Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 febbraio 2014

Svizzera: Corte suprema, "porco straniero" non è un insulto razzista
Il Tribunale federale svizzero ha assolto un poliziotto che apostrofò un algerino sospettato di furto con frasi poco rispettose
stranieriinitalia.it, 24-02-2014
Berna, 24 febbraio 2014. - "Porco straniero" e "sporco richiedente asilo" non sono insulti razzisti in Svizzera, che con una sentenza della Corte suprema ripropone il rigore gia' mostrato con l'esito del referendum sull'immigrazione di due domeniche fa.
Il tribunale federale era chiamato a esprimersi su quanto avvenuto nell'aprile del 2007 a Basilea, quando un algerino fu arrestato per aver rubato la borsa a una cittadina russa nel corso di una fiera del commercio equo. Dopo un controllo ai documenti d'identita' il poliziotto lo ha insultato. Nel primo grado di giudizio all'agente era stata comminata una multa per aver infranto la normativa anti-razzismo.
Il caso e' poi arrivato alla Corte suprema, secondo la quali quelli sono si' insulti ma non di stampo razzista perche' non hanno come obiettivo un ben definito gruppo etnico, una razza o una religione. La sentenza arriva mentre la Commissione dell'Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale valuta i risultati di un rapporto proprio sulla Svizzera, che il 9 febbraio scorso hanno deciso di chiedere le porte all'ingresso di migranti in arrivo dall'Unione europea e ancora prima aveva deciso norme rigide nei confronti dei richiedenti asilo e sulla costruzione di minareti.
La Confederazione elvetica, ha detto Anastasia Crickley, responsabile del rapporto, "deve fare chiarezza sull'effetto diretto o indiretto della propria legislazione" nel suscitare sentimenti razzisti.



Migranti salvati in mare e abbandonati in strada
Avvenire, 22-02-2014
Alessandra Turrisi
Forse un difetto di comunicazione, probabilmente un ennesimo caso di incomprensione, ma l’ultimo pasticcio in tema di immigrazione si sta consumando in questi giorni in due territori di frontiera come Siracusa e Pozzallo. Quasi cento africani, provenienti da zone di pericolo, salvati in mare dall’operazione Mare Nostrum, identificati sulle navi miliari e poi sbarcati nel porto di Augusta, quattro giorni fa sono stati “invitati” a lasciare l’Italia, attraverso la frontiera di Fiumicino (via aereo, quindi), perché non avevano presentato la richiesta di asilo. Almeno la metà di loro si trova in strada, fuori da ogni struttura, senza un tetto e un’assistenza adeguata.
La denuncia circostanziata arriva da tre enti attivi nell’accoglienza dei migranti, l’Asgi (Associazione studi giuridici) sezione Sicilia, l’associazione Borderline Sicilia onlus e la Rete antirazzista catanese, che sottolineano «le gravissime violazioni del diritto d’asilo messe in atto da alcune questure siciliane, attraverso la prassi dei respingimenti differiti». La questura di Ragusa si difende, affermando di aver agito secondo la normativa vigente.
Le associazioni raccontano di vari casi avvenuti nell’ultimo mese, dopo lo sbarco ad Augusta. «Da lì alcuni sono stati trasferiti al centro Umberto I di Siracusa, altri al Cspa di Pozzallo e poi respinti e lasciati sul territorio - scrivono le associazioni -. Un primo gruppo di gambiani, arrivato in Sicilia i primi di gennaio, è stato, dopo il respingimento effettuato dalla questura di Siracusa, trasferito al Cie di Milo (Trapani).
Stesso provvedimento per un altro gruppo di gambiani e nigeriani arrivati il 24 gennaio, che dopo la notifica dell’atto, sono stati lasciati sul territorio e la loro accoglienza gestita dalla buona volontà di associazioni e singole persone». Gli ultimi due episodi risalgono a pochi giorni fa: «Il primo riguarda il respingimento da parte della questura di Siracusa nei confronti di un gruppo di dodici nigeriani poi trasferiti al Cie di Ponte Galeria a Roma, e di quarantadue senegalesi lasciati per strada - aggiungono le associazioni -. Il secondo riguarda quaranta nigeriani, che si trovavano nel Cspa di Pozzallo, ai quali la questura di Ragusa ha notificato i provvedimenti di respingimento differito, lasciando anche loro di sera per strada. Nel gruppo presenti anche due donne, di cui una in gravidanza».
La questura di Ragusa, interpellata da Avvenire, chiarisce  che «abbiamo operato nel rispetto della normativa vigente - afferma Giovanna Cassarino, primo dirigente della divisione Polizia amministrativa e sociale e dell’immigrazione -. Alla presenza di un mediatore culturale sono stati spiegati a tutti i diritti di cui potevano godere e nessuno di loro ha voluto fare richiesta di asilo. In ogni caso, anche in presenza di provvedimento amministrativo di espulsione, è sempre possibile chiedere la protezione. Quindi, le associazioni si possono fare parte attiva e accompagnare i migranti a presentare la domanda, se è questa la volontà dei singoli». La questura di Siracusa, invece, si riserva di esaminare meglio il caso e di fornire una replica in un secondo momento.
Intanto, l’Asgi, guidata dall’avvocato Carla Trommino, ha già impugnato alcuni provvedimenti sollevando la questione di legittimità costituzionale dei respingimenti differiti: «Si tratta di prassi assolutamente arbitrarie e lesive di fondamentali diritti». A raccontare la grave situazione in cui si sono trovati i 40 nigeriani a Pozzallo è stata Germana Graceffo, attivista di Borderline. Per alcuni si è trovata una soluzione di ospitalità, «altri purtroppo si sono dispersi in una situazione di fragilità sociale.
Quattro di loro sono stati avvicinati da un nigeriano che, adescandoli e sottraendolo loro i documenti, gli ha promesso qualcosa, facendoli allontanare dal gruppo. Invece, le due donne di cui la giovane in gravidanza, sono state accolte da un centro gestito da un prete di Vittoria mentre i 12 ragazzi, per fortuna, verranno accolti in una chiesa di Rosolini».
Buone notizie, invece, per chi attende di aver riconosciuto lo stato di rifugiato.
Il Ministero dell’Interno, con proprio decreto, ha istituito a Palermo una sezione distaccata della «Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale» con sede a Trapani, che dovrà procedere, nei prossimi mesi, alle prescritte audizioni dei richiedenti asilo, circa 700, che già si trovano nelle province di Palermo e Messina. «Abbiamo così la speranza che chi avrebbe dovuto attendere fino a ottobre possa essere ascoltato anche ad aprile, riducendo anche molto i costi per lo Stato» aggiunge il direttore regionale della Caritas, don Enzo Cosentino.



Se il Colosseo assomiglia a una torta: Roma vista dagli stranieri
Corriere.it, 24-02-2014
Valentina Ravizza
È come una torta. O un palazzo grandissimo visto sui libri di scuola. Anzi, è un simbolo di ribellione. No, è un monumento contro la pena di morte. È il Colosseo visto dai migranti. Trentaquattro sguardi da 27 Paesi del mondo attraverso cui scoprire Roma. Non nei suoi angoli nascosti, ma in quelli più famosi. Visti però da prospettive inaspettate.
    Come quella di Jerry, nigeriano e da un paio d’anni romano d’adozione, che tutte le domeniche si immerge nella bellezza di piazza Venezia per andare in chiesa. O quella di Olha Kostiv, ucraina, cui l’acqua che scorre nelle fontane di piazza San Pietro ricorda i ruscelli dei Carpazi.
È la mostra Rhome – Sguardi e memorie migranti, una raccolta di 68 scatti realizzati da 12 professionisti di Officine Fotografiche Roma (al Museo di Roma Palazzo Braschi dal 12 febbraio al 30 marzo 2014, ingresso gratuito), per raccontare alcune delle storie del popolo dei 352 mila immigrati nella capitale.
Alcuni vengono da Paesi comunitari. Come Annamaria Merti, arrivata da Atene sei anni fa. Il luogo che frequenta di più?
    La metropolitana: «Ci passo minimo un’ora e mezzo al giorno. Da Torpignattara dove abito a Cornelia dove lavoro, attraverso tutta la città… ma sottoterra, della città non vedo nulla. Ho pure gli incubi!».
Oppure Celine Cougoule, francese, che ha imparato a conoscere Roma osservandola da Pincio, dove saliva spingendo suo figlio nel passeggino. Altri invece sono arrivati da terre lontane, quando ancora i rifugiati erano una rarità.
    Qorbanali Esmaeli, aghano, racconta: «Nel 1999 eravamo un piccolo gruppetto. Di giorno stavamo in piazzale dei partigiani, la sera andavamo a dormire sul Colle Oppio, dove dei volontari ci distribuivano i panini. Le prime parole italiane che ho imparato sono state: “No mortadella”, dato che i musulmani non mangiano maiale. Ma in realtà non sapevamo se ci davano il prosciutto…».
Storie di viaggi e di accoglienza, di una città che sa far sentire a casa i nuovi arrivati («Quando sono entrata dalla Porta del Popolo mi sono sentita abbracciata dal cerchio della piazza» dice Aurelia Pop, rumena in Italia da 16 anni) e farli innamorare di sé: «“Quo vadis? Dove vai?” era la mia domanda già in Polonia» spiega Iwona Bigos.
    Ora la risposta l’ha trovata nel suo luogo del cuore: la chiesetta del Domine, quo vadis? sull’Appia antica.



Cronache dell’immigrazione
il Fatto, 23-02-2014
Lorenzo Mazzoni
A cosa penso? Penso che ho freddo, Issa. Ho freddo e ho una paura fottuta. Penso che ho fame. Che mi convinco di avere fame, di pensare a un succulento piatto di egusi per farmi venire i crampi allo stomaco e concentrarmi sul dolore dell’appetenza, invece di guardare le onde del mare che si infrangono violente contro lo scafo, sentire il pianto dei bambini spaventati.
Penso al cibo, Issa, per non pensare che ho paura di morire. Questo mare è immenso, la costa che abbiamo lasciato lontana e quella che dobbiamo raggiungere non è nemmeno un miraggio. Solo il mare mosso. Guardo lo scafista, nelle sue mani c’è la mia vita. Un errore nell’affrontare un’onda significherebbe la mia fine. E la fine di questi altri che mi circondano, Issa. Ognuno porta il proprio bagaglio. Un solo cambio. Ogni indumento, dal più intimo al più visibile, viene messo in un sacchetto di plastica. Il tutto viene nuovamente posto in un sacchetto di plastica, più grande, perché ci hanno detto che quando si arriva, dobbiamo buttarci in acqua ognuno con il proprio bagaglio, nuotare fino alla riva e avere, una volta giunti sulla spiaggia, un cambio asciutto che ci dia la possibilità di proseguire il viaggio e di sopravvivere. Sono già sopravvissuto al deserto, che ho attraversato a piedi.
Ho pagato centomila naira, Issa, per raggiungere la Libia. Ho visto persone morire davanti ai miei occhi. Disperati bere la loro urina, arsi dalla sete. E allora stringo i pugni e penso all’egusi, allo stufato piccante e ai peperoncini rossi, al caldo umido di Makurdi, ai miei fratelli e a te, Issa. Nessuno parla sulla barca, tutti guardano fisso davanti. Ho paura, una paura fottuta, arriveremo, forse, da qualche parte. Ci ritroviamo tra le onde alte, un forte vento di tramontana alza il mare verso il cielo, le onde superano i quattro metri. Lo scafista cerca di impostare la virata ma nella manovra un’onda ci sommerge completamente. Nessuno cade in mare. Lo scafista dà massima potenza ai motori. La prua del gommone si alza facendo defluire da dietro l’acqua imbarcata. Ma il mare non ci dà tregua, Issa. Un’onda più grossa delle altre si abbatte sui motori bloccandoli. E allora chiudo gli occhi e penso che siamo tutti a casa nostra, Issa, a mangiare felici l’egusi che preparava mamma.
Penso ai giorni di festa, ai banchetti, ai matrimoni e alla felicità della nostra giovinezza, e la smetto di guardare i volti impauriti dei miei compagni di viaggio, di sentire il gommone che dondola, di osservare queste onde vorticose che ci vengono incontro. Non ci sono. E i miei compagni di viaggio fanno di tutto per tenermi ancorato al reale. Colpi di tosse, piagnistei, occhi impauriti, suoni che si cercano, preghiere mormorate a denti stretti, e il mare regista e attore principale muove la sua superficie a farci raggelare il sangue. Io sono più forte, Issa, io riesco a sognare ugualmente. Mastico l’egusi e non penso che ho paura. Sto attraversando il mondo conosciuto per cercare una vita migliore. Il gommone è coperto d’acqua, siamo in balia del mare, Issa. Forse per sempre. Lascia che ti saluti come in un bel sogno…
Tratto da “Cartoline dal mondo dei balocchi”, di Lorenzo Mazzoni (LA Case, Los Angeles, 2011)

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