Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 marzo 2015

Taranto si prepara all'invasione Un hub per smistare i profughi
Il centro ospiterà 500 stranieri per le identificazioni fino a tre giorni. Allarme Frontex: "Un milione in fuga dalla guerra pronto a partire"
Il Giornale, 11-03-2015
Bepi Castellaneta
Un grande centro di identificazione per gli immigrati provenienti dalla Libia devastata dalla guerra, un gigantesco hub per fronteggiare l'ondata di profughi e clandestini che sarebbe in arrivo dalle coste africane dopo l'attacco dell'Isis: è questo il piano del governo, che ha scelto Taranto come la sede di questa nuova struttura.
I tempi dovrebbero essere brevi, perché il progetto è già entrato nella fase operativa nonostante il Viminale si stia muovendo a fari spenti per non destare allarme. Fatto sta che proprio dal ministero dell'Interno è partita una nota riservata indirizzata alla prefettura ionica: nel documento si chiede di individuare l'area che dovrebbe essere trasformata in una enorme zona di smistamento, probabilmente all'interno del porto che del resto già l'anno scorso è stato utilizzato in maniera massiccia per l'accoglienza nell'ambito dell'operazione Mare nostrum .
La nota del Viminale è giunta a Taranto venerdì. E subito dopo si è tenuta una riunione tra Autorità portuale e Capitaneria di porto. Per il momento sarebbero in corso valutazioni su tre spazi, ma non c'è ancora una scelta definitiva. Il centro dovrà essere in grado di ospitare 500 immigrati per un periodo che non potrà superare i tre giorni. Il tempo necessario per eseguire tutte le procedure necessarie all'identificazione, compresa quella delle impronte digitali come previsto dalle norme europee; successivamente chi ha fatto richiesta di asilo dovrà essere smistato nei centri accoglienza (Cara) sparsi per l'Italia, a seconda dei posti disponibili. In questo modo il governo intende prepararsi a fronteggiare un'emergenza di enormi dimensioni. Tanto più che la situazione in Africa diventa sempre più grave e il capo delle forze armate libiche, Khalifa Haftar, in un'intervista all' Ansa lancia un appello a Roma: «A Renzi ? afferma ? chiedo di convincere la comunità internazionale a rimuovere l'embargo sulle armi e di aiutarci a combattere per una Libia libera dagli estremisti. È decisivo anche per l'Italia: se dovesse vincere l'Isis ? spiega ? sarebbe a rischio la vostra sicurezza».
Nei giorni scorsi il direttore esecutivo di Frontex , Fabrice Leggeri, ha sollevato l'allarme su un possibile esodo: «A seconda delle fonti ci viene segnalato che ci sono tra i 500mila e un milione di migranti pronti a partire dalla Libia», ha dichiarato. Parole che hanno fatto innalzare il livello di allerta in tutta Europa, specie in quei Paesi preoccupati per l'arrivo di profughi provenienti dalle frontiere italiane e sfuggiti al sistema Eurodac , studiato per immagazzinare i dati e individuare il luogo in cui è stata fatta la prima richiesta di asilo. Dopo l'attacco dell'Isis alla Libia, già devastata da fazioni in guerra, la situazione nel Mediterraneo è precipitata. Il governo italiano avrebbe preso in esame diverse ipotesi, compresa quella di un blocco navale dinanzi ai punti di imbarco dei migranti. Dieci giorni fa la nave San Giorgio della Marina militare, è partita da La Spezia dirigendosi verso le acque africane: ufficialmente per un'esercitazione, probabilmente per tutelare interessi commerciali e industriali nell'area; di certo, a bordo ci sono incursori del Comsubin ma anche medici e infermieri.
In realtà il blocco navale non sarebbe una novità assoluta per l'Italia, ma fu attuato dal governo Prodi in occasione dell'emergenza clandestini dall'Albania verso le coste salentine. L'esito fu tragico: il 28 marzo del '97 un battello di carico di immigrati colò a picco nel Canale d'Otranto dopo la collisione con la corvetta Sibilla. I morti accertati furono 84.



Centri profugh in Africa: infine se ne parla
Avvenire, 11-03-2015
Vincenzo R. Spagnolo
Un vero e proprio piano ancora non c’è, né una proposta in senso formale, ma esiste una discussione, che vede coinvolti diversi Paesi europei, Italia in testa, sulla possibilità di finanziare progetti per l’apertura di centri di raccolta profughi in Paesi di transito dei flussi migratori come Niger, Tunisia e Sudan, d’intesa con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. E già domani a Bruxelles i ministri dei 28 Stati membri potrebbero avviare un primo confronto nel Consiglio europeo Giustizia e affari interni (Gai), che si occuperà di lotta ai trafficanti di esseri umani, della possibilità di destinare più risorse all’agenzia Frontex, della road map per il piano d’azione sull’asilo in Grecia e di misure per il contrasto al terrorismo.
Se la Ue dovesse rompere gli indugi, superando le divergenze fra Paesi per passare ai fatti, l’opzione consentirebbe di ridurre all’origine il business dei trafficanti, il numero di barconi e il rischio di naufragi in mare: su 270mila migranti giunti illegalmente in Europa l’anno passato, 220mila sono arrivati attraverso la rotta Maghreb-Mediterraneo, lasciando in mare almeno 3.500 vittime. Fra i sostenitori c’è il governo italiano, che dal 2014 ha tratto in salvo quasi 180mila migranti, prima con l’operazione Mare nostrum e ora col più ridotto dispositivo europeo "Triton".
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano avrebbe un’intesa con l’omologo francese Bernard Cazeneuve: «L’Italia accoglie al momento 67mila stranieri – afferma Alfano –. Per risolvere a monte la questione, ci son due strade: stabilizzare la Libia e creare campi profughi in Africa in modo che si faccia lì lo screening e ci sia un’equa distribuzione di chi ha diritto all’asilo tra i Paesi europei».
La Germania non ha espresso ancora una posizione, anche se il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere sarebbe favorevole all’installazione di strutture Ue in Paesi come l’Egitto. Lo ha segnalato nei giorni scorsi il quotidiano The Guardian in un servizio che riferiva dell’intento della Commissione europea di pianificare l’istituzione di alcuni «uffici per le migrazioni» in Paesi terzi all’esterno del territorio Ue, come Egitto, Libano, Turchia e Niger. Il quotidiano britannico attribuiva al commissario Ue agli Affari interni e all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, l’intenzione di favorire la presentazione, in uffici e ambasciate dei Paesi Ue, di domande d’asilo da parte di profughi in fuga da conflitti o persecuzioni.
Ieri la conferma dell’esistenza di una discussione è giunta dalla portavoce dell’esecutivo europeo, Natasha Bertaud: «La Commissione Ue è a conoscenza di discussioni tra alcuni Stati membri su piani per sviluppare centri in Nord Africa – fa sapere Bertaud – ed è in contatto con Oim e Unhcr sulla possibilità di sviluppare centri per migranti per facilitare lo screening e le operazioni di ritorno volontario dei migranti economici, così come l’identificazione di persone che hanno bisogno di aiuto».
La portavoce ha aggiunto che «un progetto pilota in Niger è in fase di discussione» anche se non direttamente con la Commissione. Ancora, ci sarebbe un altro «progetto a lungo termine» per dispiegare ufficiali di collegamento europei nei Paesi terzi o, in alternativa, di avvalersi di quelli di Frontex (uno dei quali di recente impiegato in Turchia). Ma l’argomento, ha precisato Bertaud, «non è stato sollevato al dibattito del collegio dei commissari Ue. Per il momento siamo in una fase orientativa. La politica arriverà con la strategia».
La portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa, Carlotta Sami, precisa: «Al momento non abbiamo ricevuto alcuna proposta specifica», ma se arrivasse «si potrebbe accogliere favorevolmente, qualora comporti una diminuzione del rischio viaggi». Favorevole è anche il presidente della commissione Diritti Umani del Senato, Luigi Manconi, secondo il quale i presidi Ue dovrebbero «evitare l’attraversamento illegale del Mediterraneo, con i rischi che comporta, e distribuire i richiedenti asilo in Europa secondo quote equilibrate di accoglienza».



Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale
Il D.P.R. entrerà in vigore il 20 marzo 2015
Melting Pot Europa, 11-03-2015
Autore: Avv. Paolo Cognini
Nella Gazzetta Ufficiale n.53 del 5 marzo 2015 è stato pubblicato il D.P.R. n.21 del 12 gennaio 2015, avente ad oggetto il “Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale”.
Il Regolamento, che ai sensi dell’art.38, co.1, del D.lgs. n.25/2008 doveva essere emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo, ha, così, visto la luce con un ritardo di quasi sette anni.
Il D.P.R. entrerà in vigore il 20 marzo 2015. Nel rimandare, per un esame più approfondito, alla lettura del Regolamento, anticipiamo in breve i tratti più salienti del provvedimento facendo riferimento ai relativi articoli.
Art 3, Comma 2
Ai sensi dell’art.3, co.2, del D.P.R., nel caso in cui la volontà di chiedere la protezione internazionale sia manifestata al polizia di frontiera nelle fase di ingresso nel territorio nazionale, tale autorità invita lo straniero a presentarsi al più presto e, comunque non oltre gli 8 giorni lavorativi, alla Questura competente per la formalizzazione dell’istanza. La polizia di frontiera deve informare il richiedente del fatto che in caso di mancato rispetto del termine, salva la sussistenza di valide ed adeguate giustificazioni, la sua condizione di soggiorno sul territorio dello Stato verrà considerata irregolare. Deve essere evidenziato come tra maglie del Regolamento venga introdotto un termine temporale, con gravi conseguenze in caso di mancata osservanza, non presente nel testo di legge a cui il Regolamento è riferito.
Art.4, Comma 2
L’art.21 del D.lgs. n.25/2008 prevede che il richiedente sia trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione qualora lo stesso risulti: 1) Responsabile, ai sensi della Convenzione di Ginevra, di crimini contro la pace, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimini gravi di diritto comune commessi fuori dal Paese ospitante prima di essere ammesso alla protezione, atti contrari agli scopi ed ai principi delle Nazioni Unite; 2) Condannato in Italia per uno dei delitti indicati nell’art.380, co.1 e 2, del codice di procedura penale (reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza) o per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, allo sfruttamento delle prostituzione e dei minori in attività illecite, al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; 3) Destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento. Nel ricorrere di tali condizioni l’art.21 del D.lgs. n.25/2008 prevede il trattenimento del richiedente quale conseguenza obbligata. L’art.4, co.2, del D.P.R. in esame esclude, invece, tale automatismo, rimettendo il trattenimento ad una decisione del Questore che può ( e non deve) disporlo previa valutazione del caso concreto: l’art.4,co.2, introduce, pertanto, un opportuno correttivo, seppur di natura regolamentare, al testo di legge.
Art.4, Comma 3
Qualora nel corso della procedura il richiedente venga trasferito in un diverso centro di accoglienza o di trattenimento, la competenza per l’esame della domanda passa alla Commissione Territoriale competente per il distretto in cui è collocato il centro di destinazione. La competenza permane, tuttavia, presso l’originaria Commissione Territoriale qualora il richiedente abbia già sostenuto il colloquio.
Art.4, Comma 5
In presenza di un concreto rischio di dispersione del richiedente nel territorio, la Questura è tenuta a trasmettere gli atti al Prefetto ai fini dell’eventuale adozione delle misure previste dall’art.7, co.1, del D.lgs. n.25/2008. Si tratta di un disposto regolamentare che rischia di dare nuovo impulso alla facoltà del Prefetto di stabilire “...un luogo di residenza o un’area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare...” (art.7, co.1, D.lgs. n.25/2008). Tale facoltà, introdotta nel testo di legge pochi mesi dopo la sua entrata in vigore sotto la pressione di una dilagante campagna securitaria, ha avuto sino ad oggi scarsa applicazione pratica: il suo “rilancio” attraverso il disposto regolamentare rischia di diffondere misure che si appalesano come una sorta di “confino”. Peraltro l’utilizzo del concetto di “dispersione nel territorio del richiedente”, certamente non appropriato in riferimento ad una singola persona, assegna ampi margini di discrezionalità sia alle autorità di polizia sia a quelle prefettizie.
Art.6, Comma 2
Nell’art.6, co. 2, del D.P.R. viene specificato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari in funzione del quale la Commissione Territoriale può tramettere gli atti al Questore, ha durata biennale.
Art. 8
L’art.8 del D.P.R. dovrebbe, finalmente, chiudere una volta per tutte l’annosa querelle relativa all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del richiedente che promuova ricorso contro la decisione adottata dalla Commissione Territoriale. Le disposizioni che disciplinano la procedura di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (D.P.R. 115/2002) prevedono, a pena di inammissibilità, che lo straniero produca la certificazione rilasciata dalle autorità diplomatiche del suo Paese attestante l’assenza di reddito prodotti all’estero. Ovviamente tale obbligo risulta del tutto incompatibile con la condizione del richiedente la protezione internazionale, il quale non può, per le medesime ragioni che hanno determinato la sua fuga, rivolgersi alle rappresentanze diplomatiche del proprio Paese (tra l’altro eventuali documentati rapporti con tali rappresentanze istituzionali potrebbero pregiudicare la stessa richiesta di protezione). L’art.16 del D.lgs. n.25/2008 nell’affermare che il richiedente, ricorrendone le condizioni, ha diritto di accedere al patrocinio a spese dello Stato, specifica in maniera secca che “...In ogni caso per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero si applica l’art.94...” del D.P.R. 115/2002. L’art. 94, co.2, del suddetto Dpr prevede che nel caso di impossibilità a produrre l’attestazione delle autorità diplomatiche, il cittadino non appartenente all’Unione Europea la sostituisce con una dichiarazione sostitutiva di certificazione. La sostanziale chiarezza dell’art.16 del D.lgs. n.25/2008 non è stata, tuttavia, sufficiente ad evitare che, attraverso le più disparate ed improbabili acrobazie argomentative, numerose istanze di ammissione al patrocinio venissero respinte o revocate per mancanza dell’attestazione rilasciata dalla competente rappresentanza diplomatica. L’art.8 del Regolamento che entrerà in vigore il 20 marzo 2015, disponendo in maniera inequivocabile che la suddetta attestazione sia sostituita da una dichiarazione di certificazione resa dall’interessato, dovrebbe riuscire ad escludere ogni ulteriore tentativo di negare ai richiedenti asilo l’accesso ad un diritto fondamentale.
Art.12
L’art.12 del D.P.R. prevede che il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno adotti le “linee-guida per la regolamentazione della vita nei CARA in modo da assicurare il rispetto della vita privata, la dignità e la salute dei richiedenti, l’unità dei nuclei familiari... ”. Considerate le gravi condizioni in cui versano molti centri di accoglienza per richiedenti asilo, sia sotto il profilo strutturale, che sotto il profilo gestionario e del rispetto dei fondamentali diritti della persona, l’effettiva adozione di linee-guida in grado di fissare standard minimi inderogabili potrebbe risultare un utile strumento, sul quale aprire anche una diffusa vertenzialità da parte di realtà ed associazioni attive sul terreno dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. Nell’art.12 viene previsto il diritto di accesso nei CARA, oltre che dei parlamentari, dei rappresentanti dell’UNCHR, degli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale (e gli enti di tutela dei richiedenti?) “con esperienza consolidata nel settore” (chi valuterà la “consolidata esperienza”?) e degli avvocati dei richiedenti. Possono accedervi previa autorizzazione alcune figure istituzionali specificatamente elencate ed i rappresentanti degli organi di informazione “debitamente identificati”.
Art.13
L’art.13 nel regolamentare le attività della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo, attribuisce alla stessa il compito di elaborare linee-guida finalizzate all’applicazione uniforme della normativa da parte delle Commissioni Territoriali. In sostanza la Commissione Nazionale viene chiamata a svolgere nel contesto delle prassi applicative una sorta di funzione “nomofilattica” con l’obiettivo di superare le difformità che non di rado si registrano nella trattazione delle domande tra le Commissioni Territoriali. Alla Commissione Nazionale viene anche espressamente attribuito il compito di provvedere, attraverso corsi periodici, alla formazione dei membri delle Commissioni Territoriali, formazione quanto mai auspicabile considerato che numerosi provvedimenti adottati dalle Commissioni Territoriali rivelano profonde carenze nella conoscenza della normativa e dei principi di diritto ai quali doverebbe conformarsi lo scrutinio dell’istanza di protezione internazionale.



Pansa (Polizia) a Copasir: "Nessuna evidenza di terroristi tra immigrati"
"Non ci sarebbero evidenze di possibili attacchi che non si possono, però, escludere soprattutto ad opera dei cosiddetti lupi solitari"
stranieriinitalia, 11-03-2015
Roma, 11 marzo 2015 - Non ci sono evidenze di possibili infiltrazioni di elementi legati al terrorismo islamico tra i disperati che scelgono la via del Mediterraneo per giungere sulle nostre coste e, quindi, in Europa.
E' quanto ha confermato il Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa nel corso di una audizione presso il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Da quanto si apprende, il Capo della Polizia avrebbe confermato che nel nostro paese, resta l'allerta massima tra gli apparati chiamati a prevenire possibili atti terroristici anche se, allo stato, non ci sarebbero evidenze di possibili attacchi che non si possono, pero', escludere soprattutto ad opera dei cosiddetti "lupi solitari". Per questo le nostre forze dell'ordine e l'intelligence terrebbero sotto controllo soggetti e luoghi sensibili, in particolare, i cosiddetti "foreign fighters".
A preoccupare sembrerebbe essere il prossimo appuntamento mondiale di Milano, legato all'Expo anche per la presenza, avrebbe fatto notare Pansa, di numerosi uomini di Stato e di Governo e che impegnera' in modo massiccio il nostro apparato di sicurezza. Infine il Capo della Polizia avrebbe definito come positivo il decreto del Governo in tema di anti-terrorismo.
 


Migranti: preghiera interreligiosa a Catania per vittime naufragio
la Repubblica, 10-03-2015
Diciassette versi della poesia "Migrante" del nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986, per diciassette lapidi senza nome, quelle dei migranti di nazionalità eritrea, siriana e nigeriana che nella metà del mese di maggio del 2014 morirono in un naufragio al largo di Lampedusa. A promettere uno spazio adeguato nel Cimitero di Catania per quei migranti era stato, il 28 maggio scorso, nel Palazzo della Cultura, durante una cerimonia funebre interreligiosa nella quale aveva citato proprio la poesia di Soyinca, il sindaco Enzo Bianco. E stamattina, davanti ai loculi interrati - i due più piccoli di bambine di pochi mesi -, inseriti in un'area rettangolare di 140 metri quadrati, hanno pregato mons. Salvatore Genchi, vicario dell'Arcivescovo di Catania, e Keit Abdelhafid, presidente della Comunità islamica di Sicilia.
"Un momento intenso - ha detto Bianco -, di grande commozione, che dimostra una volta di più come Catania sia città dell'accoglienza. Qui, nell'agosto del 2013, abbiamo vissuto l'orrore di vedere sei giovani vite spezzate, migranti annegati a pochi metri dalla spiaggia. Da allora sono giunti sulle nostre coste migliaia di persone e abbiamo chiesto di essere aiutati ad accogliere, ma l'Europa continua nel suo assordante silenzio di fronte alla colossale catastrofe umanitaria che nuovamente si annuncia, con centinaia di migliaia di persone sulla costa africana pronte, in primavera, ad attraversare il Mediterraneo per sfuggire alla fame e alla guerra. Catania, intanto, ha realizzato queste sepolture al centro delle quali c'è 'La speranza naufragata', una statua alta tre metri di Pierluigi Portale realizzata dall'Accademia di Belle Arti e donata alla città". Del traffico di esseri umani e di quanto la magistratura italiana sta facendo per combatterlo, ha parlato il procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi, legandosi al messaggio inviato dalla presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, in cui si ricordava come solo in queste settimane 350 persone abbiano perso la vita in mare cercando di raggiungere l'Europa, e che queste vanno ad aggiungersi alle 3.300 vittime dello scorso anno.  



Da Srebrenica a Roma le marmellate della pace
La cooperativa Insieme è un esempio unico che dà lavoro a donne musulmane e cristiane sopravvissute al genocidi, di cui quest'anno ricorre il ventennale. "La nostra vita è andata molto oltre l'essere una vittima, i nostri prodotti hanno la dolcezza dei nostri sogni", ha detto a Montecitorio la fondatrice e pacifista Rada Zarkovic.
la Repubblica.it, 09-03-2015
RAFFAELLA COSENTINO
ROMA - In un momento storico in cui ci si preoccupa del terrorismo di matrice islamica, a Montecitorio è stato ricordato l'eccidio più grave in Europa dopo l'olocausto, che ha visto la morte violenta di otto mila musulmani. L'11 Luglio del 1995, in una città in teoria protetta dalle Nazioni Unite, ebbe luogo il massacro di Srebrenica. "Quello fu il giorno della vergogna per l'Europa  -  ha affermato la presidente della Camera Laura Boldrini - Si predicava la superiorità religiosa e che i musulmani di Bosnia dovevano essere annientati". L'occasione è stata la presenza di una cooperativa di donne sopravvissute a Srebrenica, che, ha sottolineato la terza carica dello Stato italiano: "vanno valorizzate e sostenute perché hanno superato l'odio attraverso il lavoro".
La cooperativa agricola "Insieme". Nata nel 2003, La Cooperativa agricola Insieme oggi conta 500 famiglie socie e una produzione annua di 500 quintali di "piccoli frutti" come more, lamponi e mirtilli, venduti congelati oppure trasformati in marmellate e succhi. Così donne di religioni diverse, ortodosse e musulmane, fra Bratunac e Srebrenica, hanno deciso di coltivare, insieme appunto, il dialogo e il futuro. La zona è la valle del fiume Drina, dove i lamponi sono una coltivazione tradizionale. L'idea è stata di Radmilla (Rada) Zarkovic. "Sono nata in Jugoslavia e ora vivo in Bosnia" risponde alle domande sulla sua nazionalità. "Ma prima di tutto sono pacifista" dice per connotare la sua identità. "Seguo Rada da quando stava con le donne in nero di Belgrado durante la guerra nella ex Jugoslavia" racconta il fotoreporter Mario Boccia, i cui scatti sono stati esposti durante l'iniziativa "Montecitorio a porte aperte" dell'8 marzo, insieme a una degustazione di marmellate. Una storia professionale e di amicizia durata quasi un quarto di secolo. "Durante la guerra nessuno avrebbe potuto immaginare la storia della cooperativa  -  continua il fotografo  -  ma anche oggi è difficile a causa di un dopoguerra bloccato, letteralmente congelato, da un punto di vista politico, sulle appartenenze etniche".
Le ex nemiche ora parlano di lamponi. Due donne, una cristiana e una musulmana, sopravvissute allo sterminio e all'orrore che le aveva messe su due fronti opposti, si ritrovano a discutere di come fare crescere al meglio una piantina di lamponi, di come produrre una marmellata secondo le ricette tradizionali. "Questo significa avere la capacità di ascoltarsi l'un l'altra, di non chiudersi nel proprio dolore, di sorridere, cantare e piangere insieme  -  spiega Rada Zarkovic  - gestisco un'impresa per motivi politici e sociali, attraverso il rinnovo del tessuto economico facciamo vivere insieme quelli che si sono fatti la guerra. Siamo tra i pochi soggetti che non si presentano come vittime fuori dalla Bosnia. Siamo donne capaci di combattere. I clienti comprano il nostro prodotto, non per il genocidio, ma per la sua qualità. Sono orgogliosa del fatto che la nostra vita sia andata molto oltre l'essere una vittima. Gli italiani hanno fatto tanto per noi, ci hanno dato un pezzo del loro cuore". Ad esempio la Tenda per la Pace e i Diritti di Monfalcone porta gli studenti delle scuole superiori fino a Bratunac a conoscere di persona la cooperativa e ne gestisce la pagina Twitter e Facebook in italiano.
La produzione è di due tipi. Frutti che vengono esportati congelati in altri Paesi europei, marmellate e succhi esportati solo in Italia. Ci sono tre linee diversificate: una per la Coop di marmellate zuccherate e non biologiche, una per l'Altromercato che è biologica e zuccherata, una terza apprezzata dai negozi Bio e dai gruppi di acquisto solidale che è biologica e senza zucchero. In dieci anni la cooperativa è passata da 10 soci a 500. Dà lavoro direttamente a 28 persone, reduci dal massacro e vedove; garantisce reddito per le fattorie associate; produce ogni anno 130mila vasetti di confetture e 180mila bottiglie di succhi di frutta, oltre a 350 tonnellate di prodotto congelato grezzo.
L'incubo delle tasse. Tutto questo in un contesto ancora difficile, segnato da crisi economica, disoccupazione e corruzione. "All'inizio abbiamo incontrato mille ostacoli da parte delle autorità locali, che cercavano sempre di portare avanti questo odio etnico  -  spiega Rada Zarkovic - Oggi è un grande problema il fatto che la legge bosniaca non riconosca il ruolo sociale delle cooperative, per cui il 90% del nostro fatturato se ne va in tasse". Il passato è stato complicato. "Quando abbiamo pensato di fondare la cooperativa, nel 2003, tutti gli impianti di trasformazione erano rimasti in Serbia come ex Jugoslavia  -  racconta la fondatrice della cooperativa - Abbiamo comprato una fabbrica distrutta in guerra per fare un impianto di congelamento, ora abbiamo anche il laboratorio per fare succhi e marmellate". L'obiettivo resta quello di espandersi. "Vogliamo incrementare le ricette tradizionali, importanti per la nostra identità". Rada e le sue donne sono abituate alla resistenza. "Noi siamo quelle che non hanno mai avuto il tempo di mettersi davanti a un muro bianco e lamentarsi  -  rivendica - Questo progetto all'inizio sembrava una pazzia. Oggi le nostre marmellate e i succhi hanno la dolcezza di tutti i nostri sogni".
 

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