Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Uomini e caporali
Luigi Manconi
Il libro di Alessandro Leogrande, Uomini e Caporali Mondadori 2008, di cui pubblichiamo un capitolo, è assai importante. Innanzitutto perché ora nessuno potrà dire: non sapevamo. Dopo questo libro e dopo altri, rari, libri simili, siamo messi in grado di sapere incontrovertibilmente che l’Italia è anche un paese orribile. Si consideri l’intera frase: è anche un paese orribile.
Lo dico perché, evidentemente, l’Italia è anche molte altre cose: cose grandi e nobili, significativi sentimenti collettivi e passioni capaci di mobilitare, importanti imprese di singoli e di gruppi, innovazione e  trasformazione. E una discreta coesione sociale, nonostante tutto. Ma l’Italia, è per ceti versi un paese orribile. Leogrande documenta una tessera di questo orrore, tanto più inquietante perché calata in una trama di vita quotidiana che ha consentito all’orrore di rimanere occultato per lungo tempo: e tutt’ora di riprodursi nelle pieghe cieche o in penombra del sistema economico-sociale. Eppure in quella tessera della società e della geografia nazionale, in quel pezzo di territorio della Puglia, si consumava qualcosa di assai simile a una strage: riduzione in schiavitù, privazione della libertà, sfruttamento intensivo, sparizione nel nulla, eliminazione fisica. La chiave di lettura di questa vicenda è semplice e non nuova, ma ogni volta colpisce per la sua brutale esemplarità. In altri termini nel pieno della modernità, laddove essa assume i suoi aspetti estremi (post-moderni, appunto), là si manifesta il primitivo. Là il pre-moderno fa sentire la sua morsa, la sua capacità di sopravvivere e di convivere con la contemporaneità; là la contemporaneità, il mondo globalizzato e il mercato unico non riescono a emanciparsi dai tratti più efferati del passato remoto. Insomma, dove il mercato fa percepire con maggiore forza la sua capacità di unificazione e di egemonia (anche culturale), quella dimensione non sembra poter rinunciare al suo tratto antico e costitutivo: la violenza assoluta. La violenza allo stato puro. Quell’esercizio della forza come sopraffazione incondizionata che si esprime nel dominio totale dell’uomo sull’uomo. E nell’uomo dominato che viene ridotto a  merce. Oggi, anno di grazia 2009, nel Tavolire delle Puglie.
Infine, va considerata (e ascoltata) la scrittura di Alessandro Leogrande perché è una combinazione riuscita, assai bene riuscita, di tre generi letterari. Quello giornalistico, che si manifesta qui come capacità di documentazione e di descrizione, una notevole efficacia di zoommata e di primo piano, di soggettivizzazione del narrante e del narrato; quella del “raccontatore sociale”, che trasmette emozione e che sollecita la fantasia, allude e sott’intende, sorprende e affabula; quella del sociologo che cerca di rintracciare i nessi e di individuare le ragioni vicine e lontane dei fenomeni, che tenta (sapendo che non è arroganza, ma è fatica) di ricavare dal microcosmo un’idea del mondo. Combinare questi tre generi letterari è molto difficile. Di solito, in quelli che tentano una simile impresa, uno dei generi finisce col prevalere sugli altri, e gli altri, i soccombenti, a dare il peggio di sé. Qui non è così. Leogrande riesce, magari non sempre (ma assai spesso), a utilizzare una scrittura fusion, che nel momento in cui emoziona non rinuncia a fornire un dato utile e a cercare di collegarlo ad altri dati utili per provare a definire un quadro generale. Ce ne fossero.


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