Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

15 giugno 2010

«Rifugiati, riaprire l'ufficio Onu a Tripoli»
Avvenire 15 giugno 2010
Giovanni Ruggiero
Marchetto: presto un documento per l'accoglienza
Ai rifugiati, troppo spesso confusi con tutti gli altri stranieri e messi in un unico calderone, tra badanti e clandestini, la Chiesa dedicherà una particolare attenzione, con un documento in cui indicherà le linee pastorali per l'accoglienza di questi migranti forzati. Lo annuncia monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti, nel corso di un incontro, insieme al presidente del Censis, Giuseppe De Rita, organizzato dal Centro Astalli, instancabile nel crea¬re attenzione su questo problema. Il documento avrà come punto di riferimento l'istruzione Erga Migrantes Caritas Christi e dovrebbe essere pronto entro quest'anno. I rifugiati, in tutto il mondo, sono un popolo: 67 milioni di persone e la gran parte dell'opinione pubblica nemmeno immagina da quali inferni fuggono: negazione dei diritti civili, violenze, guerre, eccidi e spesso dalla sofferenza della tortura. Il nostro Paese è una delle mete di questi disperati. I principali Paesi di provenienza, secondo dati del 2009, sono l'Afghanistan (con 26.800 domande d'asilo), l'Iraq (24 mila domande), seguito dalla Somalia e dall'Eritrea. L'Italia, però, secondo la denuncia del Centro Astalli, è in grossa difficoltà nel dare adeguata accoglienza. «Per effetto del blocco del Canale di Sicilia - dice il gesuita padre Giovanni La Manna che dirige il centro  il numero dei rifugiati è diminuito, ma il sistema dell'accoglienza non è migliorato. L'Italia - aggiunge - vive una politica schizofrenica: da un lato garantisce l'accoglienza per il riconoscimento dei diritti civile, dall'altro, e di fatto, attua la politica dei respingimenti».
All'incontro nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, moderato da Aldo Maria Valli delTgl, anche il sociologo De Rita ha invitato a non confonderli nella massa degli stranieri che, a vario titolo, giungono in Italia: «Vanno distinti da quanti vengono qui per lavorare e, dunque, per motivi economici, proveniente
da Paesi che non negano i diritti civili ai loro cittadini. Se si assimilano i rifugiati a tutti gli altri, il pro¬blema della loro accoglienza non si risolverà mai». A rendere più grave il problema adesso è anche la decisione della Libia di chiudere l'ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazione Unite per i rifugiati: «È una notizia che ci rattrista - commenta monsignor Marchetto - perché rende più grave la que¬stione dei respingimenti nel Mediterraneo e più difficile l'applicazione del principio del non-refoulement, ossia il respingimento di migranti costretti a fuggire perché in pericolo di vita o perseguitati. È importante - aggiunge - che si possa riaprire questo canale che esisteva in Libia, come è stato auspicato dal ministro degli Esteri Frattini, ed io personalmente mi associo».
L'Onu dedica ogni anno una giornata al rifugiato. Il tema del 2010 è «Home, un luogo sicuro per ricominciare», ed anche la Chiesa celebra ogni anno la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (nella seconda domenica dopo l'Epifania». Facendo proprio riferimento a questa giornata, monsignor Marchetto dice: «Pur avendo un nostro momento di riflessione, ci uniamo ben volentieri alle celebrazioni annuali delle Nazioni Unite». Il segretario del Pontifio consiglio saluta positivamente la decisione del Parlamento europeo di istituire un fondo a favore dei rifugiati. A questa iniziativa hanno aderito però soltanto 12 Paesi. Marchetto fa una proposta: «Questi aiuti dovrebbe essere dati direttamente ai comuni che accolgono i rifugiati, perché hanno un contatto più diretto con questa realtà, invece di affidarli ai governi centrali per essere poi ridistribuiti da questi».



LA LIBIA,I DIRITTI UMANI E LA RAGION DI STATO - lettere
La Repubblica 15 giugno 2010
Caro Augias, sto cercando di farmi un'idea sul perché si sia arrivati a quest'ultima esibizione di stoltezza giuridica e prepotenza politica che è la cosiddetta legge bavaglio, a tutela di grandi corrotti, ricattatori e mafiosi. Non vorrei però che per guardare l'albero si perdesse di vista la foresta, e cioè tutta la massa di notizie scandalose rispetto ai valori di civiltà che professiamo e che non provengono da intercettazioni; notizie che poco arrivano come si dice agli onori della cronaca o vi arrivano ma compresse in poche righe. Un esempio: il 7 giugno scorso il dittatore libico ha chiuso d'imperio l'Unhcr di Tripoli, togliendo anche questa zattera di protezione civile ed istituzionale per i tanti poveri rifugiati in fuga da per¬secuzioni e torture attraverso il deserto prima e l'odissea in mare poi. Tre giorni dopo, lo stesso dittatore è stato celebrato ed omaggiato a Roma da un parterre di politici bipartisan in occasione del libro "Il viaggio del leader" che rievocale sceneggiate viste a Roma l'anno scorso in occasione della sua visita ufficiale nel¬la nostra capitale. A me non sembra una notizia «come tante altre»: è uno di quei segnali di allarme che se riportato con evidenza — potrebbe contribuire alla costruzione di una coscienza civile capace ancora di dire basta a questa deriva populistica, affaristica e razzista!

L'incontro per il libro del dittatore libico ha visto radunarsi una platea eccezionale con expresidenti del Consiglio (D'Alema e Dini) banchieri del livello di Profumo, Giuseppe Pisanu presidente della commissione parlamentare antimafia, un comunista doc come Valentino Parlato e poi costruttori, imprenditori, uomini delle imprese e della finanza. Il titolo del libro è chiaro: "Il viaggio del leader, Muhammar Gheddafi in Italia". Le ragioni di tante insigni presenze vanno realisticamente cercate nell'abilità dell'ambasciatore libico in Italia (Abdulhafed Gaddur) e in alcune parole che lo stesso Gheddafi pronunciò a Roma durante la sua visita ufficiale un anno fa: «Ai tempi degli as-sassini Mussolini o Balbo, nessuno avrebbe imma-ginato che la Libia sarebbe diventata una nazione forte per le sue risorse di gas naturale e petrolio, che l'Italia avrebbe avuto bisogno della Libia». Nel 1911 quel deserto di sabbia (il famoso "scatolone") era l'unico pezzo di costa rimasto libero per le nostre ambizioni coloniali. Oggi gli dobbiamo buona parte del nostro fabbisogno energetico. Così va il mondo: i bisogni primari vengono prima dei diritti uma-ni, le considerazioni di convenienza fanno la politica estera degli Stati quale che sia il regime dal quale sono retti. Ripugnante? Si chiama ragion di Stato.



"In Italia netto calo delle domande di asilo"

Avvenire 15 giugno 2010
Il «netto calo>> delle domande di asilo in Italia dimostra tome i respingimenti «anziché contrastare l'immigrazione irregolare abbiano gravemente inciso sulla fruibilità del diritto di asilo». Ad affermarlo è l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) che ha pubblicalo il rapporto statistico annuale "Global Trends 2009". «In Italia nel 2009 sono state presentate circa I7mila domande d'asilo, quasi la metà rispetto all'anno precedente (circa 31 mila)- si legge nel comunicato dell'Acnur - . La diminuzione può essere anche attribuita alle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia da Italia e Libia». Sono 43.3 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni alla fine del 2009. spiega l'Acnur. e si tratta del numero più alto dalla metà degli anni novanta. I rifugiati nel nostro Paese sono 55mila. Il numero di nuove domande di asilo nel mondo - fa notare l'agenzia Onu - è cresciuto di circa 1 milione. Il Sud Affrica è lo stato che lo scorso anno ha ricevuto il maggior numero di domande di asilo: 220mila.



La Lega fa festa perché il Belgio si spacca in due

Jacopo Matano
il Riformista 15 giugno 2010
Il brindisi dei popoli per la fine del Belgio unito sarà col prosecco. «Festeggeremo, offriranno gli amici veneti», assicura Matteo Salvini, che racconta di essersi già sentito «con i còrsi, i catalani, i fiamminghi». «I lo già mandalo un sms ai colleghi belgi per dire loro che sono un esempio per noi», gli fa eco Mario Borghezio, felice perché «essere indipendentisti in Europa non è più un tabù». Il weekend lungo degli europarlamentari padani è finito, si torna a Strasburgo allontanandosi dalle polemiche sul «Va' Pensiero» per avvicinarsi al dramma che si sta vivendo a Bruxelles.
Dove il partito indipendentista Nva vince le elezioni politiche con il 28,2 per cento dei voti e proietta nel cuore politico dell'Europa gli stemmi fiamminghi sotto l'ipotesi "due popoli-due stati".
Se sarà, non sarà la prima volta. I conti li fa il lombardo Francesco Speroni: «Cominciamo dalla Svezia, che ha fatto la secessione dalla Norvegia, poi c'è il Regno Unito, che si è separato dall'Irlanda, poi l'Austria, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, che venivano dall'impero Austro-Ungarico». Riferimenti un po' old style, ma tant'è («Dimenticavo Slovacchia e Repubblica Ceca»).
Libere le Fiandre, dunque, liberi tutti, Padania compresa. Regge il paragone? Per Speroni «sì e no, perchè il Belgio è uno stato artificiale dal 1830 ed è più anziano di noi. Ma allora dovremmo parlare anche della Germania, che è più giovane di tutti e due». La storia non serve, è il messaggio, quello che conta: una liberazione dello spirito e del corpo (Borghezio: «seguire l'ordine naturale delle cose»), che spinge l'ex Volontario Verde a spronare i leghisti a «lasciar perdere tutte queste cazzate dell'unità nazionale» e a «non perdere tempo impantanati nella melassa della politica romana, che sa molto di presa per il culo». E poco importa se il presidente della Repubblica invita all'Unità. «Lo vedo con comprensione e con una certa simpatia perché lo considero un galantuomo. Ma un conto è quello che ci hanno insegnato sui banchi di scuola, tutte belle balle, un conto la realtà». Le due realtà. Quella belga, due popoli e lingue diversi, «ma che cosa conta oggi che tutti parlano inglese?». E quella italiana, in cui «esistono due mentalità e due economie diverse, perché c'è un nord che ha interesse a commerciare e a dialogare con la mitteleuropa, e c'è un sud che è una portaerei economica verso il mediterraneo».
Interessi che «non collimano», popoli che finalmente «non si odiano»: quella che si respira a Bruxelles è un'aria inedita di libertà. L'Nva non è il Carroccio dei belgi, e i leghisti lo sanno (Speroni ammette: «Non li conosco bene»). Non è il Vlaams Belang, partito indipendentista di estrema destra che siede accanto alla Lega all'eu-roparlamento. Sono loro i colleghi con cui Salvini brinderà. E non è nemmeno «un partito di duri e puri», ammette Borghezio. «La Nuova Alleanza Fiamminga è un grande partito liberale e moderato, vicino ai partiti europeisti», spiega l'europarlamentare piemontese. 11 cambiamento è dunque epocale: «Col trattato di Lisbona si co-struisce un' Europa più grande e si allentano i vincoli degli stati nazionali, e quindi le spinte autonomiste, indipendentiste, di libertà prendono corso più liberamente». Ecco la svolta: «Essere indipendentisti non vuol dire più essere guerrafondai o matti da tenere in manicomio».
Sarà questa la Lega tra dieci anni? Un grande partito liberale alla fiamminga, moderato, dialogante, indipendentista? «È il percorso che stiamo cercando di fare», dice Matteo Salvini. «Un percorso difficile, che costa molta fatica». Anche perché l'Nva dialoga con i socialisti, e difficilmente direbbe di voler prendere i musulmani «a calci». «Penso che dopo cinque anni di cura Maroni potremo cambiare i toni sull'immigrazione. Ora c'è un problema da affrontare,ma non escludo nulla», prosegue l'ex vicesegretario del Carroccio. Borghezio è d'accordo, a costo di perdere un po' di verve («ma io resterò un duro»): «Le forze politiche consapevoli dovrebbero inserirsi in questa prospettiva. Vedo un indipendentismo di massa: meno folklore e più pragmatismo, andiamo avanti con una marcia in più». Passata la sbornia, resta l'ipotesi secessione. A Bruxelles, per Salvini, «lo decideranno pacatamente e misuratamente i belgi». A Roma, per Speroni, «non è un'ipotesi». Ma Borghezio non può che promettere: «A Pontida sventoleremo migliaia di bandiere fiamminghe».


Che la Ue varchi il Mediterraneo

Andrea Canino
Corriere della Sera 15 giugno 2010
Il secondo vertice biennale dei capi di Stato e di governo dell’Unione del Mediterraneo, previsto in Spagna la settimana scorsa, non ha più avuto luogo. Rimandato a fine novembre già prima del grave incidente a largo di Gaza e con il rischio, considerando le deludenti riunioni ministeriali che l’hanno preceduto, di essere annullato. Nel 2005, il ministro degli Esteri spagnolo Moratinos, al summit per il decennale del Processo di Barcellona, pianse per il suo fallimento. Stavolta non potrà più farlo: la sala è vuota. L’ambizioso progetto di Sarkozy per stimolare la cooperazione regionale nasceva già con delle debolezze. Adesso che è in profonda crisi siamo nuovamente in una vera impasse. E non possiamo certo rallegrarcene.
Sicuramente, in un momento in cui la nostra Unione lotta per la sopravvivenza dell’euro, tale crisi potrebbe apparire un problema minore. Tutt’altro: lo sviluppo, la modernizzazione e l’integrazione del Sud del Mediterraneo non è un passatempo post coloniale, ma una necessità essenziale per la regione, l’Europa e l’Italia.
In primis, a causa dei pericoli insiti nel persistente divario economico tra le due rive. In termini reali, il pil pro capite della zona è sceso fino al 58% rispetto a quello del boom petrolifero degli anni Ottanta. A parità di potere d’acquisto, il gap con l’Europa è di 1 a 4 per l’Algeria e la Tunisia, di 1 a 6 per l’Egitto e la Giordania e di 1 a 8 per il Marocco e la Siria. Ridurlo significa bloccare le bombe a orologeria dell’immigrazione clandestina, della crescita dell’Islam fondamentalista e dell’instabilità di una regione a un’ora di volo dalle nostre città. Ancora, per le rilevanti opportunità che lo sviluppo del Mediterraneo ci può offrire. Nel 2050 il numero di abitanti dell’Unione europea resterà invariato— a 500 milioni— mentre quello del Sud del Mediterraneo crescerà del 50% fino a 320 milioni di consumatori. È una regione che cresce a tassi medi del 4-5%. Vi sono sostanziali opportunità di sviluppo per chi saprà trarne vantaggio. L’ha capito la Cina, che nel Mediterraneo investe massicciamente. Noi continuiamo a non farlo, sebbene il Mediterraneo sia un’occasione unica per rafforzare la competitività delle nostre imprese rispetto alla concorrenza americana e asiatica. Facendo leva sulla complementarietà di risorse del Sud— mano d'opera, energia, materie prime— e del Nord — competenze imprenditoriali e tecniche — l’Europa può incrementare la propria crescita di un preziosissimo punto supplementare l’anno.
Perché allora ancora tante esitazioni? Perché non siamo capaci di realizzare a Sud quel che ha fatto fare la Germania all’Ue negli anni Novanta, consentendo un decollo economico spettacolare dell’Est europeo e incassandone enormi benefici? Non inganniamoci, spesso invocata, la crisi tra Israele e la Palestina è uno specchietto per le allodole. I problemi sono altrove. Si chiamano mancanza di fiducia reciproca, visioni burocratiche o velleitarie, sterili ricerche di leadership da parte dei maggiori Paesi europei, noti limiti di parte del personale politico coinvolto e insufficiente o inadeguata integrazione del modo economico. La politica europea di vicinato, nonostante i propri successi, non può risolvere tutto. In un momento in cui lo stallo istituzionale è al suo apice e i fondi pubblici sono prosciugati dalla crisi, vi è una sola via d’uscita possibile: coinvolgere le imprese. Occorre, dunque, creare le condizioni per motivare il capitale privato delle due rive ad assumere la sfida del Mediterraneo, iniziando a investire insieme al Sud. Per conseguire un tale risultato, non serve proporre alle aziende di sostenere idee astratte partorite altrove. Bisogna, al contrario, chiedere alle imprese di farsi promotrici di progetti che rispondano alle loro esigenze vitali in termini di competitività, facendo poi in modo che le istituzioni internazionali e i governi sostengano tali progetti con indispensabili riforme di governance e un migliore utilizzo dei contributi finanziari esistenti. Altrimenti non saranno conseguiti accettabili livelli di sicurezza e di redditività, indispensabili a innescare il circolo virtuoso degli investimenti privati in un'area ancora non facile.
Il presidente Barroso mi ha chiesto di facilitare questo tentativo in stretta collaborazione con il Commissario alle politiche di vicinato. Lavoreremo insieme a oltre duecento grandi aziende dei Paesi dell’area — appartenenti alla rete del Mediterranean Business Council — per identificare e sviluppare una serie organica di progetti strutturanti e rapidamente realizzabili. Tenteremo di identificare nuove fonti di finanziamento, iniziative per valorizzare il capitale umano, rafforzare l’occupazione e le interconnessioni logistiche. Il successo è pero lungi dall’essere assicurato. Al contrario è molto probabile che ostacoli sostanziali emergano a causa di cinici e mal compresi interessi nazionali.
«Varcare le Alpi o sprofondare nel Mediterraneo» scrisse trent’anni fa Ugo La Malfa. Oggi invece è la sfida è: «Far varcare il Mediterraneo all’Europa o sprofondare con esso». Come avvenne all’epoca, sarebbe auspicabile che il governo italiano contribuisca a realizzare la prima delle due ipotesi, altrimenti si corre il rischio di una nuova e irreversibile frattura Nord-Sud. presidente del Mediterranean Business Council (CCE-Ecomed).


Il disegno di legge sulle intercettazioni riduce il consenso al Premier italiano

Shukri Said
migrare.eu
La sensazione è che questa volta Berlusconi non riuscirà a coronare il sogno di far diventare l’Italia un’agenzia di protezione per pochi.
Gli scandali che negli ultimi anni hanno coinvolto in Italia, sia a destra che a sinistra, personaggi della politica e della finanza sono quasi tutti derivati dalla pubblicazione degli atti di inchieste giudiziarie ed in particolare hanno colpito l’opinione pubblica le conversazioni telefoniche intercettate dalla magistratura. Un indagato, addirittura, si è scoperto che rideva la notte del terremoto de L’Aquila pensando agli appalti della ricostruzione mentre sotto le macerie morivano 308 persone.
Tra i più colpiti vi è stato il Presidente del consiglio dalle cui telefonate si sono apprese alcune preferenze sessuali e l’inclinazione a raccomandare attricette per fiction della TV di Stato, a volte per convincere alcuni avversari politici a passare dalla sua parte.
Più in generale, da queste pubblicazioni è derivato un grave colpo all’immagine della destra e dei suoi esponenti più in vista, sia tra i politici che tra i burocrati, molti dei quali, abituati ad esprimersi in un turpiloquio costante, hanno manifestato la modestia della loro cultura e la tendenza alla corruzione per arricchimento personale anziché, come nella Tangentopoli dei primi anni Novanta, soprattutto per fare politica.
Dal 2005 in poi, con la pubblicazione delle intercettazioni tra i “furbetti del quartierino” per la scalata della Banca Nazionale del Lavoro, vi è stato un aumento del fenomeno dal quale gli italiani hanno appreso la vastità e profondità della corruzione e soprattutto dei meccanismi che la favoriscono. Si è appreso che alla Protezione Civile erano stati delegati, al di fuori delle regole dei bandi pubblici, gli appalti per l’emergenza e che nel concetto di emergenza venivano inclusi anche appalti facilmente programmabili, come le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, mentre le spese raddoppiavano in favore di pochissimi appaltatori. Senza stupirsi più di tanto, gli italiani hanno anche appreso che il ministro delle attività produttive, stretto collaboratore di Berlusconi, aveva beneficiato dell’aiuto finanziario di uno di questi appaltatori per ben novecentomila euro in nero per l’acquisto della sua abitazione di fronte al Colosseo e le sue dimissioni per meglio difendersi dal sospetto che qualcuno avesse contribuito, a sua insaputa, a pagare quell’amata casa, hanno suscitato una satira che, anche per la strada, sta corrodendo la credibilità di Berlusconi e di tutti gli uomini di cui si è circondato con preoccupanti riflessi sul consenso al suo governo.
La risposta alla diffusione delle intercettazioni telefoniche è stato un disegno di legge governativo che, anziché punire la corruzione, mira a nasconderla impedendo la pubblicazione degli atti giudiziari sotto pena di pesantissime sanzioni economiche agli editori e del carcere ai giornalisti.
Se si aggiunge la ripetuta richiesta del Premier di ottenere maggiori poteri per governare, dopo che già gestisce un impero mediatico che abbraccia la televisione pubblica e quella privata per complessive sei reti, la maggiore casa editrice italiana e due testate giornalistiche più quelle degli editori che per lui simpatizzano, prende corpo la paura che la legge sulle intercettazioni miri a chiudere all’opinione pubblica l’ultima finestra per sapere cosa succede nella cosa pubblica. Il timore è che la “legge bavaglio” finisca per trasformare l’Italia in una Berlusconia abitata da cittadini all’oscuro del destino delle tasse che pagano, mentre tanti tra quelli ammessi alla gestione del potere per cooptazione scorrazzano a loro piacimento appropriandosi di tutto quanto appropriabile. La grande preoccupazione è che, con questa legge, limitandosi le intercettazioni a pochissimi reati, venga anche meno il più importante strumento investigativo a disposizione della magistratura.
Per vero non ci sarebbe bisogno di una nuova legge, ma di far rispettare il segreto delle investigazioni che, invece, è stato ripetutamente violato e, si afferma, proprio dai magistrati inquirenti che, permettendo il passaggio sotterraneo ai giornalisti anche degli atti privi di rilevanza penale ma di forte impatto per valutazioni di moralità, avrebbero creato le condizioni per processi mediatici fuori delle aule di giustizia ed assai più devastanti per la reputazione degli intercettati perché senza appello. Si risponde, senza convincere, riducendo l’accusa a qualche episodio e che, se un chirurgo sbaglia, non per questo si devono chiudere tutte le sale operatorie.
La stampa, anche quella delle imprese mediatiche di Berlusconi, a sua volta afferma che il controllo da parte dell’opinione pubblica è irrinunciabile e torna a farsi strada la proposta dei Radicali italiani per l’istituzione di un’anagrafe economica degli eletti.
La stampa, la magistratura e gran parte dell’opinione pubblica hanno reagito contro il testo della “legge bavaglio”.
Ma la legge è già arrivata in Parlamento dove è stata approvata dal Senato e ora sta alla Camera dei Deputati in attesa di essere calendarizzato.
La sensazione è che questa volta Berlusconi non riuscirà a coronare il sogno di far diventare l’Italia un’agenzia di protezione per pochi.

Albenga, dove ai migranti non è consentito neppure riunirsi in piazza
Italia-razzismo
l'Unità 15 giugno 2010
Si sente spesso parlare di buone pratiche da portare ad esempio, da offrire come modello. Esistono però anche le cattive pratiche, non proprio esemplari. Qui di seguito una di quelle.
Ad Albenga, Savona, tre immigrati, muniti di regolare permesso di soggiorno si sono ritrovati nella centrale piazza Nenni. Nulla di particolarmente rilevante agli occhi dei più, ma qualcosa di evidentemente censurabile agli occhi degli attenti vigili urbani. Quei tre stranieri stavano violando l’ordinanza “antiassembramento” del sindaco leghista Rosy Guarnieri, perché fruivano «degli spazi pubblici in modo tale da non consentire analoga fruizione ad altri cittadini». Ma è possibile che in quel paese nessuno si possa fermare a chiacchierare davanti a un bar o all’uscita di una chiesa? Se così fosse il sindaco avrebbe ottenuto l’impareggiabile soddisfazione di vedere strade e piazze deserte, oltre che una comunità azzittita e assente.
Ai malcapitati di Albenga, pertanto, è stato contestato un diritto che è alla base di qualunque forma di convivenza: quello di poter incontrare e comunicare con gli altri, intrecciando relazioni di varia intensità, sfuggendo all’ isolamento. Un diritto garantito a tutti, e per il cui esercizio sono a disposizione gli spazi pubblici. A quei tre stranieri, invece, è stata irrogata una sanzione pecuniaria che hanno deciso di pagare, per non essere denunciati. Di fronte a tutto ciò, il sindaco ha dichiarato che «le ordinanze stanno producendo effetti positivi e gli albenganesi cominciano a percepire e a riconoscere il cambiamento. Ovviamente si può fare di meglio e faremo sicuramente di meglio». Per carità, ci accontentiamo di quanto già fatto. Non vorremmo che il successo gli desse alla testa.


Barcellona annuncia: vieteremo il burqa

Corriere della Sera, 15 giugno 2010
Da Almodòvar a Javier Barden "Sono morto così, per la libertà"
Barcellona sarà la prima grande città spagnola a vietare il velo integrale negli uffici pubblici, nei mercati comunali, negli asili e in alcune scuole. Lo ha annunciato ieri il sindaco socialista Jordi Hereu precisando che «non si tratta di questioni religiose ma di sicurezza: non può essere permesso a nessuno di entrare in un edificio pubblico senza essere identificato». Oltre al velo che copre interamente il viso, «burqa» afghano o «niqab» mediorientale che sia, sono infatti già vietati in questi luoghi i caschi integrali da motociclista o da sciatore. In Spagna, dove i musulmani hanno superato il milione su 47 milioni di abitanti, è dalla fine di maggio che alcune città minori hanno decretato il divieto di «burqa». Altre di maggior importanza, come Tarragona e Gerona, hanno annunciato che seguiranno l'esempio. In Francia e in Belgio leggi nazionali sono in via di approvazione.



Sanaa, ergastolo al padre assassino

Uccisa perché amava un italiano
Conterà i giorni a migliaia, dietro le sbarre. E saranno molti di più dei 18 anni che ha tolto a sua figlia Sanaa, sgozzandola, il 15 settembre dell’anno scorso.
Corriere della Sera 15 giugno 2010
Per El Katawi Dafani, 46 anni, cuoco marocchino con casa e famiglia ad Azzano Decimo (Pordenone), è arrivata ieri la sentenza di primo grado. È stato condannato all’ergastolo, nonostante il processo con rito abbreviato preveda la riduzione di un terzo della pena. Nel suo caso nessuno sconto perché secondo il giudice dell’udienza preliminare Patrizia Botteri hanno prevalso le aggravanti: quella della premeditazione, soprattutto, ma anche quelle previste per il vincolo familiare e per la crudeltà dimostrata.
El Katawi Dafani uccise sua figlia perché «era la mia vergogna», come disse lui. Quella ragazza era diventata il suo incubo. Come aveva osato andarsene di casa per vivere con un italiano? Come aveva potuto disobbedire a suo padre? Come poteva ignorare i continui richiami a una vita meno «occidentale»?
Il cuoco aveva chiesto perdono, poco prima della sentenza. «Vi prego, perdonatemi per quello che ho fatto» aveva detto alle altre figlie e alla moglie Fatna, che non gli ha mai voltato le spalle. «Ha sbagliato Sanaa», disse la madre della ragazza il giorno dopo l’omicidio, anche se da allora non è mai andata in carcere a trovare il marito.
Può darsi che la famiglia lo abbia perdonato. Di sicuro non lo ha fatto il fidanzato di Sanaa, Massimo De Biasio, 32 anni. «L’ergastolo non è sufficiente» ha commentato ieri ricordandola, rivivendo una volta di più la scena di quella sera di settembre. Sanaa eMassimo erano in macchina assieme, il padre di lei è comparso all’improvviso, per strada, e loro si sono fermati. Nemmeno il tempo di aprire la portiera e Dafani si è avventato su di loro. Voleva ammazzare lei ma Massimo all’inizio le ha fatto da scudo e le prime coltellate sono state per lui, all’addome e alle mani. Lei è scappata in un boschetto ai margini della strada, il padre l’ha raggiunta e le ha tagliato la gola.
«Nessuna premeditazione, ha avuto un raptus», sostiene da sempre la difesa dell’uomo che preannuncia l’appello. «Un’ora prima dell’omicidio — spiega l’avvocato Marco Borella — ha scoperto che la figlia che pensava da un’amica viveva con il fidanzato e ha perso la testa». E per favore che «non si parli di motivazione religiosa, è stato solo un raptus passionale ed emotivo che è degenerato».
Assieme alla reclusione, il giudice ha riconosciuto un risarcimento simbolico di un euro alle parti civili: la Provincia di Pordenone, la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Associazione delle donne marocchine in Italia, mentre ha stabilito in 50 mila euro il risarcimento per Massimo De Biasio e ha rimandato a un’eventuale causa civile la cifra a favore del ministero delle Pari opportunità, anche quello parte civile nel processo.
«È una sentenza storica» è stato il commento del ministro Mara Carfagna, «chi ostacola l’integrazione di una giovane o un giovane immigrato non compie un reato qualunque, ma attenta ai valori della nostra democrazia, che riconosce pari diritti e dignità agli uomini e alle donne, che non ammette alcuna forma di sopraffazione o violenza». Era così il mondo sognato da Sanaa, senza sopraffazione né violenza. Un sogno, appunto.


Razzismo insinuante
Saleh Zaghloul
Osservatorio Ligure sull'informazione
Il nuovo razzismo, quello più pericoloso, non dichiara apertamente la propria natura. Non dice di essere contro i migranti, i neri, i rom, i musulmani, gli ebrei in quanto tali.
Hitler ed il regime dell'apartheid in Sud Africa, grazie a dio, sono stati sconfitti. Il nuovo razzismo ha imparato a nascondersi, preferisce esordire con la frase "non sono razzista, ma ...", dopo di che possono seguire una marea di parole di ogni brutalità. Non sono razzista "ma i migranti rubano il lavoro, sono ladri, vendono droga, stuprano le donne"... ecc. In certi casi le frasi con il "ma" fanno anche morire dal ridere (per non piangere) come quella raccolta da un giornalista di l'Unità nei primi anni novanta: "Io non sono razzista, sono loro che sono arabi".
Alcuni razzisti dopo aver articolato e dettagliato cose evidentemente false contro "gli altri" si permettono di spingersi a dire: "Se questo è razzismo allora sono razzista". Per certe figure (ministri, preti, ecc.), non completamente stupide, la regola è nascondere totalmente il proprio razzismo. Ma anche loro alle volte scivolano e dicono cose che fanno ridere.
Don Valentino Porcile, parroco di una delle chiese di Cornigliano, ha scritto una lettera per allontanare i Rom dalla propria parrocchia. Dice al Secolo XIX del 3 giugno che non c'entra il razzismo contro i Rom: "Qui la razza non c’entra nulla, è in ballo solo la sicurezza e la tranquillità di persone deboli e anziane …. Tempo fa, quando il pericolo e le intimidazioni furono portati da un gruppo di sudamericani, non esitai a prendere una posizione simile nei loro confronti".
Tempo fa, inoltre, don Valentino Porcile era fra quelli che protestavano contro la moschea a Cornigliano, non certo perché è contro il diritto di culto dei musulmani, assolutamente no, ma per questioni di traffico, parcheggi e cose del genere.
Mi chiedo cosa direbbe Gesù ad un parroco che allontana i deboli dalla propria parrocchia. I musulmani credono che Gesù non sia morto, ma sia vivo in cielo e per la maggior parte di loro un giorno ritornerà sulla terra per guidare la vittoria finale del bene contro il male. Visto che il suo ritorno non sembra imminente, non c'è nessun altro, a parte Don Gallo, sulla terra di Genova che possa spiegargli che per un sacerdote la "mia gente" sono tutti?

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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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