Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 maggio 2010

IL MINISTRO DELL'INTERNO ANNUNCIA ENTRO IL 2010 CIE IN ALTRE QUATTRO REGIONI
E la Lega ribadisce: caccia ai clandestini
Centri di identificazione ed espulsione in Veneto, Toscana, Marche e Campania
laDiscussione, 27-05-2010
Mentre Fini ribadisce le distanze e le ormai notevoli differenze con l'esecutivo, la Lega dal canto suo affonda sullo stesso tema, immigrazione. Peccato che lo faccia in totale opposizione alle dichiarazioni del presidente della Camera.
Da Zaia a Maroni la parola d'ordine che ieri è echeggiata per l'intera giornata è stata una sola e si chiama Cie.
La volontà dì realizzare un "centro di identificazióne ed espulsione" cozza non poco con la linea sull'immigrazione ribadita nello stesso giorno dall'ex delfino di An ma che accorcia addirittura i tempi di realizzazione di queste strutture operative che entro il 2010 verran¬no distribuite in ogni regione.
Entro la fine della legislatura «vogliamo realizzare un Cie in ciascuna delle regioni italiane perchè i clandestini si possano trovare ovunque», promette il ministro dell'Interno Roberto Maroni che deli¬nea, in un'interrogazione del gruppo della Lega durante il question rime alla Camera, una situazione già avviata.
Ad ora sarebbero difatti 13 le strutture operative, presenti in ben nove regioni, con una capacità ricettiva di 1800 posti. Tanti si potrebbe pensare ma che, invece, di fronte ai dati elevatissimi di immigrati clandestini e ai tempi di permanenza obbligatoria, portano il ministro Maroni a definirli completamente «insufficienti per gestire l'azione di contrasto considerando anche il prolungamento dei tempi di trattenimento da due a sei mesi previsti dal pacchetto sicurezza».
La soluzione al problema è la realizzazione «entro la fine di quest'anno di realizzare Cie in altre quattro regioni».
A capeggiare nella lista, il Veneto in primis, seguito da Toscana, Marche e per ultima la Campania.
Regioni stabilite dunque e insieme a loro anche le aree dove predisporre questi centri, «aree lontane da centri abitati e vicino agli aeroporti, in strutture pubbliche dismesse da ristrutturare».
In agenda già l'incontro, nelle prossime settimane, con i presidenti delle quattro regioni coinvolte «per valutare - a detta di Maroni - le nostre proposte e definire con loro la sede più idonea per procedere alla realizzazione di questi centri».
Rassicurando poi che nel 2009 si è stanziato «nel pacchetto sicurezza le risorse straordinarie necessarie», il ministro dell'Interno ha dato voce ai numeri positivi grazie alle operazioni contro l'immigrazione clandestina che «hanno di fatto bloccato gli sbarchi dei clandestini sulle coste meridionali».
Nel solo 2008 «sono entrati nel nostro paese 37mila clandestini, nel 2009 3.150, con una riduzione superiore al 90 per cento». Negli ultimi due anni sono stati «rimpatriati oltre 42mila cittadini extracomunitari irregolari».
E se in programma c'è senza ombra di dubbio l'incontro con i rispettivi presidenti della Regione Toscana, Marche nonché col neo eletto della Campania, la risposta del Veneto anticipa tutti.
L'amico, Luca Zaia, ex ministro dell'Agricoltura e ora novello presidente della regione del nord-est, non attende i tempi burocratici per aderire alla nuova iniziativa di Maroni.
Con il ministro dell'Interno «abbiamo già un incontro» e «stiamo valutando le soluzioni migliori per l'eventuale attivazione nella nostra Regione di un nuovo Centro di identificazione ed espulsione».
«Da parte nostra - sottolinea Zaia - c'è la massima collaborazione con il Governo nelle politiche di contrasto all'immigrazione clandestina, unica garanzia di sicurezza per i cittadini e di autentica integrazione e coesione sociale».



Maroni, quattro nuovi Cie entro l'anno

Avvenire, 27-05-2010
ROMA- Entro la fine dell'anno si avveranno i lavori per la realizzazione di quattro nuovi Centri di identificazione ed espulsione (Cie) in Veneto, Toscana, Marche e Campania. Lo ha annunciato ieri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso del question time alla Camera, sottolineando che l'obiettivo del governo è quello di realizzare un Cie in ogni regione italiana entro la fine della legislatura. Per un contrasto adeguato all'immigrazione clandestina, ha detto Maroni, «occorre potenziare i Cie. Oggi ce ne sono 13, in 9 regioni, con 1.811 posti», che «sono insufficienti per gestire l'azione di contrasto». Dunque, ha proseguito Maroni, «entro quest'anno cominceremo la costruzione» nelle quattro regioni. «Abbiamo già individuato le aree, vicino agli aeroporti, in strutture dismesse che vanno ristrutturate. Nei prossimi giorni - ha concluso il titolare del Viminale - incontrerò i presidenti delle quattro regioni, per definire con loro le nostre proposte e decidere la sede più idonea».
Le prime risposte sono arrivate a stretto giro di posta. «Stiamo valutando, insieme con il Ministro Maroni, con il quale abbiamo già avuto un incontro, e con il territorio, le soluzioni migliori per l'eventuale attivazione di un Cie nella nostra regione» spiega il governatore Luca Zaia.
«Da parte nostra - ha aggiunto Zaia - c'è la massima collaborazione con il Governo nelle politiche di contrasto all'immigrazione clandestina, unica garanzia di sicurezza per i cittadini e di autentica integrazione e coesione sociale».
In Campania la pensano diversamente. «Ma se la nostra non è notoriamente terra di sbarchi di immigrati, perchè il ministro vuole aprire un Cie proprio qui?», si chiedono alcuni deputati campani del Pd.



Polemiche su progetto nuovo centro immigrazione in Campania

infoOGGI, 27-05-2010
ROMA - Il Ministro Roberto Maroni durante il question time alla Camera, ha annunciato l’inizio dei lavori per la realizzazione di quattro nuovi Centri di Identificazione e di espulsione in altrettante regioni italiane.Tra le regioni interessate, Veneto, Toscana e Marche, compare anche la Campania. Il Ministro degli Interni ha specificato che sono già state individuate le aree dove verranno realizzati, possibilmente vicino agli aeroporti e quindi lontani dai centri abitati.
I CIE sono, secondo Maroni, «l’unico mezzo per contrastare adeguatamente il fenomeno dell’immigrazione clandestina».Il ministro ha annunciato inoltre, che il governo prevede la creazione di un centro per ogni regione entro la fine della legislatura.
In seguito alle dichiarazioni del ministro, le polemiche non si sono fatte attendere. Un gruppo di deputati del Pd campano, ha sollevato alcune domande in merito al fatto che la Campania, notoriamente, non è mai stata protagonista di grandi sbarchi di clandestini. I deputati considerano questo provvedimento riflesso della politica del governo in merito al problema dell’immigrazione clandestina:«L’immigrato, infatti, per questo governo, non è considerato una fonte di arricchimento,bensì un problema da risolvere».Il ministro Maroni, ha però annunciato che queste proposte saranno prima discusse con i neo presidenti di regione.



Maroni: "Un Cie in Toscana" Quasi certo che sarà a Prato

la Repubblica Firenze, 27-05-2010
Michele Bocci
«Entro fine anno un Cie anche in Toscana». Il ministro dell´Interno Roberto Maroni accelera sui centri di identificazione ed espulsione degli immigrati. La nostra regione è tra le quattro dove vuole aprire una nuova struttura. Lo ha detto ieri, assicurando che presto incontrerà il presidente Enrico Rossi. Ma dove verrà aperto il Cie? In Regione si stanno valutando varie ipotesi. La più probabile è quella che riguarda l´area di Prato.
segue dalla prima di cronaca)
La città è vicina ad un aeroporto, quello di Peretola, come previsto dal ministero. Di recente lo stesso Maroni si è fatto vedere un paio di volte, per parlare di un patto istituzionale per la sicurezza e la legalità in riferimento soprattutto alla questione cinese. Non è escluso che già allora, sempre in tema di immigrazione, si sia ipotizzata la costruzione di un Cie. In un´occasione il ministro ne avrebbe anche parlato anche con Enrico Rossi. Il presidente della Regione, come è noto, non è contrario ai centri di identificazione a patto che siano gestiti dal volontariato. In Toscana si è sempre detto di non volerli proporre autonomamente ma di essere pronti a rispondere ad una proposta di Roma. Ebbene, ieri questo passo è stato fatto, anche se in Regione non è arrivato niente di ufficiale: Maroni è stato chiaro durante il question time alla Camera: «Occorre potenziare i Cie. Entro l´anno cominceremo la costruzione nelle quattro regioni. Abbiamo già individuato le aree, vicino agli aeroporti, in strutture dismesse da ristrutturare. Nei prossimi giorni incontrerò i presidenti, per definire con loro le nostre proposte e decidere la sede più idonea». Prato ha un´altra caratteristica da non sottovalutare: è amministrata da una giunta di centrodestra. Proprio contro i Cie, sabato scorso è stato fatto un attentato alla Misericordia di Rifredi: sono stati distrutti due mezzi e imbrattate due ambulanze. L´associazione gestisce tre centri in altre regioni.



FARE LA PACE, A MILANO
Compie vent'anni il Centro che per primo al mondo fece sedere l'uno di fianco all 'altro un israeliano e un palestinese

Corriere della Sera Sette
Stefano Jesurum
I proximity talks tra israeliani e palestinesi voluti da Obama riaprono una stagione di illusioni e probabili docce fredde. Un buon antidoto scaramantico può essere allora fare gli auguri al Cipmo (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) che compie già vent'anni. Auguri al microcosmo di un'Italia coraggiosa che alla pacificazione mediorientale si dedica dal novembre 1989. Motore del tutto è l'instancabile Janiki Cingoli, che alla passione per gli Affari esteri fu educato dall'attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Di Cingoli e dei suoi la scelta di non essere né lobby fìlo-israeliana né lobby filo-palestinese.   Sua l'invenzione della "equivicinanza", ovvero   non   tanto l'equidistanza impossibile sulla necessità che l'occupazione debba finire e che la sicurezza di Israele debba essere garantita, quanto l'esigenza assoluta di partire dalle sofferenze e dai bisogni profondi dei due popoli. Chi s'interessa di queste vicende ricorda con emozione i lavori di apertura: una settantina di personalità israeliane, palestinesi, arabe; la rottura del "tabù dei tabù" (la legge di Israele impediva infatti ai suoi cittadini di incontrare  esponenti dell'Olp). Alla fine, invece, Shulamit Aloni e Aryeh Lova Eliav, membri della Knesset, se ne stavano seduti a fianco di Yasser Abed Rabbo dell'Olp, e Cingoli in mezzo a fare, come scherzò Shulamit, da chador, permettendo così che i nemici stessero allo
stesso tavolo.
In seguito gli incontri con i palestinesi detti "dell'interno", guidati dal loro leader Feisal El Husseini, scomparso nel 2001. E ancora altre due conferenze, '91 e '93, nelle quali si crearono contatti utili ai fini dei negoziati segreti di Oslo. E decine e decine di incontri, piccoli e riservati, seminari di poche persone su temi specifici connessi al negoziato finale, tipo il problema di Gerusalemme. Nel '98 il clamoroso incontro tra Likud e Fatali, prima volta al mondo: capi delegazione Meir Sheetrit, poi ministro degli Interni israeliano, e Marwan Barghouti, naturo leader della seconda Intifada ora in carcere. Fu in quelle ore che si aprì il canale tra Arafat e Netanyahu per arrivare agli accordi di Wye Plantation e al parziale ritiro da Hebron. Oggi tutti sappiamo com'è possibile fare la pace, ma anche quanto sia difficile. Al Cipmo ( www.cipmo.org}, nel pieno centro di Milano, sono testardi e continuano a credere che «costruire anche un centimetro verso la pace sia la cosa più importante che un essere umano possa fare». Buon compleanno Cipmo. 4r Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.



Per Fini solo pregiudizi sui rumeni
Presenta un libro con Amato e Manconi. Stoccate sui politici corrotti

laDiscussione, 27-05-2010
Francesca di Matteo
Ribadisce la sua posizione e la distanza da una maggioranza di governo di cui al momento fa ancora parte. Gianfranco Fini non perde di certo occasione per rimarcare un divario che pare sempre più segnato da divergenze impareggiabili che incidono su visioni tematiche a dir poco basilari quali corruzione, immigrazione e «stile di vita delle classi dirigenti».
Ieri un cenno decisamente forte, il presidente della Camera lo ha lanciato in occasione della presentazione del libro di Alina Harja e Guido Melis dedicato ai romeni che vivono e lavorano in Italia.
Seduto al tavolo della sala di Montecitorio con uomini etichettabilissimi, quali Giuliano Amato e Luigi Manconi insieme ai quali ha presentato il libro, l'ex vicepre-sidente del Consiglio dei ministri che a quei tempi aveva varato insieme al leader leghista la famosa legge Bòssi-Fini, torna a parlare di immigrazione, rispetto della legge e corruzione.
Con una difesa al popolo romeno che ha dato «un importante contributo culturale all'Europa», il presidente della Camera solleva molteplici questioni.
Innanzitutto «è lecito chiedersi come mai l'opinione pubblica italiana tenda a dimenticare che parliamo di cittadini che già fanno parte dell'Unione europea e che quindi provengono da un paese che condivide con il nostro una grande prospettiva di costruzione politica, economica e civile». Ma non solo.
Gianfranco Fini si domanda «come mai questa opinione, soprattutto nelle fasce più alte, raramente ricordi l'apporto che la cultura romena ha fornito alla più vasta cultura europea», si pensi «soltanto a Mircea Eliade e a Eugene Ionesco, grandi intellettuali romeni che hanno vissuto in esilio per non sottostare alla dittatura comunista».
Dall'imperatore Traiano al poeta Ovidio entrambi «parte integrante della cultura nazionale romena», breve è stato il passo ai suoi trascorsi in particolare «quando i giovani di destra italiani incontravano negli anni 70 e '80 gli intellettuali romeni in esilio».
Il problema resta invece - e qui il tono si è fatto più acuto - il pregiudizio che «circonda oggi i romeni ed in generale tutti gli immigrati» perchè sottolinea Fini «c'è innanzitutto un vuoto di memoria culturale che riguarda la politica e l'informazione non meno che la società».
Una società che manca di modelli di riferimento corretti tant'è che resta attualmente complicato per il presidente della Camera «chiedere ai cittadini di rispettare una gerarchia di doveri e la rinuncia a comportamenti illegali» se la percezione che i cittadini stessi hanno della vita reale è quella «che esistono varie zone di corruzione anche presso l'elite politica e amministrativa». Non «dobbiamo stupirci - sottolinea la terza carica dello Stato - se alla base della società si diffondono poi fenomeni di illegalità».
La soluzione a questo punto dov'è? Nell'abbattimento di tutti quegli «stereotipi vergognosi partoriti - secondo Fini -da un sistema di informazione superficiale» che in tale modo non combatte «l'associazione tra criminalità e immigrazione che può insinuarsi in alcuni settori della popolazione e dell'opinione pubblica».



FINI DEMAGOGICO: NO A IMMIGRATI ASSOCIATI A CRIMINALI

laPadania, 27-05-2010
Il presidente della Camera Gianfranco Fini  riprende con la sua battaglia demagogica contro «l'aberrante associazione tra criminalità e immigrazione» che può pericolosamente fare breccia nell'opinione pubblica. È il dovere che, secondo il presidente della Camera, spetta alla politica e all'informazione perché è vero che la «conoscenza vince il pregiudizio». Il cofondatore del Pdl dimentica che i più legano non l'immigrazione in quanto tale ma la clandestinità alla criminalità e aggiunge che «alla base dei pregiudizi che circondano oggi i romeni e in generale verso tutti gli immigrati, c'è innanzitutto un vuoto di memoria culturale che riguarda la politica e l'informazione, non meno che la società»



Sentenza del tribunale di Torino
Romena violentata da due stranieri, risarcisce l'Italia

il Giornale, 27-05-2010
Simona Lorenzetti
Torino - La sentenza è di quelle storiche, ma anche di quelle destinate a far discutere. Per la prima volta in Italia lo Stato, o meglio la presidenza del Consiglio dei ministri, è stata condannata da un tribunale civile a risarcire una giovane donna romena, vittima di uno stupro, al posto dei suoi aguzzini che sono latitanti. Negli ultimi tempi i tribunali ci hanno raccontato di istituzioni, come le Regioni o i Comuni, che si costituiscono parte civile nei confronti di delinquenti responsabili di crimini violenti o di crimini che comunque hanno destato particolare allarme sociale, come nel caso dell'omicidio Reggiani a Roma. Qui ci troviamo nella situazione opposta, in cui è lo Stato a pagare al posto dei criminali e tutto per colpa di quell'incertezza della pena insita nella giustizia italiana che ha permesso ai giudici di concedere ai due stupratori, dopo un breve periodo di custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari dai quali sono evasi per darsi alla macchia in barba alla giustizia.
La sentenza è stata emessa nei giorni scorsi dal giudice del tribunale civile di Torino, Roberta Dotta, che ha stabilito come risarcimento la cifra di 90mila euro, 40mila euro in più rispetto alla provvisionale stabilita dai giudici penali al momento della condanna dei due stupratori. La tesi giuridica che sta alla base della sentenza va ricercata in una direttiva europea datata 2004, recepita in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia, nella quale si dice che lo Stato deve prevedere un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nel territorio da persone di qualsiasi nazionalità se gli autori dei reato non hanno le condizioni economiche o si sono resi latitanti. A portare la presidenza del Consiglio dei ministri davanti ai giudici civili sono stati i legali Renato Ambrosio e Stefano Commodo. La storia della giovane studentessa romena è emblematica e rientra, così come riconosciuto dal giudice, a pieno titolo nella casistica evidenziata nella direttiva europea. «L'Italia - commenta Renato Ambrosio - è inadempiente da molti anni. Grazie a questa sentenza, che giunge al termine di una causa pilota, adesso dovrà provvedere». Una sentenza che per lo Stato italiano potrebbe aggravarsi di un'ulteriore beffa: se il Parlamento non provvederà in tempi brevi a recepire la direttiva e a creare un Fondo di sostegno per le vittime dei reati violenti, potrebbe infatti ritrovarsi a essere citato in sede civile per reati mai risarciti avvenuti oltre trent'anni fa. Se invece con una legge verrà creato il Fondo, la retroattività varrà solo fino al 2005. Resta comunque il fatto che lo Stato pagherebbe per i crimini che non ha commesso al posto di delinquenti che si dichiarano nullatenenti o che si sottraggono alla giustizia. E lo studio Ambrosio e Commodo ha già altre cause analoghe in corso. Resta ancora una ferita aperta però: il fatto che i due stupratori siano tuttora in libertà. Condannati a 14 anni di reclusione in primo grado, sono infatti fuggiti all'estero ben prima della sentenza di appello che ha ridotto loro la pena a dieci anni e sei mesi. Sentenza confermata proprio lo scorso 12 maggio in Cassazione. Amara la soddisfazione dei genitori della vittima, come spiega il loro avvocato penalista Francesco Bracciani: «Sono una famiglia semplice che non ha mai avuto sete di vendetta, ma di giustizia. Sono soddisfatti, ma niente potrà cancellare la sofferenza patita». Adesso non resta che mettere la parola fine con la cattura dei responsabili. «Abbiamo ottenuto una condanna penale pesante - aggiunge il penalista -e ora siamo sicuri che presto verranno arrestati e sconteranno tutta la pena».



ROMENI E REATI
Ma i dati smentiscono il presidente

laDiscussione, 27-05-2010
Un terzo circa dei reati in Italia viene commesso da immigrati clandestini. Il dato è stato diffuso dal capo della Polizia, Antonio Manganelli.
«Secondo i dati di maggio - ha detto Manganelli - la popolazione carceraria è formata per il 38 per cento da immigrati clandestini e nella media nazionale un terzo degli autori di reato è un clandestino».
Non solo. «In certi parti d'Italia -evidenzia il capo della Polizia - il rapporto poi tra reati e immigrazione clandestina è del 60-70 per cento. Si tratta del più grave fenomeno registrato dagli anni '90 dopo la criminalità mafiosa».
Qualche altro dato. Nel 2008 le violenze sessuali sono diminuite dell'8,4 per cento; nel triennio 2006-2008 queste sono state commesse nel 60,9 per cento da italiani, per il 7,8 da romeni e per il 6,3 per cento da marocchini.
Ma i romeni presenti nel nostro Paese sono circa un milione, pari cioè all'1,5 per cento, più o meno, della popolazione. Perché questa minoranza esprime una propensione così alta (7,8%) a un certo tipo di reati?
Lo stesso discorso vale per i marocchini, che sono anche di meno rispetto ai romeni. Non è un discorso razzistico, ma culturale: a Sud e Est dell'Italia ci sono Paesi in cui la considerazione e il rispetto per le donne sono più bassi che da noi, dove del resto abbiamo ancora tanto da imparare. È un dato di fatto, non un'opinione, tantomeno un pregiudizio o uno stereotipo.
A dispetto delle cifre, sull'Italia vengono riversate accuse di xenofobia. Ma il 40 per cento dei ricercati romeni colpiti da mandato di cattura valido a livello internazionale si trovano presumibilmente in Italia.
Il nostro governo ha chiesto a Bucarest di segnalare alle autorità italiana di pubblica sicurezza i romeni con precedenti penali che si apprestano ad emigrare nel nostro Paese, ma il ministro degli Esteri romeno ha risposto che non intende ostacolare in alcun modo la libertà di movimento dei suoi connazionali.
Eugene Terteleac, presidente dei romeni in Italia, ha detto: «Da voi c'è poca severità, siete una calamita per i delinquenti». Forse ora un po' di meno.



LIBIA, NESSUNA TORTURA NEI NOSTRI CAMPI. NON SOLO REPRESSIONE

ASCA, 27-05-2010
Tripoli, -Nei 18 campi di trattenimento per immigrati della Libia non avvengono episodi di violenza o, peggio, di tortura ai danni dei clandestini. Anzi, il governo di Tripoli ''si sente solidale con quanti sono costretti a lasciare le proprie terre per i motivi piu' diversi nella convinzione che non solo la repressione e le misure di polizia o i respingimenti possono risolvere questo problema, spesso drammatico''. A voler smentire gli allarmi e le accuse rivolte al governo libico sul fronte dei diritti umani, lanciati da diverse organizzazioni internazionali, soprattutto dopo i casi di respingimenti da parte italiana nel Mediterraneo, con relativo riaccompagnamento in Libia, e' il segretario per gli Affari esteri del Congresso generale del Popolo (il Presidente della Commissione esteri) Suleiman Shuhumi.
Lo stesso Shuhumi ha avuto un lungo colloquio a Tripoli con la delegazione di parlamentari del Comitato parlamentare Schengen giunta da Roma per affrontare con le autorita' libiche le questioni legate all'immigrazione, soprattutto dopo gli accordi stipulati con il paese nordafricano nel 2008. Accordi che lo stesso Shuhumi ha definito ''importanti'' e che hanno permesso in questi mesi di riaccompagnare moltissimi immigrati nei loro paesi e che ''hanno aiutato molto l'Italia con una drastica riduzione dei flussi verso le sue coste, come piu' volte ammesso dallo stesso Governo di Roma''.
Ma lo stesso esponente del governo libico ha subito sostenuto che ''le misure, di polizia da sole, non bastano come non bastano i respingimenti. Mi pare - ha aggiunto Shuhumi - che occorra, invece, porre in essere misure per scoraggiare queste persone a partire e a lasciare il loro paese di origine. Quindi servono anche interventi nei paesi di origine come creare opportunita' di lavoro per queste persone''.
Per quanto riguarda, invece, il tema specifico dei diritti umani nei campi libici da parte di Tripoli si respinge ogni addebito. ''Sono accuse completamente da respingere perche' non hanno alcun fondamento - ha detto il Presidente della Commissione esteri del governo libico -.
Anzi, per motivi umanitari, ci sentiamo vicini a queste persone che spesso corrono dei rischi mortali nei loro spostamenti. In Libia non potrebbe esistere un elemento che richiami alla tortura. E' possibile verificare sul posto la situazione come hanno potuto fare diverse organizzazioni internazionali. E' chiaro - ha poi aggiunto il rappresentante del governo libico - che non si tratta di alberghi a cinque stelle ma il trattamento riservato agli immigrati nei nostri centri e' assolutamente dignitoso''.
Tecnicamente, si fa notare da parte libica, gli immigrati che giungono illegalmente in Libia, vengono trattenuti nei campi per il riconoscimento (''che non e' sempre facile'') e rimandati nei loro paesi dopo i contatti diplomatici di rito, ''quando questo e' possibile. Le norme libiche non indicano tempi certi per il trattenimento - ha ricordato Shuhumi - noi tentiamo di individuare la nazionalita' di queste persone in collaborazione con le diverse ambasciate. Ma ci sono casi in cui non vengono riconosciuti o non si vuol farsi riconoscere.



OIM, FASE TRANSITORIA NELLE ROTTE DEI CLANDESTINI

ASCA, 27-05-2010
Tripoli, - L'impegno degli organismi internazionali presenti in Libia, in questo momento, e' quello di creare maggiori standard nei campi per immigrati nel paese Nordafricano mentre le rotte che transitano in questo paese, di fatto quasi azzerate, si stanno riorganizzando verso altri canali. A fare il punto sulla questione dei flussi migratori dal Nord Africa verso l'Europa, e l'Italia in particolare, e' Laurence Hart, capo della Missione Oim in Libia.
L'organizzazione per i migranti delle Nazioni unite e' una delle poche realta' umanitarie ammesse ed operanti nel paese.
''Certamente - ha ammesso Hart - i respingimenti dall'Italia hanno provocato problemi anche qui, soprattutto con il crescere del sovraffollamento nei campi che, pero', si sta cercando di risolvere con il passare dei mesi''.
In Libia, in questo momento, esistono 18 campi di raccolta per gli immigrati, che vanno dai 400 ai mille posti.
Tra i piu' importanti, quello di Twisha, non distante dalla costa libica, vero e proprio centro di smistamento per quanti cadono nella rete della polizia libica e che stamane sara' visitato da una delegazione di parlamentari italiani del Comitato Shengen. Una visita che, pero', e' stata negata ai giornalisti italiani che hanno seguito fin qui i parlamentari.
''I migranti che giungono fino in Libia nella speranza di poter arrivare in Europa - ci dice il rappresentante Oim - provengono in buona misura dal Corno d'Africa: Somalia, Eritrea ed Etiopia ma anche dal Sud Sudan. Sono, percio', persone che richiedono asilo. La maggioranza, invece, sono i cosiddetti migranti per motivi economici e partono da paesi come il Ghana, la Nigeria o il Senegal ma anche da altri paesi Nord Africani''.
''Certamente - ammette Hart - oggi c'e' maggiore volonta' politica da parte del governo libico di esercitare un controllo su questi flussi anche perche' la Libia sta negoziando importanti trattati di cooperazione con l'Europa e vuole dimostrarsi piu' affidabile''.
Ma se grazie anche ai controlli che si sono fatti piu' serrati, sia via terra che via mare, i flussi migratori si sono quasi bloccati in terra libica, si stanno riorganizzando cercando altre, piu' sicure rotte. ''Ricordo sempre - dice Hart - che quelli via mare rappresentando solo il 10-15% degli arrivi in territorio europeo, anche se sono, in qualche misura, i piu' ''spettacolari'. Oggi, direi, che siamo in una situazione di transizione. Qui si sta certamente chiudendo un boccaporto ed altre rotte non sono state ancora definite. Mi giunge notizia di tentativi che vedono, addirittura, il transito via Israele, anche se questa rotta mi sembra obiettivamente difficilmente praticabile''.
Ma cosa accade ai immigrati giunti in Libia'? Il rappresentante Oim e' molto prudente. ''Certamente centri come, ad esempio, Lampedusa sono molto piu' strutturati di quelli locali. Il nostro sforzo e' di far entrare in questi campi con sempre maggiore frequenza i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie e della societa' civile per controllarne standard e gestione. Ma siamo solo all'inizio...''.
Quello del governo libico verso i migranti viene definito da Hart un approccio ''pragmatico'' soprattutto per quanto riguarda alcune categorie come i sudanesi e i palestinesi i quali attualmente viene concesso un ''permesso di residenza non dissimile a quello accordato ai cosiddetti immigrati economici.
''Con l'aiuto degli altri organismi internazionali - ci tiene a sottolineare il rappresentante Oim in Libia - stamo cercado soprattutto di razionalizzare i centri per immigrati, destinandone alcuni alle sole donne e utilizzandone altri per lo smistamento. Tuttavia le violazioni dei diritti umani in queste strutture non rispondono ad una strategia del governo libico ma sono legati proprio ai problemi di sovraffollamento e ad una gestione, a volte, poco razionale dei centri stessi''.
Cautela anche sulla recente legge sull'immigrazione che la Libia ha approvato. ''Certo, si tratta di un passo importante perche' il corpus giuridica precedente era peggiore. - sottolinea Hart - L'introduzione, ad esempio, del reato di tratta e' importante perche' la vittima potrebbe godere di un diverso status giuridico. Ma poi resta il problema dell'applicazione di queste normative. Insomma, e' un primo passo''.



Assegno di invalidità anche agli stranieri senza permesso

laPadania, 27-05-2010      
MARCELLO RICCI
Ottenere l'assegno di invalidità e tutti i benefici correlati e connessi per stranieri presenti in Italia anche se privi del permesso di soggiorno, sarà ora possibile. L'ha deciso la Corte Costituzionale con una sentenza che è in corso di pubblicazione. È stata una decisione non unanime, ma a maggioranza e molto combattuta. Ha prevalso il diritto o la ragione politica che usa come strumenti di lotta tutto e di più, spaccando il capello in quattro e calpestando il buon senso? Mentre si spostano le finestre per i pensionamenti per anzianità si apre la voragine degli assegni d'invalidità per gli immigrati senza requisiti. È difficile individuare i mezzi per contenere e bilanciare i danni che questa sentenza produrrà.
In un momento di crisi, ulteriori danni economici sono una iattura. Di certo per il bilancio dell'Inps si aprono fosche prospettive. Il clima gradevole e la possibilità di vivere di rendita attirerà una massa di disabili. Si avrà un incremento di migranti invalidi, che costeranno molto di più dei falsi rifugiati pòlitici. Inutile inoltrarsi e impelagarsi nelle sottigliezze giuridiche sull'art. 117 della costituzione e sull'art. 24 della Convenzione sul godimento dei diritti. La Corte Costituzionale, o meglio parte di essa, non ha tenuto conto del motto citato da Tremoliti:  Primum vivere deinde philosophari {prima la vita, poi la filosofia). In coerenza con un filone di pensiero più politico che giuridico, i giudici hanno reso privo di efficacia un articolo della legge del 28/12/2000 che subordinava il diritto all'assegno di invalidità al possesso del permesso di sog giorno. Si avrà un mercato per gli assegni d'invalidità che vedrà mobilitati consulenti del lavoro e avvocati antistatari (anticipatori), che prima faranno fronte alle spese, poi con ferrei patti leonini divideranno i benefici economici con lo straniero invalido. È urgente rivedere una Costituzione che produce frutti velenosi. Prima che il Paese ne muoia per avvelenamento, deve essere rivista la catena dei pesi e contrappesi. Fu scritta dopo una guerra perduta e con il timore che potesse rinascere il fascismo. Da quell'epoca storica, si è molto lontani. Il sistema del bicameralismo perfetto deve essere diversamente usato, la composizione e i poteri del Csm devono subire modifiche e così anche il criterio di elezione dei giudici costituzionali. Questo Paese è fatto di cittadini o di popolo- bue? Nel meridione non ci sono più i cafoni (con la fune al collo) e nel settentrione ci sono i padani, che sono sempre stati cittadini e come tali si sono sempre comportati. Non si può essere padroni a casa propria, se un potere dello stato crea situazioni economiche-sociali-politiche fonti di diseguaglianze e altresì di frodi.



Immigrati ma in Servizio Civile

La Stampa.it, 27-05-2010
Il Comune di Torino, unico in Italia, da due anni ha attivato un servizio civile volontario per ragazzi stranieri: nel giorno in cui scade il termine per iscriversi al terzo bando, raccontiamo le storie di due giovani che hanno già approfittato di questa opportunità
DA WWW.DIGI.TO.IT - GERI ZHEJI BALLO E MATTEO ZOLA
A Torino il Servizio Civile si apre all’integrazione: da due anni infatti 20 posti sono destinati a giovani immigrati di età compresa tra i 18 e i 25 anni compiuti, che non possiedono la cittadinanza italiana e sono residenti o domiciliati in città. Oggi scade il termine per la presentazione delle domande per il terzo bando, i cui volontari inizieranno a settembre.
Con l’attivazione del Servizio Civile per Giovani Immigrati, fortemente voluto dall’Assessore alle Politiche per l’integrazione Ilda Curti, la città intende dare concretezza a forme di inclusione sociale rivolte ai nuovi cittadini torinesi che non hanno la possibilità di partecipare come volontari al Servizio Civile Nazionale e offrire ai giovani immigrati un’esperienza di partecipazione attiva alla vita sociale e culturale della città in cui vivono e un’occasione di crescita umana e professionale.
UTILI ALLA (NON SOLO PROPRIA) COMUNITA’
E l’obiettivo sembra raggiunto. Said Hadine è uno dei giovani stranieri che stanno svolgendo il servizio civile in questa sua seconda edizione: «Sono sempre stato attivo nel sociale, già prima collaboravo con alcune associazioni, poi un’amica che l’ha fatto l’anno scorso me ne ha parlato e ho deciso di partecipare».
Sono molte le attività che Said svolge tramite il Servizio Civile: «Anzitutto partecipo alla redazione di un TgWeb giornaliero, promosso dal Comune, che va in onda in quattro lingue». E si tratta di un’attività giornalistica a tutti gli effetti: «Facciamo una riunione di redazione durante la quale scegliamo le notizie e che taglio usare. E siccome si tratta di notizie che spesso riguardano gli stranieri, il lavoro che svolgo mi avvicina ancora di più alla mia comunità».
Nelle 20 ore settimanali in cui si struttura il Servizio, solo 8 le passa in redazione: «Le altre le faccio in Questura, allo Sportello Immigrazione. Infine collaboro l’associazione “Il nostro pianeta”, in un progetto di orientamento scolastico per i ragazzi stranieri di seconda generazione». 
VALORIZZARE LA FIGURA DELL’IMMIGRATO
Anche il giudizio di Bruna Hysenaj, ragazza albanese che ha partecipato due anni fa al Servizio Civile per stranieri, è positivo: «E’ stato un periodo di formazione che mi ha messo ancor più in contatto con la mia comunità. In questo modo sono riuscita a valorizzare la mia figura di immigrata». Anche il lavoro di Bruna era composito: «Facevo parte di un gruppo di documentazione sui temi del razzismo, di cui abbiamo analizzato le dinamiche e i fattori sociali che lo determinano. L’esito di questo studio è stato un video sul tema della paura verso gli immigrati. E per realizzarlo ho personalmente partecipato alle riprese e al montaggio».
A questo progetto, di vera e propria comunicazione sociale, si è accompagnato il lavoro presso l’associazione “Vatra”: «E’ un’associazione culturale italo-albanese. Tramite Vatra sono andata, con altri ragazzi del Servizio Civile, in Albania. Lo scopo era di individuare luoghi d’interesse storico o naturalistico al fine di produrre una guida turistica. E’ stato un viaggio di venti giorni che mi ha permesso di visitare luoghi del mio Paese che non conoscevo».
Oggi Bruna ha messo a frutto l’esperienza del Servizio Civile: «Con altri ragazzi che parteciparono alla prima edizione abbiamo fondato un’associazione, Turin World People, di cui sono vice-presidente, con lo scopo di connettere tra loro persone di tutto il mondo che si trovano qui».



La provincia di Prato salva grazie agli immigrati

ToscanaTV, 26-05-2010
Salva per un soffio dalla scure del governo che cancella le province con meno di 220mila abitanti. Quella di Prato ne conta 246mila ma scenderebbe sotto la soglia se non fosse per i circa 30mila immigrati
Prato provincia ringrazia gli immigrati, perche' se non fosse per loro tornerebbe indietro di diciotto anni e addio alla sigla PO. La manovra del Governo lo dice chiaro: abolite le province con meno di 220mila abitanti. Quella di Prato ne conta 246.034 al 31dicembre 2009 e per scendere sotto la soglia fissata dal Governo e' sufficiente togliere i 26.317 immigrati residenti nel comune di Prato. Ma si sa che di comuni ce ne sono altri sei (Montemurlo, Vaiano, Vernio, Cantagallo, Carmignano e Poggio a Caiano) e allora ecco che un ulteriore calcolo sarebbe solo la drastica conferma di un fatto: la provincia di Prato si salva per un soffio dal colpo di spugna del Governo. Merito dell'esercito degli immigrati perche' se altre province con meno di 220mila abitanti si salvano perche' confinanti con stati esteri o perche' appartenenti a Regioni a statuto speciale, Prato nemmeno in questo avrebbe potuto sperare. Come dire: se l'e' vista brutta, ma e' ancora viva. Istituita nel 1992 dopo decenni di battaglia per l'autonomia da Firenze, la provincia di Prato e' una tra le piu' piccole per dimensioni in Italia e al contempo tra le piu' densamente popolate. Qui l'incidenza degli stranieri e' tra le piu' alte d'Italia. Fortunatamente. Da oggi c'e' da dire cosi'.



'Taliban ai corsi di pronto soccorso" bufera sulla Croce rossa: ma noi curiamo tutti

la Repubblica, 27-05-2010
KABUL — Polemica sulla Croce Rossa in Afghanistan. L'organismo umanitario, infatti, ha allestito corsi di pronto soccorso aperti anche ai militanti Taliban, una decisione che ha scatenato le ire del governo locale di Kandahar (una delle città più colpite dalle azioni della guerriglia). Da Ginevra, però, la Croce Rossa difende il suo programma, spiegando che quello di insegnare le basi del soccorso medico «è il cuore del nostro mandato». Il corso di formazione ha fin qui addestrato 100 agenti delle forze di sicurezza afgane, 70 Taliban e molti autisti di taxi, coinvolti spesso nel trasporto di feriti.



Problema immigrazione, Cattivi esempi americani
L'Arizona, i clandestini e la lattuga

il Sole, 27-05-2010
Guido Bolaffi
Dopo i clandestini, l'Arizona deve adesso fare i conti con la lattuga. Visto che la durissima legge contro gli immigrati irregolari, varata il 23 aprile dal governatore repubblicano signora Jan Brewer, rischia di trasformarsi in un micidiale boomerang per la più fiorente e ricca produzione agricola dello stato. In queste terre, si coltiva, impacchetta e commercializza, in tandem con la California, il 95% di tutta la lattuga americana. Un primato mondiale di 5omila tonnellate, secondo solo a quello della Cina. Che per le tasche dei farmer dell'Arizona vale 1 miliardo di dollari l'anno.
Salvo, e qui nasce il problema, poter disporre della mano d'opera poco costosa e assolutamente insostituibile dei braceros messicani senza documenti. Che formano un vero e proprio esercito, stimato dal Department of Labor in 2,5 milioni, fatto di pendolari che attraversano ogni giorno il confine in mezz'ora di bus. Ma, soprattutto, da uno sterminato stuolo di stagionali che da ottobre a marzo, i mesi d'oro della prelibatissima lattuga iceberg, vivono a Yuma e dintorni accampati nelle roulotte appositamente predisposte dai proprietari agricoli.
Molti dei quali hanno cominciato la scorsa settimana a protestare contro un provvedimento a loro parere rischioso,. Un malcontento raccolto dalla potentissima Western Growers Association, il sindacato del 90% dei produttori agricoli di California e Arizona, secondo cui la messa in fuga della manodopera illegale rischia di mettere in pericolo gran parte della produzione che, non raccolta, è destinata a marcire nei campi. Il ricatto classico dei poteri forti quando vengono toccati negli interessi o l'eterogenesi di una crociata sbagliata contro i clandestini?
L'uno e l'altra. Ma se le ragioni del primo sono chiare, è su quelle della seconda, invece, che bisogna riflettere. Cercando di capire perché anche il recente, rumoroso ukase lanciato dall'Arizona rischia di finire affossato, come già accaduto ad altri in passato, dalle sue stesse interne contraddizioni. Non si può infatti annunciare la messa al bando dei clandestini senza prima fare i conti con le ragioni economiche della loro presenza. Tutte riassumibile nel semplice fatto che il lavoro straniero illegale dà una risposta, distorta ma reale, a una domanda del mercato. Che in set¬tori fondamentali come l'agricoltura, l'edilizia e, soprattutto, i servizi ha un insaziabile bisogno di braccia disponibili per impieghi pochissimo qualificati. Introvabili sul territorio nazionale e che le politiche d'immigrazione anziché agevolare fanno di tutto per trasformare in un vero e proprio frutto proibito.
Il problema sta tutto qui. L'immigrazione clandestina non solo consente enormi guadagni agli imprenditori, ma offre loro ciò che non offre quella legale. Una forma di risposta just in time, deviata e alterata quanto si vuole, alle necessità dell'economia. Tant'è vero, ricordava T. Jacoby su Foreign Affairs del novembre 2006: «Se il Messico si trasformasse per miracolo in una nuova Svizzera, resterebbe comunque la necessità per gli Usa di reperire da qualche altra parte del mondo la manova¬lanza di cui abbisognano».



La guerra dei passaporti nell'Ue
Crisi fra Budapest e la Slovacchia per la cittadinanza

la Repubblica, 27-05-2010
Andrea Tarquini
BERLINO—Drammatica escalation della tensione tra Slovacchia e Ungheria. Un confronto ogni giorno più duro tra i due paesi pesa sull'Unione europea e sulla Nato, di cui entrambe le giovani democrazie fanno parte, ed evoca i sinistri ricordi degli odii etnici tra Stati nazionali o multinazionali europei dei due secoli passati. Ieri 0 Parlamento di Budapest, con 344 voti contro 3 — un'unanimità da emergenza nazionale o che ricorda sistemi politici particolari — ha approvato l'annunciata legge che permette la concessione unilaterale della cittadinanza ungherese ai circa 3,5 milioni di persone di lingua, cultura o discendenza magiara viventi oltre confine. Immediata, e durissima, la reazione della Slovacchia, dove è di orìgine ungherese il 10 per cento della popolazione: un decreto legge governativo, approvato dai legislatori in seduta straordinaria, ha stabilito che chi chiederà la cittadinanza magiara perderà quella slovacca. Perderà anche il posto di lavoro, se impiegato nella funzione pubblica, o ogni mandato politico, dal Parlamento ai Comuni.
Forse mai prima d'ora, con l'eccezione della crisi che portò alla fine violenta della Jugoslavia, una crisi di tale gravità, e motivata da serie divergenze su nazionalità e cittadinanza, ha opposto
dopo il 1989 della fine del comunismo due paesi dell'Europa centrale e centro-orientale. «Questa è una minaccia alla nostra sicurezza nazionale», ha detto il premier socialdemocratico slovacco, RobertFico. Aggiungendo che se un deputato chiederà la cittadinanza ungherese, oltre alla cittadinanza slovacca perderà anche il mandato. Chiunque scelga l'Ungheria dovrà dichiararlo, pena una multa di oltre 3000 euro. Reazione pesante, insomma, a
pochi giorni dalle elezioni politiche del 12 giugno. Peggio ancora, notano osservatori occidentali, la dura reazione slovacca alla legge ungherese, oltre ad esasperare le tensioni bilaterali, sul piano interno potrebbe finire per rafforzare il Partito nazionale slovacco (Sns), la forza tradizional-nazionalista di Jan Siota.
La crisi slovacco-ungherese si è acutizzata negli ultimi anni. Il nuovo partito di maggioranza relativa a Budapest, la Fidesz (centrodestra conforti toni di orgoglio nazionale) del futuro premier Viktor Orban, aveva promesso di varare in corsa la legge sulla doppia cittadinanza. La definisce conforme con la Convenzione sulle nazionalità del Consiglio d'Europa. Esponenti della maggioranza  ungherese  l'hanno spesso posta in relazione con la determinazione a «eliminare la vergogna del Trattato del Trianon», quello con cui alla fine della prima guerra mondiale l'Ungheria perse ampia parte del suo territorio. E simili dichiarazioni agitano lo spettro di pericolosi sogni di revisione delle frontiere postbelliche europee.
Bratislava non ci sta. Denuncia il carattere unilaterale e non negoziato, come si fa di solito in ambito europeo su tali temi, della scelta magiara. E dopo la dura reazione preannuncia ricorsi alle organizzazioni internazionali. Il rischio è che la Uè, già alle prese con l'emergenza del debito pubblico e la crisi dell'Euro, debba schierarsi e magari dividersi su una grave tensione in più. I più pessimisti ieri sera nelle due capitali parlavano persino del pericolo che gli slovacchi d'origine ungherese che chiederanno la cittadinanza magiara e perderanno quella slovacca finiscano per sentirsi ghettizzati, discriminati e respinti come accade nell' allora Jugoslavia all'etnia maggioritaria nel Kosovo.
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