Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 luglio 2014

«Una fossa comune. Sembra Auschwitz»
Avvenire, 02-07-14
Alessandra Turrisi
Una fossa comune galleggiante. Fa questa impressione quel barcone di venti metri azzurro, senza copertura, trainato fino al porto di Pozzallo. A bordo 45 morti, migranti rimasti schiacciati da altri passeggeri e probabilmente asfissiati dal monossido di carbonio emesso dalle macchine.
La botola per accedere al vano ghiacciaia, dove si conserva il pesce durante la navigazione, è troppo stretta; i corpi si trovano lì dentro. I vigili del fuoco cercano di allargarla per consentire agli inquirenti di compiere una pietosa ispezione nei locali della morte. «Accatastati l’uno sull’altro, come all’interno di una fossa comune, che ricorda Auschwitz» dice con un nodo alla gola il capo della squadra mobile della questura di Ragusa, Antonino Ciavola. La prima salma viene recuperata con difficoltà nel tardo pomeriggio, dopo ore di lavoro: è il corpo di un giovane apparentemente proveniente dall’Africa sub sahariana. «È un’esperienza drammatica, la stiamo vivendo tutti quanti, e per chi sta operando è anche molto pesante» afferma il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia dopo aver eseguito un sopralluogo sul peschereccio. «Ci potrebbero essere dei minorenni, dei ragazzini, ma non dei bambini – riferisce uno dei due medici legali –. Erano tutti sovrapposti perché lo spazio era troppo piccolo per il numero di persone».
Intanto sul molo si prega. Le bare di legno sono pronte per accogliere i morti. «Ci vuole più cuore, altrimenti le parole girano a vuoto e non servono a niente. Dobbiamo pregare per i nostri fratelli e le nostre sorelle, ma soprattutto aprirci a loro» dice don Michele, parroco di Santa Maria Portosalvo e San Paolo, in rappresentanza del vescovo di Noto, Antonino Staglianò. «È un colpo al cuore degli esseri umani, una tragedia per tutti al di là di religioni e appartenenze» aggiunge l’imam di Scicli, Ziri. «Ho la morte nel cuore, e anche come se avessi ricevuto un pugno allo stomaco» è l’emozione del sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, che ammette: «Sono orgoglioso di essere sindaco di questa città accogliente». E ieri la procura di Ragusa ha anche identificato i due probabili scafisti del peschereccio della morte. Intanto circa 350 persone ospitate nei centri del Ragusano sono state trasferite a bordo di voli charter, in modo da fare spazio per i 566 stranieri sbarcati dalla nave Grecale.
Perché ieri è stata anche la giornata di migliaia di arrivi sui moli italiani. Sono 1.044 i migranti giunti nel porto di Salerno, in attesa di raggiungere i centri di accoglienza predisposti in Campania, Umbria, Lazio, Molise e Calabria, per alleviare il sovraffollamento dei centri siciliani. Tra i passeggeri della nave della Marina Etna oltre 400 donne, alcune delle quali in gravidanza, e tanti bambini, 38 non accompagnati, per i quali la Prefettura ha disposto l’affidamento al Comune di Salerno che già oggi provvederà attraverso i servizi sociali a sistemarli in alcune case famiglia. I primi a scendere sono stati 84 profughi affetti da scabbia. Sono stati tutti trasferiti in una struttura alberghiera di Sicignano dell’Alburni. Tra i migranti sono stati individuati anche 80 marocchini per i quali scatterà il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale.
Altri 235 migranti sono sbarcati a Palermo e provengono da Eritrea, Pakistan, Bangladesh, Gambia e Sudan. Al molo palermitano si sono attivati i sanitari dell’Asp 6, i volontari della Croce Rossa e gli operatori dell’ufficio Attività sociali del Comune. A prendere in carico tutti i profughi è stata ancora una volta la Caritas di Palermo. I migranti, infatti, sono stati distribuiti per lo più nelle strutture che hanno già accolto oltre 500 persone giunte in città con lo sbarco di due settimane fa. I volontari e gli operatori guidati dal direttore della Caritas don Sergio Mattaliano hanno lanciato anche un appello per reperire sia beni di prima necessità come indumenti, scarpe e cibo, ma anche sostegni di tipo economico. «Continuiamo ad accogliere chi ha bisogno – afferma don Sergio Mattaliano – nonostante i nostri centri siano già pieni, comprese le due chiese di Brancaccio e Falsomiele».
Scongiurato, infine, il rischio infezione a bordo della nave Orione. Il migrante malato, infatti, è affetto da varicella e non da Ebola, vaiolo o altra malattia infettiva. È il ministero della Salute a comunicarlo con una nota al termine delle analisi di laboratorio svolte all’Istituto nazionale per le malattie infettive “Spallanzani” di Roma. L’Orione con a bordo 396 migranti, che lunedì non era potuta attraccare proprio per l’allarme infezione, è arrivata al porto di Catania.
 
 
 
«Una fossa comune nella stiva» 
Tra le vittime ci sono dei minori 
Il racconto dei sopravvissuti: i libici ci trattavano come animali 
Corriere della sera 02-07-14
Felice Cavallaro 
POZZALLO (Ragusa) - C`è voluto un mastro d`ascia, uno di quei vecchi che costruiscono le barche come si faceva una volta, per aprire un varco e cominciare a smantellare la carretta dell`orrore. Una tomba di legno per i trenta ragazzi arrivati da Ghana, Camerun e altri Paesi lontani. Anche alcuni minorenni aggrovigliati agli adulti, come si scopre nella notte, alla luce delle fotoelettriche. Tutti stipati e schiacciati dai trafficanti libici, fino a lasciarli morire, senza aria, nel vano ghiacciaia, nel deposito del pescato. I corpi ammassati «come in una fossa comune», stando all`immagine rimasta impressa ai pompieri e ai poliziotti che facevano da battistrada ai medici legali per il primo esame di questo ennesimo scempio del Mediterraneo. 
Una gru che alle sette della sera solleva il primo corpo afflosciato dentro un sacco grigio è l`istantanea della tragedia intercettata dalla fregata della Marina militare, la Grecale, domenica pomeriggio più vicino alla Libia che non a Lampedusa. Un barcone di venti metri incredibilmente zeppo di migranti, quasi 600, in parte pigiati nella cavità dove in tanti domenica erano già morti, schiacciati da scafisti criminali e dai loro stessi compagni, come ha ricostruito il procuratore della Repubblica Carmelo Petralía, anche lui ieri pomeriggio sul molo di Pozzallo dove, tre giorni dopo i decessi, è stata fatta accostare la tomba di legno. 
Una barca trasformata in un inferno dove si lottava per un centimetro di spazio. Una guerra per la sopravvivenza fra ghanesi e siriani. Esplosa anche perché uno dei centroafricani ha perfino tentato di mettere le mani addosso a una donna siriana, difesa dai suoi connazionali, pronti a brandire le cinghie per le scudisciate. Sono i racconti dei primi superstiti arrivati lunedì: «I libici ci trattavano come bestie». Arrivati con la Chimera, l`altra fregata intervenuta domenica con la Grecale, giunta a Pozzallo solo ieri trainando lentamente la carretta in apparenza vuota, con il macabro carico celato sotto la cabina di comando frattanto ceduta. Legni fradici ammonticchiati fra resti sudici e puzzolenti. La Grecale intorno alle due, rimasta in rada con altri 566 migranti, ha mollato la cima a una motovedetta della Guardia costiera che s`è tirata dietro il barcone e una scia fetida, scansata dai gabbiani. 
Poi, quattro ore di tentativi con vigili del fuoco insaccati in tute anticontaminazione, come astronauti impegnati con maschere ad ossigeno, seghe elettriche e piedi di porco per allargare la botola di quella ghiacciaia e rendere accessibile la vista e il recupero dei cadaveri portati dai carri funebri nella notte nelle celle frigo di cimiteri e protezione civile. Una banchina spettrale quella di Pozzallo dove Petralia fa scattare contro i primi scafisti individuati «il reato di morte come conseguenza di altri delitti, più grave dell`omicidio colposo». 
All`interno dell`area off limits tracciata con il nastro bianco e rosso i medici legali, due donne, Bernardette Di Giacomo e Veronica Arcifa, gli occhi sul primo pompiere tornato indietro dopo un`ora di lavoro attorno alla botola aperta sull`inferno. Un`immagine indelebile per questo vigile da 17 anni in servizio, Franco Saraniti: «Ho visto Auschwitz settanta anni dopo nello scempio di quei corpi. 
Possibile che l`umanità non abbia imparato nulla?». E dice di essere «stanco di rivivere ogni volta la stessa tragedia». Come conferma il suo capo, l`ingegnere Emanuele Carano: «Chi se lo ricorda che meno di un anno fa abbiamo fatto la stessa cosa con 3o cadaveri a Samperi, la spiaggia vicina a Pozzallo? Io non dimentico loro e i loro parenti che pregavano con le nostre stesse parole, gli stessi riti nostri, tutti etiopi cristiani che consideriamo un fastidio. Come forse pure questi ragazzi schiavi venduti, carne da macello...». 
Sono i commenti rilanciati quando Nino Ciavola, il dirigente della Mobile, torna tubato «per avere visto in quella cavità le fosse comuni che si trovano nei libri di storia». Pietà che spinge don Michele Iacono della parrocchia di Porto Salvo a benedire le salme con l`Imam di Scicli, Amin Ziri. Una preghiera comune, come dice l`Imam: «E un colpo al cuore degli esseri umani, una tragedia per tutti al di là di religioni e appartenenze». E il sacerdote: «Ci vuole più cuore, altrimenti ogni frase gira a vuoto e non serve a niente». Parola di un parroco che indossa la tonaca da cinque anni perché prima navigava, come allievo di macchina in sala motori, «cosciente di cosa è accaduto facendo inalare a quei ragazzi monossido di carbonio». 
 
                   
 
L`ACCOGLIENZA POSSIBILE 
la Repubblica, 02-07-14
LAURA BOLDRINI 
Caro direttore, «dopo anni di lavoro tra arrivi via mare, traversate finite bene, persone aggrappate alle gabbie per tonni, imbarcazioni alla deriva, naufragi con decine di morti, pensavamo di aver esaurito il repertorio. E invece no, non c`è limite al peggio. L`orrore ci doveva ancora riservare delle sorprese. Quanto è accaduto a bordo del peschereccio partito dalla Libia e giunto oggi a Lampedusa non lo avevamo mai visto prima. Nella stiva 25 cadaveri, presumibilmente morti asfissiati». Scrivevo queste righe per il blog su Repubblica nell`estate del 2011, quando per la prima volta sentimmo che a bordo la lotta per la sopravvivenza non era soltanto contro il mare, ma anche contro altri uomini, in una srta di "Colosseo galleggiante". Tre anni dopo la tragedia si ripete, con le stesse modalità: migranti ammassati nella stiva sigillata, a Pozzallo anziché a Lampedusa, 30 morti anziché 25. 
L`unica eccezione alla nostra indignata inerzia è l`operazione Mare Nostrum. Sono grata agli uomini e alle donne della Marina militare e di tutti gli altri corpi dello Stato che si occupano del salvataggio. Devono sentirsi del lavoro che fanno. Così come merita il nostro grazie la popolazione siciliana, per il senso di responsabilità di cui sta dando prova.
Ma Mare Nostrum da sola non basta. Non possiamo continuare ad occuparci degli effetti - gli arrivi di migranti- chiudendo gli occhi sulle cause che li producono: le guerre, le persecuzioni, le torture dalle guali i civili scappano. Qui c`èlo spazio dell`Unione europea, se solo volesse occuparlo: intervenendo come soggetto politico unitario, capace di rilanciare i processi di pace nei conflitti in atto alle sue porte, a partire da quello siriano che sta alimentando i flussi verso le nostre coste. Ma intanto già fin d`ora l`Ue può togliere lavoro ai trafficanti, offrendo alternative concrete a coloro che hanno bisogno di protezione. Si può prevedere, nei paesi confinanti con le zone di crisi, come la Giordania o il Libano - dove hanno trovato rifugio milioni di siriani - o nei paesi di transito, come la Libia, che le sedi diplomatiche degli Stati membri dell`Unione europea possano ricevere e vagliare le domande d`asilo, per trasferire poi legalmente nei rispettivi paesi coloro che posseggono i requisiti. Oppure possono essere gli organismi internazionali a svolgere questo lavoro di selezione per poi destinare quote di rifugiati ai vari paesi europei che ne offrono la possibilità. Così facendo, in molti non avrebbero più bisogno di prendere il largo mettendo arischio la propria vita. Proposte facilmente rea li77abili a condizione che ci sia una comune volontà politica di uscire dall`impasse. 
L`Italia fa bene a ricordare all`Europa che il Mediterraneo è la frontiera di tutti e 28 i suoi Stati membri e a chiedere perciò un impegno condiviso nel salvataggio in mare. Vero è anche, però, che gli Stati europei - che ricevono molte più domande d`asilo di noi- ci rimproverano di non offrire standard di accoglienza adeguati: ragion per cui molti di coloro che arrivano sulle nostre coste dopo un breve periodo se ne vanno altrove. Abbandonare la pura logica emergenziale e strutturare un sistema di accoglienza realistico e dignitoso ci permetterebbe di gestire con più razionalità gli arrivi e al tempo stesso darebbe più forza alle nostre richieste in sede europea. 
L`autore ò presidente della Camera dei deputati 
 
 
 
Decreto per Mare Nostrum «a termine» 
il sole 240re, 02-07-14
Marco Ludovico 
ROMA.- L`Italia intende trasformare la missione Mare Nostrum in un intervento europeo per pattugliare il Mediterraneo e soccorrere i migranti in fuga. Per questo il decreto legge allo studio dei ministeri Interno e Difesa definirà «a termine» l`operazione oggi in atto della Marina Militare, coordinata dallo Stato Maggiore Difesa e partita il 18 ottobre 2013. I costi - circa 9 milioni al mese - saranno ripartiti tra i due dicasteri, non più solo a carico del bilancio del ministero guidato da Roberta Pinotti. L`indicazione «a termine» riguarda l`arco di tempo della presidenza italiana nell`Unione. Anche perché nel governo di Matteo Renzi nessuno intende sottrarsi all`opera di salvataggio di migliaia di vite umane. Ma la definizione di un limite temporale in un decreto legge è un segnale politico 
forte: assunta la guida dei 28 stati europei, l`Italia intende tramutare Mare Nostrum - che non potrebbe comunque andare avanti all`infinito - in un`operazione a responsabilità europea, forse attraverso Frontex. Ma anche chiedere all`Onu - è intenzione della stessa Pinotti - di costituire campi profughi in Africa per scongiurare o limitare al massimo i viaggi di morte e disperazione nel canale di Sicilia. 
Il clima con l`Europa si sta comunque un po` rasserenando. Il commissario Cecilia Malmstrom con ogni probabilità sarà presente alla riunione di giovedì al Quirinale di inaugurazione della presidenza italiana. Le obiezioni di Bruxelles sull`azione della politica di immigrazione di Roma restano, ma la minaccia di commissariamento da parte dell`Ue nei confronti dell`Italia - invocando l`articolo 33 del trattato di Dublino - appare più una presa di posizione, in via di soluzione, che una minaccia reale. Certo, alcune questioni valutate anche ieri in una riunione tecnica al Viminale dove c`erano, tra gli altri, il ministro Angelino Alfano, il sottosegretario Domenico Manzione e il direttore del dipartimento Ps, Alessandro Pansa, non sono da poco. Bruxelles, per esempio, ci contesta il mancato «fotosegnalamento» dei migranti approdati in Italia che spesso, poi, si trasferiscono nel resto d`Europa. Ma il governo darà con il decreto legge risposte anche alle censure europee sull`accoglienza e i diritti dei rifugiati. I loro permessi di soggiorno avranno durata maggiore e saranno rilasciati in tempi più brevi. Aumenterà il numero delle commissioni territoriali - fino a 5o in tutta Italia - per sveltire l`esame delle richieste di riconoscimento della protezione internazionale. La scommessa più impegnativa tuttavia si gioca tra oggi e domani: stamattina si riunisce un tavolo tecnico tra Interrio e Welfare e domani, se sarà confermata la convocazione, la Conferenza unificata Stato Regioni potrebbe ratificare il piano straordinario di accoglienza messo a punto dai tecnici di Alfano. Riguarda, soprattutto, una quota dei migranti arrivati nelle ultime settimane più tutti quelli che giungerarmo fino alla fine dell`anno, stimati in circa 4omila. È un modello nuovo di accoglienza: coinvolge a tutti gli effetti Comuni e Regioni, ripartisce in tutta Italia gli immigrati sbarcati, va oltre il sistema dei centri del Viminale ormai allo stremo. «Spero che si vada presto a chiudere, c`è l`impegno di tutti e va apprezzato» sottolinea il sottosegretario Manzione. 
Ieri a Pozzallo è arrivata la nave Grecale con il suo carico di 06 migranti, 240 circa dei quali erano sul barcone carico di circa una trentina di morti. Il capo della Squadra mobile di Ragusa, Antonino Ciavola, dopo aver visto i corpi senza vita dei migranti ha definito la scena come quella di «una fossa comune, che ricorda Auschwitz». Tra i morti ci potrebbero essere dei minorenni. Ieri, inoltre, la polizia di Stato nell`ambito dell`operazione "Glauco" sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre del 2013, quando morirono 366 migranti, ha fermato cinque persone mentre altre quattro sarebbero ricercate. 
 
 
 
Guernica di carne. No all’indifferenza
Avvenire, 02-07-14
Marina Corradi
Quello che al traino di una motovedetta, lentamente, entra nel porto di Pozzallo è un vecchio motopeschereccio azzurro che dondola quieto al moto delle onde. Ha un’aria innocente. Da lontano fa pensare a quei barconi che d’estate portano i turisti in gita lungo le coste. Ma il barcone azzurro è carico di morti. Trenta, forse, accatastati nella stiva. I sopravvissuti han raccontato che, da là sotto, urlavano per uscire; e che gli scafisti invece hanno sbarrato il boccaporto – ed è stato come sigillare una tomba. Asfissiati dai gas di scarico, come topi in trappola, così sono morti in trenta. E il dirigente della Squadra mobile di Ragusa che fra i primi si affaccia alla botola racconta atterrito che quella mischia di facce, braccia, gambe gli ha ricordato immagini che aveva visto solo nei libri di storia: fosse comuni, dice, o lager.
Quando poi il barcone attracca al molo se ne distinguono le cime logore, le bitte arrugginite, l’assito sconnesso. Pare incredibile che su una carretta lunga venti metri appena siano state ammassate oltre 500 persone. Pare incredibile che abbiano pagato 2.000 euro a testa, e 1.500 in più i bambini non accompagnati. E 200 euro per acqua e tonno, il "kit di sopravvivenza", 300 per il giubbotto salvagente, 300 per un posto di "prima classe", sul ponte, i più miserabili, nella stiva. Non si può portare una coperta, ma per 200 euro se ne può comprare una. Si sa, l’arrivo dei profughi siriani, in grado di pagare di più, di essere derubati di più, ha alzato i prezzi. E sì, pare incredibile, ma accade oggi, alle frontiere d’Europa, di morire come bestie, così.
Ancora ieri sera la trappola della stiva non voleva lasciare andare le sue prede. Il motore rabbioso delle motoseghe sul vecchio legname del ponte ha rotto il silenzio in cui sulla banchina si stava a guardare la barca azzurra. Poi è arrivato un muletto con un gancio, a strappare via il ponte. Ma ancora niente, i morti restavano invisibili nel loro pozzo, là sotto; e pareva perfino che gli uomini sul molo, pure protetti da maschere e tute e guanti, esitassero ad avvicinarsi alla botola, che non volessero guardare. Come cercando di ritardare il momento dell’impatto con una morte ammassata, stoccata – quasi fossero, quei corpi, merce. Mani, petti, volti sovrapposti e mischiati, in una Guernica di carne («La morte – scrisse Simone Weil – che rende gli uomini cose»). Se quei corpi sono scomposti e aggrovigliati come nella stiva del peschereccio azzurro, è più disumana la morte. Perché è proprio come dicesse, la calca livida, anche ai vivi: non siete niente, siete solo cose.
Il dirigente della Polizia che fra i primi ha visto, l’ha detto: era come nei libri di storia su cui studiavamo da ragazzi, fosse comuni in cui gli uomini non erano solo morti, ma anche annientati; quasi che non fosse stato un giorno, ciascuno di loro, un figlio aspettato, partorito e amato; quasi non fosse stato ciascuno un uomo unico, con un suo unico nome e destino.
Quando, da studenti, aprivamo i libri di scuola su quelle foto, ne restavamo sbalorditi e quasi increduli, noi nati in un’Europa in pace; certi però che cose come quelle non sarebbero mai più potute accadere. E invece, ecco, anno 2014: le barche dei migranti e dei profughi affondano, oppure si muore murati in una stiva, e già il giorno dopo sui siti dei quotidiani la vicenda scivola fra gli ultimi titoli.
Sappiamo che in Sicilia una moltitudine di volontari, parrocchie, gente comune si sta facendo in quattro per aiutare i migranti. Sappiamo che l’operazione Mare Nostrum ha salvato migliaia di vite. Ma dai palazzi di Strasburgo e Bruxelles, che silenzio. E nel parlar di strada, che luoghi comuni gelidi e arrabbiati. Così che ci si chiede: se non il rispetto per ogni vita umana, cosa ci tiene veramente insieme? Così che ci si chiede se ciò che fa più paura non sia in realtà la indifferenza con cui questa Europa guarda ai miserabili e ai profughi di guerra (otto su dieci, ora, dalla Siria e dall’Eritrea) che premono alle sue porte. Come fossero niente, o soltanto uno sfortunato incidente. Fa paura quando, fra uomini, ci si guarda così.
 
 
 
EUROPA DOVE SEI? 
il Mattino, 02-07-14
Massimo Adinolfi 
Lasciate che i bambini vengano a me. L Lasciate che i bambini vengano nel porto di Salerno, negli altri porti italiani, e siano assistiti, aiutati, sostenuti. Lasciate che trovino una casa, un volto amico, un po` di serenità. Lasciate che si riposino, che giochino, che sorridano. Però poi distogliete gli occhi dalle foto di quei bambini: non per chiudere ottusamente i vostri cuori e non sentire più il loro grido di aiuto, ma per aprire la mente e cercare di capire. Lasciate allora che qualche domanda sia rivolta alle autorità italiane e alle autorità europee, perché l`eccezionale flusso di migranti che attraversa lo stretto di Sicilia pone un problema che è, con ogni evidenza, più grande dell`operazione Mare Nostrum. C`è un`emergenza umanitaria in corso: l`operazione messa in atto a partire dall`ottobre scorso dai mezzi della Marina militare, della Guardia di finanza, dell`Aeronautica, dei Carabinieri, della Polizia di Stato non basta. Con tutta la buona volontà non basta, perché purtroppo non è solo questione di buona volontà. L`operazione è volta innanzitutto a «salvaguardare la vita in mare»: male vite di coloro che muoiono nelle stive dei barconi alla deriva sul mare non sono salvaguardate. L`intento umanitario non è sufficiente e non fa una politica. E non è in questione il numero di navi impiegate, di uomini impiegati, diradar impiegati; sono in questione più in generale le azioni che l`Europa adotta verso l`intera regione mediterranea. L`immigrazione non è una burrasca improvvisa, inattesa, passeggera: è un fenomeno epocale, di portata epocale. 
È vasta quanta il mare che attraversa, e non sono i vascelli della nostra marina che possono contenerla. Dunque ci vuole la politica. Ci vuole la solidarietà verso i bambini che arrivano stremati sul suolo italiano: le facce impaurite, gli occhi smarriti. Ma ci vuole la politica per provare a governare un fenomeno che non è affatto «nostrum» perché ha dimensioni e dinamiche europee ed internazionali. C`è una politica estera dell`Unione Europea? No, purtroppo: tutti sanno che non c`è. Eppure, senza una stabilizzazione dell`area mediorientale, senza una presenza incisiva nelle aree di crisi, senza un`interlocuzione efficace a livello governativo, senza concreti impegni internazionali non c`è solidarietà che tenga. E non c`è nessuna gestione seria del dramma dell`immigrazione.  
Si può ovviamente discutere intorno ai fatti di queste ore: secondo gli uni, l`assicurazione di godere dell`assistenza delle navi della Marina italiana incoraggia i disperati dell`altra sponda del Mediterraneo a tentare la traversata, anche su mezzi fatiscenti, anche in condizioni di grande incertezza e pericolo; secondo gli altri, il dovere morale di soccorrere quanti rischiano la vita in mare per fuggire dalla guerra, dalla fame o dalla povertà è e resta comunque un dovere morale inderogabile. In questo modo, però, non si dà forma a una politica, che non è il regno delle buone intenzioni, ma quello delle buone conseguenze. E anche se non si debbono mai perdere di vista i principi, non si può non guardare con estrema lucidità a ciò che da essi effettivamente principia. La verità di un principio è nei suoi effetti, non nella nobiltà del proponimento. Perciò Mare Nostrum non sarà un fallimento, ma di sicuro non è una soluzione. Per le centinaia di migliaia di migranti che attendono sulle coste libiche Mare Nostrum non può essere la soluzione. E del resto è stata fin dall`inizio proposta come una forma tampone: come se fosse possibile tamponare. Lasciamo dunque perdere se davvero incoraggi il fenomeno: si 
può dire che lo scoraggi? Si può dire che il governo italiano è riuscito ad ottenere una europeizzazione del problema dell`accoglienza dei migranti? E in grado di ottenerla? Può guardare alla prossima formazione della Commissione avendo di mira questo obiettivo? Non è la politica la più alta forma di solidarietà umana e non è dunque lì che bisogna esercitare la massima pressione, se davvero si vuole fare accoglienza? Gli accordi di Schengen non prevedevano un «alto e uniforme livello di controllo» ai confini? E come si pensa di assicurarlo nelle aree di rischio, come il Mediterraneo? O dobbiamo accontentarci di Frontex, l`agenzia europea che gestisce e coordina la cooperazione fra gli Stati membri dell`Unione nella gestione delle frontiere esterne? Andate sul sito: c`è il numero di telefono, rispondono da Varsavia, Polonia. Il direttore era Iikka Laitinen e già in passato ha spiegato che Frontex, parola mia, fa tutto quello che deve fare. 
Ora l`Agenzia è in cerca di un nuovo direttore esecutivo: forse le foto dei bambini sbarcati ieri, e di quelli pronti a imbarcarsi, andrebbero recapitate a lui. 
 
 
 
Morcone: «Pronti nuovi centri per accogliere i rifugiati politici» 
Il prefetto: un piano del Viminale varato con i comuni e le Regioni 
il Mattino, 02-07-14
Antonio Manzo 
«Domani (oggi per chi legge; ndr) avremo la riunione con l`Anci e le Regioni per definire una rete di accoglienza diffusa nei comuni italiani dei rifugiati politici che arrivano sulle nostre coste». Alle quindici in punto RaiNews sta mandando in onda, in diretta da Pozzallo, il recupero dei cadaveri dei trenta migranti morti asfissiati nella stiva dell`ultimo barcone recuperato dalla Marina militare. Emozione e commozione, al Viminale. Da quando è tornato al «timone ministeriale» dell`immigrazione, Morcone ogni mattina è alla sua scrivania a partire dalle sette e mezzo, in contatto continuo con gli uomini di Mare Nostrum, la rete del volontariato, a partire dalla Caritas campana diretta da don Vincenzo Federico, ieri mattina sul porto di Salerno. Nuova, intensa giornata, in agenda anche l`incontro con il capo di Stato Maggiore della Marina italiana, ammiraglio di squadra Giuseppe De Giorgi. 
Come sarà articolato il piano di accoglienza nei comuni italiani? 
«Già da oggi, dopo l`arrivo a Salerno di oltre mille richiedenti asilo, disponiamo di 20mila posti per l`accoglienza. Le Regioni, con i sindaci ed i prefetti dei comuni capoluogo, individueranno le soluzioni di accoglienza con la creazione di hub regionali. I Comuni potranno anche dare vita a consorzi per attrezzare strutture di accoglienza. Noi coinvolgeremo le Regioni sia per le finalità sanitarie, sia per quelle assistenziali. La prima accoglienza sarà gestita dal Viminale con la gestione e l`identificazione nei centri di accoglienza regionale. Lo strumento attraverso il quale verranno gestiti i migranti sarà lo Sprar, esteso recentemente da 13 a 20mila posti. E sarà sempre attraverso lo Sprar che passerà la gestione dei prossimi sbarchi. Il piano verrà ratificato in Conferenza Unificata delle Regioni. È questione di giorni». 
Quanto costa l`accoglienza di un richiedente asilo politico o, più in generale, di un immigrato salvato sulle coste italiane? 
«Costa 30-35 euro al giorno. Io colgo l`occasione di questa intervista per stoppare subito una polemica che potrebbe essere alimentata da luoghi comuni con derive razziste. È quella del costo dell`operazione accoglienza che ricadrebbe tutta sulle spalle del contribuente italiano. C`è il fondo europeo Fami che stanzia 300 milioni di euro per i prossimi sette anni ai quali sono da aggiungerne altrettanti di fondi nazionali. Si tratta di fondi che vengono spesi nelle realtà locali, dove una piccola economia spesso viene irrobustita proprio da questo investimento di necessità garantito dallo Stato». 
La Libia resta il punto critico dell`emergenza che siamo costretti a subire sulle nostre coste? 
«È la valutazione di chi opera alla frontiera dell`emergenza. Un esempio? In Libia non esiste una forza armata della Marina, ma esistono le "Marine", per cui diventa estremamente difficile, se non impossibile, stabilire contatti operativi o controlli preventivi sulle coste. Ma, attenzione, c`è tutta l`area sub sahariana che esige un`attenzione politica, diplomatica ed operativa ad altissimo livello». 
Serve costruire dei "corridoi umanitari" per gestire meglio questa emergenza? 
«Risolveremmo il problema del trasporto in Europa e, di conseguenza, annulleremmo le violenze dei criminali della tratta umana. Potremo verificare, fin dai confini delle coste africane, chi può raggiungere l`Europa e chi no. Ma nell`attuale fase di crisi acuta di quei Paesi rischieremmo solo di creare un pericoloso effetto- richiamo. E poi sta diventando sempre più complicata tale eventualità, perché le esplosioni di violenza connaturate alle crisi africane metterebbero a rischio la sicurezza degli stessi operatori sul campo». 
Allora, alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, su quale obiettivo credibile puntare per fronteggiare l`emergenza sbarchi? 
«Puntare al mutuo riconoscimento dei documenti di protezione internazionale. Cambiare l`atto Dublino III e lavorare per estendere il ``mutuo riconoscimento" delle decisioni sull`asilo, con un`armonizzazione di procedure e standard. Il Paese di arrivo é quello che prende in carico le richieste del rifugiato, e una volta ottenuta la protezione, consente allo stesso anche di lasciare lo Stato nel quale ha ottenuto 
lo status». 
Quindi, la sua previsione è che assisteremo ad esodi per mesi e mesi? 
«Dovremo fare i conti con una emergenza che durerà per tutto il tempo dello sviluppo delle crisi mediterranee, a partire dalla Siria e dalla persistente fragilità politico-istituzionale dei Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo». 
 
 
 
IL FANTASMA DEL VIRUS 
La Stampa, 02-07-14
EUGENIA TOGNOTTI 
Era «solo» varicella, per fortuna. Ma per diverse ore la notizia di un caso di vaiolo tra i migranti tratti in salvo ieri dal pattugliatone 
Orione, nell`ambito dell`operazione Mare Nostrum, ha prodotto, com`era largamente prevedibile, un effetto virale. Ed è rimbalzata sul web e nei mezzi di comunicazione che hanno avuto il potere di «replicare» il virus in rete, scatenando, e non poteva essere altrimenti, antichi e nuovi, nuovissimi fantasmi. Anche se quella devastante malattia - che ha dolorosamente attraversato la civiltà, lungo i secoli, lasciando dietro di sé una lunga scia di morte, cecità e cicatrici deturpanti, non è più una minaccia in nessun angolo del pianeta, neppure il più remoto. E` stato infatti «sradicato» globalmente, come ha certificato, nell`ormai lontanissimo 1979, una Commissione di insigni scienziati, appositamente costituita. A cui ha fatto seguito, l`8 maggio 1980, la dichiarazione, in forma solenne, dell`Assemblea dell`Oms. 
Il trentennale di quell`epica impresa, quattro anni fa, è stato festeggiato in diversi Paesi del mondo e seguito da una pioggia di commenti, comunicati, memorie, saggi, ricostruzioni di una storia di successo per la salute pubblica, che ha rappresentato uno dei traguardi più importanti nella storia della Medicina. Raggiunto, occorre dire, dopo decenni di sforzi e grazie alla pratica efficace della vaccinazione. 
Mentre alcuni giornali cominciavano già a parlare di vaiolo delle scimmie - una rara malattia virale presente per lo più nei Paesi tropicali dell`Africa centrale e occidentale - l`allarme è rientrato dopo una dichiarazione ufficiale del Ministero della Salute. Si trattava di un caso di varicella, come avevano appurato le analisi di laboratorio svolte presso l`Istituto Nazionale per le malattie infettive Spallanzani" di Roma. Tutto bene, si dovrebbe concludere. Ma, in verità, si fatica a considerare chiusa una vicenda che solleva non pochi interrogativi. 
Il primo riguarda la straordinaria, quasi incredibile, facilità con cui la notizia della comparsa sulla scena di una malattia come vaiolo ha trovato spazio nelle homepage dei giornali, senza che qualcuno sollevasse il minimo dubbio: e sì che per sapere che il vaiolo è stato cancellato dalla nera lavagna della patologia umana non sarebbe neppure necessario un grado elevato di conoscenze scientifiche, per le quali l`Ocse ci colloca, noi italiani, e da anni, inesorabilmente, agli ultimi posti tra i Paesi dell`Unione Europea. 
Un interrogativo tira l`altro. Qual è la fonte - che dobbiamo immaginare a contatto con i migranti - della notizia che la malattia infettiva di uno di essi poteva essere vaiolo? E la distinzione con la varicella? Si può pensare che come riferiscono alcuni giornali - si tratti di medici, ignari che il vaiolo non rappresenta, fortunatamente, una minaccia da decenni? E perché le autorità sanitarie, prima di chiarire, e mentre assumevano i provvedimenti a tutela della salute pubblica, hanno lasciato circolare gli allarmi del Sap, le prese di posizione leghiste, le proteste xenofobe? Nelle quali sembra affacciarsi la minaccia di orribili pestilenze e di batteri e virus massimamente pericolosi e aggressivi come quello di Ebola, la micidiale epidemia che sta infierendo nell`Africa occidentale, suscitando inquietudine e preoccupazioni nell`Oms circa una "potenziale ulteriore diffusione internazionale". 
Ma non è della terrificante Ebola che dovremo preoccuparci, quanto della tubercolosi e dell`infezione da Hiv diffuse tra le masse dei migranti, individuando, come in parte si sta facendo, i fattori di rischio e gli interventi preventivi più efficaci, senza enfatizzare le minacce, perché il virus della paura contagia e viaggia con le parole e le emozioni, alla supersonica velocità delle agenzie di stampa. 
 
 
 
Arrestati gli scafisti dell'orrore «Sono morti? L'ha voluto Allah»
Fermati tre immigrati per la strage di Lampedusa che a ottobre causò 366 vittime Ieri il barcone con i 30 cadaveri è arrivato a Ragusa, rientra l`allarme malaria 
il Giornale, 02-07-14
Valentina Raffa 
«Eravamo troppi, senza cibo né acqua. Chi era nella stiva vicino al motore non riusciva a respirare». Parlano i superstiti, 566, dell'ultima traversata della morte, che ha registrato una trentina di vittime per asfissia.
I corpi erano ammassati in uno spazio tanto angusto da fare paura. Poco dopo la partenza volevano tornare indietro. Chiedevano di potere prendere una boccata d'aria - raccontano i compagni di viaggio in lacrime - Ma non c'era posto sul peschereccio stracolmo di gente ammassata in poco meno di 20 metri. «Credevamo dormissero, poi ci siamo accorti che stavano male. Li abbiamo tirati fuori. Erano morti. Per non lasciarli in mare li abbiamo rimessi in stiva. Sono nostri amici. Ci sentiamo in colpa».
La cronaca lascia il passo alla tristezza e all'attesa, lunga, sulla banchina del porto di Pozzallo, delle bare. Difficile raggiungere i corpi in stiva, sui quali durante la traversata vi è pure crollato il castelluccio del natante. I vigili del fuoco hanno dovuto aprire un varco e sollevare le macerie, mentre folate di vento di morte investivano chi assisteva alle operazioni. «Sembra una fossa comune, pensavo esistesse sono sui libri di storia», commenta il dirigente della squadra mobile Antonino Ciavola. A fare da contraltare la fredda risposta che un trafficante libico dà al suo complice sudanese al telefono parlando del naufragio del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, costato la vita a 366 persone. «Inshallah! Così ha voluto Allah». E chi se ne frega. L'unico pensiero è vendere sogni a gente provata dalla guerra, sfruttando gli aiuti di Mare Nostrum. Tanto che nei primi quattro mesi dell'anno, secondo Viminale e Frontex, si è registrato un incremento di sbarchi dell'823%.
I due trafficanti di vite umane sono stati incastrati con i complici da 30mila conversazioni telefoniche in arabo e in eritreo. La Dda di Palermo ha emesso nove decreti di fermo e cinque informazioni di garanzia eseguiti dalla polizia tra Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino nell'inchiesta «Glauco».
Gente senza scrupoli, capace di scaricare sugli immigrati la responsabilità della tragedia, perché erano voluti partire in un unico viaggio. La loro principale preoccupazione era rendere «più credibile l'organizzazione, organizzando meglio i viaggi», già peraltro bene programmati dagli alloggi al vitto e ai passaporti falsi. Una catena di montaggio, in cui ogni membro della consorteria criminale transnazionale aveva un ruolo definito. I guadagni alle stelle. Un viaggio poteva costare anche oltre 10mila dollari a immigrato. Solo per i passaporti servivano 7mila euro, 3mila dollari per partire e ricongiungersi con chi è all'estero. Si organizzavano matrimoni di comodo per ottenere la cittadinanza.
Ermie Ghermaye, uno dei capi dell'associazione criminale incastrati dalla Dda, ha l'ardire di lagnarsi con John Mahray, anche lui indagato nell'inchiesta sulla strage di Lampedusa. «Solo questo viaggio ha avuto un'importanza mediatica elevata. In tanti sono partiti con altri organizzatori, diventando cibo per pesci e nessuno ne ha parlato».
Un business sulle spalle di immigrati e italiani. Viaggi tra violenze e soprusi, dai campi di concentramento in cui gli immigrati sono reclusi prima di partire, vigilati da gente armata che stupra, alle percosse per salire sui barconi.
Dopo l'appello del sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, la soluzione per alloggiare i trenta corpi l'ha fornita la Protezione civile provinciale di Ragusa, mettendo a disposizione della Procura una cella frigo. In manette i due scafisti di quest'ultimo viaggio cui potrebbe essere contestato l'omicidio volontario o la morte come causa di altro reato.
Unica nota positiva: il caso di malattia infettiva è varicella.
 
 
 
Migranti, le tariffe per l'inferno
Avvenire, 02-07-14
Nello Scavo
Cento euro per una porzione di sardine in scatola e un paio di bottiglie d’acqua. Duecento per un plaid con cui avvolgere i bambini. Altri duecento per non morire asfissiati in sala macchine. Trecento per una telefonata d’emergenza con l’apparecchio satellitare.
Il listino dei cerberi approfitta della crisi in Siria. Fanno la guardia alle porte dell’inferno libico. Arruolano profughi per viaggi senza ritorno. Sevizie e stupri sono compresi. Vietato portarsi dietro acqua e cibo. Chi non riesce a farne a meno deve pagare a parte. «Da quando sono arrivati loro i prezzi sono cresciuti. Le famiglie siriane hanno molto denaro e vogliono correre meno pericoli». Agli inquirenti diversi scafisti arrestati in sbarchi distinti hanno confermato quanto andavano dicendo i sopravvissuti. Da queste storie emerge in dettaglio il raccapricciante tariffario della vergogna.
Il biglietto può arrivare a 2500 euro, ma sono i costi accessori a mostrare tutta la spietata logica dei boss dei barconi. Karim El-Hamdi, uno dei Caronte egiziani individuati dagli investigatori siciliani, ha parlato perfino di "prima classe". È così che chiamano il ponte superiore dei pescherecci in disarmo. È il posto più desiderato, e per potersi accovacciare con il vento in faccia bisogna pagare tra i 200 e i 300 dollari extra. Da lì ci si può gettare in acqua più rapidamente in caso di naufragio. Non è un caso che nel tragico affondamento di Lampedusa la gran parte siano morti intrappolati in cambusa. E di certo si può essere tra i primi a trasbordare su una nave di soccorso.
Senza un salvagente non c’è molto da poter sperare, specie quando il mare è grosso.
Al momento di salpare il prezioso giubbetto viene fornito pagando almeno altri 200 dollari. Basta fare due conti e per chi si può permettere la prima classe il costo è già salito ben oltre le tremila euro. Niente sconti per i bambini. Anzi. Se viaggiano da soli pagano fino 1.500 dollari in più. «E’ una responsabilità portarseli senza i parenti. L’importante è che viaggino senza documenti», ha spiegato El-Hamdi. I trafficanti temono infatti di venire accusati di rapimento dalle autorità dei paesi d’origine.
Durante la traversata è naturale aver necessità di andare in bagno. I gommoni non non ne sono dotati. Nei pescherecci la toilette viene smontata per fare altro posto aumentare i profitti. Non resta che arrangiarsi. Alle donne incinte, però, è vietato farsela addosso o provare a sporgersi, come fanno tutti gli altri. In alcune culture arabe o africane l’urina delle gestanti è considerata un veleno o, peggio, una pozione distruttiva in grado di attirare la malasorte. Il catetere, niente più che una contenitore di plastica, è obbligatorio: 150 dollari extra.
Durante la navigazione può capitare di aver bisogno di fare una telefonata: 300 dollari per meno di cinque minuti di conversazione con il satellitare. Non finisce qui. Molti dei profughi non sanno a chi rivolgersi una volta sbarcati in Italia. Ma per conoscere il numero di telefono della persona da contattare per essere poi trasportati fino al Nord Europa vengono richiesti altri 1.000 dollari. Perciò con una media di tremila euro a persona un barcone con 300 sventurati frutta quasi un milione. Pagamento anticipato. Che si arrivi o meno a destinazione non ha importanza.
 
 
 
Minori sbarcati da soli chiude il primo centro "Lo Stato non ci paga" 
la Repubblica, 02-07-14
PALERMO. Casa Mosè, il centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati gestito dall`organizzazione "Amici dei Bambini" a Messina, potrebbe essere il primo a chiudere i battenti. Aperto sette mesi fa per rispondere alle tante richieste degli enti locali alla ricerca di comunità disponibili ad accogliere i piccoli migranti, il centro - a fronte di 70 bambini ospitati e 105.000 euro spesi su anticipazioni bancarie - non ha mai incassato un solo euro dalle istituzioni. Semplicemente perché il Comune di Messina, così come tutti gli altri, non riceve più dallo Stato le somme da destinare all`accoglienza dei minori. E in tutta Italia, ma soprattutto al Sud, decine di associazioni, comunità, case di accoglienza si trovano nell`incredibile situazione di essere state nominate dai tribunali dei minorenni affidatari dei bambini e dunque di essere "costretti" a mantenerli senza che lo Stato , da mesi, paghi le spese. Proprio per questo, in rappresentanza di una ventina di cooperative di Sicilia, Campania e Puglia che ospitano circa 700 minorenni, nei giorni scorsi i ministeri dell`Interno, dell`Economia, del Lavoro e delle Politiche sociali sono stati denunciati per abbandono di minori, violazione dei mezzi di sussistenza e insolvenza fraudolenta dall`avvocato salentino Francesca Conte che ha depositato un esposto alla Procura di Roma. 
«Alcune cooperative - spiega illegale- non ricevono un euro di ristoro né dallo Stato, né dai Comuni da tre anni e ora minacciano di dimettere gli oltre 700 minori che ospitano e di portarli sotto Palazzo Chigi e sotto le prefetture di riferimento, perché impossibilitate 
ad accoglierli ancora. Per farlo si sono dovute persino indebitare. Una situazione che rischia di trasformarsi in una bomba sociale. 
Protesta l`associazione Aibi che ha finora fatto fronte ai mancati pagamenti con i fondi raccolti grazie alla campagna "Bambini in alto mare". «A fronte di un`accoglienza deficitaria, in cui le istituzioni si rimbalzano a vicenda le responsabilità, c`è quella gestita 
dalle associazioni di volontariato che funziona e che, invece, viene dimenticata e, alla lunga, costretta ad arrendersi. Perché non si 
rendono subito disponibili le risorse del Fondo nazionale peri minorenni stranieri non accompagnati?». 
 
 
 
Divieto di burqa. La Corte di Strasburgo: "Non viola i diritti umani"
La Grande Camera respinge un ricorso contro la Francia, che ha vietato burqa e niqab nei luoghi pubblici. “Guardarsi in faccia è fondamentale per la convivenza”
stranieriinitalia.it, 01-07-14
Elvio Pasca
Strasburgo – 1 luglio 2014 – Il divieto di indossare in pubblico veli integrali come burqa e niqab, che la Francia ha introdotto nel 2011, ha passato oggi il vaglio della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Secondo i giudici della Grande Camera, l’organismo che viene chiamato in causa per i casi più importanti, quel divieto non è discriminatorio e rispetta sia la vita privata e familiare che la libertà di culto e di espressione. Soprattutto,  è giustificato dalla necessità di tutelare la convivenza, per al quale è fondamentale guardarsi in faccia.
A portare la legge voluta dall’allora governo Sarkozy davanti alla Corte è stata una ventiquattrenne musulmana francese. Nel suo ricorso ha spiegato che indossa il velo integrale per una libera scelta, seguendo fede, cultura e convinzioni personali e vorrebbe continuare a farlo quando vuole, anche in pubblico, per "sentirsi in pace con se stessa".
I giudici,però, hanno dato ragione al governo francese, accogliendo una delle sue giustificazioni. Il divieto, hanno spiegato, non tutela tanto la sicurezza pubblica, perché manca una minaccia esplicita da cui difendersi, ma “il rispetto per i requisiti minimi della vita sociale, la convivenza”
“La barriera alzata contro gli altri con un velo che cela il volto in pubblico può minare la nozione di convivenza” ammette la Corte, ricordando che “il volto gioca un ruolo significativo nell’interazione sociale”. Nascondendolo, si rischia di aprire una breccia “nel diritto degli altri di vivere in una spazio di socializzazione che rende più agevole la convivenza”.
Nella sentenza ci sono anche critiche più o meno esplicite alla scelta della Francia. Ad esempio, si sottolinea l’impatto negativo che la nuova legge ha avuto sulle musulmane che indossano il velo integrale e anche che un bando generalizzato può apparire eccessivo rispetto al piccolo numero di donne velate, inoltre si ricordano le critiche mosse da organismi nazionali e internazionali di tutela dei diritti umani.
Soprattutto, il dibattito intorno al divieto è stato accompagnato da “commenti islamofobi”. Secondo la Corte, “entrando in procedimento legislativo di questo tipo la Francia si è assunta il rischio di contribuire a consolidare stereotipi e di incoraggiare le espressioni di intolleranza”.
Fatto sta che il divieto di velo integrale non viola i principi della convezione Europea per i Diritti dell’Uomo. La Francia può tenersi la sua legge, con buona pace della giovane francese e di quanti insieme a lei sostenevano il contrario.
 
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