Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 ottobre 2011

 

MAHMOUD AHMADINEjAD, presidente Iran: «La risoluzione Onu usata per saccheggiare il petrolio I libici si uniscano contro chi sottrae le loro risorse»
PHILIPPE KIRSCH, commissione Onu diritti umani: «Il Cnt e i vari gruppi armati in Libia devono evitare ogni rappresaglia su tutti i prigionieri sotto il loro controllo»
 «Clandestini, flusso senza controllo La polizia non ha né soldi né mezzi»
Rischio migranti, il prefetto di Trìpoli: per sei mesi frontiere incerte
Qn, IL GIORNO   il Resto del Carlino   LA NAZIONE
Lorenzo Bianchi 
TRIPOLI «TUTTA la baracca si regge sul volontariato. Ho 12.500 persone alle mie dipendenze, ma neppure un soldo per pagarle. I quattrini li riceverò dal nuovo governo, ma non prima di sei mesi. Solo allora la macchina comincerà a funzionare davvero». Muftah Abu Haktawah, 46 anni, di Bengasi, padre di due gemelli ed ex funzionario del ministero che controllava tutta la pubblica amministrazione, ora è il responsabile della sicurezza per la fascia costiera occidentale, dalla Tunisia fino a Bani Walid. Dipende dal ministero dell'Interno. Potremmo paragonarlo a un superprefetto.
Il suo grattacapo peggiore?
«La cura di 300 feriti gravi. Nella prigione di Ain Zara abbiamo circa novecento detenuti e cento persone che li controllano. Molti carcerati di colore erano mercenari. Lo prova il fatto che i loro passaporti li abbiamo trovati nelle caserme».
Oltre ai mercenari, ci sono anche clandestini?
«Certo. Venivano da noi senza nessun documento da Nigeria, Ciad, Sudan, Costa d'Avorio... ora vorremmo voltare pagina, autorizzare ogni singolo ingresso».
Però? «Il flusso di immigrati clandestini dalle frontiere sud è continuato fino alla liberazione di Tripoli, il 21 agosto, in pieno conflitto. Poi si è fermato. Nel caos forse sono saltati i collegamenti fra chi trasferiva i migranti e i proprietari delle barche che avrebbero dovuto portarli in Europa».
Ma la nuova Libia riesce a controllare le frontiere?
«Diciamo all'80 per cento. Ci mancano le auto, le divise, gli apparati per le telecomunicazioni. Le ripeto: fino a quando non funzioneranno gli organi dello Stato, qui siamo tutti volontari. Nella mia area di competenza operano 41 gruppi che collaborano con i giudici, con la polizia e con la guardia costiera».
C'è in giro una quantità enorme di armi. Il regime le aveva distribuite in modo capillare.
«Noi stiamo organizzando siti di raccolta. A Bengasi si sono sciolte 4 brigate. Ha cominciato anche Misurata e domani l'operazione scatterà a Tripoli. Purtroppo non abbiamo soldi per stimolare la gente a consegnarle. Presto verrà approvata una legge per definire come si possono detenere legalmente, insomma distribuiremo le licenze. È anche un modo per fare un censimento che ci permetta una stima attendibile su quante ce ne sono in giro».
Dovete fronteggiare una agguerrita criminalità comune?
«Il regime ha liberato sedicimila detenuti pericolosi poco prima del crollo. Circola molta droga. L'unica fortuna è che, per ora, gli omicidi sono piuttosto rari».
Il suo problema più urgente?
«I feriti gravi da curare. Ci sono arrivate lamentele sui concittadini ricoverati in Italia. Stiamo verificando. Abbiamo esaminato a fondo la possibilità di spostarli in Germania. E non sappiamo quale sarà il futuro dei carcerati di Ain Zara. L'unico aspetto positivo di quella situazione è che siamo da tempo in contatto con le organizzazioni umanitarie dell'Onu per trovare una via d'uscita».
 
 
 
Corso Vercelli, via dell'immigrazione. Ma il dialogo tra le culture non c'è
Un residente: "Questa strada accoglie migranti da sempre e da tutto il mondo". Ma il dialogo tra italiani e immigrati latita. "Con le future generazioni sarà tutto più semplice", dice un edicolante
Torino Today, 26-10-2011
Alessandro Parodi 
18 ottobre, Napoli. La morte per investimento, con omissione di soccorso, del giovane romeno Victor Varga riapre una ferita non ancora rimarginata, quella inferta dall'omicidio del musicista Petru Birladeandu nel giugno 2009, sempre a Napoli. Ciò che colpisce di questi due casi non sono le modalità né i protagonisti degli avvenimenti, quanto l'indifferenza mostrata dai presenti.
Un'indifferenza che non stupisce i commercianti di corso Vercelli, a Torino, che da molti anni convivono con gli immigrati, susseguitisi nei decenni nelle ondate migratorie che hanno avuto come mèta il nostro quartiere. Il problema di fondo, sembrerebbe di percepire dalle parole di un edicolante, è la mancanza di dialogo tra due mondi che raramente entrano in contatto: "lavoro in corso Vercelli e vivo poco distante, ma raramente ho rapporti con gli stranieri. Si incontrano molti africani per strada, ma capita di rado di averci a che fare. Quelli che entrano nel mio negozio lo fanno per comprare il biglietto del pullman o poco più. Gli immigrati di solito frequentano altri immigrati, e comprano in negozi gestiti da loro connazionali, come i ristoranti e i phone center di corso Emilia".
Sulla frammentazione della società torna un altro intervistato: "Vivo in questa zona da quand'ero un bambino, e ho visto questa via trasformarsi, accogliere migranti da tutto il mondo. Non ho mai percepito grossi problemi legati all'immigrazione, ma piuttosto ad un cambiamento di mentalità. Cinquant'anni fa c'era più controllo, meno omertà, e la delinquenza veniva sconfitta sul nascere. Oggi la società ha perso il suo ruolo di controllo, anche per via dell'immigrazione. È per questo che la sera questa zona non è vivibile: a farla da padrone sono spacciatori e malavitosi, di ogni nazionalità, e ci rimettono sia gli italiani che gli stranieri. Fortunatamente negli ultimi tempi gli spacciatori sono diminuiti, molti si sono spostati in piazza Derna e dintorni".
A fronte di un problema di forte disgregazione sociale, i primi a pagarne le conseguenze sono per forza di cose gli individui più deboli, tutelati da meno legami di amicizia e parentela, e per questo più facilmente divorati dall'illegalità. Capita però molto spesso di confondere cause ed effetti, arrivando a sostenere che "chi sta bene a casa sua non emigra, coloro che emigrano sono quasi tutti degli emarginati". NientE di più falso: numerosi studi dimostrano che abbandonano il proprio paese gli individui più brillanti e intraprendenti, spesso supportati economicamente dalle proprie famiglie e dal proprio villaggio di origine - nel quale, vien da sé, non possono essere degli emarginati.
Il problema della mancanza di dialogo tra culture viene confermata dal fallimento di alcuni tentativi di intervistare negozianti stranieri: "preferirei non parlare" risponde un cuoco in un fast food turco, "non parliamo italiano" obiettano due negozianti cinesi dopo alcune domande, confermando l'immagine di uno scontro muto tra due mondi. Eppure l'incontro è in atto, e passeggiando per corso Vercelli non si fa fatica a notare i germogli di un futuro di integrazione e dialogo. "Con le future generazioni" dichiara il medesimo edicolante, "sarà tutto più semplice, i bambini vanno a scuola insieme e imparano a vivere gli uni con gli altri. Un periodo di assestamento purtroppo è necessario".
 
 
 
"E' anche nostra l'Italia dei 150 anni"
Da domani il secondo raduno annuale dei Giovani Musulmani d'Italia del nord ovest, l'associazione compie dieci anni. Venerdì l'incontro con Fassino e con gli ex sindaci Chiamparino e Castellani: "Nei nostri Paesi di origine i nostri coetanei hanno contribuito al cambiamento. Ci dobbiamo dar da fare anche noi"
la Repubblica, 26-10-2011
ANDREA GIAMBARTOLOMEI
CONOSCERE l'Italia per capire il proprio ruolo. Sono gli obiettivi del secondo raduno annuale dei Giovani Musulmani d'Italia del Nord Ovest, da domani fino al 1° novembre, in concomitanza con i dieci anni dell'associazione che li riunisce. "Ci sentiamo in dovere di festeggiarlo come tutti i cittadini  -  spiega Khaled El Sadat, 27 anni, responsabile dell'evento  -  Vogliamo analizzare la storia, guardare indietro per capire il futuro". "Io sono nata in Italia  -  spiega Dalia El Brashy, diciannovenne studentessa di medicina e responsabile della comunicazione di Gmi, nonostante la giovane età  -  è il mio paese perché è qui la mia vita e vorrei continuare con gli altri cittadini italiani il percorso di costruzione, progresso e sviluppo. Dal 1861 a oggi l'Italia ha fatto conquiste, conquiste di cui anch'io godo i frutti". L'attenzione sarà anche sul presente degli Stati da cui provengono le loro famiglie, per analizzare quanto fatto dai loro coetanei in Tunisia, Egitto e Libia, e comprendere quale sia ruolo dei giovani nella società. "Sono di origine egiziana e quest'anno i miei coetanei hanno contribuito al cambiamento. Mi dovrò dare da fare anch'io".
Venerdì dalle 18 alle 20 alla Gam, le ragazze e i ragazzi ascolteranno Piero Fassino, Sergio Chiamparino e Valentino Castellani, "i tre sindaci che hanno trasformato la città", spiega El Sadat. L'incontro "Dalla prima capitale alla gran Torino" sarà un'occasione "per sapere quale contributo possiamo dare". Per rimanere in tema, sabato alle 16 al centro culturale Dar Al Hikma di via Fiocchetto 15 si terrà l'incontro "150 anni d'Italia e dieci anni del Gmi" con Gianni Oliva, storico ed ex assessore regionale alla cultura, Younis Taw?q, scrittore e professore universitario e un rappresentante dei giovani musulmani. Lunedì dalle 15, nella sala convegni dell'Atc, si terrà il convegno "La donna musulmana in Europa. Sfide e orizzonti", con un focus su Torino.
Ma per essere una festa devono esserci anche momenti di svago. Domenica alla palestra di via Massari 114 torna il campionato di calcio femminile, il "Muslim Girl Championship", a cui parteciperanno squadre da Torino, Aosta, Novara, Genova e altre città del nord ovest.
La festa dei Gmi è aperta anche ai torinesi, che potranno visitare il Centro islamico delle Alpi e il Centro islamico Mecca domenica dalle 15 alle 17, il Centro islamico di via Saluzzo lunedì negli stessi orari. Martedì si chiude con la visita "Torino Capitale: come non l'avete mai vista", un percorso attraverso i luoghi più importanti della storia post-Risorgimento e alla mostra "Fare gli italiani".
 
 
 
"Se sei romeno o albanese non entri" è polemica sulla discoteca razzista
la Repubblica, 26-10-2011 
PAOLO BERIZZI
PADOVA — Tutti dentro tranne albanesi, romeni, moldavi e tunisini. Che nelle discoteche si faccia una selezione dei clienti all'ingresso, è noto. Di solito si rimbalza o per l'abbigliamento o perché si è troppo su di giri. Ma che i buttafuori respingano gli avventori a causa della loro nazionalità, è pratica a dir poco irrituale. È successo al Factory Club, discoteca padovana amata dagli studenti universitari, e non solo. Il locale è in via Paolo Sarpi, a due passi dalla stazione ferroviaria. Venerdì notte all'ingresso del Factory si presentano due ragazze albanesi: ma vengono stoppate da uno dei responsabili della sicurezza. Chiedono spiegazioni e la risposta del buttafuori non lascia spazio a interpretazioni: «Albanesi, rumeni, moldavi e tunisini non possono iscriversi al circolo Acsi ed avere la tessera per entrare nel locale». Il divieto—come racconta uno dei testimoni che hanno assistito alla scena, Piero Baraldo — viene ribadito, con tanto di elenco delle etnie indesiderate, anche da un altro buttafuori. Questione di regolamento interno. Alla faccia dei diritti delle due ragazze e di tutti gli stranieri finiti nella black list. «Siamo rimasti sconcertati — spiega Gianluca Francescato, anche lui in fila all'ingresso —. L'unica cosa che al momento abbiamo potuto fare è stato boicottare il locale». Sulle disposizioni discriminatorie si è acceso un dibattito anche su Facebook. I titolari del locale, a quel punto, hanno dovuto spiegare. «Noi siamo molto vicini alla stazione—dice ThangVien,38enne vietnamita comproprietario del Factory — spesso arriva gente strana. Io non sono certo razzista, ma quando vedo soggetti particolari li tengo fuori per una questione di sicurezza». E le due ragazze albanesi? Erano così «strane» e pericolose? «Non so cosa sia successo: forse erano vestite in modo trasandato. Può darsi che i buttafuori abbiano interpretato in modo negativo il loro stile». Diversa la versione fornita da Sauro Ricci, un collaboratore del locale. «È un problema di quantità, non di discriminazione. Il problema si pone quando arrivano comunità numerose. Due settimane fa c' è stata una furibonda lite tra albanesi. Noi non possiamo accettare che in questo locale accadano cose simili».
 
 
 
No consiglio regionale a Cie in Umbria
Lo chiedeva una mozione di Franco Zaffini
(ANSA) - PERUGIA, 25 OTT - Respinta dal consiglio regionale la mozione di Franco Zaffini (Fare Italia) che chiedeva di istituire in Umbria un Cie (Centro per identificazione ed espulsione) per affrontare il fenomeno dell'immigrazione. A favore hanno votato in sette, 16 i contrari. La presidente della giunta, Catiuscia Marini, ha detto che ''il tema della sicurezza non deve essere confuso con quelli dell'immigrazione'', e che ''l'istituzione di un Cie non risolve il problema della sicurezza, materia che attiene al Governo''. Zaffini ha replicato che ''se la Regione non riesce ad occuparsi degli immigrati, sara' la criminalita' organizzata a trovare mansioni per loro''. (ANSA).
 
 
 
Immigrazione: Bari; proteste Unhcr, Oim e Save the children
'Ci hanno impedito di avere contatti con i migranti'
(ANSA) - BARI, 25 OTT - L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e Save the Children, che dal 2006 operano come partner nell'ambito del progetto Praesidium finanziato dal ministero dell'Interno, in una nota congiunta esprimono ''la propria viva preoccupazione per non aver potuto incontrare i 150 migranti sbarcati a Bari dopo essere stati intercettati a largo delle coste pugliesi. Di questi infatti 71 sono stati rimpatriati senza alcun contatto con le organizzazioni partner''. 
 
 
 
Immigrazione: in trenta occupano strada statale tarantina
Lamentano ritardi riconoscimento status rifugiati
(ANSA) - PALAGIANO (TARANTO), 25 OTT - Trenta cittadini extracomunitari, ospitati nell'hotel 'La Petite Fleur' di Chiatona Scalo, hanno bloccato per diversi minuti la statale 106 jonica per protestare contro la loro permanenza obbligatoria nella struttura e i ritardi nel riconoscimento dello status di rifugiati. La strada e' stata interdetta al traffico fino a quando i manifestanti non sono rientrati nell'albergo dopo una trattativa con i carabinieri. Una protesta simile era stata attuata il 27 settembre scorso da una quarantina di extracomunitari ospitati in albergo a Massafra. (ANSA).
 
 
 
POLEMICA A PALERMO
«Vietati a scuola preghiere e Natale»
Avvenire, 26-10-2011
Alessandra Turrisi
?Vietati il segno della croce prima delle lezioni e le preghiere a Natale e a Pasqua, perché non garantiscono l’uguaglianza dei bambini a scuola. E i genitori si ribellano: «Vogliamo che i nostri figli mantengano la loro identità religiosa e culturale».
 L’ultimo scontro in materia di simboli e pratiche religiose nelle scuole statali scoppia non nel centro affollato e multietnico di una grande città, ma nel silenzio di una borgata palermitana, priva di tutto fuorché della scuola e della parrocchia. Sono le famiglie dei bambini che frequentano le classi di materna ed elementare del plesso Andrea Sole di Borgo Molara, ultima propaggine del Comune di Palermo ai piedi di Monreale, a chiedere con forza che la nuova dirigente scolastica torni sui suoi passi. Per rendere più vigorosa la loro protesta, i genitori si sono riuniti in una saletta parrocchiale e hanno firmato un documento che verrà inviato alla dirigente dell’istituto Capitano Basile, di cui fa parte il plesso Sole, Melchiorra Greco, ma anche al responsabile dell’Ufficio scolastico provinciale e alle Curie di Monreale e Palermo.
Tutto comincia all’inizio del nuovo anno scolastico, «quando abbiamo notato che all’ingresso della scuola mancava il quadro della Madonna - racconta una mamma, Annalisa Vella -. Ogni anno, nel mese di maggio, sotto veniva posto un tavolino addobbato coi fiori portati dai bambini, che recitavano una preghiera. Le maestre ci hanno comunicato che una mamma di religione musulmana ha manifestato il suo dissenso, perché la sua bambina avrebbe subito una discriminazione religiosa. 
Così la nuova preside ha eliminato tutto: non si possono più recitare le preghiere, sono stati proibiti gli argomenti didattici con riferimenti alla religione cattolica, non si festeggeranno più Natale e Pasqua». «Ma così va abolito il 90 per cento dei programmi - sottolinea Francesco Fioretto, uno dei papà -. Ci è stato detto che gli argomenti religiosi potranno essere affrontati solo nell’ora di religione. Noi non abbiamo nulla contro la mamma musulmana, ma la presa di posizione della preside intacca la nostra identità». I genitori lo mettono in chiaro nella loro lettera rivolta alla preside: «Poiché non riteniamo opportuno che i nostri figli vengano privati della possibilità di mantenere la loro identità religiosa e culturale, senza nulla imporre a fedeli di altro credo religioso, la invitiamo a ripristinare entro cinque giorni lo status quo ante». Il parroco di Borgo Molara, don Pino Terranova, è al loro fianco: «Questa rivolta è partita dalla base, segno che c’è un’identità forte in questa borgata».
Ma la dirigente Melchiorra Greco, pronta al confronto, ritiene di essere nel giusto. È a capo di una direzione didattica di circa mille alunni divisi in cinque plessi. E ovunque ha dato le stesse regole. «La mamma della bambina musulmana - spiega - ha soltanto rivendicato il diritto a non avere impartiti insegnamenti cattolici. L’alunna, se non sono possibili attività alternative, nelle ore di religione va in un’altra classe. Noi siamo un Paese di cultura cattolica, ma io sono garante di un’istituzione che deve vedere tutti egualmente rappresentati e garantiti. Avevo persino pensato di realizzare un angolo interreligioso. 
Quindi, i simboli religiosi non sono banditi, ma manifestazioni di catechesi non vanno fatte. Tutto deve essere concentrato nelle ore di religione. Comunque, sono contenta che ci sia questa volontà di partecipazione». Nessun problema per il crocifisso in classe, «ci sono sentenze europee su questo tema che lo consentono»; apertura anche sull’installazione dell’albero di Natale, «la scuola è una comunità e, se le decisioni sono condivise, non ho nulla in contrario». Ma la Madonna nell’atrio dell’Andrea Sole non ritornerà: «Del quadro non so nulla - conclude la dirigente al suo primo anno in questa scuola -. Non sapevo neanche che ci fosse».
 
 
        
PAKISTAN
«Violentate e costrette a convertirsi»
Avvenire, 26-10-2011
Stefano Vecchia
Sidra, Tina, Samina, Shazia... La lista è spaventosamente lunga. Ogni anno si aggiungono 700 nuove caselle in cui si susseguono i nomi, i luoghi, le date. Episodi diversi, intrecciati dallo stesso orrore. 
Queste donne hanno in comune un’esperienza tremenda: il rapimento, lo stupro selvaggio, l’intento di “normalizzare l’abuso” con un matrimonio forzato. E chi evita quest’ultimo sopruso, deve affrontare la tragedia di vivere nello stesso villaggio col suo aggressore: quasi mai il responsabile viene arrestato e condannato.
 In Pakistan, gli abusi contro i cristiani – specie se donne – da parte dei musulmani sono un crimine “invisibile”. Anzi, gli stupri sistematici di ragazzine cristiane sono una strategia pianificata degli integralisti per costringerle a sposare un islamico e, dunque, convertirsi alla fede musulmana. Un caso di “pulizia religiosa”, per usare un termine forte.
A denunciarlo, in un lungo e dettagliato rapporto, è l’Asian Human Rights Commission (Ahrc), organizzazione indipendente con sede a Hong Kong che raggruppa giuristi e attivisti per i diritti umani. Le cifre contenute nello studio sono allarmanti: sono settecento i casi rilevati ogni anno. Molti di più quelli di cui non si hanno notizie. L’ultimo dramma è avvenuto appena due settimane fa, il 12 ottobre. Zubaida Bibi, un’inserviente cristiana impiegata nella fabbrica di un islamico, è stata aggredita dal suo principale. 
Zubaida ha cercato di opporsi, per questo l’uomo l’ha sgozzata e lasciata a morire in un bagno di sangue. L’impunità, oltre a favorire il perpetuarsi dei crimini, produce un effetto ulteriore. Secondo l’Ahrc, le violenze «compromettono la convivenza tra fedi diverse a causa della totale assenza dello Stato di diritto» e diventano alla fine un ulteriore elemento di discriminazione verso le minoranze.
L’organizzazione sottolinea come «nessuno, all’interno del sistema giudiziario e nella polizia e perfino nel governo ha il coraggio di fare fronte alle minacce dei gruppi fondamentalisti islamici». Inoltre, prosegue il rapporto, «la situazione è resa peggiore dall’atteggiamento della polizia che si schiera sempre dalla parte dei gruppi islamici e tratta le minoranze come forme inferiori di vita». 
Neppure nella provincia del Punjab, quella culturalmente più emancipata e religiosamente più varia, le cristiane sono tutelate. Anzi, proprio qui si registrano i casi più conosciuti di discriminazione che hanno al centro la diversità religiosa, l’arretratezza socio-economica delle minoranze e la difesa ad oltranza di strumenti giuridici nei fatti discriminatori, come la “legge antiblasfemia”.
Per una sua interpretazione parziale è stata condannata a morte Asia Bibi, ora in carcere in attesa dell’appello.
 
 
 
La voglia di normalità delle donne palestinesi
Corriere della sera, 26-10-2011
Monica Ricci Sargentini
Dai Territori palestinesi non arrivano solo storie di disperazione e di conflitto. C’è una parte della società che sta crescendo in modo positivo. Ne è convinto Bernard Sabella, membro del Consiglio Legislativo Palestinese e professore di sociologia alla Bethelehem University. Sabella in questi giorni era a Roma per seguire i lavori della Conferenza “Le donne agenti di cambiamento nel Sud del Mediteranneo” organizzata dall’onorevole Deborah Bergamini per il Centro Nord Sud del Consiglio d’Europa e dal palco ha sciorinato una serie di dati positivi sui Territori. Di recente il Consiglio Palestinese ha ottenuto lo status di Partner per la democrazia presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa. “Spesso noi siamo percepiti solo  - mi ha detto tra un intervento e l’altro – come una società in conflitto e pensata al maschile ma poi se si vanno a vedere le cifre ci stiamo allontanando dalla società patriarcale. Sessant’anni fa non c’erano le scuole per le bambine, oggi alle elementari e nelle scuole secondarie sono la maggioranza.  E il 50 per cento delle donne dichiara di scegliere autonomamente chi sposare. Non siamo così misogini come si pensa. La prevalenza maschile resta solo nella politica. Anche se comunque il Consiglio Legislativo Palestinese ha il 12% di presenza femminile. Certo è poco ma è qualcosa”
Barba bianca che circonda solo il mento, lo sguardo gentile di chi non vuole imporsi, Sabella è un cattolico, membro di Fatah e del Consiglio Legislativo Palestinese. Un outsider, si potrebbe dire, in un Paese dove i cristiani solo solo 1,2% della popolazione. Eppure lui è un convinto ottimista. Ai suoi studenti insegna corsi dal titolo: “Se non ci fosse il conflitto con Israele la vostra percezione del giudaismo  non sarebbe diversa?”. Ed ha un’immensa fiducia nei suoi ragazzi. Soprattutto nelle donne che possono rappresentare il vero volano del cambiamento: “Nella mia università – dice – le ragazze sono il 70%, nelle altre il 55%. Molte sono velate e dicono: “La conoscenza è tutto”.  Ho anche studentesse cinquantenni. Quando vedo queste cose penso che il futuro sia pieno di speranza. Vedo che abbiamo un potenziale. Non credo che la Palestina diventerà un Paese ideologico, islamizzato“. Eppure a guardare l’appoggio che ha Hamas non si direbbe: “Non ne sono così sicuro. L’esperienza di governo di Hamas non è stata così buona. La gente ha visto che hanno messo troppe tasse e che molti di loro si sono arricchiti. Quando mandi delle persone al governo vuoi che siano responsabili, non ideologiche. La primavera araba non è solo un’idea, bisogna dare alle persone qualcosa di concreto. Tutti vogliono che l’occupazione finisca ma nel frattempo che cosa facciamo?”.
Nel frattempo, è la filosofia di Sabella, impariamo a contare sulle donne “come ha fatto Hamas che nel 2006 ha vinto proprio perché ha coinvolto dalla prima all’ultima cittadina, facendo sentire tutte importanti.  Una cosa che le forze secolari non sanno fare perchè non riescono a partire dal basso. Eppure è questa la strada: quella di un sistema secolare che non vuol dire affatto anti-religioso. Io sono sicuro che ci giocheremo questa carta insieme a quella della tolleranza. Io sono cristiano, faccio parte di una minoranza, ma nel mio Paese noi cristiani siamo molto rispettati perché la nostra presenza è importante. Siamo noi che abbiamo fondato scuole, ospedali e altre istituzioni. Ecco vorrei che anche questa Palestina venisse raccontata al mondo“.
 
 
 
Robin Hood dell'Alabama che difende gli immigrati
Ristoratore contro la legge sui clandestini: criticato dai suoi, lodato da Washington
La Stampa, 26-10-2011
MAURIZIO MOLINARI CORRISPONlDENTE DA NEW YORK
Il tuo ristorante è antiamericano», «speriamo che tu fallisca al più presto», «vattene», «non ti vogliamo nella nostra città»: da due settimane il postino e l'email recapitano a Steve Dubrinsky insulti e minacce perché sono molti gli abitanti di Birmingham, in Alabama, che gli rimproverano di essere «un traditore della nazione».
Il motivo è un articolo pubblicato il 12 ottobre dal «Birmingham News» nel quale Dubrinsky, titolare del ristorante «Max's Delicatessen», si è espresso a chiare lettere contro la legge anticlandestini promulgata dall'Alabama schierandosi dalla parte degli immigrati.  «Nella cucina del mio ristorante lavora uno staff di nove persone, sono tutti immigrati legali giunti dal Messico - ha affermato Dubrinsky - ma ora stanno pensando di andarsene perché hanno paura della nuova legge e questo nuoce alla mia attività economica, è un vero disastro». Si è trattato -di uno sfogo spontaneo, ma in Alabama ha fatto notizia perché dimostra come una legge pensata per combattere i clandestini minaccia di allontanare gli immigrati legali, ponendo seri problemi a migliaia di piccole e medie aziende che li impiegano.
Il motivo è che la nuova legge consente alla polizia di fermare, arrestare e detenere senza possibilità di rilascio su cauzione ogni persona sospettata di essere illegale, e permette anche alle autorità scolastiche di chiedere ad ogni alunno di documentare il proprio status legale, pena il divieto di accedere alle classi. La conseguenza è il timore di molte famiglie di immigrati  soprattutto ispanici - di essere bersagliate da vessazioni e arresti solo per il sospetto di essere dei clandestini. Da qui l'ipotesi di un trasferimento in massa verso altri Stati che Dubrinsky ha avvalorato attirandosi, poche ore dopo la pubblicazione dell'articolo, gli strali del talk show radiofonico ultraconservatore di Matt Murphy che lo ha accusato di «impiegare degli illegali», lanciando un appello al boicottaggio del «Max's Deli», specializzato in pastrami e salmone  al  3431  di  Colonnade Parkway. «Da me non lavorano clandestini ma immigrati regolari, e impauriti» ha ribattuto il titolare. Nella città che fu teatro di violenti scontri razziali negli Anni Sessanta - di cui l'ex Segretario di Stato Condoleezza Rice fu testimone - l'appello a isolare «l'amico degli illegali» ha innescato l'invio massiccio di insulti come anche la scelta di molti clienti di disertare i tavoli puntando a far fallire «l'amico dei clandestini». Per oltre una settimana Dubrinsky si è trovato di fronte ad un brusco calo dell'af-
fluenza, con una riduzione visibile delle entrate e la conseguente necessità di ridurre il numero dei dipendenti. «Ma poi è avvenuto l'imprevisto - racconta - perché quando la notizia del boicottaggio si è diffusa, a sostenermi sono arrivate centinaia di email di solidarietà anche dall'estero e numerose offerte di volontari pronti a lavorare da me anche gratis».
L'ondata di sostegno, spinta da gruppi liberal pro-immigrati di base in più Stati, ha fatto impennare il numero dei fan del «Max's Deli» su Facebook, mentre su Google il gradimento del ristorante è balzato da 1,5 stelle e 3,6 grazie a commenti come quello di un ragazzo del Nevada che ha promesso di arrivare in Alabama solo per «venire ad assaggiare i vostri cibi». E il ministro della Giustizia Eric Holder, giunto a Birmingham per rendere omaggio ad uno dei protagonisti delle battaglie per i diritti civili, ha criticato la legge anti-illegali, rendendo omaggio al coraggio individuale del ristoratore controcorrente. «Se una settimana fa mi sentivo isolato, abbandonato e circondato - confessa Dubrinsky - adesso mi rendo conto che c'è molta gente in America d'accordo con me nell'opporsi a questa legge». Gli incassi vanno talmente bene che Dubrinsky ha deciso di destinarne una parte a favore di Chiese pro-immigrati La vicenda ha una dimensione nazionale perché Arizona, Utah, Indiana e Georgia hanno varato simili provvedimenti e l'amministrazione Obama ha fatto ricorso, aprendo la strada ad un pronunciamento della Corte Suprema.
 
 
 
 
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