Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 giugno 2011

I ragazzi: "Che sfortuna essere nati in Italia"
la Stampa 22 giugno 2011
FRANCESCA PACI
Ci risiamo, l’Italia non è decisamente un paese per giovani. Neppure due illustri connazionali che espugnano la prestigiosa top ten della rivista Popular Science, l’Olimpo degli scienziati under 40 più promettenti d’America, riescono a farci recuperare terreno sull’orizzonte allontanatosi da almeno un ventennio. Sì, perché mentre la fisica anconetana Chiara Daraio e l’ingegner Maurizio Porfiri tengono alto il tricolore negli Stati Uniti, il 40 per cento dei loro ex compagni di studi considera la propria permanenza in Italia una vera e propria sfortuna e il 40,6 per cento si trasferirebbe seduta stante altrove, dal Nuovo Mondo (16,1) alla Francia (16,5), dall’Inghilterra (11,9) alla Germania (10,1). I dati, contenuti nel VI Rapporto della Fondazione Migrantes, sono lo specchio di un deserto senza fine in cui, sorprendentemente, poco meno di un intervistato su sei si accontenterebbe perfino della Spagna «indignada» con il suo 21 per cento di disoccupazione: tutto tranne convivere con lo spettro della precarietà che angoscia il 43,5 per cento degli under 24 e il 33,6 per cento dei fratelli maggiori ma ancora entro il critico 34esimo anno d’età.
«Alcuni spazi giovanili importanti come l’università soffrono in Italia di una carenza di opportunità e strutture che rende problematica la formazione e ridimensiona l’aspetto altrimenti arricchente della circolazione delle persone», osserva monsignor Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes. Il punto, sembra, non è tanto il posto fisso, ghiotta eredità del boom economico di cui i nati dopo il 1975 hanno solo sentito vagheggiare nostalgicamente. I nostri laureati, i ragazzi alla pari e i logati Erasmus, i volenterosi trentenni disposti a reinventarsi un mestiere a migliaia di chilometri da casa, i cervelli ma anche le braccia in fuga non emigrano per seguir virtude e conoscenza ma perché hanno perso la speranza. Questo almeno registrano gli studi di settore, da Migrantes all’Istat a Eurispes, secondo cui uno su cinque di loro non studia né lavora e l’inattività femminile è pari al 49 per cento. Sono la cosiddetta «generazione invisibile», motori potenti che però non sono ancora stati accesi.
Il risultato è che la diaspora, temporanea o permanente, cresce a dismisura. A memoria d’anagrafe 4.115.235 italiani vivono al momento all’estero, oltre 90 mila in più del 2010. Rispetto all’anno precedente fanno le valigie con maggior decisione le donne (47,8 per cento), i giovani (gli over 65 sono scesi dal 19,2 al 18,6) e i minori (passati dal 15,4 al 16, ma erano 15,4 nel 2010). I liceali in particolare sembrano sempre più attratti dalla prospettiva di anticipare lo stage universitario e al quarto anno approfittano volentieri di progetti come Intercultura, Wep o Comenius.
«I paesi anglosassoni mantengono una grande attrattiva specialmente per il tirocinio di lavoro ma la vera novità è la Spagna dove negli ultimi 5 anni l’incremento degli italiani registrati all’Aire, l’albo dei residenti all’estero, è stato del 56 per cento», nota Delfina Licata, curatrice del rapporto. Chiunque abbia visitato Barcellona e Madrid non può che confermare l’impressione di sentirsi praticamente a casa.
Chi porta avanti allora, negli atenei e nelle officine, il paese che si sta abituando ad accompagnare all’aeroporto i suoi figli, la società gambero ripiegata su se stessa? Monsignor Perego sostiene che esista comunque uno scambio costruttivo. Se in dieci anni il numero degli italiani emigrati per motivi di studio è passato da 13.236 a 17.754 anche quello degli stranieri in viaggio in senso inverso è cresciuto da 8.739 a 15.530. Certo, restiamo un paese meno appetibile di altri di cui è difficile nascondere che gli imprenditori under 34 sono appena il 12,6 per cento del totale, il 41,5 degli under 35 abita ancora con i genitori e almeno 70 mila vincitori di concorsi pubblici non sono mai stati assunti. Difficile pubblicizzare oltreconfine il brand del Belpaese se oltre alla precarietà lavorativa i giovani italiani scontenti di vivere nel proprio paese menzionano tra gli handicap la mancanza di senso civico (20,6 per cento), l’eccessiva corruzione (19,1), la classe politica (15,2), la condizione economica (8,6), il tasso di criminalità (3,9), lo stato del welfare (1,3). Eppure nei campus americani dove eccellono scienziati del calibro di Chiara Daraio e Maurizio Porfiri il genio italico resiste e sono probabilmente proprio i cervelli fuggiti, più o meno felicemente, a far brillare di luce riflessa il paese nel quale si sono formati.
«E’ chiaro che gli italiani avvertono maggiormente l’incertezza per il futuro e la staticità laddove magari all’estero si spostano facilmente con tanto di lavoro dalla Germania alla Svizzera alla Gran Bretagna», ammette Delfina Licata. Ma la fine di una speranza può anche significare l’inizio di un’altra: «L’idea di movimento è cambiata e gli italiani non fanno eccezione, il paese dovrebbe rendersi più appetibile». In attesa non c’è solo la generazione invisibile, ma c’è quella ben illuminata dai riflettori stranieri che magari, in un’Italia all’arrembaggio dell’orizzonte, potrebbe un giorno tornare indietro.



Immigrazione: oltre 400 giunti a Lampedusa
Ansa 22 giugno 2011
Due barconi sono giunti in nottata a Lampedusa, con a bordo 411 migranti. La prima imbarcazione e' stata intercettata dalla Guardia di finanza a 15 miglia dall'isola ed e' giunta in porto, ''scortata'' dalle Fiamme Gialle, con a bordo 24 donne e un minore. Venti minuti dopo un'altra imbarcazione e' arrivata al molo con 253 persone, tra le quali 35 donne e 2 minori. Partite probabilmente dalle coste libiche, le persone a bordo sono tutte provenienti dall'Africa sub sahariana.


Stupro in barcone Lampedusa, un fermo
Ansa 22 giugno 2011
Avrebbe abusato sessualmente di una giovane tunisina durante la traversata dalla Tunisia a Lampedusa, e nuovamente nel centro d'accoglienza. Un tunisino, ritenuto il capo dell'organizzazione dei barconi, e' stato fermato per violenza sessuale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Lo sbarco e' quello del 15 giugno. La ragazza ha denunciato la violenza e ha raccontato di avere pagato mille euro per raggiungere l'Italia.



Immigrati, troppi diritti violati
Famiglia Cristiana 21/06/2011
È un coro di reazioni dure e allarmate quello che ha accolto l’annuncio del ministro dell’Interno Roberto Maroni (Lega) secondo il quale il periodo di detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) potrà «essere prolungato dagli attuali 6 mesi fino a un massimo di 18 mesi, per consentire l'identificazione o l’effettiva espulsione», come ha detto lo stesso ministro.
La società civile, le organizzazioni di tutela dei diritti umani e in particolare gli organismi che si occupano di immigrazione e di cooperazione internazionale denunciano l’illegittimità di questa nuova norma (votata in Consiglio dei ministri il 16 giugno) e le ulteriori violazioni dei diritti umani che ne conseguiranno nei confronti degli immigrati. Maroni ha annunciato che «il decreto è importante perché dà attuazione a due direttive europee». «Si trattava», ha aggiunto, «di un problema di interpretazione e noi – nel pieno rispetto della direttiva – abbiamo fornito questa interpretazione». Ma sono molti a contestare le dichiarazioni del ministro. Ad esempio Jean Leonard Touadi, parlamentare del Pd: «La dilatazione dei mesi di trattenimento, di fatto una vera e propria detenzione senza i diritti che costituzionalmente spettano ai normali detenuti, va nella direzione opposta alla direttiva europea sui rimpatri del 2008 che richiede di limitare la durata massima della privazione della libertà nell'ambito della procedura di rimpatrio». «Invece», insiste Touadi, «il Governo recepisca immediatamente, come da tempo ha il dovere di fare, la Legge Comunitaria – tutta, e non nelle parti che fanno più comodo – che ancora langue in Parlamento in attesa di approvazione. Non c’è bisogno di stravaganti “interpretazioni” della norma europea. Basta accoglierla nel nostro ordinamento. Dice cose ben diverse da quello che sostiene il ministro Maroni».
Preoccupata anche la nota di padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli (Servizio dei Gesuiti per i rifugiati): «Prolungare il trattenimento nei Cie è per noi assurdo», ha commentato il gesuita. «È un modo per esasperare ulteriormente gli animi. Qual è il senso di queste iniziative, che mirano a mortificare la dignità delle persone?». «Si tratta di un ulteriore segnale che indica la mancanza di volontà di governare responsabilmente la situazione», ha aggiunto padre La Manna. «La mia esperienza personale mi porta ad affermare che nei Cie è possibile incontrare persone che non sono colpevoli  di aver commesso alcun reato» (il centro Astalli presta da tempo assistenza, anche legale, agli stranieri detenuti nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, ndr). «Le persone che incontriamo nel Cie», conclude il responsabile del Centro Astalli, «spesso non riescono nemmeno a capire cosa stia loro succedendo e perché si trovino lì. Molti sentono parlare della possibilità di chiedere asilo in Italia per la prima volta proprio durante questi colloqui. In queste strutture purtroppo non c’é progettualità. Si tratta di posti di mero contenimento nei quali si vive in condizioni disumane e di estrema sofferenza».



Otto associazioni «Chiudete il Cie di Palazzo»
Franco De Florio
la Gazzetta del Mezzogiorno 21 giugno 2011
Cgil, Arci, Legambiente, Forum del terzo settore, Libera, associazioni di donne, Lucania World e Acli, ieri pomeriggio nel corso di una conferenza stampa a Palazzo San Gervasio hanno chiesto la chiusura dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e la costruzione di «una nuova politica dell’accoglienza», annunciando per il 25 giugno «una grande manifestazione» davanti alla struttura allestita a Palazzo San Gervasio.
Secondo i firmatari del documento, il Cie di Palazzo San Gervasio, «da simbolo dell’accoglienza del popolo italiano si sta trasformando in un altro incubo che i popoli del Mediterraneo, in fuga da situazioni di guerra e miserie, sono destinati a vivere». Le associazioni hanno chiesto un incontro al prefetto di Potenza, «per stabilire tempi e modi utili a rendere possibile un presidio di diritto dove il diritto muore, attraverso la costituzione di un gruppo di avvocati che possano portare assistenza gratuita ai migranti», affinchè siano impediti «ulteriori usurpazioni di diritti e vite».
Intanto per avere notizie in merito «alle modalità di gestione del centro Cie di Palazzo San Gervasio e al suo futuro», l’on. Vincenzo Taddei (Pdl), che fa parte del Comitato parlamentare di controllo di Schengen, Europol e immigrazione, ha incontrato ieri il questore e il prefetto di Potenza, Romolo Panico e Luigi Riccio. Taddei ha spiegato «di aver avuto rassicurazioni sul fatto che fino ad oggi si è fatto il possibile per assicurare massima accoglienza e sicurezza sia agli immigrati che ai cittadini di Palazzo e delle zone limitrofe. E in questo senso mi preme tranquillizzare la comunità di Basilicata che in tale centro le istituzioni preposte alla sua gestione utilizzino le regole comuni a tutti i centri Cie esistenti nel Paese. E’ tra l’altro utile ricordare come il centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio sia stato trasformato in Centro per l’identificazione ed espulsione per rispondere all’emergenza occorsa in primavera quando erano numerosissimi gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane. E' evidente, quindi, che il centro non potesse da subito rispondere perfettamente a tutti i canoni tipici previsti per un Cie. Infine abbiamo avuto la conferma che entro pochi giorni il centro sarà svuotato per poi essere adeguato agli altri centri d’identificazione ed espulsione presenti in Italia – ha concluso il parlamentare lucano – con la massima considerazione per le condizioni in cui saranno accolti ed ospitati gli immigrati e per l’oggettiva sicurezza nei confronti della comunità locale».
E nel frattempo spuntano altre iniziative. Allestire un nuovo campo nell’area dell’ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio o realizzare un progetto di «ospitalità diffusa» nelle abitazioni del centro storico: sono queste due delle ipotesi per l'accoglienza di circa 200 extracomunitari che saranno impegnati nella raccolta dei pomodori, nella prossima stagione estiva.
Le due iniziative sono state esaminate nel corso di un incontro a cui hanno partecipato il governatore lucano, Vito De Filippo, l’assessore regionale alla salute, Attilio Martorano, l’assessore provinciale di Potenza alle politiche sociali, Paolo Pesacane, e il sindaco di Palazzo San Gervasio, Federico Pagano.
Per il progetto di «ospitalità diffusa» sarebbero disponibili, fino a questo momento, circa la metà dei posti necessari. De Filippo ha anche proposto un confronto con le associazioni agricole «per individuare la soluzione migliore», e ha spiegato di «voler coinvolgere, dopo l’individuazione della soluzione da praticare, Prefettura e Questura per sollecitare politiche di sicurezza su quel territorio». Tutti i partecipanti all’incontro hanno infine «chiarito di voler realizzare un modello di ospitalità che, a differenza del Cie, sia realmente basato su principi di accoglienza» criticando «il ministero dell’Interno che ha scavalcato Regione e Provincia quando ha deciso di impiantare il Centro di accoglienza immigrati, che ora si è trasformato in Centro identificazione e espulsione».



Una class action per avere giustizia
Riscossa dei "bimbi perduti" d'Australia

VALERIA FRASCHETTI
Repubblica.it 22giugno2011
Solo scuse. In oltre cinquant'anni i "bambini dimenticati" d'Australia hanno ricevuto solo formali richieste di perdono: mai giustizia. Non ci sono stati indennizzi per Geraldine Giles, vittima di stupro a sette anni, o per Ron Simpson, a cui un preside spaccò la schiena con una mazza da hockey. Come non hanno mai visto un soldo di risarcimento nessuna delle centinaia di migliaia di britannici deportati da piccoli per popolare le terre australiane e rinchiusi in orfanotrofi dove furono vittime di abusi, sevizie e lavori forzati. Un'infanzia rubata di cui ancora portano segni fisici e psicologici. E per cui ora sperano finalmente di ottenere un riconoscimento legale, attraverso una class action.
Ad aver lanciato l'azione legale collettiva sono state 69 persone che, perlopiù dopo la seconda guerra mondiale, frequentarono la Fairbridge Farm School nel New South Wales. Uno dei tanti istituti dell'organizzazione benefica fondata all'inizio del ventesimo secolo da Kinglsey Fairbridge, il filantropo e ideatore dello schema sull'immigrazione infantile dell'Impero di Sua Maestà, che aveva formalmente due obiettivi: offrire agli "orfani" britannici una nuova vita e un'istruzione, e ai possedimenti coloniali britannici manodopera agricola bianca.
Le storie che emergono dalle scuole Fairbridge e dalle altre organizzazioni, alcune gestite dai religiosi, sono tutte simili, nel loro orrore. Bambini orfani o prelevati di nascosto dalle famiglie povere venivano fatti espatriare con la promessa di ricevere una buona istruzione. Invece,
lasciavano le scuole australiane semianalfabeti dopo anni costretti a lavorare nei campi a costo zero e a sopportare maltrattamenti di ogni sorta, violenze sessuali incluse. Un destino toccato tra il 1912 e il 1974 a oltre 100mila britannici, alcuni di appena quattro anni.
"Hanno scippato le nostre infanzie", ha dichiarato al quotidiano The Independent Robert Stephans, uno dei firmatari della class action che trascorse otto anni in un istituto Fairbrdige. Anni in cui, denuncia oggi, venne molestato sessualmente da Sir William Slim, un ex generale australiano il cui figlio, Visconut John Slim, oggi siede nel Parlamento britannico. Ancor prima dell'affetto e della pace interiore, ciò di cui Stephans venne privato al suo arrivo nella scuola di Molong, nel 1952, fu il suo nome: "Mi chiamarono semplicemente Red Four, come il dormitorio a cui venni affidato", ha raccontato. E, il primo giorno che venne mandato a mungere le vacche, il benvenuto ricevuto da uno degli educatori fu lo stesso che per tanti altri: "Ci faceva allungare a terra, salendoci sopra con i suoi stivali di gomma per dimostrare subito chi comandava".
Le vite di chi è passato per le scuole di Fairbridge restano irrimediabilmente segnate. Stephans, sposato e proprietario di una galleria d'arte, è uno dei casi che l'avvocato che guida l'azione legale, Ken Fowlie, chiama "eccezionali". "La maggior parte - denuncia - non è riuscito a rifarsi una vita. Anche perché molti non hanno che un'istruzione rudimentale".
Ad aggiungere infamia a questo capitolo della storia britannica e australiana, l'atteggiamento della fondazione Fairbridge. Che in mezzo secolo non ha mai pronunciato un mea culpa. Anzi, durante un'inchiesta del Senato australiano del 2001 l'istituzione ha dichiarato di "non essere al corrente di trattamenti impropri e illegali" dei bambini. Anche se con tremendo ritardo, invece, scuse formali sono arrivate sia dal governo di Canberra, nel 2009, che da quello di Londra, lo scorso anno. Chiedendo perdono agli ex bambini dimenticati (circa 7.000 vivono ancora in Australia), l'ex premier Kevin Rudd ha detto: "Spero che d'ora in poi vi chiameremo "gli australiani ricordati"". Per sentirsi davvero "ricordati", ora sperano di vincere la loro causa. Intentata non solo contro Fairbridge, ma anche contro il governo federale del New South Wales e quello centrale australiano.



Rifugiati, una settimana di arte e cultura
Fratoianni: "Tutela legale ai migranti"
la Repubblica Bari 22 giugnoi 2011
Una settimana di pittura, fotografia, cortometraggi e flashmob fra Bari e Putignano per “parlare, confrontarsi e condividere idee sull'emigrazione forzata”. Parte la Chiamata alle arti per il diritto di asilo”, l'iniziativa organizzata dall'Arci in programma fino al 26 giugno, a cavallo tra la Giornata mondiale del rifugiato e quella internazionale a sostegno delle vittime di guerra. Operatori e rifugiati, studenti e docenti dell'Accademia e del Conservatorio insieme ai cittadini per promuovere i diritti civili attraverso pittura, musica, giochi interculturali per bambini e degustazioni di piatti tipici. Daranno vita a cortei di pace e presenteranno nuovi progetti di protezione internazionale.
“La manifestazione - spiega Livia Cantore, presidente dell'associazione - vuole informare e sensibilizzare la gente alle condizione dei rifugiati consentendo, attraverso l'utilizzo delle arti, riflessioni condivise”. Una necessità dettata anche dalle attuali condizioni degli immigrati che subiscono, ricorda, “il decreto legge lampo sull'allungamento a 18 mesi della detenzione nei Cie e l'accordo con l'opposizione libica per il rimpatrio dei profughi di guerra”.
"L’immigrazione forzata - sottolinea l'assessore alla Cittadinanza sociale della Regione Puglia, Nicola Fratoianni, che ha incontrato una delegazione di immigrati del Cara, Centro di accoglienza richiedenti asilo di Bari -  non può essere considerato un problema. E non è transeunte, è una condizione strutturale”. Per l’assessore il vero problema è quello della destinazione dei fondi, segno di “politiche e cultura sbagliate e inefficaci”: piuttosto che spendere 150 milioni di euro per i Cie, la politica civile - è l’idea di Fratoianni - farebbe un salto in avanti se gli stessi soldi fossero “indirizzati a programmi integrati di accoglienza dell'immigrazione”. Per ora, invece, la Puglia è costretta a convivere con situazioni delicate come quella di Manduria, costretta ad ammortizzare la pressione di Lampedusa.
"Mentre si moltiplicano gli appelli all'accoglienza e all'integrazione - ha continuato Fratoianni - di chi fugge da guerra, fame e persecuzione, l'Italia di Maroni e Berlusconi chiede che le navi della Nato respingano in mare i disperati in fuga dalla Libia in guerra". Secondo l'assessore Fratoianni "quella odierna non può e non deve essere solo una giornata di celebrazione. E' necessario che il Governo riconosca a tutti coloro che arrivano dalla Libia, e non solo ai libici, lo status di rifugiato per motivi umanitari". Il fatto che in questo contesto, le Commissioni territoriali come quella di Bari procedano individualmente è, secondo l'assessore "sbagliato e irragionevole. Per questo, come Regione Puglia, chiediamo che sia riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai profughi in fuga. Nello stesso tempo - conclude l'assessore - mi sento di rivolgere un appello al Presidente dell'Ordine degli avvocati di Bari perché in questa situazione particolare vengano verificate tutte le possibilità affinché sia garantita ai migranti che hanno già ricevuto il diniego, la più ampia forma di tutela legale, anche tenendo conto della condizione di indigenza nella quale vivono queste persone".



Rapporto Censis: l’immigrazione non più vista come una risorsa
20/06/2011 Firenzetoday.it
Presentato stamani a Firenze il rapporto del Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, che suona come un bollettino di guerra. La Toscana non esce proprio con le ossa rotta ma non sembra godere di ottima salute. Oltre la metà della popolazione il 54,7% pensa che nella regione vi sia un benessere diffuso, sebbene si soffra di un certo immobilismo.
Fa ben sperare anche la fiducia nelle imprese e la capacità di reinventarsi in nuovi settori, oltre al calo minore dell’occupazione in Regione, lo 0,5% rispetto all’1,6% nazionale. Male il dato per giovani e donne che subiscono maggiormente la mannaia della crisi anche se quattro aziende su dieci, 4,1%, non licenziano e soprattutto non chiudono.
 Il Censis ha interrogato i toscani anche sul grado di soddisfazione per le propria città (70,4%), della propria abitazione (90%). Dati che fanno dire all'istituto "che quella della Toscana è una società soddisfatta di sé stessa, quindi stabile: solo il 7,9% ha cambiato lavoro negli ultimi tre anni e il 2,6% ha cambiato casa" ma risulta un pò  immobile".
L’assessore Simoncini si è detto quindi convinto che la Regione stia lavorando "nella direzione giusta" anche con il Prs, per rilanciare la competitività dell'industria sui mercati nazionali e internazionali, con strumenti "giusti". E se Roma dice chiaramente che alla Toscana "serve un colpo d'ali" per ripartire, l'assessore ricorda che le debolezze "sono state individuate da tempo" tanto che la Toscana "ha investito in formazione, tecnologia, innovazione dove devono essere presenti tutti i soggetti interessati".
IMMIGRAZIONE - Quindi tutto ok? No, perché dal rapporto emergono  dati importanti su come i cittadini vivono la crisi. In primis l’opinione sull’immigrazione. Oltre sei cittadini su dieci la vivono come un disagio, solo il 37,4% la ritiene una risorsa. Il dato è preoccupante facendo un raffronto con il 2007 quando l’ integrazione era considerato un fenomeno positivo dal 43,9% e nel lontano 2000 addirittura dal 45,3%. Un declino delle aspettative che deve far riflettere. Ci sono dei baratri come a Pistoia e Prato, dal 49,3% al 25,8% e dal già risicato 23,5% al 11,9%, provincie seguite da Grosseto dove gli immigrati sono una risorsa solo per il 33,5% rispetto al 49,3% del 2007. In controtendenza  Lucca e Arezzo. Proprio nelle provincie suddette la crisi in particolar modo nel settore dell’edilizia stanno affossando il sistema, ad eccezione di Prato dove comincia la ripresa.
NERO - Ultimo dato del rapporto presentato dal direttore Giuseppe Roma riguarda il sommerso. Infatti se l’ex Granducato sembra riprendersi lentamente, di passo più svelto cresce il mondo del “nero”.  La percezione diffusa tra la popolazione,  è che il livello complessivo dell'evasione fiscale sia aumentato. La pensa così il 53,5% dei toscani; solo per il 6% è diminuita e per il 40,4% è rimasta stabile. Il 17,8% ha ammesso di aver cercato nell'ultimo anno di contenere le proprie uscite "ricorrendo a non rigorose forme di pagamento", anche in nero. E al nero, oltre alle famiglie con livelli socio-economici più elevati (19%), sembrano ricorrere soprattutto i più giovani, tra 30 e 44 anni (21,9) seguiti dai pensionati (18,1%).
 Tra le categorie che evaderebbero di più ci sono medici e dentisti (51,1%); liberi professionisti (47,2%); idraulici, giardinieri e piccoli artigiani (32,7%) seguiti dai commercianti (26,8%). All'ultimo posto della classifica i tassisti (3,1%). Il lavoro sommerso, secondo i toscani, nel 2010 è aumentato per il 47,5%, mentre è stabile per il 32,2% e diminuito per il 20,3%.



Il sistema asilo dell’Italia: esperienze innovative ma poco coordinate. Presentato uno studio di Asgi, Cespi e Communitas.
Accolta la metà delle domande di protezione presentate nell’ultimo triennio. Lo Sprar un modello positivo ma da integrare a livello territoriale.
ImmigrazioneOggi 22 giugno 2011
Esperienze positive e innovative, ma poco coordinate e non comunicanti. È la fotografia che emerge sullo stato del sistema di asilo nel nostro Paese, secondo la ricerca La protezione internazionale in Italia. Quale futuro? condotta da un gruppo di ricercatori dell’Asgi, del Cespi e di Communitas.
Dallo studio, svolto con interviste a oltre 300 organizzazioni e presentato ieri a Roma presso la sede della Provincia, emerge che il riconoscimento di una forma di protezione in Italia raggiunge livelli elevati, attestandosi a circa la metà delle domande nel triennio 2008-2010, ma una serie di malfunzionamenti rendono inadeguata tale accoglienza.
Nessuna delle Commissioni territoriali intervistate ha riferito di riuscire a garantire l’audizione del richiedente nel termine previsto dalla norma: nel 40% dei casi il tempo di attesa oscilla tra 3 e 5 mesi, nel 30% tra 6 e 12 mesi, nel 12% tra 1 e 2 mesi. Solo l’8% è convocato entro un mese dalla presentazione della domanda mentre nel 10% dei casi l’attesa supera i 12 mesi. Inoltre, nel 2010, il 3,78% delle domande di asilo risulta presentato da soggetti che sono diventati irreperibili. Fatto ancora più emergente è che non sono disponibili i dati sugli esiti delle domande dei minori stranieri non accompagnati.
Un modello positivo – scrivono i ricercatori – è invece rappresentato dalle Sprar e dalle reti dei Comuni ma che, purtroppo, hanno regole di accesso e capacità ricettive non confrontabili tra loro. Il tutto è aggravato dall’assenza di tavoli di programmazione regionali e locali tra le Prefetture, gli Enti locali, le Asl e le Sprar sul territorio.
Per il coordinatore della ricerca, Gianfranco Schiavone dell’Associazione Studi giuridici sull’immigrazione, “di fronte alle problematiche sull’accoglienza degli immigrati non c’è più una situazione di vuoto come in passato: l’Italia ha un sistema d’asilo e realtà interessanti da cui emergono aspetti positivi e addirittura innovativi rispetto alla media europea ma il tutto in un non contesto, in sistemi paralleli e non comunicanti”.
(Red.)

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links