Lungimiranza per risolvere il nodo delle richieste di asilo

Italia-razzismo
Il tempo passa e la fine della cosiddetta “emergenza Nord-Africa” si avvicina inesorabile. Il 26 settembre scorso la Conferenza unificata Stato Regioni ha raggiunto l’intesa sul “Documento di indirizzo per il superamento dell’emergenza Nord Africa” ed Enti locali e Unhcr avevano dichiarato la loro preoccupazione per la mancanza di fondi necessari a mettere in atto gli interventi di sostegno per le oltre 20mila persone attualmente accolte nel circuito.

Il Ministero dell’Interno, con una circolare del 30 ottobre, ha aggiunto un ulteriore tassello per porre fine all’emergenza. Il problema che si è creato, negli scorsi mesi, è il seguente: siccome la maggior parte dei richiedenti asilo scappati dalla Libia è di altre nazionalità e si trovava in Libia per lavoro (dopo la fuga dai Paesi di origine), buona parte delle domande di protezione presentate in Italia, sono state respinte. A questo ha fatto seguito una serie di ricorsi, per la maggior parte non ancora esaminati. Il tutto è stato esasperato dalla lentezza delle Commissioni territoriali, impossibilitate a fronteggiare una così grande mole di lavoro. Ma a monte di tutti questi problemi, c’è un fatto che non può non essere criticato. Si tratta della modalità di intervento scelta dal Governo al momento dell’arrivo di quelle 20 mila persone: non è stato concesso un permesso di soggiorno che coprisse la situazione collettiva, come poteva essere quello per motivi umanitari, ma si è preferito prendere in considerazione e valutare ogni singola situazione. E così molte persone non sono state ancora ascoltate, oppure hanno ottenuto un diniego perché il motivo fondante della fuga - la situazione del Paese che li ospitava – non era sufficiente per ottenere la protezione internazionale. Questa condizione è stata più volte segnalata dalle organizzazioni e dalle associazioni che operano in Italia in tema di rifugiati e richiedenti asilo. Ed era stata proprio messa in risalto l’impossibilità per queste persone di tornare nel loro paese di origine a seguito del diniego, perché spesso quegli stessi Paesi si trovano in uno stato di guerra o di guerra civile. La circolare del 30 ottobre dà disposizioni relative alla possibilità interviene in questo senso. Dando cioè l’opportunità agli stranieri fuggiti dalla Libia senza esserne cittadini, la cui richiesta di protezione internazionale era stata rigettata, di far riesaminare la propria domanda. Questo avverrebbe attraverso la compilazione di un modello C3 (utilizzato solitamente per questo tipo di richieste) che sarebbe preso in carico dalle Questure di zona per poi essere trasferito alle commissioni territoriali, utilizzando un sistemo di invio informatico. Viene chiarito, inoltre, che la possibilità di rilascio di un permesso per protezione internazionale prescinde dal fatto che sia stato presentato un ricorso contro l'eventuale diniego. Viene da chiedersi per quale motivo questi interventi debbano essere sempre fatti all’ultimo momento. Basterebbe, forse, avere un po’ di lungimiranza in più.
l'Unità, 08-11-2012

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