Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 maggio 2010

ZAIA: «Clandestini, serbatoio criminale
Nel Nord gli irregolari delinquono per il 60% in più degli italiani Per questo i cittadini considerano prioritarie le politiche su sicurezza e frontiere

laPadania, 13-05-2010
PAOLA PELLAI

La concretezza sta nel fare e nella legge dei numeri. Che non lasciano spazio ad ipotesi, ma sono realtà statistica. E allora diamo il megafono ai dati dell'ultimo rapporto Istat che sottolinea come il concetto d'immigrazione sia collegato a quello della criminalità. Lo pensa la gente, lo vive sulla propria pelle il territorio. Per questo Luca Zaia, governatore del Veneto, ha voluto far suonare quei dati come un campanello d'allarme: «Per il Nord il problema criminalità è prioritario. Soltanto nella mia Regione lo considerano tale 64 cittadini su 100, che motivano la loro preoccupazione anche in riferimento alla presenza di sacche di immigrazione clandestina, che fa da serbatoio alla malavita e alla criminalità». E non è certo terrore demagogico, visto che la base la fornisce il Rapporto nazionale sulle migrazioni (dicembre 2009) che spiega, esattamente, come sia cresciuto il numero degli stranieri nelle carceri italiane: nel giro di sei mesi sono passati dai 21.500 della fine del 2008 ai 23.700 di metà 2009. Con prevalenza di marocchini (4.714, pari al 21,9% dei detenuti stranieri), romeni (2.670 detenuti, pari al 12,4%), albanesi (2.610, ovvero 12,1%), tunisini (2.499, con l'11,6%) e algerini (1.109, con il 5,1%). Che sono poi, guarda a caso, i protagonisti assoluti della nostra cronaca nera. Quanto alla distribuzione geografica, la situazione fotografata a fine dicembre 2008 vede nella Valle d'Aosta la regione dove la maggior parte dei detenuti sono stranieri (il 64,5%), seguita dal Trentino-Alto Adige (54%), dal Friuli-Venezia Giulia (57%) e dal Veneto (61,6%), appunto. E, supportato dalla "crudeltà" di questi dati, il presidente Zaia rilancia: «I veneti non sono razzisti. Chiedono soltanto che si prenda atto della realtà con onestà intellettuale e si ri¬nunci a cavalcare l'onda mediatica puntando il dito contro il leghista brutto e cattivo». «La stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia  -   prosegue Zaia - è opera di clandestini, e nel Nord delinquono per il 60% in più degli italiani. Quale integrazione ci potrà essere nelle periferie delle nostre città - non nei centri storici - senza sicurezza e rispetto delle regole? A questa domanda nessuno, finora, ha dato risposta». Certo, perchè è più facile scardinare le regole e propagandare ogni genere d'indulto,  pur di non affrontare i problemi veri. «Intolleranza e ingiustizia sottolinea  Zaia proliferano laddove  mancano ordine e sicurezza. Lo diceva  un grande uomo della sinistra Francois Mitterand. Non tutta l'immigrazione è uguale, e dire che spesso chi vive in clandestinità delinque mi sembra un'ovvietà, confermata dai numeri, prima che dalla cronaca. Negarlo significa perseverare in una visione ironica che tanti danni ha fatto al nostro territorio. Una visione secondo la quale clandestinità equivale a bontà d'intenti. Una visione che ignora le richieste dei cittadini, che vogliono sicurezza perché sanno che senza di essa non ci potrà mai essere integrazione reale. In questo senso, città venete come Treviso e  Verona sono modelli da prendere ad esempio. L'immigrazione non deve essere subita ma governata, come sta facendo egregiamente il ministro Maroni, a beneficio dei cittadini italiani e degli immigrati regolari». E Zaia affonda il coltello in un altro problema, sollevato da Artigianfidi: «Il 42% degli  stranieri nella solaprovincia di Padova non restituisce i prestiti erogatigli. Esistono delle regole: e devono essere uguale per tutti.Questo non è negoziablie









Lingua, volontariato e casa sicura I "crediti" per diventare italiani
Il governo lavora alla pagella a punti per concedere la cittadinanza agli stranieri. Le penalizzazioni scattano se l'immigrato finisce in manette o viene multato

Libero, 13-05-2010
ARTURO BANDINI

Trattasi d'un imprevedibile colpo di lombi regolamentare.
Alle pendici del vuoto legislativo, tra un Gianfranco Fini che propugna la " cittadinanza breve" e un Roberto Maroni che intima il padanissimo no pasaràn (riferito ai clandestini) invischiandosi nella polemica infinita tra ius sanguinis e ius soli, a sfoderare il compromesso storico sull'immigrazione ci pensa il placido Maurizio Sacconi. Il ministro del Welfare - come anticipato dal quotidiano Italia Oggi - propone un "patto tralo Stato e il cittadino straniero" di due anni prorogabili che ne sancirà un percorso di integrazione. In pratica, una pagellina o una patente civica con tanto di crediti e debiti. In codesto biennio lo straniero, come uno studente universitario, dovrà impegnarsi per mettere assieme almeno trenta punti.
COME ALL'UNIVERSITÀ
Dopo il periodo di prova verrà rilasciato un attestato decisivo ai fini della concessione della cittadinanza. «La bozza di regolamento è stata esaminata dal preconsiglio dei ministri e andrà al vaglio dell'esecutivo nelle prossime settimane», rivela Italia Oggi. Ed è curioso che emerga solo ventiquattr'ore dopo in cui i berlusconiani Promotori delle Libertà abbiamo richiesto una soluzione al problema clandestini. La patente vale solo per gli stranieri tra 16 e 65 anni in Italia dopo la sua entrata in vigore; i crediti saranno assegnati in base ai titoli acquisiti e alla documentazione presentata nella durata dell'accordo; in assenza di attestati idonei a certificare la conoscenza della lingua italiana, della cultura civica e della vita civile in Italia, sarà un test a decidere i punteggi. Roba molto americana, insomma. Scatteranno le penalizzazioni se l'immigrato commette reati o è soggetto a misure di sicurezza personale. Chi delinque, è fuori. Lo straniero, da parte sua, dovrà impegnarsi ad acquisire una sufficiente conoscenza: a) della lingua italiana parlata pari al livello A2 (parametro invia di definizione) ; b) dei principi fondamentali della Costituzione e del funzionamento delle istituzioni italiane e «della vita civile in Italia» specie nella sanità, scuola, servizi sociali, del lavoro e agli obblighi fiscali»; d) della garanzia dell' «adempimento dell'obbligo di istruzione da parte dei figli minori».
QUESTIONE DI FASCE
Il regolamento dispone tre fasce di risultato. La prima prevede l'estinzione dell'accordo per adempimento e il rilascio (dal prefetto) dell'attestato, per gli immigrati che hanno raggiunto o superato i 30 crediti finali, con livello linguistico sufficiente di conoscenza della nostra cultura civica e vita civile. La seconda fascia è per coloro che hanno totalizzato crediti finali superiori a 0 e inferiore a 30. Per costoro è prevista proroga di un anno dell'accordo d'integrazione, alle stesse condizioni del biennio trascorso. Infine, la terza e ultima fascia riguarda gli immigrati con crediti finali pari o inferiori a 0. Per questi il prefetto risolve l'accordo e/o con immediata espulsione. Nel testo compare una norma ai limiti dell'incostituzionalità: «Non si fa luogo alla stipula dell'accordo e, se stipulato, questo si intende risolto, qualora lo straniero sia affetto da patologie o da disabilità tali da limitare gravemente l'autosufficienza o da determinare gravi difficoltà di apprendimento linguistico e culturale..».









Serve un filtro "federale" per concedere la cittadinanza

laPadania, 13-05-2010
EMANUELE POZZOLO

Si sente, sempre più spesso, molta gente che parìa del tema della "cittadinanza" come se stesse giocando a carte. C'è chi vuole estendere velocemente la cittadinanza agli sfranieri presenti sul territorio nazionale e c'è chi bolla come "iniqui" gli attuali tempi di attesa, previsti dalla legge, per l'accoglimento dell'istanza per l'ottenimento della cittadinanza italiana.
Proprio attorno al concetto di "cittadinanza" si sta scatenando un dibattito che merita di essere analizzato con serietà e pacatezza, cercando di andare aldilà degli ideologismi fine a se stessi Anzitutto è utile comprendere di cosa si parla quando si dice o si scrive "cittadinanza": la cittadinanza è quello status giuridico che qualifica la condizione della persona fisica alla quale l'ordinamento giuridico di uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici.
La cittadinanza non è dunque un orpello: è anzi la premessa giuridica tramite la quale un soggetto entra a far parte, a pieno titolo, di una comunità nazionale. La cittadinanza non può essere vista come uno strumento utile all'integrazione dello straniero, proprio perché la cittadinanza non va letta come uno "strumento": o. diventare cittadini italiani non può essere la premessa per una compiuta integrazione culturale e sociale, bensì deve essere ti punto d'arrivo del percorso di assimilazione giuridica e culturale del modello comunitario del paese ospitante.
La concessione della cittadinanza a un immigrato deve essere inquadrata più correttamente entro un'ottica di premio e di traguardo rispetto a un percorso attuato con serietà, rigore e convinzione da parte dell'aspirante nuovo cittadino. Concedere la "cittadinanza" di un dato Stato a un elemento allogeno è atto giuridico di forte rilevanza politica perché significa riconoscere che il soggetto originariamente "straniero'' ha compiuto un percorso, di integrazione o di assimilazione, che ha avuto come sbocco la "nazionalizzazione" culturale e sociale del soggetto stesso.
Concedere la cittadinanza italiana a un marocchino, un senegalese, un cinese, un pakistano o un turco significa insomma riconoscere che quel soggetto da "elemento esterno" si è trasformato in "elemento interno" alla nostra comunità nazionale. È chiaro che, a supporto di un riconoscimento politico di questo tipo, debbano presentarsi dei fatti, degli elementi concreti, delle prove - per utilizzare un linguaggio processuale - volte a testimoniare il presunto percorso integrativo dell'aspirante nuovo cittadino.
Non può bastare ti tempo a prova dell'avvenuta integrazione o assimilazione dell'immigrato nel nostro tessuto comunitario: servono altri elementi ben più concreti e vitali, elementi che possano davvero produrre nella comunità nazionale ospitante la certezza del definitivo compimento di un processo di integrazione.
E fondamentale che ti. dato cronologico - senza subire velocizzazioni o facilitazioni - continui a fungere da primo "filtro" all'interno di una seria normativa sulla concessione della cittadinanza: ma accanto a questo primo requisito legato al tempo è necessario sviluppare altre forme di valutazione legate alla condona giuridica, alla compatibilità religiosa e culturale e alla conoscenza linguistica dei soggetti che aspirano ad ottenere la cittadinanza italiana.
Per entrare a far parte di una nuova "patria" è indispensabile riuscire a dimostrare un interesse e un impegno concreto sulla strada della condivisione storica e valoriale dell'identità della comunità di cui si vorrebbe divenire parte integrante. Non vi possono essere scorciatoie sulla via dell'ottenimento della cittadinanza, perché ogni velocizzazione impressa a un fenomeno delicato e serio, come quello in oggetto, non farebbe altro che produrre danni inenarrabili al concetto stesso di "comunità nazionale".
Il concetto di "comunità nazionale", in un Paese come l'Italia, lascia già alquanto a desiderare: l'intrusione forzata di elementi esterni alla cultura italiana nel consesso comunitario nostrano potrebbe definitivamente far venire meno ogni residuo barlume di identità "nostra".
È per questa ragione - anche difensiva e conservativa della nostra identità storica, religiosa e culturale -che è possibile pensare a un ulteriore "filtro federale" sulla strada per l'ottenimento della cittadinanza italiana: potrebbe prevedersi una sorta di esame propedeutico regionale, che verifichi le conoscenze culturali tradizionali di base, al fine dell'ottenimento della cittadinanza italiana È necessario valutare con estrema cautela tutti gli aspetti che interessano a formare la "personalità sociale" degli ipotetici nuovi cittadini italiani: anche alfine di porre un argine invalicabile per tutte quelle religioni o culture che si presentano come direttamente antitetiche ai valori su cui si fonda la nostra civiltà cristiana occidentale.
È tempo di serrare i ranghi delle nostre patrie per difendere le nostre società dall'ondata di globalizzazione asfissiante che rischia di sbriciolare ogni legame con la storia, con il sangue e con l'identità.









Fini, rivedere la legge sulla cittadinanza

IGN, 13-05-2010

Pisa,(Adnkronos) - "In Italia la legge sulla cittadinanza necessita, a mio avviso, di essere rivista per favorire pienamente un percorso di integrazione che, al di la' di elementi solo formali, come il mero trascorrere di un certo periodo di tempo, testimoni la volonta' concreta dell'immigrato di partecipare al destino comune che lega tutti i componenti della societa' politica di cui entra a fare parte". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nella lezione sul tema 'Immigrazione e diritti di liberta' nell'era della globalizzazione' che ha tenuto questa mattina nella Facolta' di giurisprudenza all'Universita' di Pisa. Il presidente dell'assemblea di Montecitorio ha ricordato come la legge numero 91 del 1992 ha il suo cardine nello 'jus sanguinis', integrato da residuali ipotesi di 'jus soli'.








«Sullo ius soli con Sant'Egidio»

Europa, 13-05-2010

Il presidente della camera, Fini, condivide l'appello della Comunità di Sant'Egidio a tutti i parlamentari in vista della riforma della cittadinanza «perchè sia introdotto nella nostra legislazione lo ius soli per i bambini che nascono in Italia».








Ecco perché la Bossi-Fini crea irregolari

il Fatto Quotidiano, 13-05-2010
di Corrado Giustiniani

Non è affatto normale che un clandestino delinqua, come vuol far credere il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Normale è invece che per diventare regolare un immigrato debba passare per la clandestinità, dal momento che la legge Bossi-Fini non ammette un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro nel nostro paese. E' allora realistico scegliere una badante ucraina o una colf tuttofare, trasferendola direttamente da Kiev, senza averla mai vista all'opera? E' normale fare lo stesso per avere un operaio di una piccola impresa? No? E allora appare come un macroscopico bluff l'obbligo di legge che uno straniero varchi i confini del nostro paese già da regolare, con il suo bravo contratto di lavoro in tasca. Non sono forse le norme in vigore che di fatto creano clandestini? Interrogativi molto semplici, che però raramente i giornalisti pongono ai loro interlocutori, ai quali viene invece concessa la possibilità di "buttarla in caciara", che così "fa titolo". Senza controllo dei media, c'è una gara a chi la spara più grossa. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, ad esempio, lascia intendere agli italiani che la gloriosa politica di respingimento dei barconi abbia inferto un colpo letale alla clandestinità. Ma per mare arriva una quota minima di immigrati e per quasi la metà si tratta di richiedenti asilo politico. A loro sbattiamo la porta in faccia, delegando a Gheddafi il rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Nemmeno questo sembra fare scandalo. Ma i clandestini non diminuiscono come vorrebbe il ministro. E' vero il contrario: aumentano, ancorché la crisi economica abbia rallentato gli arrivi. Secondo la stima di Vincenzo Blangiardo, dell'Università Cattolica di Milano, al 1° gennaio del 2010 erano cresciuti di 125 mila unità rispetto all'anno precedente, e sarebbero oggi 550 mila, in gran parte, come abbiamo visto, forzati della clandestinità. Chissà perché si è fatta una sanatoria a metà, solo per le badanti. Cambiare la Bossi-Fini è considerato un sacrilegio e guai, poi, a favorire la cittadinanza dei bimbi stranieri nati in Italia. Avanti a tutto respingimento, allora, che televisivamente rende assai bene.








Moratti: clandestini=delinquenti. Come italiani=mafiosi

politicamentecorretto.com, 13-05-2010

Nei giorni scorsi il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha fatto una sorta di equazione tra clandestinità e delinquenza. Ciò appare contraddetto dalle statistiche disponibili, che dimostrano come non sia neppure vero che l’immigrazione abbia fatto aumentare i tassi di criminalità in Italia.
Come ha documentato Tito Boeri in alcuni articoli,  dai dati disponibili sul sito dell'Istat si ricava però che pur a fronte di un incremento del 500 per cento del numero di permessi di soggiorno (passati da 436mila a 2.286mila) dal 1990 a oggi, i tassi di criminalità (numero di crimini per 100mila abitanti) sono rimasti pressoché invariati. Anche a livello regionale si evince che nelle regioni settentrionali caratterizzate da una maggiore intensità dei flussi migratori, il tasso di criminalità è rimasto pressoché invariato (Lombardia e Veneto) o è diminuito significativamente (Emilia Romagna). Inoltre non deve essere dimentica che dei circa 500 mila irregolari, il 66% ha un lavoro, è impiegato in nero e fa turni molto pesanti: l' 80% non si ferma neppure il sabato, il 32% lavora di domenica e il 38% fa anche turni notturni (contro il 22% degli immigrati regolari). Tra questi il tasso di delinquenza è né più ne meno quello che si riscontra tra gli immigrati regolari. Aspetto invece decisivo è che i mezzi di informazione (giornali e televisioni) in Italia trattano dell' immigrazione sempre più insistentemente con riferimento a notizie di cronaca che coinvolgono gli immigrati. La percentuale di notizie e articoli contenenti la parola "immigrazione" è cresciuta negli ultimi cinque anni in Italia del 15 per cento, più che in tutti gli altri paesi dell' Unione Europea, dove i media continuano a dare più o meno la stessa importanza al tema. E le notizie che vengono fornite sull' immigrazione in Italia sono quasi esclusivamente negative, inquietanti per la popolazione che le ascolta. La percentuale di notizie su atti criminali sul totale delle notizie sugli immigrati è da noi tre volte superiore che negli altri paesi dell' Unione Europea. Per questo intervenendo alla trasmissione “Il Fatto del giorno” ho paragonato l’equazione clandestini=delinquenti a quella di una parte degli americani che nel passato dicevano italiani=mafiosi!









Riace, dove l'integrazione è ora un possibile sogno
Nella stessa Calabria di Rosarno la solidarietà riporta un paese alla vita

La Stampa, 13-05-2010
Guido Ruotolo inviato a Riace

Riace è quell'imprevisto che ti costringe a rimettere in discussione delle certezze. Del resto è successo a un famoso e illustre maestro della macchina da presa, Wim Wenders, che era venuto da queste parti per raccontare un'esperienza di solidarietà con gli immigrati, a Badolato. Un film con Ben Gazzara nella parte di un sindaco. Poi è accaduto che una comparsa, un attore, un ragazzino afghano, sulla spiaggia di Scilla, partecipando alla scena di uno dei tanti sbarchi di clandestini, si è rivolto al regista: «E' molto bello quello che stai facendo. Ma io sono venuto qui per te. Se sei una persona seria, devi venire a Riace, al mio paese». Racconta il regista: «Il Volo non poteva essere solo un film di fiction, con attori - grandi e piccoli - a prendersi tutta la scena. Era necessario che la fiction indietreggiasse per far posto alla realtà. Come posso fare un film sui rifugiati senza coinvolgerli in prima persona?».
Ecco, come possiamo continuare a parlare di clandestini, rifugiati, politiche di accoglienza o inviti all'esclusione senza sentirli respirare, senza ascoltare le loro emozioni, i sogni, i problemi della loro vita quotidiana di emigranti? Questi sono giorni di blitz contro i caporali sfruttatori di immigrati e gli squadroni della 'ndrangheta di Rosarno. E Riace, a un centinaio di chilometri a Nord di Reggio, sulla costa ionica, è un bel respiro profondo e una presa di distanza da tutto questo senso di morte.
Qui si sperimenta una solidarietà concreta con il contributo del ministero dell'Interno. Riace sta in quella rete di enti locali (duecento) che fanno parte del «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» (Sprar), di quel programma di reinsediamento dei rifugiati. In tempi di leggi «ad escludendum», di rancori e dispetti contro gli stranieri extracomunitari, questa è una esperienza da preservare gelosamente. Riace è una
comunità - «di 200 nuovi cittadini» dice il sindaco Mimmo Lucano - di 110 palestinesi del campo profughi di Al Tanaf, tra l'Iraq e la Siria, terra di nessuno. E poi di curdi, afghani, eritrei, serbi rom che sta ripopolando un paese arroccato nell'entroterra e destinato a un lento e inesorabile abbandono. Mimmo il sindaco è un entusiasta. Sembra un ragazzino felice di poter raccontare la sua avventura. Parla di loro, della comunità di stranieri accolta qui, del fatto che grazie a loro Riace è tornata a crescere e adesso sfiora le duemila anime («ma a Santena, Torino, ci sono più riacesi che a Riace»). Parla di loro come di una grazia ricevuta.
Attenzione, Mimmo avverte molto una «crisi identitaria» delle comunità «agropastorali» della fascia ionica. Denuncia le speculazioni degli Anni 80 e 90 lungo il litorale, quando appunto le comunità locali pensavano di traslocare sul mare, di sviluppare una vocazione turistica e residenziale, avendo a modello le varie Rimini e Riccione. E dunque per lui l'ospitalità agli stranieri non è solo un fatto di civiltà, ma è una necessità per poter far vivere la sua Riace. Comunque, per farla breve, il nuovo inizio di Riace, Badolato, Caulonia ha una data precisa. No, non il 18 agosto del 1972 quando furono ritrovati in mare i famosi Bronzi di Riace. No, ma il primo luglio del '98, quando si spiaggiò una nave con 300 curdi iracheni e turchi. Si comincia a praticare una solidarietà militante. «Erano gli anni di Ocalan - ricorda il sindaco - e molti curdi sbarcati sulle nostre coste erano militanti del Pkk. Divento sindaco di Riace nel 2004. Con loro, con i rifugiati, inizia una nuova primavera del paese: riaprono vecchie botteghe, si mette in moto un turismo solidale, le scuole si ripopolano». Squilla il telefono del Comune di Riace. E' una studentessa che chiama dalla Germa nia, per la sua tesi di laurea, vuole venire a Riace e chiede un appuntamento al sindaco.
Dunque,  il  Programma nazionale di aiuto ai richiedenti asilo prevede una quota di 16 euro (adesso 20) pro capite al giorno (commenta il sindaco: «A noi 20 euro, per i Cie 80, 100 euro»). Lucano non si scoraggia: vitto, alloggio,   scolarizzazione, spese mediche. Il Comune   non   dichiara bancarotta.    «Vuole conoscere i risultati: questa economia dell'accoglienza produce lavoro, attività, progetti. Oggi 43 rifugiati lavorano nei laboratori, nelle scuole, alla mensa». Il centro antico di Riace. La scuola, l'asilo: 30 bambini, 12 stranieri. Akim e Sonia, afghani, senza genitori. C'è la bimba serba ed eritrea.
Il ristorante «Taverna Donna Rosa». Venti giorni prima delle elezioni del 2009 (la giunta del sindaco riconfermata). La vetrata della porta d'ingresso: due fori di proiettili. Due cani randagi adottati dal figlio del sindaco vengono ritrovati avvelenati. Morti. E Riace come reagisce? Murales sul muro del ristorante: «Cuntru a 'ndrangheta ndì tingimu i mani». Contro la 'ndrangheta ci sporchiamo le mani. Quel vetro è un'opera d'arte: impronte colorate di mani. Dal portone dell'Associazione Città Futura (dove si svolgono corsi per imparare l'italiano) esce un omone.
E' senza una gamba. E' un uomo afghano, con un paio di buste per la spesa piene, che porta senza rinunciare a imbracciare le stampelle. «Ero al Centro di Gradisca - dice - sono qui da due mesi con i miei sei figli». Nisia la serba arriva da Bolzano. C'è una ragazza con il velo. Al telaio del laboratorio di tessitura c'è Mona, palestinese. Una donna etiope a quello di ceramica.  C'è Shuri che ha 23 anni. In un basso di una stradina, una madonna nera, con un vestito colorato. E' seduta sul gradino di una casa, ha un cellulare in mano. Nella penombra una vecchia di Riace ha in braccio il bambino della ragazza. Una scena bellissima.









DUE GEORGIANI ARRESTATI AL PORTO DI BARI DA POLIZIA

AGI, 13-05-2010

Bari - Due cittadini georgiani sono stati arrestati dalla Polizia di Frontiera al Porto di Bari, con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Si tratta di Valdimir Susareishvili di 40 anni e Besarion Uglava, di 50 anni, fermati a bordo di un furgone con targhe inglesi, sbarcato da un traghetto proveniente dalla Grecia, con un passeggero, i cui documenti, apparentemente bulgari, sono risultati falsi. Dagli accertamenti, e' emerso che si trattava di un cittadino georgiano, che avrebbe dovuto corrispondere agli autisti una somma di denaro a viaggio concluso. Lo straniero e' stato cosi' affidato al Comandante del traghetto per la riammissione nello Stato provenienza, mentre i due arrestati sono stati rinchiusi nel carcere di Bari.







Finanziano il terrore islamico Cinque arrestati in Europa

il Giornale, 13-05-2010

Cinque persone sono state arrestate in Italia, Gran Bretagna e Francia nel quadro di un’indagine sul finanziamento di una rete di «terrorismo islamico» da parte di un gruppo che aveva i suoi quartier generali a Roma e Milano.
La cellula, ha spiegato ieri l’Organizzazione europea per la cooperazione giudiziaria Eurojust dall’Aia, in Olanda, era coinvolta in casi di immigrazione illegale e traffico di droga (di «diazepam», una sostanza stupefacente particolarmente diffusa nel Nord Europa, Canada e Stati Uniti).
Due persone sono state arrestate due giorni fa nelle due città italiane nel quadro di un’indagine condotta dalla polizia italiana dal 2007, ha confermato Joannes Thuy, portavoce di Eurojust. Altre due persone sono state fermate sempre ieri nel Regno Unito e una in Francia. I cinque erano residenti nell’hinterland milanese
L’organizzazione criminale smantellata era specializzata in immigrazione clandestina e traffico di droga «per finanziare il terrorismo islamico», ha confermato Eurojust.
I suoi membri sono sospettati di avere fatto entrare illegalmente in Italia dei cittadini pachistani e afghani muniti di falsi documenti d’identità, attraverso l’Iran, la Turchia e anche la Grecia.
Una volta in Italia, i clandestini sono stati trasportati con dei camion in Germania, in Svezia, in Belgio, nel Regno Unito e in Norvegia. L’organizzazione Eurojust ha indicato di avere «agevolato» la cooperazione tra le autorità giudiziarie dei diversi Paesi coinvolti.








Volevano colpirci L'Italia li espelle, il Marocco li rilascia
Sono già liberi i due studenti jihadisti che preparavano attentati a Perugia. Rabat: contro di loro nessun'accusa

Libero, 13-05-2010
Mario Dergani

Nel mirino della «cellula jihadista» di Perugia, come l'ha definita la Digos, c'erano città e monumenti italiani, non certol'economia marocchina. Così    le autorità di Rabat hanno rilasciato i due immigrati espulsi dall'Italia il 29 aprile scorso per «motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo.
NESSUNA ACCUSA
Secondo il giornale arabo al-Sharq al-Awsat, i due studenti Muhammad Hlal, di 27 anni, e Ahmad Errahmuni, di 22, sono liberi cittadini. Sono stati consegnati dalle autorità italiane ai colleghi  marocchini  all'aeroporto di Casablanca, ma poirile sono giunti a destinazione
senza essere accusati formalmente di terrorismo, nei loro confronti non si può procedere, secondo la legge. Del resto, non si è ancor conclusa l'inchiesta perugina sulla cellula di ultra fondamentalista islamici e formalmente non risultano  richieste di rinvio a giudizio. Le  indagini         coinvolgono anche altri quattro marocchini, oltre a un tunisino e un palestinese con passaporto israeliano, che hanno subito perquisizioni- E    rimangono ancora da analizare i documenti sequestrato, mentre il materiale  informatico in buona parte captato nei computer   degli   indagati, 
e all'esame della polizia scientifica.
L'TALIA NEL MIRINO
Tutta questione di competenze territoriali. C'erano gli elementi sufficienti per rimpatriarli, tra cui le fotografie di siti sensibili e le mappe di località a rischio, le intercettazioni in cui i due si dichiaravano pronti a entrare in azione. E, mentre procedeva la loro radicalizzazione, si erano già impossessati, su Internet, delle tecniche per costruire ordigni esplosivi. Tuttavia, non risulta nessuna accusa contro di loro, nel Paese natale. Soltanto gli elementi in possesso dei magistrati, trasmessi dalla prefettura del capoluogo umbro al ministero dell'Interno per una valutazione della pericolosità dei due studenti, sfociata poi nell'espulsione dei due studenti, disposta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni. «A seguito di indagini - spiegava il Viminale nell'occasione è emerso per i due stranieri un profilo di pericolosità, per i collegamenti con estremisti islamici contigui alle reti transnazionali di sostegno al terrorismo di matrice religiosa e per la propensione a compiere anche eclatanti atti estremi».
I due immigrati marocchini, che sono stati assistiti legalmente da un'associazione per i diritti umani del Paese nordafricano, hanno preannunciato che presenteranno ricorso al Tar del Lazio contro 0 decreto di espulsione emesso nei loro confronti dal Viminale.
Nel frattempo, anche se per vie non ufficiali, di certo sarà esercitata una discreta sorveglianza sulla loro attività, i loro spostamenti. Si potrebbe addirittura scoprire qualcosa di più sui due "studenti" e sui loro eventuali complici.
LA VICENDA                      
ESPULSI IL 29 APRILE
Ahmad alRahmuni e Muhammad Hilad, studenti marocchini di 22 e 27 anni, che soggiornavano in Italia avevano ricevuto il decreto di espulsione lo scorso 29 aprile. Erano stati rimpatriati a Casablanca.
L'ACCUSA
Nei confronti dei due immi-grati erano emersi elementi di pericolosità «per i collegamenti con estremisti islamici contigui alle reti transnazionali di sostegno al terrorismo di matrice religiosa e per la propensione a compiere anche eclatanti atti estremi».
LA LIBERAZIONE Una volta giunti in Marocco, gli studenti sono stati liberati perché, non essendoci accuse di terrorismo nei loro confronti, secondo la legge del Paese non si poteva procedere contro di loro.








DICHIARAZIONE Di FEDE Uso del burqa

Corriere della Sera, 13-05-2010

Rispondendo a un lettore sull'uso del burqa lei ha dato una risposta-non risposta. Vuole approfittare di un prossimo intervento per chiarire il suo pensiero senza dare l'impressione di arrampicarsi sugli specchi?
Nerio Fornasier Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. Il lettore aveva invocato una legge di polizia degli anni Trenta, scritta per sventare atti criminali soprattutto, ma non solo, in tempo di carnevale. Non mi è sembrato che quella legge potesse applicarsi al caso del burqa. So che anche questo indumento può servire a un terrorista, ma credo che sarebbe un errore trattare chiunque lo indossi alla stregua di una potenziale minaccia. E continuo a pensare che esso sia, nelle intenzioni di coloro che lo indossano, una dichiarazione di fede. Molti pensano che la donna porti il burqa perché succube del marito. In alcuni casi probabilmente sì. Ma alcune indagini in Francia dimostrano che il burqa è spesso indossato da donne europee convertite all'Islam: un comportamento tipico dei neofiti.









Immigrazione: né "struzzi" né bellicosi

laPadania, 13-05-2010

È uscito in libreria Anche voi foste stranieri. L'immigrazione, la Chiesa e la società italiana di don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana. libro a tesi, in molti aspetti condivisibile, in altri meno. Scrive don Sciortino: «Due Italie si contrappongono. A torto o a ragione. C'è chi soffia sul fuoco, alimentando paure e tensioni. Chi affronta il problema con superficialità. Quasi non lo riguardasse. Chi, di fronte a un immigrato, sbuffa infastidito. Sempre, e a prescindere. E chi, infine, capisce che una soluzione va trovata. Nell'accoglienza e nella legalità. La politica dello struzzo non paga. Non serve nascondere la testa nella sabbia. 0 girarsi dall'altra parte. Ma è deprecabile la chiamata alle armi per sbarrare il passo allo straniero. Anzi. È un terribile boomerang. Un'illusione. Crea ancor più problemi. Così il Paese arranca. Non andrà davvero lontano. Né basta imprecare contro lo straniero che ci ruba il lavoro, violenta le donne, svaligia le case e terrorizza interi quartieri. Accade anche questo, ma quanta enfasi su TV e giornali quando di mezzo c'è l'immigrato».
«Due Italie si contrappongono - continua il direttore di Famiglia cristiana -. Quella "arrabbiata", pugno serrato e muso duro, che "digrigna i denti" e sbava di livore. E l'altra, quella dei buoni sentimenti, accusata di "buonismo", ma solidale coi piedi per terra. Come chi guarda in faccia la realtà. La prima è chiassosa e impulsiva. Ha dalla sua maggiore visibilità mediatica, per amplificare parole e gesti. L'altra Italia, più silenziosa, è intenta alle emergenze e ai primi soccorsi. Spesso è, volutamente, ignorata. Perché il volto buono dell'Italia non ripaga. Meglio oscurarlo. Non è "politicamente corretto" dire che gli immigrati sono esseri umani. Come lo siamo noi tutti. E che i loro bambini sono uguali ai nostri figli. In tutto. Quale Italia prevarrà? In gioco c'è il nostro futuro. E la speranza del Paese».




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