Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 luglio 2010

Il reato di immigrazione clandestina supera l’esame della Corte Costituzionale.
ImmigrazioneOggi, 09-07-2010
Secondo la Consulta la scelta del Parlamento non è manifestamente irragionevole né arbitraria ed è coerente con il quadro europeo, mentre i casi di particolare tenuità potranno essere dichiarati improcedibili direttamente dal giudice di pace.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 250 depositata ieri, ha respinto alcune questioni di legittimità sollevate nei confronti dell’art. 10 bis del testo unico immigrazione, la norma introdotta lo scorso anno con la legge n. 94/2009 per sanzionare penalmente l’ingresso ed il soggiorno illegali nello Stato.
Secondo la Consulta, l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie.
Nel caso dell’art. 10 bis – nota la Corte – il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: bene la cui tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria dato che risulta offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero.
Inoltre, il controllo giuridico dell’immigrazione comporta necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia.
Peraltro, la scelta operata dal legislatore italiano con la legge del 2009 è tutt’altro che isolata nel panorama internazionale. Infatti l’analisi comparatistica rivela come norme incriminatrici dell’immigrazione irregolare di ispirazione simile, talora accompagnate dalla comminatoria di pene anche significativamente più severe di quella prevista dall’art. 10 bis, sono presenti nelle legislazioni di diversi Paesi dell’Unione europea: e ciò tanto nell’ambito dei Paesi più vicini al nostro per tradizioni giuridiche (quali la Francia e la Germania), che fra quelli di diversa tradizione (quale il Regno Unito).
Secondo la Corte, anche i dubbi di legittimità riferiti alla mancata previsione di una clausola di salvaguardia per i casi di tenue entità o di impossibilità di rispetto della norma (il “giustificato motivo”), quali ad esempio l’aver perso l’aereo o il non aver ricevuto tempestivamente dai parenti all’estero il denaro per l’acquisto del biglietto di viaggio, non hanno ragione di esistere. Infatti, da un lato l’attribuzione della competenza per questo reato al giudice di pace rende operante l’istituto dell’esclusione della procedibilità per «particolare tenuità del fatto», previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000; dall’altro, il sistema penale nel suo complesso già prevede cause di giustificazione in tutta una serie di casi, quali “situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé pienamente legittime, sempre che – come è ovvio – non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento”. Così come – conclude la Corte – è fuori discussione l’applicabilità anche al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato delle scriminanti comuni e, in particolare, di quella dello stato di necessità, come pure delle cause di esclusione della colpevolezza, ivi compresa la situazione dello straniero che non comprenda la lingua italiana o che entri in contatto per la prima volta con l’ordinamento giuridico nazionale.



L'Italia da sola salva gli eritrei

l'Opinione, 09-07-2010
Stefano Magni
E' invisibile questa notizia. Il giorno dopo l'accordo in Libia, mediato dall'Italia, per la li berazione di 250 profughi eritrei, solo L'Avvenire, fra le grandi testate nazionali, la pubblica in prima pagina. E' in primo piano anche su L'Unità, che la definisce "beffa".
Eppure l'accordo raggiunto è la dimostrazione che il trattato di amicizia e cooperazione italo-libico funziona, anche nei suoi meccanismi meno scontati. Infatti, nella relazione speciale con Tripoli, l'Italia non si impegnava solo a fornire assistenza tecnica e soldi ai libici in cambio della fine del flusso di migranti. Ma anche a proteggere i diritti di questi ultimi. L'accordo di ieri è la dimostrazione che questa seconda parte del trattato italo-libico non è solo sulla carta. In assenza di una relazione speciale fra Roma e Tripoli, i 250 rifugiati eritrei  fuggiti da una dittatura fra le più repressive al mondo, avrebbero fatto ben altra fine. Bastino un paio di esempi. Nell'aprile 2000, nel completo silenzio dell'opinione pubblica europea, Gheddafi permise il massacro di un centinaio di immigrati in un sanguinoso pogrom, divenuto tristemente famoso in Africa, ma quasi del tutto sconosciuto da noi. Durante tutto il genocidio in Darfur, iniziato nel 2003 e finito (almeno sospeso) solo l'anno scorso, i profughi che cercavano di fuggire alla violenza dei Janjaweed e delle truppe sudanesi, erano rispediti "al mittente" non appena venivano individuati in Libia. I 250 eritrei  stavano per seguire le orme dei loro predecessori. Il 29 giugno, dopo la loro ribellione al porto di Misurata (scoppiata perché non potevano imbarcarsi per l'Europa), sono stati arrestati in massa e deportati nel carcere di Braq, in pieno deserto, nel Sud del Paese, lontano da ogni aiuto. Sono più che credibili le loro denunce di pestaggi e digiuni imposti dalle forze libiche negli 8 giorni di detenzione. Solo l'intervento diplomatico italiano, dunque, ha permesso di ottenere per loro una sorte più umana: libertà in cambio di "lavori socialmente utili" nelle prefetture libiche. Restano ancora molte incognite. Gli eritrei potrebbero ancora subire maltrattamenti, i "lavori socialmente utili" potrebbero rivelarsi lavori forzati, l'incubo del pogrom ("tollerato" dalla polizia libica) è sempre dietro l'angolo. E anche per questo è allo studio, da parte dell'Italia, l'accoglienza di almeno parte dei profughi come rifugiati politici. Sbiadisce la polemica sui respingimenti italiani: senza l'intervento del nostro governo, condotto in solitario, privo di alcun appoggio da parte di un'assente Unione Europea, gli eritrei avrebbero dovuto scegliere fra rimpatrio o massacro. E nessuna Ong in difesa per i diritti umani avrebbe organizzato manifestazioni in loro favore, così come nessuno aveva sfilato nelle strade durante i pogrom del 2000.



Italia e Malta chiedono all’Ue di “assumersi il problema della lotta all’immigrazione clandestina”.

ImmigrazioneOggi,09-07-2010
Ieri a Villa Madama l’incontro tra Silvio Berlusconi ed il premier maltese Lawrence Gonzi.
Italia e Malta sanciscono definitivamente la “pace” sulle politiche dell’immigrazione e richiamano l’Unione europea ad una maggiore responsabilità verso i Paesi più esposti ai flussi del Mediterraneo. È questo il risultato del vertice tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il premier maltese Lawrence Gonzi che si è tenuto ieri a Roma. Un incontro che è seguito a mesi di incomprensioni e accuse per i soccorsi ai barconi dei migranti nel canale di Sicilia e reso possibile grazie all’opera di mediazione del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, durante la sua visita a La Valletta della scorsa settimana.
“È l’Europa che deve assumersi il problema della lotta all’immigrazione clandestina”: così, durante l’incontro con i giornalisti, Silvio Berlusconi ha sintetizzato l’intesa raggiunta a Villa Madama tra i due premier.
Berlusconi ha auspicato un maggiore impegno dell’agenzia europea Frontex insieme a “riconoscimenti commisurati alle spese che si sostengono” per i Paesi di approdo. Nel corso dell’incontro si è affrontato anche il tema dell’accordo italo-libico. “Un modello di Trattato – lo ha definito Berlusconi – che ha dato buoni risultati” che apre la strada anche ad accordi con l’Ue ed altri Paesi.
Gonzi, dopo aver ricordato l’amicizia con l'Italia “ancora più forte dopo l’adesione all’Unione europea”, ha sottolineato che “non è accettabile per noi che questo problema rimanga sulle coste del continente Europeo, su Paesi come Malta e Italia, serve che l’Unione europea riconosca che si tratti di un problema europeo”.



Concluso a Ginevra un incontro del World Council of Churches
Una rete ecumenica per difendere i migranti in tempo di crisi
L'Osservatore Romano, 09-07-2010
GINEVRA, 8. In un momento di crisi economica e di tassi di disoccupazione allarmanti, i migranti sono spesso usati come capri espiatori di tutti i problemi della società. Pertanto è compito delle religioni sostenere i diritti umani e la dignità di tutti. Lo hanno detto i membri del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) in occasione del Global Ecumenical Network on Migration (Gem), l'incontro annuale della Rete ecumenica internazionale sulle migrazioni appena concluso a Ginevra.
I membri del Global Ecumenical Network on Migration provengono dalle organizzazioni religiose e da enti ecumenici che si occupano di migrazione. L'organismo ha lo scopo di approfondire la comprensione sulle questioni migratorie a livello mondiale, fissare le priorità, mettere insieme le loro risorse per una migliore difesa dei rifugiati in occasione delle discussioni politiche a livello mondiale.
«Noi riteniamo che le religioni — ha ricordato nel corso dell'incontro Seta Hadeshian, direttore della Diakonia e giustizia sociale in Medio Oriente del Consiglio ecumenico delle Chiese— abbiano il mandato e la missione biblica di favorire la creazione di una società in cui tutti i popoli del pianeta possano godere dei doni di Dio, creati per tutti, in spirito di amore, di giustizia e di uguaglianza».
Uno degli ostacoli a questo compito —    Franca Di Lecce, direttore del Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) — è rappresentato dalla paura che domina le società contemporanee.
Riflettendo sulla sua esperienza in Italia, Di Lecce ha detto che «c'è bisogno di richiamare l'attenzione sulla logica
nascosta dietro le politiche migratorie.
Si tratta di una logica di guerra» che serve a nascondere l'incapacità dei governi nel fornire sicurezza, lavoro, giustizia, pace e sviluppo.
Secondo Franca Di Lecce, che ha illustrato la situazione italiana, sia dal punto di vista delle politiche migrato-
rie dello Stato che dell'impegno delle confessioni cristiane, «per promuovere la legalità occorre promuovere la sicurezza, punire il crimine organizzato, la corruzione, combattere la disoccupazione e la povertà attraverso politiche sociali, l'integrazione economica e culturale rivolta a tutti i cittadini, i migranti e la popolazione locale. Invece, spesso, la sicurezza è usata come uno slogan per stigmatizzare gli immigrati".
Sul tema «Le risposte delle Chiese alle migrazioni in Europa» è intervenuto Doris Peschke, segretario generale della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Cerne).
«Negli ultimi dieci anni — ha spiegato Peschke — le richieste di asilo politico nei Paesi dell'Unione europea sono diminuite. Nel 2008 il numero dì richieste ha raggiunto un livello del 10 per cento di quello che era 20 anni fa. Mentre il numero dei richiedenti asilo è salito nei Paesi entrati di recente nell'Ue, si registra un calo di richieste in Paesi come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo». ,



C’è un’altra via Padova "Noi siamo stranieri ma vogliamo la polizia"

Paola Fucilieri
il Giornale.it, 09-07-2010
All’improvviso lo assale un dubbio. E ci tiene, eccome, a precisare. Ostenta così un italiano perfetto, quasi colto, comunque senza sbavature grammaticali: una lingua che non t’aspetti, insomma, in bocca a un nordafricano. E una conoscenza di certe dinamiche che un po’ fa vergognare. "Perché sai cara, quando voi giornalisti parlate con noi, vi viene facile fare di tutta l’erba un fascio, vi piace fare colore...Ma non siamo mica tutti pezzi di fango qui in via Padova: spacciatori, rapinatori, balordi insomma. E la polizia, i carabinieri, i vigili, tutti quelli insomma che hanno lavorato e continuano a lavorare qui in questi giorni, lo sanno bene che tra noi stranieri ci sono molte brave persone. Che non hanno esitato a ringraziarli per quanto stanno facendo".
Via Padova: il 13 febbraio è lontano. Quel pomeriggio in cui gli stranieri diedero vita a quattro ore di follia totale - con danneggiamenti di auto e negozi dopo l’omicidio di Ahmed Abdel Aziz el Sayed Abdou, un ragazzo di quasi vent’anni arrivato in Italia dall’Egitto e morto accoltellato da tre sudamericani - adesso sembra essere accaduto altrove. Ahmed Abbah, 35 anni, egiziano, laureato in medicina e specializzando in cardiochirurgia, sa di essere un ragazzo fortunato. Non rinnega però le sue origini, la sua appartenenza al quel popolo maghrebino che a Milano viene automatico identificare con pizzaioli e spacciatori. E senza stigmatizzare poi tanto.
"Mia sorella quella sera era qui... - racconta agitando le mani grandi e nervose e indicando l’abitazione di via Arquà (la traversa di via Padova dove l’83 per cento dei residenti sono stranieri) -. Ha anche testimoniato con la polizia, per le indagini sugli assassini di quel povero ragazzo. Vorremmo che cominciaste a realizzarla questa integrazione. E qui le leggi non c’entrano. Ci vuole la gente, serve il cuore, serve la volontà di pensare "quello lì c’avrà pure la faccia scura, non saprà parlare, ma è qui che lavora, fa il suo dovere, è una persona per bene". Ecco: basterebbe pensare a noi come a delle persone. Persone che sono grate a questi uomini delle forze dell’ordine perché cercano di liberarci dalla marmaglia...Si dice così, no?".
La "marmaglia2 la noti subito. In via Padova e dintorni ce n’è tanta. "Anche quel ragazzo ucciso per una cavolata il 13 febbraio, il pizzaiolo egiziano, si dice fosse in realtà un piccolo spacciatore... - sorride amara Alina, una bella e longilinea ragazza tunisina che fa la barista in un locale alle Colonne di San Lorenzo, 21 anni e gli occhi da cerbiattona - Ecco: noi quella gente lì non la vogliamo da queste parti...Non sono immigrati. Sono persone che fanno male a tutto il mondo degli extracomunitari. Se i carabinieri ce li tolgono di torno, beh, semplicemente ci fanno un piacere. Ecco perché quando torno a casa la notte non mi sento assediata, circondata, ma fiera di essere protetta. Come una ragazza italiana".
Aziz Khadoul, tunisino, 35 anni, lavora nei cantieri. Ogni giorno, dalla sua abitazione di via Bengasi, si aggrega agli altri operai giornalieri davanti all’edicola di piazzale Lotto con gli scarponi, i jeans sdruciti, il giubbotto e il cappellino con la visiera. "Mia moglie fa la badante in una famiglia alla Bicocca, abbiamo tre figli. Ci tengo ad avere amici tra i poliziotti e i carabinieri... - assicura -. La gente in divisa da queste parti serve. Poi se ti comporti bene non hai nulla da temere. E quella giornata di follia, a febbraio, forse è servita a far capire che via Padova e dintorni vanno presidiati".



Immigrazione clandestina: arrestata una 45enne
L'attività dei carabinieri di Roccabascerana

Ottopagine.it, 09-07-2010
Roccabascerana - Immigrazione clandestina, i carabinieri di Roccabascerana hanno arrestato una cittadina russa. La donna di 45 anni è stata sorpresa sul suolo italiano in situazione di clandestinità e gravata da un ordine di espulsione emesso a suo carico dal Prefetto di Brindisi nel corso della primavera del 2007.
L'operazione. Ieri mattina, rintracciata la donna per le strade del centro di Roccabascerana, i carabinieri l’hanno dapprima portata in caserma allo scopo di estrapolare le esatte generalità e controllare l’identità nella banca dati delle forze di polizia, traendola poi in arresto perché risultata inottemperante all’ordine di espulsione, quindi di abbandonare il territorio dello Stato italiano nei cinque giorni previsti dalla legge a far data da quello della notifica del provvedimento amministrativo emesso dal prefetto di Brindisi, ultima dimora della straniera.
Il carcere. Tradotta immediatamente presso il tribunale di Avellino per la celebrazione del processo penale con rito per direttissima, la donna è stata scarcerata con il nulla osta all’espulsione, quindi accompagnata al competente ufficio immigrazione per le pratiche volte al rimpatrio in Russia.



Antirazzismo e socialità: altri mondiali a Casalecchio

l'Unità, 07-07-2010
Benedetta Broviatutti gli articoli dell'autore
Se a sud del globo in questi giorni si decide il destino calcistico dell'Olanda di Robben, dell'Uruguay di Forlan, della Germania di Klose e della Spagna di Villa, a Casalecchio di Reno, paese a pochi chilometri da Bologna, da oggi fino a domenica si gioca la 14 edizione di una manifestazione molto particolare e decisamente importante: i mondiali antirazzisti. Evento voluto e creato da un insieme di associazioni, tra le quali Progetto Ultrà, Uisp Emilia Romagna, Istoreco, l'Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea di Reggio Emilia, rete Fare, “Football against racism in Europe”, in collaborazione con la Provincia e il comune di Casalecchio di Reno, che anche quest'anno vedrà in campo migliaia di atleti provenienti da tutto il mondo, il cui obiettivo non è vincere ma è porre l'accento sui temi sociali più importanti e più attuali, dalla lotta al razzismo estesa anche alle forme più svariate di discriminazione, dalla tessera del tifoso per arrivare a tutto quello che ruota intorno al mondo degli ultras.
Una 5 giorni di sport, musica, dibattiti, incontri, in cui, per una volta, lo sport stesso è solo il denominatore comune di fondo, il collante, il coprotagonista di un evento che ha alla base l'idea della non competitività, del dialogo e del rispetto. Sotto lo slogan “Uguali diritti per tutti”, si confronteranno 204 squadre di calcio, 32 di basket, 16 di pallavolo, 10 di cricket, a cui vanno aggiunti i ragazzi che giocheranno a rugby o prenderanno parte alla gara podistica del venerdì, provenienti da Austria, Camerun, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Kenya, Macedonia, Lussemburgo, Grecia, Marocco, Slovacchia, Spagna, Svizzera, Turchia, Ucraina, Inghilterra, Macedonia e ovviamente Italia. Questi sono solo alcuni dei numeri, a cui si aggiungono i 200 e più volontari, che rendono l'idea di un progetto portato avanti da 14 anni e che ad ogni nuova edizione registra un successo enorme.
Ogni giornata, al di là delle partite che verranno disputate, avrà alla base un tema di fondo che verrà sviscerato, discusso e dibattuto. Oggi, come da tradizione, pensieri e parole dedicate dedicati alla memoria e alla resistenza negli anni del fascismo. Il giovedì sarà impegnato nel trattare un argomento delicato, e, mai come negli ultimi mesi, così tristemente sotto le luci della cronaca: le carceri. Tra le squadre partecipanti infatti,c'è anche quella del Pratello, l'istituto penale minorile di Bologna che tenta il recupero sociale dei ragazzi anche attraverso lo sport. Oggi e domani una selezione italiana e una spagnola giocheranno dietro le sbarre. Venerdì e sabato, alcuni ragazzi del Pratello, non tutti hanno il permesso di uscire, giocheranno il ritorno al parco Salvador Allende.
Il venerdì vedrà come tema centrale quello della differenza tra i generi, con un sguardo attento rivolto all'omofobia e a tutte le forme di discriminazione sessuale. La giornata clou si avrà sabato, con dibattiti che riguarderanno il diritto alla cittadinanza per tutti, contro ogni forma di sopruso e respingimento nei confronti dei migranti.
Molto spazio verrà dedicato anche agli incontri autogestiti, come quello, sempre sabato, che avrà come protagonisti un cittadino palestinese e uno israeliano, promotori del gruppo “Combattenti per la Pace”, che si confronteranno sull'argomento della convivenza civile. Uno spazio importante lo occuperanno anche le discussioni legate al mondo degli ultras, dalla «famigerata» tessera del tifoso alla presentazione di un libro, nella quale interverrà l'autore stesso. Il volume ha come protagonisti i membri originari dell'I.C.F., “Inter City Firm”, il gruppo di hooligans al seguito del West Ham, famoso per le dure umiliazioni inflitte alle tifoserie avversarie, come conquistare la curva nemica alle tre meno dieci, o per il suo essersi sempre mantenuto estraneo alla politica, costruendo comunque al suo interno una vera e propria gerarchia, in cui i capi decidevano le strategie per sfuggire al controllo degli Old Bill, i poliziotti, per affrontare gli avversari, trattati con onore e rispetto, senza armi ma solo con la forza dei pugni.
Domenica sarà la volta delle finali delle varie discipline sportive; nel calcio si assisterà ad una serie di partite in cui il risultato verrà deciso solo dalla lotteria dei rigori. Cornice di gare e incontri, sarà un serie di concerti e dj set che inizieranno alla sera per concludersi a notte inoltrata. Una Casalecchio letteralmente invasa, dunque, che avrà come centro del mondo i campi e le strutture del centro sportivo Allende. Una Casalecchio che getta, con forza, uno sguardo su un presente che fa sempre più i conti con episodi di discriminazione e intolleranza. Perché il futuro sia diverso si può partire anche da qui. Sport, aggregazione, idee, facce, colori, religioni, razze diverse che si incontrano e si confrontano.








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