscrizione nel registro degli indagati: "Dobbiamo necessariamente aprire fascicoli per immigrazione clandestina, mancata presentazione dei documenti, e altri procedimenti per l'individuazione dei favoreggiatori dell'immigrazione, ove si possano individuare" ha spiegato il procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, sottolineando come l'iscrizione di tutti gli immigrati è dovuta al fatto che "al momento in cui arrivano in Italia non hanno alcuno status di rifugiato politico. Quando e se lo avranno - conclude Di Natale - ci sarà il non luogo a procedere".



Sbarchi, ordinanze e pagliacciate
Il pessimo esempio dato dai pm per risolvere l'emergenza di Lampedusa
Il Foglio, 02-03-2011
La procura di Agrigento ha nuovamente iscritto nel registro degli indagati il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis per "istigazione all'odio razziale e abuso di autorità". Pochi giorni fa il sindaco era stato prosciolto da accuse analoghe, ma ora pare che la questione per i magistrati sia molto più seria. Il sindaco aveva emanato un'ordinanza, nella quale non si fa cenno esplicito agli immigrati che affollano Lampedusa nel quadro di un'emergenza internazionale di cui tutti, tranne i succitati magistrati evidentemente, sono a conoscenza. Nell'ordinanza si riporta il divieto di accattonaggio e di "comportamenti non decorosi, utilizzando luoghi pubblici come sito di bivacco e deiezioni". Insomma si vieta quel che è vietato ovunque. I pm però pensano che se si paria di comportamenti incivili ci si riferisca agli immigrati  e quindi sospettano che vi sia "odio razziale", mentre forse c'è solo un loro pregiudizio razziale. Se non ci si trovasse a parlare di questo episodio nel corso di una tragedia umanitaria, basterebbe descriverne gli aspetti farseschi, conseguenza della solita ricerca di visibilità mediatica da parte di settori della magistratura. Lampedusa è il confine dell'Europa più esposto a fenomeni migratori che le vicende del Maghreb fanno diventare colossali e minacciosi. Affrontare l'ondata con civiltà ma anche con una capacità di controllo sufficiente è un'impresa complessa, nella quale sono impegnate tutte le istituzioni, da quelle europee, un po' latitanti, a quelle nazionali a quelle locali dei vari livelli. Ognuno porta a questa azione un contributo specifico, basato sulla propria funzione e sensibilità, la magistratura ha contribuito con una pagliacciata.
 


«Il diritto di asilo? In Italia ormai è scomparso»
il manifesto, 2-03-2011
Carlo Lanla    
ROMA -Il presidente Napolitano fa bene a chiedere di evitare inutili allarmismi. Oggi è prematuro dire quante persone verranno in Italia e quante tra loro avranno i requisiti per poter chiedere asilo politico. Le cifre fornite dal ministro degli Interni Maroni sono strumentali, fatte al solo scopo di ottenere una reazione da parte dell'Europa, che fino a oggi ha reagito con freddezza». Anton Giulio Lana è il direttore dell'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e non crede che gli sconvolgimenti in corso in Nord Africa porteranno, come ipotizzato dal governo, centinaia di migliaia di persone ad attraversare il Mediterraneo per chiedere asilo politico all'Italia. «Ci sono delle condizioni ben precise previste dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, e che riguardano la necessità di fuggire da situazioni particolari, come una guerra o trattamenti disumani e degradanti ai quali la singola persona è sottoposta. Quindi non tutti i libici indistintamente, ad esempio, potrebbero farlo. Dipenderà da chi vincerà tra fedeli di Gheddafl e oppositori. Esatto, oggi è prematuro dire se e per chi ci saranno le condizioni per avanzare la domanda. Al momento la situazione è talmente in divenire che è molto difficile prendere una posizione. In seguito spetterà comunque alle apposite commissioni valutare la sussistenza dei requisiti necessari al riconoscimento dello status. Ma una situazione di guerra civile, come accade in Libia, non giustifica la richiesta anche da parte di chi non sta né con Gheddafi né con i suol oppositori ma è terrorizzato da quanto sta accadendo?
Questo andrebbe valutato attentamente. La convenzione prevede che possa richiedere asilo politico chi teme a ragione, e quindi possa dimostrarlo, di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza a determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. Ogni posizione dovrà esser valutata singolarmente. L'Italia potrebbe trovarsi nella paradossale situazione di dover riconoscere lo status di rifugiato a un libico, cioè al cittadino di un paese il cui governo era considerato amico fino a ieri.
Si però non bisogna dimenticare che il riconoscimento dello status è in riferimento al singolo individuo, quindi non rileva il fatto che ci sia un accordo di amicizia tra due Paesi. Per la Corte di Strasburgo lei ha coordinato un pool di giuristi in un ricorso contro i respingimenti in mare. Concludendo che in Italia è scomparso li diritto di asilo
E lo confermo, nel senso che si impedisce a persone come somali, eritrei ma non solo, di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato al quale avrebbero diritto. Questo accade perché li si intercetta in alto mare respingendoli in maniera indiscriminata. Il dramma è che molti eritrei che oggi si trovano in una situazione di pericolo a Tripoli sono stati respinti in mare proprio dal nostro paese.
 


Caritas: «Rischio di catastrofe umanitaria»
Avvenire, 2-03-2011
DA MILANO
Una catastrofe umanitaria. Questo, secondo la Caritas, lo scenario possibile in seguito ai sommovimenti politici in corso nel Maghreb. Preoccupata, la Caritas Italiana lancia un appello alle diocesi dello Stivale sollecitandole alla mobilitazione con parole gravi: «Si fa concreto il rischio di una catastrofe umanitaria con migliaia di sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo che si potrebbero riversare in tutto il Nord Africa e nella sponda nord del Mediterraneo». «La rivolta,
iniziata in Tunisia, le inquietudini che si sono manifestate praticamente in tutti i Paesi musulmani, dal piccolo Gibuti nel Corno d'Africa fino allo sconosciuto Yemen e perfino all'Arabia Saudita -spiega la Caritas in un comunicato sul suo sito internet -, non si spiegano solo con la povertà, la disoccupazione, la corruzione o la crisi culturale del mondo islamico, elementi pure presenti in varia misura. Ma, associandoci alle parole pronunciate dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, riteniamo che "Quando un popolo viene oppresso per troppo tempo da un regime che non rispetta i diritti umani, prima o poi scoppia"». «Caritas italiana e Caritas diocesane -afferma inoltre Caritas nella lettera inviata a tutte le diocesi -, mentre auspicano che tutti gli strumenti diplomatici vengano messi in atto perché il massacro si fermi e possano affermarsi giovani governi democratici capaci di venire incontro alle legittime aspirazioni delle popolazioni locali di libertà e rispetto dei diritti, si preparano ad affrontare un'emergenza che l'Europa dovrà condividere». Nel testo si spiega poi come da anni la Caritas italiana sostenga tutte le Caritas del Nord Africa e in particolare della piccola Caritas della Libia e come «sul piano operativo» Caritas italiana «si appresta a sostenere una presenza fissa a Lampedusa ed eventualmente nel centro di Mineo, soprattutto in previsione degli arrivi che si attendono nelle prossime settimane». «A livello locale - aggiunge il documento -le Caritas diocesane stanno censendo le strutture disponibili sui loro territori per garantire una pronta accoglienza in caso di insufficienza del sistema implementato dal governo».

 

Agenzia Onu per i rifugiati
Boldrini: niente allarmismi, non ci sarà un'invasione
Avvenire, 2-03-2011
DA ROMA -Niente allarmismi. Dalla Libia «è probabile che arriverà un flusso di profughi», ma non bisogna preconizzare catastrofi incombenti, altrimenti l'emergenza umanitaria «sarà percepita come un'invasione» creando tensioni sul territorio. L'Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati (Unchr) sottolinea che la situazione più difficile oggi è ai confini con la Tunisia e l'Egitto dove sono passati già 140 mila persone. E ricorda che comunque l'Italia è tra i grandi paesi europei quello che ospita meno rifugiati: un decimo di quelli della Germania, un quarto della Francia. Alcune centinaia di migranti comunque, afferma l'ong italiana Everyone, attendono solo un miglioramento delle condizioni del mare per tentare la traversata verso Lampedusa,
La portavoce dell'Unchr Laura Boldrini fa il punto sui rischi di un esodo dalla Libia davanti alla Commissione diritti umani del Senato. «È giusto essere pronti all'emergenza- spiega- e allestire piani e programmi, ma è anche giusto non creare allarme: se ci dovesse essere un'emergenza, ed è probabile che questo flusso ci sarà, l'opinione pubblica percepirebbe persone con bisogni umanitari come invasori e sarebbero rifiutati». Boldrini invita dunque a non concentrare «l'attenzione tutta su scenari catastrofici nazionali: è importante lavorare e abbassare i toni come ha detto Napolitano».
Le ondate già in corso sono quelle ai confini terrestri della Libia. «Ad oggi ci sono 140 mila persone uscite verso l'Egitto e la Tunisia. Soprattutto egiziani e tunisini, ma anche libici e di altri Paesi». Ai confini «si sta creando una situazione difficile. Finora sono stati offerti aiuti alO mila persone, allestite 2 mila tende e nelle prossime ore arriveranno altri tre aerei». Per la portavoce «la comunità internazionale non può permettere che questa situazione di emergenza sia gestita solamente dalla generosità del popolo egiziano e tunisino».
L'Europa però non ha accolto l'appello dell'Italia a condividere i profughi che arriveranno: «Si è molti invocata l'Europa ma l'Ue - sottolinea Boldrini - è più disposta a creare un fondo che suddividere chi arriverà in Italia. Nel 1992 arrivarono ai confini tedeschi in 440 mila dall'Est europeo e la risposta fu che ognuno si amministrava da sé. Oggi in Germania ci sono 600 mila rifugiati e lo scorso anno ci sono state 40 mila domande di asilo. In Francia sono 200 mila con 47 mila domande mentre mentre in Italia ci sono 55 mila rifugiati e 10 mila domande». Everyone ricorda che in Libia vive un milione di immigrati africani. Molti di loro in questi giorni sono oggetto di violente persecuzioni, perché confusi con i «mercenari di Gheddafi» o accusati dai fondamentalisti di essere «figli del diavolo». «L'Italia - afferma l'organizzazione - deve prepararsi ad accoglierli secondo la Convenzione di Ginevra». (L.Liv.)
 


Il rimpatrio degli irregolari? Ora decide l'Europa
La Bossi-Fini «superata» da una direttiva comunitaria che impone «la partenza volontaria del migrante»
Avvenire, 2-03-2011
DA MILANO DIEGO MOTTA
La Bossi-Fini? Sui rimpatri degli immigrati irregolari, ormai non serve più. Dal 24 dicembre scorso, infatti, conta solo la normativa europea, che prevede non più espulsioni coatte dopo l'identificazione nei Cie ma, al contrario, «la partenza volontaria del migrante».
C'è un aspetto sin qui sottovalutato nelle leggi che regolamentano le politiche sull'immigrazione, destinato però a cambiare radicalmente i comportamenti degli extracomunitari che approdano nel nostro territorio. Le decine di migliaia di stranieri attesi sulla penisola, provenienti soprattutto dal Nord Africa, dovranno fare i conti, secondo l'Unione delle camere penali italiane, con «un sistema diametralmente opposto» a quello fissato dalla Bossi Fini. Una svolta non da poco: fino alla fine del 2010, infatti, il sistema prevedeva l'internamento obbligatorio nei Centri di identificazione ed espulsione, cui faceva seguito la richiesta di allontanamento del mi-grante non in regola. La nuova direttiva comunitaria, secondo i penalisti, dispone invece che «l'iter amministrativo di rimpatrio si awii di regola con l'invito ad allontanarsi spontaneamente dal Paese entro un termine compreso tra sette e trenta giorni: durante tale periodo possono essere imposte solo limitazioni dirette ad evitare il rischio di fuga».
Il cambiamento normativo è dovuto al fatto che il nostro Paese non ha provveduto ad adeguare la normativa interna agli standard europei in materia di rimpatri. Il Viminale ha infatti messo a punto a dicembre una circolare per recepire il testo comunitario. Ma la circolare non ha il valore di una norma. Di più, secondo i penalisti «nel contrasto tra una norma di diritto interno e una disposizione contenuta in una direttiva direttamente applicabile, le disposizioni nazionali devono essere disapplicate». Detto fatto: la palla adesso passa all'Europa. «Tutta la normativa italiana degli ultimi dieci anni risulta improntata a criteri d'emergenza - osserva l'avvocato Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione camere penali -. È il segnale di una preoccupante deriva in senso autoritario e illiberale della nostra legislazione».
Il primo soggetto a denunciare l'inapplicabilità della Bossi-Fini in materia di rimpatri è stato l'Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. «Con la direttiva comunitaria c'è un capovolgimento di prospettiva» spiega Bruno Nascimbene, che fa parte del direttivo dell'associazione ed è professore ordinario di diritto dell'Unione europea all'Università degli studi di Milano. Cosa cambierà con l'atteso boom di ingressi alle frontiere? «Il sistema delle espulsioni già non funzionava per i numeri del passato - ragiona Nascimbene -. Figurarsi adesso: con la probabile emergenza, è logico attendersi un aggravamento della situazione». Non solo: la direttiva comunitaria di fatto porterà a una rivisitazione del ruolo degli ex Cpt. «Per l'Europa il sistema dei centri deve essere giustificato per esigenze eccezionali, mentre per l'Italia da tempo rappresenta la norma - commenta Nascimbene -. Ora tutto andrà nuovamente ripensato».


 
Missione umanitaria al via

Tra oggi e domani la decisione sul congelamento delle partecipazioni libiche
il Sole, 2-03-2011
Carlo Marroni
ROMA - Una missione umanitaria in Tunisia per sostenere i profughi libici che si stanno concentrando al confine, e prevenirne l'esodo. Questa la principale decisione presa ieri dal governo in un vertice serale con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Le modalità operative saranno definite stamattina nel corso di una riunione tecnica alla Farnesina con i rappresentanti dell'Interno e della Difesa. «La missione partirà subito, entro 48 ore» ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni.
Sarà invece presa tra oggi e domani la decisione sul congelamento delle partecipazioni azionarie in aziende italiane detenute da soggetti statali libici, che ormai appare molto probabile. Obiettivo: evitare la liquidazione delle quote a scopo fraudolento da parte di persone legate al leader Gheddafì. È proprio questo che prescrive la legge che ha istituito il Comitato per la sicurezza finanziaria nel 2001, all'indomani dell'11 settembre. Le sanzioni Onu-Ue
hanno stabilito il blocco dei beni della famiglia del Colonnello e dei suoi fedelissimi, ma ora il tema è se siano da considerare a rischio di svendita-e occultamento anche le quote detenute dalla Banca Centrale Libica, la Lia, la Lafico e la Lybian arab foreign bank. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna non hanno dubbi e hanno congelato tutto. In Italia la decisione deve ancora essere presa - si attende il regolamento dell'Unione europea che renda possibile l'attuazione delle sanzioni - ma è probabile che entro le prossime 24 ore il consiglio dei ministri vari un provvedimento che metta al riparo pro-tempore queste partecipazioni, finché a Tripoli non si chiarisce la situazione.
Intanto ieri si è tenuta una riunione tecnica al Tesoro degli sherpa del Comitato per fare una ricognizione su queste partecipazioni, a cui hanno partecipato esperti e dirigenti di varie amministrazioni. Mentre le partecipazioni e gli asset "privati" dei familiari e sodali del Colonnello individuati da Onu e Ue soggetti al freezing non sono facilmente individuabili, quelli degli enti statali sono ben conosciuti: si tratta di Unicredit (7,5%), Finmeccanica (2%), Eni (circa 1%), oltre a quelle minori come il 7,5% della  Juventus, il 26% di Olcese e il 14,8% di Retelit. Tripoli sare¬be anche in possesso di una quota del capitale di Mediobanca, comunque inferiore al 2%, e lo stesso di Fiat.
Nella riunione di ieri sera a Palazzo Chigi si è fatto il punto sui principali dossier, soprattutto in vista del Consiglio Ue previsto l'11 marzo. Sei i ministri coinvolti: Roberto Maroni (Interni), Franco Frattini (Esteri), Paolo Romani (Svi-luppo economico), Altero Matteoli (Infrastrutture) e Maurizio Sacconi (Lavoro) Agelino Alfano (Giustizia), e il sottosegretario Gianni Letta, mentre Giulio Tremonti (Economia) si è tenuto in contatto telefonico con la riunione, e al posto di Ignazio La Russa (Difesa) c'era il capo di gabinetto, il generale Claudio Graziano, e il capo di Stato maggiore della Difesa, Biagio Abrate.
I temi centrali sono stati la sicurezza militare, l'approvvigionamento energetico, l'im-migrazione, l'applicazione delle sanzioni e l'uso della basi italiane per l'invio di missioni umanitarie. Il fronte umanitario ha due obiettivi: dare assistenza ai profughi libici in Tunisia (una prima stima parla di 10mila persone), e fornire generi alimentari (10 tonnellate) e kit sanitari i bisognosi e gli sfollati in Cirenaica.
Inoltre oggi l'Italia al Nac -Consiglio Atlantico a Bruxelles - darà il suo sostegno all'avvio di un piano di "contigenza" per l'attuazione di una no-fly zone sulla Libia. Sulla no-fly zone naturalmente si è a una fase preparatoria molto embrionale e il tutto è soggetto alla definizione di una cornice legale Onu.
Sull'embargo di armi alla Libia deciso dall'Onu, il ministro La Russa ha detto che «se questo dovesse avvenire è chiaro che il braccio del Mediterraneo tra noi e la Libia diventa il punto principale e per farlo rispettare occorrono minimo 16 unità navali del tipo della San Giorgio».



Il dramma di 2mila eritrei rifugiati nella cattedrale
Avvenire, 2-03-2011
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Un intervento straordinario del governo Italiano o dell'Ue per salvare coloro che nessuno vuole e verrà a prendere. Basta una nave per salvare i 2.000 profughi africani, soprattutto eritrei, che da alcuni giorni sono accampati nella Cattedrale di Tripoli in condizioni estreme. Il sacerdote trentino don Sandro de Petris rilancia con forza l'appello del vicario apostolico della capitale libica Giovanni Martinelli per porre fine al dramma che si sta consumando alle porte della chiesa cattolica. Conosce meglio di chiunque altro la situazione e le persone disperatamente accampate senza cibo né acqua in attesa dell'Occidente. Fino a poco tempo fa era infatti uno dei loro punti di riferimento. Dal giugno scorso è stato incaricato di assistere gli eritrei che passavano dalla Libia nei loro viaggi all'inseguimento della libertà in Europa e poi in Australia, Canada o Stati Uniti, dove vivono le comunità di esuli dal Corno d'Africa più folte. Ai primi di febbraio era rientrato in Italia per qualche giorno. Al momento il religioso, 56 anni, da 30 in Africa, tuttora incardinato nella diocesi di Gibuti, Paese dal quale è stato espulso dopo un'ingiusta detenzione "politica" per accuse di pedofilia risultate completamente false, è bloccato a casa. «Dovevo tornare a Tripoli martedì scorso - raccontali volo, però, è stato soppresso per ragioni di sicurezza. Non potevo immaginare che sarebbe scoppiata questa rivolta, nessuno lo aveva previsto». Don Sandro non riesce a darsi pace e passa le giornate alla ricerca di un mezzo per tornare a Tripoli - dalla quale tutti vogliono fuggire - per stare accanto alla sua gente. Ed è in contatto costante con il vicario Martinelli e gli altri religiosi rimasti nel Paese accanto ai poveri, soprattutto i subsahariani. «Gli eritrei sono gli ultimi tra gli ultimi. Sono presi di mira dal regime come dai ribelli che sospettano siano mercenari di Gheddafi. Sono sempre stati di passaggio, la loro presenza è diventata stanziale nell'ultimo anno, da quando l'Italia ha chiuso il Mediterraneo con
il trattato d'amicizia. Sono giovani tra i 20 e i 30 anni, fuggono dall'arruolamento forzato a vita nell'esercito del loro Paese e da un regime duro e oppressivo. Hanno i requisiti per chiedere asilo politico da noi, che li abbiamo respinti». L'accampamento accanto alla cattedrale è sorto spontaneamente. «I rifugiati sono corsi verso l'unico riferimento. Ma da lì non sanno dove andare. Certo non nel loro Paese, dove verrebbero incarcerati. La loro condizione è molto precaria. Del resto in città al momento può esserci calma relativa, ma siamo davanti a una guerra civile. Loro sono esattamente uguali a noi, hanno lo stesso diritto di salvarsi degli europei». Si sa che 54 dei 2.000 eritrei accampati vicino alla cattedrale sono in possesso delle tessere di riconoscimento rilasciate dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ma sono stati cacciati dall'aeroporto dalle guardie quando nei giorni scorsi hanno provato a partire sui voli umanitari. «Tutti, però, si trovano nelle stesse condizioni - precisa de Pretis - la tessera non è una discriminante: hanno tutti pari diritto al riconoscimento dello status di rifugiato almeno da parte dei paesi occidentali, secondo il diritto internazionale». Ma la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra. Imprigiona quindi gli eritrei alla stregua di clandestini. «A loro - puntualizza il sacerdote trentino -non interessa restare in Libia, il loro obiettivo non è neppure l'Europa, bensì il Nordamerica e l'Australia. In Libia si arrangiano con lavoretti saltuari per sopravvivere e pagare l'affitto di stanze sovraffollate. Per disperazione, molti hanno tentato la nuova pista del Sinai per arriva¬re in Occidente attraverso Israele e sono finiti in balia dei predoni. Perciò la Ue e l'Italia -conclude il missionario- non possono abbandonarli».
Soprattutto noi italiani dob-biamo mantenere un debito di riconoscenza e una promessa scolpita nella pietra del cimitero italiano a Tripoli, dove sono sepolti gli ascari eritrei arruolati nelle nostre truppe quando invademmo, giusto un secolo fa, «il bel suol d'amore». L'epigrafe dice che «la Patria grata non si scorderà mai di loro». Invece in queste ore abbiamo tradito quell'antica promessa. Per onorarla basta una nave.



Anche il Papa si fa la sua Bossi-Fini
Stretta su cittadinanza, residenza e transito: il Vaticano vara una legge sull'immigrazione più rigida della nostra
Libero, 02-03-2011
CATERINA  MANIACI    
ROMA    
??? Basta con la cittadinanza facile. Stop alle concessioni di residenza. Fine dei permessi di transito con auto senza limiti. Il Vaticano vara quella che qualcuno, con ironia, chiamerà la sua "Bossi-Fini", per dare il senso di una normativa restrittiva in fatto di cittadinanza, residenza, transito. Insomma, chiude - sia pure di poco - i portoni di bronzo, per evitare che il suo piccolo territorio e i suoi palazzi , nonché le sue vie e le sue piazze siano congestionate e si prestino a diventare facile bersaglio di attacchi terroristici.
Torna in mente quel che successe circa due anni fa, nell'estate del 2009, quando il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, aveva tuonato contro alcuni esponenti vaticani - dopo l'ennesima polemica - che rivendicavano l'accoglienza, in nome della solidarietà, a tutti gli immigrati e stigmatizzavano il reato di clandestinità. Quel reato «tanto contestato dal Vaticano è nell'ordinamento dello Stato del Vaticano e li  funziona molto bene», aveva dichiarato Maroni e da Oltrevere si rispondeva che simili affermazioni erano solo una boutade. Ma il messaggio era essenzialmente politico: «Siamo stufi» di dover rendere conto «di quello che facciamo, vogliamo che si cambi musica», spiegava Maroni. Senza prediche e buonismi.
Il punto è che, con sano realismo, com'è tratto distintivo della propria storia, Santa Romana Chiesa, si è resa conto della situazione, alla luce di crudi numeri: in piazza San Pietro ha visto nel 2010 circa 2 milioni e 300mila fedeli partecipare a udienze e cerimonie, la basilica di San Pietro è stata frequentata da 18 milioni di pellegrini e i Musei Vaticani hanno contato circa 4 milioni e 600mila visitatori. L'anno scorso, inoltre, è stato registrato ai varchi il transito di circa 2 milioni e 100mila di auto.
Numeri quasi biblici e troppi per uno Stato di soli 44 ettari. Numeri che non si riferiscono, è ovvio, ai residenti e ai cittadini vaticani, ma si parte da questa realtà e dunque cambiano le norme sulla cittadinanza vaticana. Da ieri è entrata in vigore la nuova Legge sulla cittadinanza, la residenza e l'accesso in Vaticano, che Benedetto XVI ha promulgato il 22 febbraio scorso. La principale novità introdotta è che la cittadinanza non è più attribuita automaticamente a tutti coloro che risiedono in Vaticano. Per i familiari di persone che ricoprono cariche o svolgono servizi nel più piccolo Stato del mondo, infatti, la cittadinanza può essere ottenuta su richiesta. «Prima tutto era legato alla residenza», ha spiegato il vice direttore della sala stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, perché «chi era residente era anche cittadino».
Altre disposizioni contenute nella legge, che consta in tutto di quattro Capi e 16 articoli, per un totale di 16 pagine, riguardano l'accesso in Vaticano e i necessari permessi e l'assegnazione degli alloggi.
«Sono cittadini dello Stato della Città del Vaticano», recita il primo articolo della legge, « a) i Cardinali residenti della Città del Vaticano o in Roma; i diplomatici della Santa Sede; b) coloro che risiedono nella Città del Vaticano in quanto vi sono tenuti in ragione della carica o del servizio». Il secondo articolo spiega comunque che «il Sommo Pontefice e per lui il Cardinale Presidente del Governatorato attribuisce, a richiesta degli interessati, la cittadinanza». La legge n. III del 7 giugno 1929 affermava invece che si diventava cittadini vaticani per il fatto di risiedere stabil-mente in Vaticano. La nuova normativa regolamenta pure i permessi necessari per le auto: anche Oltretevere il traffico è diventato un incubo.



Contro la sanatoria Nella Basilica del Santo
Terra, 02-03-2011
Marco Maschietto
PADOVA. Da quattro notti, circa trenta immigrati sono accampati in presidio permanente sotto la Prefettura. Chiedono una soluzione alla situazione «e la garanzia di non essere espulsi».
E' successo nuovamente. La Basilica del Santo, luogo simbolo di Padova, è ritornata ad essere al centro delle proteste. Dopo gli studenti, che a dicembre si erano arrampicati sulle impalcature esterne contro la Gelmini, è la volta delle contestazioni dei migranti contro la “sanatoria truffa”. Da quattro notti una trentina di senegalesi, nigeriani e marocchini si erano accampati in presidio permanente sotto la Prefettura in Piazza Antenore per chiedere una soluzione alla loro situazione: «In qualità di truffati, chiediamo, alla Procura della Repubblica di questa città e alla Questura di Padova, la garanzia di non essere espulsi».
Nel primo pomeriggio di lunedì, dopo l’ennesima porta in faccia di Palazzo Santo Stefano, è scattata la decisione di occupare simbolicamente la facciata esterna della Basilica. In linea con quello che già era accaduto nella gru di Brescia e nella torre di Milano, a Padova i migranti, dalla sommità del Santo, hanno srotolato un enorme striscione con scritto “No alle espulsioni” al grido: «Permesso di soggiorno subito». L’Associazione Razzismo Stop aveva già denunciato che «a settembre del 2009, in occasione della procedura di emersione dei rapporti di lavoro domestico sommersi , si sono consumate truffe e raggiri di dimensioni eccezionali in questa città e in questa regione ai danni di cittadini extracomunitari irregolarmente presenti in Italia».
Nel padovano sarebbero circa 500 i migranti avvicinati da aziende che in cambio di denaro, dai 2000 ai 3000 euro, promettevano di fornire dei contratti di lavoro per ottenere il permesso di soggiorno. Società che, non appena ricevevano i contanti, svanivano letteralmente nel nulla. Una vera e propria truffa confermata anche dagli accertamenti della magistratura. Proprio per questo i migranti, clandestini per lo Stato, stanno chiedendo un permesso di soggiorno di protezione sociale. Alla truffa, in un secondo momento, si è aggiunta l’ingiustizia. C’è chi, dopo aver avuto accesso alla procedura, si è visto vanificare davanti agli occhi la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno. Una circolare interpretativa del Capo della Polizia Manganelli ha dato il via ad una lunga ed impressionante serie di rigetti agli stranieri precedentemente condannati per la violazione dell’ordine di allontanamento del Questore. Un paradosso: non puoi regolarizzarti in virtù della tua irregolarità.
Dal presidio che si è creato sotto la Basilica per tutelare l’iniziativa dei migranti, Nicola Grigion del Progetto Melting Pot Europa, spiega: “hanno deciso di occupare la facciata del Santo perché questa città silenziosa parli della loro vicenda e conosca quello che sta avvenendo. Ribadiamo ancora una volta alla Prefettura la necessità di concedere un permesso di soggiorno ai truffati.”
Una vicenda che ha assunto i colori grigi del ricatto. Un ricatto che i migranti pagano quotidianamente sulla loro pelle.



Residence, hotel e caserme: la città prepara l'accoglienza
Al momento l'emergenza riguarda perlopiù i comuni siciliani
il Sole, 2-03-2011
Nino Amadore Giulia Del Re
I numeri e i tempi dell'esodo ancora nessuno li conosce. In queste ore l'Italia si prepara all'accoglienza di cittadini del Nord Africa, in particolar modo dalla Libia. Governo, Protezione civile, prefetti, sindaci lavorano per individuare apposite aree e spazi per fronteggiare l'emergenza umanitaria. Che potrebbe riguardare anche Roma. Il fronte aperto resta quello siciliano e al momento sembra escluso un coinvolgimento immediato della capitale. Ma nei casi di emergenze come questa nulla può dirsi per il futuro. Per il momento l'intera struttura messa in piedi dal governo è impegnata a portare avanti i compiti indicati nell'ordinanza con cui il presidente del Consiglio ha nominato commissario delegato il prefetto di Palermo (ed ex questore di Roma) Giuseppe Caruso. A Caruso, tra le altre cose, il compito di coordinare gli interventi mentre al dipartimento di Pubblica sicurezza, guidato dal prefetto Rodolfo Ronconi, il compito di curare la dislocazione dei profughi in base alla disponibilità di strutture. Ed è proprio questo aspetto che fa ipotizzare che la capitale possa essere una delle sedi vista la grande disponibilità immobiliare e di aree. Con 1.600 rifugiati ospitati nelle strutture del Campidoglio e oltre 1.200 in lista d'attesa, «il circuito dell'accoglienza capitolino è saturo», ha precisato Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali. In questi giorni il Campidoglio ha snocciolato i numeri di una situazione già complessa: oltre ai rifugiati in lista d'attesa, c'è il problema dei rom che dovranno essere trasferiti in campi attrezzati e le centinaia di immigrati - come il caso dei somali della scorsa settimana - che dormono in giacigli di fortuna. «A Roma - ricorda il presidente della commissione Sicurezza Fabrizio Santori - si spendono già 33 milioni l'anno per l'assistenza alloggiativa temporanea».
Nei giorni scorsi, Maroni ha chiesto ai prefetti di verificare là disponibilità di posti nei centri di accoglienza dislocati sul proprio territorio. Ma se l'esodo dalla Libia riguarderà un numero di profughi superiore a quello dei posti individuati (nei giorni scorsi si stimavano 50-100mila arrivi) è chiaro che la strategia dovrà cambiare. E tra le città chiamate a dare un contributo potrebbe esserci anche Roma. Tra le strutture nelle quali ospitare i libici si ragiona sull'ipotesi di resi-
dence privati da affittare. Oppure sull'allestimento delle caserme recentemente trasferite dal demanio, già pensate come soluzione per i rom. L'ultima opzione, quella di ospitare i migranti negli alberghi. È chiaro che, in caso dì emergenza, ad attivarsi non sarà solo il Campidoglio, ma anche la Provincia e la Regione Lazio, che nei giorni scorsi hanno avviato la verifica di eventuali terreni, strutture e immobili disponibili sul territorio regionale. La Protezione civile, che già si sta occupando dell'accoglienza dei profughi arrivati a Roma con  i C-130, è pronta ad allestire campi attrezzati se sarà richiesto. Stesso discorso per la Croce Rossa, mentre la Caritas ha già fatto sapere alla Prefettura che non ha posti disponibili nelle sue strutture a Roma.



Rifugiati    Le Idee della Belvlso
Un'accoglienza pelosa
Cinque giorni, 02-03-2011
Giuliano Longo
Ha proprio ragione Sveva Beiviso, assessore alle Politiche Sociali di Roma, che ieri in diretta da Radio Vaticana, sull'emergenza rifugiati ha detto: «Roma non può essere lasciata sola. Il governo intervenga al più presto». Tanto più che la Belviso non chiede ulteriori finanziamenti, che peraltro il governo non concederebbe visto che Maroni continua petulantemente a chiederli all'Europa, ma addirittura vuole una legge sull'asilo politico che sia in grado di ripartire le responsabilità tra tutti i comuni italiani, compresi quelli più piccoli. «Le nostre strutture di ospitalità -ha spiegato l'assessore - sono ormai sature. A Roma i richiedenti asilo sono circa ottomila, ma la possibilità di aiutarli tutti non c'è». E' a questo punto che si insinua il sottile ricatto sociale, cioè quando dolente l'assessore afferma che non se la sente «di togliere fondi agli anziani o ai disabili per far fronte a questa emergenza che va affrontata a livelli più alti». A parte il fatto che tagli a disabili ed anziani stanno già avvenendo in modo strisciante, Sveva Belviso dimentica che Roma è anche la Capitale del Cattolicesimo. Quindi il Campidoglio non può derogare al principio dell'accoglienza soprattutto quando si tratta di rifugiati politici tutelati dall'Onu. Senza contare che l'accoglienza caritatevole per questi 8000 poveracci senza patria, lavoro e spesso famiglie potrebbe essere pagata facendo minimi tagli alle spese della politica e agli sprechi di questa, come di altre, amministrazioni. Se dunque l'accoglienza è l'elemento distintivo di una Capitale Universale, altro discorso riguarda l'eventuale ondata immigratoria a seguito degli avvenimenti del Nord Africa.
In questo caso l'assessore Belviso, in contrasto con il ministro dell'Interno, è convinta che la Capitale sia un «polo d'attrazione irresistibile per queste persone che cercano di rifarsi una vita» e quindi Roma necessiti dell'intervento dello Stato. Esclusa la possibilità che gli immigrati giungano a Roma per visite turistiche, va ben compreso che Roma è "un polo d'attrazione irresistibile" anche per i musulmani, proprio per la presenza di "una cattolicità accogliente" alimentata da una fitta rete di associazioni e volontari che sino ad oggi hanno fatto fronte con "impegno e carità" ai tanti bisogni della povertà e dell'emarginazione. Quindi prima di strillare al lupo e di allarmare un'opinione pubblica di per sé ostile alla nuova immigrazione,  secondo gli schemi perennemente "emergenziali" della destra, l'assessore farebbe ben ad attendere gli sviluppi degli eventi. Il dubbio che va concesso a Sveva Belviso, riguarda eventualmente l'incapacità di questo governo di prevedere alcunché, come gli accadimenti libici dimostrano ampiamente. Ragione di più per misurare le forze in campo ed i provvedimenti necessari, non per sostenere l'onda d'urto di "orde barbariche", ma per evitare proprio la consueta improvvisazione, in una sorta di rischio calcolato o prefigurando scenari realistici. Altrimenti si corre il rischio di non combinar nulla o far poco con¬tinuando a gridare contro lo tzumani montante dei "marocchini" come fa la Lega Nord. A meno che Sveva non ottenga per gentile concessione di Maroni, la chance di mandare tutti i futuri "disperati" a Milano, dove il vice sindaco De Corato (stesso partito e provenienza politica) già si agita scompostamente. Insomma, deve finire una volta per tutte la grande mistificazione di questa destra cattolica a parole quando si tratta di acchiappare voti, ma impermeabile ai valori evangelici quando si deve operare.

 

Immigrazione: gli rifiutano permesso e si da' fuoco, salvo
Ha riportato ustioni di secondo grado. Guarira' in 20 giorni
(ANSA) - TORINO, 1 MAR - Un immigrato tunisino di 46 anni si e' dato fuoco, dopo essersi cosparso di liquido infiammabile, stamani, a Torino, nel cortile dell'Ufficio Immigrazione della Questura, dopo il rifiuto del permesso di soggiorno.
Due persone che si trovavano nel cortile sono intervenute per spegnere le fiamme e hanno salvato l'immigrato che, poi soccorso dal personale del 118, e' stato portato al Cto di Torino. Gli sono state riscontrate ustioni di secondo grado sul collo, con prognosi di 20 giorni. (ANSA).



Rom e migranti, Assalti frontali dalla parte dei deboli
l'Unità, 01-03-2011
Federico Fiume
Dietro un anonimo cancello della periferia romana si apre un piccolo mondo colorato, pieno di bambini. Un piccolo mondo in cui si sono rifugiate alcune famiglie Rom espulse dai campi in cui stavano, espulse dal mondo esterno, quello che sta oltre il cancello. «Metropolis», così è stato battezzato lo spazio in cui vivono, occupato dopo anni di abbandono, è un’ex concessionaria di automobili, di fatto un grande capannone al cui interno è sorto un piccolo villaggio coperto, con casette costruite dai Rom stessi.
Ci entriamo con Militant A, rapper di Assalti frontali che nel nuovo cd Profondo rosso (esce venerdì) racconta anche di loro, dell’occupazione di questo posto, della scuola dove incontra quotidianamente i bambini festanti che ci attorniano, compagni di scuola dei suoi figli. L’uscita del cd è quasi contemporanea al secondo sciopero dei migranti denominato Un giorno senza di noi che, dopo l’esordio dell’anno scorso, torna ad interrogarci sulle non-regole dell’economia liberista, che sfrutta manodopera a basso costo offrendo in cambio emarginazione e clandestinità. «Il primo Marzo - sottolinea Militant A - è un giorno di lotta per il diritto al lavoro, alla casa, alla scuola, che sono diritti di tutti e sono più che mai a rischio per tutti, non solo per gli immigrati».
L’emarginazione sociale è un mostro che divora le vite delle persone fregandosene del loro passaporto, ma una cosa è certa: colpisce sempre i più deboli e fra i più deboli Rom e immigrati ci sono sempre. «Queste persone - continua il rapper romano - sono umanamente ricche, riescono ad avere una forza per andare avanti che è incredibile rispetto alle condizioni in cui spesso sono costretti a vivere.
In loro possiamo ritrovare l’umanità che noi abbiamo perso». Sono Cool questi Rom è una canzone che Militant A ha dedicato a questa gente, a questa occupazione, nata per rispondere a un disagio ignorato dalle istituzioni: «Alemanno ha speso 30 milioni di euro in un anno e mezzo per non risolvere nulla, ha solo cacciato questa gente dai posti dove vivevano».
Anche rispetto alle poche forme di assistenza nei confronti dei Rom, Militant A ha qualcosa da dire: «L’assistenzialismo è un business per chi lo fa e che costa alla collettività 1.000 euro al mese per ogni famiglia Rom. Con quei soldi ci si potrebbe pagare l’affitto di una casa, ma lasciare il problema irrisolto è utile alla propaganda politica della destra e serve a mantenere l’affare dell’assistenza. Questa sistemazione invece non costa un euro a nessuno e recupera anche un luogo abbandonato al degrado da anni».
Profondo rosso è, come sempre quando si parla di Assalti frontali, un album pieno di realtà e di argomenti concreti, come nel caso di Lampedusa lo sa, dedicata ai migranti africani ma soprattutto alla gente dell’isola.
IL CONCERTO A LAMPEDUSA«Noi siamo stati a Lampedusa - ci racconta - per un concerto contro i Cie, che sono una vergogna in sé e in cui i migranti, grazie a una legge del governo, possono rimanere rinchiusi, senza aver commesso alcun reato, non più due ma sei mesi. Proprio allora ci fu l’episodio del mercantile turco Pinar che aveva salvato dei migranti dal mare e che venne bloccato da una corvetta militare italiana per quattro giorni. In quell’occasione morì una giovane emigrata incinta.
Noi siamo stati al funerale e c’erano tanti lampedusani, gente di grande dignità e umanità, che ben conosce e condivide il dramma dei disperati che approdano sulle coste dell’isola. Anche qui: se i miliardi di euro che si spendono per i Cie, per tenere in gabbia chi arriva sulle coste italiane in cerca di un futuro, venissero spesi per l’accoglienza, non sarebbe meglio per tutti?
Ma per cambiare le cose bisogna partire dal basso, da noi stessi, trovare i modi per unirsi e lottare per diritti che riguardano tutti nello stesso modo. Io con Assalti frontali racconto queste storie e le canzoni nascono spesso da esperienze concrete, come questa con i Rom o quella di Lampedusa, le manifestazioni degli studenti, etc.
Per me il Rap è raccontare quello che vivo ma anche comunicare un immaginario diverso da quello dominante, perché l’immaginario fa la differenza, è il punto di partenza per costruire una realtà diversa».



Immigrazione: incendio a Cie Torino
Nessun ferito, locali dichiarati inagibili
(ANSA) - TORINO, 1 MAR - Una ventina di ospiti del Cie di Torino hanno dato fuoco, la scorsa notte, ad alcune strutture.
Le Fiamme hanno danneggiato tre dei quattro 'moduli abitativi' della cosiddetta 'area gialla' del Cie e sono state rapidamente spente dai Vigili del Fuoco. Responsabile un gruppo di tunisini, sbarcati a Lampedusa nelle settimane scorsa e successivamente trasferiti a Torino. La struttura e' stata dichiarata inagibile.
Non ci sono stati feriti.



Se gli immigrati incrociano le braccia
Panorama, 01-03-2011
Claudia Daconto
Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? Il giorno è oggi, primo marzo, come il nome del movimento nato lo scorso anno sull’onda dei disordini scoppiati a Rosarno, in Calabria, dove migliaia di migranti erano (sono?) costretti a lavorare in condizioni disumane nei campi. E se anche non saranno - come è ovvio -  tutti i quattro milioni e mezzo di stranieri a scioperare, in tanti hanno comunque deciso di scendere in piazza per uscire dall’invisibilità, per rivendicare i propri diritti.
«Uno sciopero che quest’anno non poteva non essere dedicato al coraggio dimostrato dalle popolazioni magrebine che hanno cacciato i loro dittatori» spiega la coordinatrice e portavoce del movimento Primo Marzo, Cecile Kashetu Kyenge, raggiunta da Panorama.it a Bologna poche ore dopo l’assalto al Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei da parte di un gruppo di giovani del centro sociale Tpo e della rivolta contemporanea degli stranieri rinchiusi all’interno, e poco prima dell’inizio del corteo organizzato a Roma con partenza alle 16.30 da piazzale Aldo Moro  e diretto in piazzale Esquilino, luogo simbolo perché al centro del quartiere più multietnico della Capitale.
A proposito delle rivolte in nord Africa, non teme anche lei che l’Italia non sia pronta ad accogliere l’ondata di un milione e mezzo di magrebini pronti a sbarcare sulle nostre coste?
Una paura del genere denota una grande impreparazione nelle politiche dell’immigrazione frutto, finora, quasi esclusivamente della demonizzazione del diverso. È bene che si sappia che la maggior parte delle persone che si accingono a lasciare l’Africa, o lo hanno già fatto, non vengono in Italia per restarci, dal momento che tutti, compresi loro, sanno che qui ormai è difficilissimo trovare lavoro, e sono diretti in altri paesi dove c’è una maggiore richiesta di manodopera.
Se davvero tutti gli stranieri presenti in Italia smettessero di lavorare che succederebbe?
Penso che l’Italia si troverebbe un po’ in difficoltà dal momento che oltre il 10% del Pil è frutto del lavoro dei migranti.
Non si libererebbero milioni di posti di lavoro per gli italiani?
Non credo proprio che andrebbe così perché la stragrande maggioranza dei lavoratori stranieri ha un’età media molto più bassa rispetto agli italiani e senza di loro molti settori in cui si richiede manodopera giovane avrebbero difficoltà a reclutarla.
Spieghi agli italiani che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese perché il 2010, come voi dite, è stato un anno ancora più difficile per gli stranieri che per loro.
Perché a causa della Legge Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza, se un migrante perde il lavoro e non riesce a trovarlo entro sei mesi diventa un clandestino e finisce nei centri d’identificazione ed espulsione. Così, mentre da un punto di vista burocratico per un cittadino italiano non cambia nulla, per uno straniero perdere il lavoro significa anche diventare colpevole di una situazione di cui non lo è. Tra l’altro le cose peggioreranno ulteriormente nel 2011 perché per ottenere un permesso di soggiorno, o semplicemente il rinnovo, il cittadino straniero deve dimostrare di possedere un certo reddito e voglio proprio vedere come farà se nel 2010 non ha lavorato!
Oltre a protestare contro la legge sull’immigrazione Bossi-Fini e contro i Cie, voi chiedete anche il superamento dello ius sanguinis a favore dello ius soli. Può fare un esempio pratico di che significa essere nati e cresciuti in Italia ma non essere riconosciuti cittadini italiani perché i propri genitori sono nati altrove?
Ci sono ragazzi che non hanno nemmeno mai visitato il paese d’origine dei propri genitori e non possono andare in gita scolastica all’estero come gli altri compagni perché gli manca il visto italiano. Questo non provoca solo discriminazione ma un forte disagio psicologico. A chi può sembrare giunta una cosa del genere?
L’Italia è un paese razzista?
Fino a qualche anno fa la situazione era molto diversa, oggi è decisamente peggiorata. Ma questo mi fa pensare che l’Italia di per sé non è razzista e se lo è diventata nel corso degli anni è colpa anche di una certa informazione che passa e di alcune politiche che tendono a demonizzare il migrante.
E gli stranieri? Che pregiudizi hanno nei confronti degli italiani?
Più che altro c’è diffidenza. E’ difficile aspettarsi un grande amore per l’Italia da parte di gente che passa quello che passa per ottenere un permesso di soggiorno. In questo momento c’è paura, diffidenza, soprattutto tra i giovani, perché oltre alle difficoltà burocratiche, percepiscono il pregiudizio per il loro colore della pelle e questo, se è possibile, è ancora più grave.
Provi a spiegare lei perché tutti hanno diritto di lottare per condizioni di vita migliori da qualsiasi parte del mondo arrivino e in qualsiasi parte del mondo le vadano a cercare.
Io credo che la risposta sia contenuta in quello che l’Italia ha firmato aderendo alla Convenzione di Ginevra per i diritti fondamentali delle persone. In quella Convenzione c’è anche il principio della libera circolazione per cui chiunque è libero di stabilirsi dove vuole. Inoltre anche nella Costituzione italiana c’è un articolo che prevede di aiutare le persone che non sono in grado di provvedere a se stesse per cui diventa anti costituzionale voler condannare qualcuno perché ha perso il posto di lavoro e per questo non ha potuto rinnovare un permesso di soggiorno.
Perché all’Italia conviene accogliere gli stranieri?
Primo perché gli stranieri hanno alzato il tasso di natalità, secondo per quello che spiegavo prima: ci sono alcuni lavori che richiedono manodopera di giovani che siano disponibili a svolgere determinate mansioni anche senza guadagnare chissà che cifre nonostante molti di loro abbiano studiato e potrebbero aspirare ad altro. Studi recenti hanno certificato che la maggior parte delle collaboratrici domestiche e degli operai che lavorano in fabbrica sono persone diplomate, se non addirittura laureate, che non potendo ottenere l’equiparazione del loro titolo, si prestano a fare anche questo tipo di lavori.

 

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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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