Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 novembre 2010

Dramma nel dramma: cittadini stranieri nelle carceri italiane
lUnità, 16-11-2010
Osservatorio  Italia-razzismo

Ormai da tempo si parla di sovraffollamento nelle carceri italiane e su un totale di 69 mila detenuti, circa il 38%, è composto da stranieri. Per una persona immigrata la difficile realtà detentiva viene resa ancora più gravosa da una preoccupazione: quella dei documenti. Infatti, nonostante sia possibile rinnovare il permesso di soggiorno anche in carcere, questa procedura non avviene mai né automaticamente né facilmente. E così molti, una volta fuori, si ritrovano senza alcuna garanzia di un lavoro, di un’abitazione, di una condizione regolare. In una situazione, a volte, anche peggiore di quella iniziale. Qui di seguito un brano di una testimonianza assai significativa sulla questione: “Il giorno del mio fine pena, viene a prendermi in carcere la polizia che mi trattiene in Questura fino a sera. (…) Un ispettore gentile, dopo molte telefonate, mi dà un foglio dove c’è scritto che ho 15 giorni per andarmene dall’Italia, da solo. Mi dice anche che il permesso di soggiorno è scaduto mentre ero in carcere e che non risulta che abbia chiesto la sanatoria. Ma anche se il permesso fosse stato ancora valido, avrei dovuto lo stesso andare via, perché ho l’espulsione in sentenza (…). Non ci capisco niente. E poi, se sapevano che avevo l’espulsione perché l’assistente sociale e l’educatrice mi hanno anche cercato lavoro (vabbè che non l’hanno trovato) senza dirmi che prima dovevo chiedere la revoca dell’espulsione? Capisco solo che per 15 giorni sono autorizzato a rimanere in Italia: per trovare un lavoro, un alloggio, un permesso di soggiorno, una cosa da niente per un ex detenuto, ex tossicodipendente, extracomunitario.” Tratto da “Storie e testimonianze dal carcere”, dal sito ristrettiorizzonti.it.   



Brescia Gli operai non saranno arrestati o espulsi

I quattro immigrati scendono dalla gru: applausi, urla e slogan
Il saluto della folla: «Resistenza, resistenza»
Corriere Della Sera, 16-11-2010
Claudio Del Frate
BRESCIA — «Tranquillo, commissario, ho detto che arrivo...»: dall'alto della gru di piazza Battisti, Arun il pachistano, professione (in nero) distributore di volantini, rassicura quelli che stanno sotto. Sono le 20.51 e a Brescia piove a dirotto quando i quattro immigrati che dal 30 ottobre scorso vivevano in cima al pilone d'acciaio di un cantiere decidono di scendere. È la fine di una vicenda e di una giornata estenuanti che fino all'ultimo parevano non sbloccarsi ma alla quale un «colpo di reni» della società civile bresciana hanno garantito un finale sereno.
Da ieri sera i quattro protagonisti della vicenda (i pakistani Arun e Sayad, il marocchino Rachìd e l'egiziano Jimi) si tro-
vano negli uffici della questura: non verranno né arrestati né espulsi poiché queste sono le condizioni dell'accordo raggiunto da tutte le parti in causa. Oltre a ciò, i quattro hanno ottenuto che la prefettura apra un tavolo di trattativa sui temi dell'immigrazione e della clandestinità a Brescia. Domenica sera ogni filo del dialogo tra la cima della gru e il resto del mondo pareva irrimediabilmente interrotto: dopo i disordini che sabato avevano messo sottosopra il quartiere di San Faustino ben pochi avevano voglia di rimettersi al tavolo e trattare.
I panni degli «uomini di buona volontà» sono stati indossati dalla Chiesa di Brescia, dalla Cgil e dalla Cisl oltre che da rappresentanti delle comunità etniche e religiose presenti in città; ieri mattina hanno elaborato un documento con
le proposte poi rivelatesi risolutive. Contemporaneamente il professor Antonio D'Andrea, a nome dei docenti della facoltà di legge (a pochi metri dalla gru) inviava sempre al prefetto un documento nel quale veniva tracciato un percorso giuridico in grado garantire agli immigrati — che si sono visti rifiutare il permesso di soggiorno nonostante non abbiano commesso reati e nonostante da anni lavorassero in nero — un'emersione dall'illegalità.
A quel punto le consultazioni hanno coinvolto di volta in volta i legali di «Diritti per tutti» (l'associazione che sostiene la protesta), la prefettura, la polizia e ovviamente gli immigrati sulla gru. All'inizio l'asticella veniva continuamente alzata: prima è stata chiesta la liberazione di una serie di immigrati trattenuti nei Cie di Milano e Torino e destinati all'espulsione, poi l'estensione delle garanzie a tatti i 1.700 stranieri a cui a Brescia è stato negato il permesso di soggiorno.
Messe da parte queste condizioni —irricevibili per le istituzioni — i quattro hanno chiesto che ai piedi della gru ci fossero solo i loro avvocati. Così è stato e quando alle 20.47 dall'alto del traliccio è stato ripiegato lo striscione rimasto esposto per 17 giorni, tatti hanno capito che l'accordo era raggiunto: Arun e gli altri sono scesi facendo il segno della vittoria e accolti da grida di esultanza («Resistenza, resistenza!») da centinaia di persone in strada. Padre Mario Toffari, della Caritas bresciana e strenuo mediatore in queste due settimane commenta l'esito della vicenda: «È la dimostrazione che lassù c'è qualcuno: ho passato l'intera giornata col rosario in mano mentre gli islamici che erano con noi avevano deciso di digiunare».



Brescia, gli immigrati scendono dalla gru "Ora un tavolo sulle truffe per i permessi"

la Repubblica, 16-11-2010
PAOLO BERIZZI TIZIANA DE GIORGIO

BRESCIA — Dopo diciassette giorni e mille polemiche, dopo gli scontri, le cariche, le bottigliate, gli arresti e le espulsioni, dopo le trattative istituzionali avviate e regolarmente fallite, gli immigrati sono scesi dalla gru. Sotto la pioggia e tra gli applausi di un paio di centinaia di persone, poco prima delle 21 i quattro lavoratori — all'inizio della protesta erano sei, due erano già scesi—hanno percorso a ritroso le scale del braccio meccanico sul quale il 30 ottobre, dopo un corteo nel centro di Brescia, erano saliti per protestare contro il mancato rilascio del permesso di soggiorno e per chiedere una sanatoria «per tutti gli immigrati che lavorano».
La resa è arrivata alla fine dell'ennesima giornata di trattative e tentativi di mediazione: ufficialmente, gli immigrati si sarebbero convinti a cessare la loro occupazione dopo che Cgil, Cisl e diocesi bresciana avevano ottenuto dalla prefettura la disponibilità a discutere sulla base di un testo nel quale si chiede la creazione di un tavolo istituzionale sul tema delle truffe agli immigrati, e la possibilità di tenere un presidio fisso nel centro cittadino (ma il sindaco Adriano Paroli assicura che «in cambio non è stato promesso nulla»). È evidente, però, che dopo diciassette notti trascorse a 35 metri d'altezza, al freddo, a volte sotto l'acqua, la resistenza dei quattro immigrati era arrivata al capolinea. La voce che avrebbero mollato aveva ini-ziato a girare nel tardo pome-riggio: e così alle 20.45, in un piazzale Cesare Battisti blindato dalle forze dell'ordine, dalla gru con una carrucola hanno iniziato a calare i bagagli, una decina di sacchi con vestiti e coperte. Rimos¬so anche il vessillo simbolo della protesta, lo striscione giallo e rosso con la scritta «lotta dura senza paura — siamo tutti sulla gru». Èlo slogan che per più di due settimane hanno scandito i manifestanti dell'associazione "Diritti per tutti". Che da via San Faustino, poche decine di metri dalla gru, hanno sostenuto i quattro arroccati sulla gru. Una volta scesi a terra, i protagonisti di questo tira e molla—un egiziano, un marocchino, e due pachistani—sono stati accompagnati, assieme ai loro avvocati, in questura per l'identificazione. Ora dovranno rispondere di alcuni reati, dall'occupazione abusiva al lancio di oggetti pericolosi (contro pompieri e forze dell'ordine).
In questi giorni conosceranno il destino che li attende: il loro timore è che possano essere espulsi come già toccato ad altri 12 migranti fermati durante le proteste dei giorni scorsi intorno alla gru. «Vigileremo affinché certe truffe ai danni degli immigrati non si ripetano — dice Maurizio Zipponi, responsabile lavoro e welfare dell'Idv— consapevoli che la regolarizzazione e la cittadinanza debbano passare attraverso il lavoro».



Brescia ha perso 500mila euro
Clandestini giù dalla gru E ora paghino i danni

Libero, 16-11-2010
ANDREA MORIGI

Scendete che non vi facciamo niente. Sarà mantenuta la promessa fatta ai quattro immigrati clandestini saliti su una gru il 30 ottobre e scesi ieri sera, soltanto dopo aver dettato le condizioni. Lì per lì non si riesce nemmeno a trovare un reato (..)
Piove che diolamanda, qui a Brescia, sono le otto e mezza e se ne stanno tutti con la testa all'insù, a guardare quella piccola cabina della gru a trenta metri d'altezza.
Dentro, i quattro stranieri rimasti lì barricati per diciassette giorni gridano e salutano - e avevano cominciato in sei, due hanno poi mollato strada facendo. Hanno avuto le garanzie: niente espul-sione immediata né trasferimen¬to al centro d'identificazione, pe-raltro per tre di loro nemmeno sa-rebbe stato giuridicamente possi-bile, poiché le loro domande di regolarizzazione non sono ancora state esaminate. In ogni caso, vi-sto che sulla vicenda sarà aperto un fascicolo giudiziario, a tutti e quattro - anzi, a tutti e sei - sarà concesso di restare in Italia alme-no fino al termine del procedi-mento, si chiama "permanenza temporanea per motivi di giusti-zia" ed è previsto dalle norme.
E però giù ad aspettarli, oltre ad avvocati e forze dell'ordine, c'è il gruppone convocato da Radio Onda d'Urto, la voce degli auto-nomi bresciani: «Andiamo a pro-teggere i nostri compagni dalla violenza della polizia», questo l'appello lanciato via etere. Grida e applausi, slogan e fischi. Celeri¬ni in tenuta antisommossa. C'è il timore che si possano ripetere gli scontri di sabato scorso, giusto qualche ora prima il questore Montemagno aveva denunciato gli "incidenti preordinati", mostrando pietre e bastoni e bombe carta e filmati con gli esagitati a fronteggiare gli agenti.
Non sono nemmeno le nove, ecco che il primo comincia a scendere la ripida scaletta. È Sajad, il pakistano. Alza indice e medio in segno di vittoria, la piccola folla risponde applaudendo, «siamo tutti sulla gru».
Poi gli altri tre: Arun, Jimi e Rachid (un altro pakistano, un egiziano e un marocchino). Era co¬minciata - o perlomeno così sembrava - per denunciare le truffe di cui molti stranieri in cerca di regolarizzazione sono vittima. È finita che pare uno show.
E la giornata è stata convulsa, così si dice. In mattinata l'incontro dei quattro - a distanza, naturalmente - con gli avvocati, nominati soltanto la sera prima. Poi le trattative, con l'associazione Diritti per Tutti - in linea con Radio Onda d'Urto, anzi pressoché sovrapponibile, che da questa vicenda ha certo guadagnato notevole esposizione - l'associazione ad autonominarsi rappresentante dei quattro barricati - e c'è anche qualcuno che sussurra ci siano loro, dietro la clamorosa protesta. Le riunioni in Prefettura, presenti anche i sindacati e la Caritas. Gli stranieri pretendevano una sospensiva per tutti i 1.700 la cui domanda di regolarizzazione era stata respinta - a Brescia, per dire, le domande sono state complessivamente 11 mila e duecento, e questo la dice lunga sulla situazione. Comunque, risposta della
Prefetta Livia Narcisa Brassesco Pace: picche. Al limite solo, come detto, quanto previsto dalla legge, e solo per i sei. Gli avvocati sono tornati sotto la gru, han fatto capire che piti di così non era possibile. Altre discussioni, fino alla decisione: va bene, si scende. Fine della protesta.
E per la verità la sospensiva non è l'unica assicurazione ottenuta dagli "occupanti di gru". Oltre a ciò, sarà organizzato in Prefettura un "tavolo sull'immigrazione", nell'ambito del quale le associazioni potranno esprimere pareri e sollevare problemi. E poi un presidio gestito da Curia e sindacati.
Don Mario Toffari, dell'ufficio migranti della Diocesi, ha detto che «adesso Brescia dovrà riconciliarsi con i suoi immigrati, noi lavoriamo per loro e loro per noi. Adesso è il momento di cambiare il sistema d'ingressi». Non si sa se Brescia sia d'accordo con lui.
E poi ce ne sarà da capire ancora parecchio, su questa storia. Tipo: qualcuno ha spinto gli immigrati alla protesta, magari per poi cavalcarla politicamente? In questo senso, una mediatrice culturale ha dichiarato, dopo aver parlato con uno dei due che invece ha desistito, che «sono saliti dopo una riunione», e «credevano di restare lì sopra un'ora», e ancora «il ragazzo ha riferito di essere stato spedito lassù alcuni italiani». E poi: davvero i sei sono stati truffati da chi gli prometteva una regolarizzazione impossibile?
Domande non superflue. Per ora, Brescia festeggia la fine di un incubo. Nessuno s'è fatto male, e questo è già un successo.
(Ha collaborato Beatrice Raspa)



GLI IMMIGRATI SCENDONO DALLA GRU UN SUCCESSO DELLA SOCIETÀ CIVILE

Corriere della Sera, 16-11-2010
Massimo Mucchetti
È andata bene. Non c'è stato il  morto. Ma avrebbe potuto andare meglio. I quattro immigrati clandestini sono scesi dalla gru di Brescia. Dopo 18 giorni. Non saranno né arrestati né espulsi; si aprirà dal prefetto una trattativa politica sull'immigrazione in una terra dove, per il permesso di soggiorno, badante è la parola magica alla quale tanti disperati credono. Adesso, mentre sono sotto inchiesta 4 soggetti che avrebbero firmato per 200 permessi a badanti e colf, si verificheranno le singole storie.
A convincere i ribelli sono stati i segretari di Cisl e Cgil, Zaltieri e Galletti, due sacerdoti, padre Toffari e don Corazzina, con il pieno appoggio del vescovo Monari, e i rappresentanti delle comunità islamica e indiana. Anche un gruppo di docenti di Giurisprudenza ha fatto la sua parte. Insomma, un successo della società civile bresciana. Che ha agito con senso di responsabilità disinnescando gli usi politici della disperazione perseguiti, con obiettivi opposti, sia dall'Associazione diritti per tutti che dal Comune.
L'associazione, minoritaria tra gli immigrati, è legata ai movimenti, anch'essi minoritari, dell'ultrasinistra cittadina; fino all'ultimo ha cercato di fare del caso la scintilla di una contestazione più vasta, potenzialmente incendiaria. Il vertice del Comune è stato lontano dalla gru, pago delle proposte avanzate dal comitato per la sicurezza e l'ordine pub¬blico che la Prefettura aveva convocato il 2 novembre aprendolo per l'occasione a sindacati e Caritas. Proposte che sono state nella sostanza accettate ieri. Un maggiore impegno diretto avrebbe probabilmente accelerato la conclusione di una vicenda che, trascinandosi, ha comportato oneri materiali e morali: i feriti tra le forze dell'ordine, e poi il fermo del cantiere del metrò, i danni alle cose e l'inattività nei negozi del rione che costeranno circa mezzo milione di euro; ma ancor più costerà l'incrudelirsi del rapporto tra i bresciani e gli immigrati, il cui numero aumenta anche negli anni del centrodestra. Può essere che entrambe le posizioni estremistiche guadagnino consensi: comunque pochi nell'estrema sinistra; assai di più in zona Lega-Pdl. Ma a gioco lungo queste tensioni fanno male all'intera città.



DOPO GLI SCONTRI    
Brescia, immigrati scesi da gru chiedono una nuova sanatoria

Il Messaggero, 16-11-2010
BRESCIA - Dopo quindici giorni, si è conclusa ieri sera alle 20 la protesta dei quattro immigrati (inizialmente erano sei) che si erano arrampicati in cima ad una gru per chiedere una nuova sanatoria per il permesso di soggiorno. Il prefetto ha promesso l'avvio di un tavolo per vagliare le possibili vie d'uscita.
«Vogliamo i nostri avvocati, dove sono?». La richiesta lanciata da uno degli immigrati che si trovava sulla gru nel pomeriggio ha lasciato intuire che qualcosa stava per accadere. La tensione che nei giorni scorsi aveva portato a duri scontri tra manifestanti in solidarietà con gli immigrati e le forze dell'ordine, è risalita. Le forze dell'ordine si sono portate nei pressi delle transenne dove nel frattempo si erano accalcate diverse persone.
Dall'alto venivano calati dei sacchi che sembrano contenere coperte. Nel frattempo, i rappresentanti dell'associazio-
ne dei 'Diritti per tutti al telefono si adoperavan affinchè sotto la gru rimangano solo gli avvocati. Dopo qualche minuto i quattro immigrati sono scesi dalla gru. E sono stati fatti salire a bordo di auto con cui hanno raggiunto la Questura mentre la folla del presidio scandiva slogan come: «Resistenza, resistenza».
Intanto il Questore di Brescia, Vincenzo Montemagno, commentando gli scontri dei giorni ha affermato che si trattava di incidenti preordinati, con lo scopo di «alzare il livello della tensione» e che «Brescia non si merita». In mattinata CgiI, Cisl e Uil avevano disertato la cerimonia per i 15 anni della Prefettura e della Questura di Lecco, a cui ha presenziato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in «segno di protesta verso il Governo, il Ministro dell'Interno e il Capo della Polizia per le scelte operate sulla Sanatoria dei lavoratori immigrati irregolari».



Stremati da pioggia e fame Gli immigrati giù dalla gru

La Stampa, 16-11-2010
Brescia, 16 giorni di protesta per il permesso di soggiorno
BEATRICE RASPA
BRESCIA - Sono scesi. Una pioggia torrenziale ha accompagnato la fine di una protesta che Brescia non potrà dimenticare facilmente. Jimi, Sajad, Rachid e Arun, i quattro immigrati provenienti dal Pakistan, dal Marocco e dall'Egitto dopo 16 giorni hanno ripercorso a ritroso gli scalini ripidi di una scala a chiocciola che quel sabato pomeriggio, era il 30 ottobre, avevano scalato velocemente per arrampicarsi sulla gru del cantiere metrobus di via San Faustino. Una fuga durante una manifestazione concitata promossa in città per protestare contro la mancata regolarizzazione per colpa della «sanatoria truffa», loro che come migliaia di altri clandestini hanno pagato 500 euro, oltre a un anno di contributi, e a volte pure un «pizzo» di 3-4mila euro ai datori di lavoro per ambire a una vita alla luce del sole. Da allora la cabina a 35 metri d'altezza che domina il multietnico e centrale quartiere Carmine era diventata l'epicentro delle rivendicazioni di quanti non ne possono più di vivere da fantasmi, «truffati dallo Stato e dagli imprenditori».
Ma la gru è diventata anche la spina nel fianco della città, in cui giorno dopo giorno era lievitata una esasperazione crescente: «Stiamo perdendo i bresciani, i miei parrocchiani sono ormai insofferenti» ha ripetuto don Mario Toffari, Ufficio Migranti della Diocesi, fervente mediatore. Dopo giorni di trattativa in chiaroscuro – solo Singh, indiano di 26 anni, e Papa, senegalese di 21, avevano abbandonato la protesta prima – la situazione è giunta a una svolta grazie a un ultimo tentativo di mediazione a opera di Don Mario, in rappresentanza della Chiesa, Cgil e Cisl.
Domenica sera padre Toffari, con i segretari provinciali dei sindacati, Damiano Galletti e Renato Zaltieri, si sono dati appuntamento ai piedi della gru sulla quale hanno spedito una lettera. «La vostra protesta ha messo in luce la drammaticità di una situazione di cui non si può non tener conto», recita lo scritto fatto salire con le carrucole. Sul piatto, le proposte che già il 2 novembre erano uscite dalle ripetute riunioni in prefettura (ma allora furono rifiutate) ovvero la garanzia di un tavolo sull'immigrazione e di un presidio gestito da sindacati e Curia. In più, assistenza legale con avvocati di fiducia e assicurazione di un trattamento umanitario. «Ragazzi – aveva scandito al megafono da 300 metri di distanza Umberto Gobbi, il leader dell'associazione Diritti per tutti che ha supportato la protesta – in queste offerte non vi sono garanzie per il vostro futuro, ma se scenderete sappiate che sarete ugualmente nel nostro cuore». Ieri la giornata è stata lunga, tra riunioni in prefettura estese al collegio legale degli occupanti (cui è stata garantita la permanenza temporanea in Italia per motivi di giustizia) e un parlamentare degli stessi con gli assistiti in quota mediante walkie talkie e frasi urlate al cielo. Ancora braccio di ferro: «Scendiamo se garantite la sospensiva del rigetto anche ai 1700 che avevano fatto domanda e ora si trovano nella nostra condizione».
In realtà, si scoprirà, le posizioni giuridiche di 4 stranieri su sei sono ancora in itinere. Il rilancio prevedeva dunque una moratoria generalizzata, cui il prefetto Livia Brassesco Pace ha detto no. Infine, calate coperte e vestiti a terra, eccoli. Uno dopo l'altro, lenti, salutando la piccola folla, si sono guadagnati la strada, come eroi della disperazione. Tra gli applausi. Arun, dall'auto con cui è stato condotto in Questura con gli altri, faceva il segno V di vittoria. «Qualcuno sta esasperando la situazione – ha evidenziato il questore Montemagno -. Il lancio di bottiglie, sassi e bombe carta contro le forze dell'ordine è stato preordinato».



Finita la protesta della gru, emergono i raggiri
«Duecento stranieri assunti come badanti da 4 imprenditori»
Sanatoria-truffa, la denuncia dei sindacati
Corriere della Sera, 16-11-2010
Giuseppe Spatola
BRESCIA - «Gli immigrati sulla gru hanno sbagliato nella forma, ma non nei contenuti della protesta. Ci sono bresciani che sulla pelle di queste persone hanno speculato, si sono arricchiti e adesso dovranno essere perseguiti». Nel giorno in cui gli «eroi dei senza carta» hanno abbandonato la gru occupata per 17 giorni, accettando la mediazione proposta dalla diocesi, dalla Cgil e dalla Cisl, l'Italia dei Valori ha reso noto il contenuto di una denuncia presentata dai sindacati bresciani a carico di quattro imprenditori che «avrebbero truffato gli immigrati pretendendo denaro in cambio di falsi contratti di lavoro come colf e badanti».
A parlare è il responsabile nazionale della sezione lavoro dell'Idv, Maurizio Zipponi: «I lavoratori immigrati di Brescia - ha spiegato - sono stati truffati da speculatori italiani che li hanno fatti lavorare in nero e, in alcuni casi, hanno preteso fino a 5 mila euro per presentare la domanda di sanatoria, sapendo bene che era prevista solo per le colf e le badanti. La drammatica vicenda di Brescia, dove ormai il 30 per cento della manodopera edilizia, nell'agricoltura e nelle acciaierie è composta da extracomunitari, indica esattamente quanto sia necessario modificare la legge, ristabilendo regole precise».
Non solo. Zipponi rincara la dose: «Abbiamo i nomi di quattro bresciani che hanno fatto sottoscritto il modulo della di sanatoria per 200 clandestini. Per ciascuno degli immigrati gli imprenditori hanno incassato, rigorosamente in nero, almeno 5 mila euro».
La denuncia della Ggil, partita grazie alla collaborazione di alcuni immigrati «pentiti», è stata presentata due giorni fa alla magistratura e ai carabinieri.
«Se vogliamo che gli immigrati rispettino le regole - ha chiosato Damiano Galletti, segretario della Cgil di Brescia - dobbiamo essere altrettanto determinati nel perseguire anche i nostri connazionali "delinquenti"». Anche Renato Zaltieri, segretario Cisl, punta il dito sui «faccendieri dei permessi». «Che vi siano zone d'ombra pericolose è sotto gli occhi di tutti - sottolinea -. Senza dubbio c'è chi ha speculato sulla pelle degli immigrati. Ma attenzione, tra gli imprenditori che chiedevano soldi per la regolarizzazione non ci sono solo quei 4 bresciani scoperti dai sindacati. Spesso erano i «padroncini» stranieri a pretendere soldi per firmare i documenti. Si tratta di piccoli impresari edili, gli stessi che sfruttano il lavoro in nero degli extracomunitari. Chi è stato truffato deve venire allo scoperto e un permesso di soggiorno, almeno per ragioni legali, lo otterrà realmente...».



Giù dalla gru E adesso?

Tg3, 16-11-2010
Hanno toccato terra i quattro immigrati da 17 giorni arrampicati su una gru per chiedere una sanatoria al permesso di soggiorno
Applausi alla discesa dei 4 immigrati che per 17 giorni hanno protestato su una gru per chiedere una sanatoria al loro soggiorno in Italia. Ieri sera, sotto una pioggia fortissima, hanno deciso di concludere la loro durissima protesta. Per oltre due settimane hanno dormito sotto un telo che solo parzialmente li ha protetti dall’acqua e dal freddo. Per la maggior parte del tempo sono rimasti in sei, poi nei giorni scorsi hanno lasciato il braccio meccanico Singh e Papa, un indiano e un senegalese.
Ma gli immigrati non sono stati da soli. A sostenerli molte persone che hanno portato solidarietà agli uomini sulla gru: docenti universitari che hanno tenuto, a titolo personale, lezioni per strada, concerti improvvisati, balli, dirette televisive, ma anche scontri e cariche. Domenica sera agli immigrati era stata fatta pervenire la proposta elaborata da Diocesi di Brescia, Cisl e Cgil: assistenza legale, trattamento umanitario e un tavolo istituzionale.
Ma adesso cosa ne sarà di loro e delle loro rivendicazioni? Dopo la discesa a terra di Jimi, Aroun, Sajad e Rachid si stanno delineando le loro posizioni. A quanto si è appreso, soltanto uno di loro, Rachid, la cui pratica è al vaglio delle autorità, potrebbe ottenere il permesso di soggiorno. Sajad, il pachistano, con precedenti ostativi alle spalle, rischia l'espulsione. Per gli altri due, invece, la domanda è ancora in itinere ma in base alle prime informazioni difficilmente avrà esito positivo.
E pensare che rivendicavano solo il diritto ad una vita più dignitosa e ad una "giustizia giusta". Purtroppo, si sa, anche gli immigrati non sono tutti uguali. Ad esempio nei giorni scorsi c’è stato qualcuno che come “regalo” per i 18 anni appena compiuti ha ricevuto un permesso che per molti resterà sempre solo un sogno. Indovinate di chi stiamo parlando?



IMMIGRATI: UNA ALLEANZA PER I DIRITTI

IL CASO BRESCIA E LE NORME SBAGLIATE
l'Unità, 16-11-2010
Livia Turco PRESIDENTE FORUM IMMIGRAZIONE DEL PD

L'incolumità dei ragazzi che da 15 giorni sono su una gru a Brescia, è il bene che deve guidare le istituzioni coinvolte in questa vicenda. Per questo, ancora una volta, ci rivolgiamo al prefetto e al questore affinché convincano i ragazzi a scendere. Condanniamo senza esitazione ogni forma di violenza e ci auguriamo che coloro che vogliono bene a quei ragazzi sappiano scegliere le giuste modalità di azione. Non bisogna però eludere il problema, che è quello indicato in modo brutale dal ministro Maroni traendo la conclusione che nulla si può fare e che quei ragazzi devono solo rispettare la legge che non prevede la loro regolarizzazione. Le leggi vanno sempre rispettate. Ma questo non significa chiudere gli occhi quando esse si dimostrano inefficaci o addirittura provocano problemi. È il caso della norma sulla regolarizzazione di colf e badanti e non dei lavoratori dell'edilizia, dell'agricoltura e del manifatturiero dove, per colpa della Bossi-Fini e per la chiusura delle quote di ingressi regolari, si è sedimentato molto lavoro nero. Bisogna cambiare subito la norma sulle regolarizzazioni ed estenderla anche a questi settori lavorativi come prevede una nostra proposta di legge. Brescia è solo la spia di un disagio profondo che colpisce i lavoratori e le imprese. Per questo bisogna agire subito. Bisogna utilizzare l'art. 18 della legge sull'immigrazione voluto dal centrosinistra che prevede un permesso di soggiorno umanitario per chi denuncia i propri sfruttatori. Il governo deve prendere atto che le sue norme sull'ingresso per lavoro sono profondamente inefficaci. Ci riferiamo ai 6 mesi di tempo concessi a chi perde il lavoro per trovarne un altro, pena l'espulsione (Bossi-Fini), alla farraginosità per trovare un lavoro attraverso la chiamata nominativa (Bossi-Fini), il blocco dell'ingresso regolare dal 2009 sulla base della parola d'ordine 'prima gli italiani' usando così la crisi economica per giocare una partita ideologica sulla pelle dei deboli che penalizza anche le imprese. È noto che gli immigrati sono il grande serbatoio dei lavori più dequalificati e meno pagati che gli italiani non vogliono fare, neanche in tempi di crisi. Regolarizzazione mirata ai settori produttivi con alto tasso di lavoro nero, estensione anche agli immigrati degli ammortizzatori sociali, lotta allo sfruttamento, estensione del tempo per la ricerca di un nuovo lavoro, riapertura dell'ingresso regolare per lavoro: sono questi i punti di una piattaforma per la dignità e la legalità del lavoro, per costruire una alleanza tra immigrati e italiani. Una alleanza per costruire una Italia migliore.?



Infibulazione, Clio Napolitano firma appello all'Onu per l'abolizione

Il Messaggero, 16-11-2010
ROMA - La signora Clio Napolitano, moglie del presidente della Repubblica, ha firmato, insieme ad altre quattro first lady, ministri e premi Nobel di 42 Paesi, un appello per chiedere all'Assemblea generale dell'Onu di adottare una risoluzione per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili nel mondo. L'appello, pubblicato ieri sull'International Herald Tribune, chiede inoltre ai governi e alle organizzazioni internazionali di promuovere l'adozione della risoluzione, e invita i cittadini di tutto il mondo di sostenere l'iniziativa con una firma sul sito www.banfgm.org. Tra i firmatari, ci sono tra gli altri i premi Nobel Desmond Tutu, Nadine Gordimer, Shirin Ebadi, Martii Ahttisaari e Rita Levi Montalcini. Tra gli italiani, hanno aderito anche la vicepresidente del Senato, Emma Bonino, il leader radicale Marco Pannella e l'ex premier Giuliano Amato.



Clio Napolitano firma contro l'infibulazione

Avvenire, 16-11-2010
La signora Clio Napolitano ha firmato l'appello per una risoluzione delle Nazioni Unite entro il 2010 che metta al bando in lutto il mondo le mutilazioni genitali femminili. L'appello è stato pubblicato dall'Herald Tribune" con le firme di altre quattro first lady Chantal De Souza Yayi. del Benin: Mariana Mane Sanha. della Guinea Bissau:Janet Kataha Museveni. dell'Uganda: Chantal Compaorè, del Burkina Faso.



Libia, eritrei ancora all'inferno: «Abbiamo paura, l'Italia ci aiuti»

l'Unità, 16-11-2010
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
Braccati. In clandestinità. Si appellano all'Italia. «Salvateci». L'Unità riapre il caso degli oltre duecento eritrei che erano stati segregati questa estate nei lager libici. Oggi tornano a reclamare giustizia...
ROMA -Braccati. In clandestinità. Non possono tornare indietro. Se cercano la fuga verso l'Egitto rischiano di morire nel deserto o essere sparati dalle guardie di frontiera egiziane. Dimenticati. Senza speranza né diritti. Sono ancora lì. Vivono alla giornata cercando di non farsi beccare dalla polizia. Invocano l'intervento dell'Italia. Inutilmente. Sono gli oltre duecento eritrei che nell'estate scorsa erano stati segregati per giorni nei lager libici e poi rimessi in «libertà» dopo una campagna di stampa internazionale che aveva costretto le autorità libiche ad allentare la presa. In quei giorni drammatici, l'Unità documentò le violenze e gli abusi che gi oltre duecento eritrei subirono nel carcere di Misratah e nel centro di detenzione di Brak vicino Seba, nel sud della Libia. Sono passati più di tre mesi da quei giorni e sulla vicenda degli ex segregati di Brak è calato il silenzio. Un silenzio pesante. Un silenzio complice. Un silenzio che l'Unità ha inteso spezzare, con la collaborazione di un sacerdote coraggioso: Don Mussie Zerai, eritreo, responsabile dell'ong Habesha, un'associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani.
BRACCATI
«Li ho sentiti per telefono ieri - racconta il sacerdote missionario -. Erano disperati. Si sentono abbandonati al loro destino. La loro richiesta all'Italia è sempre la stessa: attivare un piano di reinsediamento». Vivono di espedienti. A far loro compagnia è la paura. Paura di essere fermati in una delle retate organizzate dalle forze di polizia libiche. Il permesso rilasciato loro dalle autorità libiche è scaduto da diversi giorni. «Per ottenere un nuovo permesso - spiega a l'Unità Don Zerai -devono presentare documenti che vengono rilasciati dall'Ambasciata eritrea, il Paese dal quale sono fuggiti».
CLANDESTINI A FORZA
«Ognuno di loro - rimarca Don Zerai - ha i requisiti per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati, ma non hanno avuto la possibilità di far valere le loro ragioni». Pochi giorni fa, il 9 novembre, la Camera dei deputati ha votato un emendamento al Trattato Italia-Libia presentato dal Radicale Pd Matteo Mecacci che chiedeva all'esecutivo di «sollecitare con forza le autorità di Tripoli affinché ratifichino la Convenzioni Onu sui rifugiati e riaprano l'ufficio dell'Unhcr a Tripoli (chiuso lo scorso 8 giugno, ndr) quale premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia». Quel voto vincola il Governo all'azione. La realtà è ben altra. Quei disperati, racconta Don Zerai, non possono avvicinarsi all'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati di Tripoli perché rischierebbero di essere fermati dai militari che stazionano fuori dell'ufficio. Essere fermati comporterebbe l'arreso immediato e finire in un carcere con criminali comuni. Per il Governo italiano la «pratica» resta chiusa. Alla faccia del pronunciamento parlamentare. Quei duecento rischiano di fare la stessa fine di di sedici ragazzi e cinque ragazze di nazionalità eritrea, tutti profughi, prelevati dalle autorità libiche dalle loro abitazioni nella città di Bengasi, nella notte dello scorso tre settembre: «I ragazzi - ricorda Don Zerai - mi raccontarono di essere stati messi assieme a persone che hanno commesso reati quali omicidi, stupri, spaccio di droga...Trattati alla stregua di criminali comuni». Questo avveniva nel centro di detenzione di Algedya, mentre le cinque ragazze erano state condotte nel carcere di Kuifia, nei pressi di Bengasi. Anche della loro sorte non se ne sa più niente. «La soluzione per noi - insiste il responsabile di Habesha - continua a rimanere quella di avviare un programma di reinsediamento. Per tutti i rifugiati e i richiedenti asilo che sono in Libia, l'unica soluzione vera è di essere reinsediati in un Paese che garantisce i loro diritti. È quello che continuano a chiedere: vogliamo essere accolti in un Paese democratico che rispetta i nostri diritti di richiedenti asilo e di rifugiati».
Quello del Governo italiano è un silenzio vergognoso. Tanto più alla luce degli impegni chiesti dal Parlamento. Un silenzio imbarazzato e ingiustificabile, reso ancor più grave dopo la raffica di no «sparata» dalla Libia nei giorni scorsi in sede Onu. Tripoli ha rifiutato di adottare una legislazione sull'asilo a tutela degli immigrati, di ratificare la Convenzione Onu sui rifugiati e continua a respingere un'intesa sulla presenza dell'Unhcr nel Paese. «Lo schiaffo della Libia all'Onu rende sempre più grande il problema politico e l'imbarazzo del governo Berlusconi per i suoi rapporti acritici con il Paese di Gheddafi», osserva Sandro Gozi, capogruppo Pd nella commissione Politiche Ue di Montecitorio. L'eco di quel voto è giunto ai duecento «desaparecidos» eritrei, alimentando una speranza. Che non va uccisa.
Il Trattato con Tripoli
L'emendamento passato alla Camera vincola il governo



Esìstono anche rumeni felici

il manifesto, 16-11-2010
Oana Parvan

Immaginiamo che tu viva in un paese non molto dissimile dall'Italia. La corruzione si annusa nell'aria, le grandi opere costano il triplo e non vengono mai concluse e i vincitori degli appalti pubblici si decidono con una telefonata. La stampa viene dichiarata «pericolo per la sicurezza nazionale» e l'opposizione -quando non è complice - è paziente e aspetta, sperando che la ruota (elettorale) giri a suo favore. C'è ovviamente la crisi e la tua vita è bombardata dal senso di apocalissi imminente. Tanto da non farti reagire a quelle misure, del resto indispensabili, per «fronteggiare-la-crisi». Che problema ci sarà mai se si alza l'Iva dal 19% al 24%. O se si abbassano i salari dei funzio- nari pubblici di un quarto, tagliando loro anche la possibilità di venir pagati per gli straordinari. Con il 15% in meno di pensione, mica si muore, no.
Il presidente della repubblica, poi, una soluzione l'ha suggerita: trovarsi un secondo lavoro. Valida per tutti quei fannulloni che a malapena si meriterebbero il salario minimo di 150 euro e, perché no, anche per quei pensionati che prendono 80 euro al mese. Ma soprattutto per quei professori lamentosi, a cui la maggioranza promise un aumento del 50% del salario emettendo un'apposita legge (la 221), per poi sorprenderli con un'ondata di tagli e licenziamenti. Già che c'era, il governo ha pure seguito il trend europeo e ha innalzato l'età di pensionamento a quota 60-64 anni e tagliato qualche fascia sulla pensione per invalidità e qualche aiuto sociale qua e là. Il tutto indebitando il paese a tal punto da svendere il futuro delle prossime (chissà quante) generazioni a un'organizzazione, che, per i rumeni, inizia a significare F.ame M.iseria  I.solamento. Come beffa finale, il Parlamento da te eletto vota una legge che abbassa l'Iva al 5%, almeno per i generi alimentari, e che non chiede imposte ulteriori ai pensionati più-poveri. Ma la maggioranza capisce subito di aver fatto una gaffe e, dopo essere stata derisa dallo stesso The Economist, si rimangia tutto.
Quindi, se il tuo misero salario non basta a coprire mutui, prestiti, bollette lievitanti e pure qualcosa da mangiare, non sei certamente solo, e le strade che ti si aprono sono infinite.
A Lasciare il paese per andare all'estero, come hanno fatto almeno tre milioni di rumeni. Ed è una tendenza che va decisamente di moda. Non fanno più notizia contadini, badanti, prostitute, operai edili, ma neanche i rom, gli studenti e i più recenti casi di migliaia di medici che scappano dalla nave che sta affondando. L'immigrazione apre sempre nuovi orizzonti. In Gran Bretagna, per esempio, sono stati scoperti gruppi di bambini rumeni, alcuni di 9 anni, che venivano schiavizzati, forzati a lavorare a una temperatura di zero gradi centigradi, senza acqua né cibo, sulle piantagioni di cipollotti.
Ma se sei troppo anziano per emigrare, puoi provare a:
B. Protestare, come i professori, i militari, i poliziotti, le guardie penitenziarie e molti altri che fanno fatica a immaginarsi in altri paesi e allora resistono e protestano. Come non hanno mai fatto prima. Il 27 ottobre, nonostante la pioggia, è stata organizzata la più partecipata manifestazione dai tempi del comunismo e della rivoluzione dell'89, con 30 mila lavoratori scesi in piazza a chiedere al Parlamento di abbattere il governo, votando una mozione dì sfiducia chiamata B.U.A., dalle iniziali dei protagonisti della maggioranza (Basescu, Boc, Udrea, Anastase).
E se le vie parlamentari lasciano desiderare, tanto che la mozione è caduta, insieme alle speranze di un intero popolo impoverito, puoi sempre:
C. Fare lo. sciopero della fame, come quella che è diventata l'icona delle proteste di quest'autunno, la maestra Cristina Anghel (51 anni), che, sentitasi umiliata dal proprio governo, ha smesso di mangiare, aspettando che venga applicata la legge 221 sui salari dei professori. Dopo 70 giorni di battaglia inutile ma commovente, la signora Anghel ha capito che credeva in Dio e non voleva suicidarsi. Tanto non sarebbe servito. Ma non tutti la pensano come lei.
Quindi, una soluzione può essere anche:
D. Suicidarsi, scelta che fanno soprattutto i pensionati che non riescono a pagarsi le medicine per sopravvivere, oltre ai capi famiglia perseguitati dalle agenzie di recupero crediti.
Una soluzione che scelgono spesso anche i bambini e gli adolescenti, abbandonati dai propri genitori emigrati.
Se la violenza non fa per te, puoi scegliere di :
E. Resistere e sperare, come le decine di migliaia di fedeli in attesa di un miracolo, che si sono accalcati a toccare le salme dei santi e i frammenti della Santa Croce, questi giorni alla Mitropolia di Bucarest. A te la scelta!
A questo punto penserai che questo paese in cui hai immaginato di vivere sia davvero un inferno. Non sarebbe giusto darti questa impressione. Come recitava una trasmissione televisiva di successo, «esistono anche rumeni felici». Un caso per tutti, Silviu Raileanu, disoccupato 53enne che, in seguito ad un concorso, vince una pagnotta di pane al giorno, per tutta la vita. Il signor Raileanu, senza più preoccupazioni per il futuro, osserva serenamente: «Il circo è in televisione, il pane già ce l'ho».
* Studentessa di psicologia a Bologna, ha trascorso gli ultimi mesi in Romania dove vive la sua famiglia. Al ritorno ci ha inviato questo articolo che racconta, con un filo di ironia, un paese devastato dalla crisi, succube delle politiche di tagli europee e con una classe politica screditata. Ricorda qualcosa?



E' UN DESTINO IRREVERSIBILE MA LA SCUOLA PUO' EVITARE LA NASCITA DI NUOVI GHETTI

la Repubblica, 16-11-2010
Renzo Guolo
Le parole parlano. I nomi ancora di più. Non stupisce che in alcune città europee nomi come Mohammed, Fatima, Khalid, siano sempre più diffusi. Nell'attuale  fase accelerata della globalizzazione i flussi, in questo caso quelli migratori, investono i luoghi, anche quelli sociali, e li modificano senza posa. Così le città del Vecchio Continente, un tempo alla corda demografica, mostrano nuovi volti e nuovi nomi. Un processo, e un destino, irreversibile: nonostante gli slogan degli xenofobi di turno. Una trasformazione che dev'essere affrontata razionalmente, senza ingenua fiducia che le culture possano giustapporsi senza alcun problema: non è così, hanno un nocciolo duro che si modifica nel tempo; o che, di per sé, siano assolutamente immutabili. Come se la continua interazione tra loro, in uno spazio socale in cui plurali sono simboli, segni, religioni, usanze, tradizioni, lingue, non potesse mai intaccarne l'essenza. Non è così nemmeno in questo caso, ma confidare nei tempi lunghi della sola trasformazione sociale sarebbe comunque un errore.
In questa particolare fase storica, le politiche pubbliche di sostegno all'integrazione culturale giocano un ruolo chiave per evitare che «quelli con un nome diverso» si chiudano, o siano chiusi, in ghetti identitari. E diventino, per ragioni diverse, attori del conflitto. Non solo a causa della radicalizzazione politica e religiosa ma per frustrazione da speranze emancipative. Con esiti non meno problematici.
La questione dei curriculum, e del nome che vi compare, è una spia del malessere che si avverte soprattutto a livello di seconde generazioni, in Francia come in Italia o Olanda. Chiamarsi Mohammed significa avere poche possibilità di trovare lavoro. Il nome è ancora un marcatore etnico e viene fatto pesare. Anche perché spesso indica una biografia che si avvita, inesorabilmente, su sé stessa. Se Mohammed vive in Francia e abita in una Zus, zona urbana sensibile, a Saint- Denis o a Clichè-sous Bois, quel curriculum verrà rimesso nel cassetto senza troppi problemi, magari dal Jacques di turno. Quel nome e quel luogo, rinvieranno alle banlieues, agli incendi che nelle notti della rivolta delle periferie bruciano le scuole destinate a veicolare il modello assimilazionista; scuole, loro malgrado, trasformatesi in fabbriche della disoccupazione e simboli della mancata promessa di cittadinanza effettiva. Bagliori che danno scacco all'idea che basti la cittadinanza basata sul contratto per diventare come gli altri. E,invece,in questo caso, oltre all'ipoteca della segregazione urbana, quel che pesa è la mancanza di sostegno ai diritti di cittadinanza sociale, senza la quale l'eguaglianza resta meramente formale. Il problema, dunque, non sono i nomi. Solo i nostalgici del ritorno a un impossibile comunità dei puri, etnicamente mondata da ogni «contaminazione», possono pensarlo. Il problema è come evitare che quei nomi, e quelle identità, non si mescolino solo tra loro. Creando comunità parallele destinate a non incontrarsi mai. Esito reso possibile da fenomeni apparentemente opposti: enfasi sulle dinamiche identitarie e stigmatizzazioni xenofobe. Solo se quei nomi si mescoleranno a altri, assai diversi, sarà possibile aumentare la coesione sociale e fissare un terreno di intese e regole comuni. In caso contrario, vi sarà solo la frantumazione societaria in enclave etniche. E nicchie di autoctoni chiusi nei loro castelli d'avorio. Una prospettiva quella dell'interazione tra culture, che richiede, in ogni caso, uno sforzo particolare alla scuola, il luogo che, almeno in Italia, se dotato di risorse umane e materiali che servono, può offrire la straordinaria opportunità di fare dei nomi, appunto, solo dei nomi: e non identità da contrapporre minacciosamente l'una all'altra.





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