Cronache di ferragosto

Ieri, 20 agosto 2009, in un’aula di giustizia, udienza davanti al Giudice di pace per “reato di clandestinità”: l’avvocato dell’imputato solleva eccezione di costituzionalità a proposito della norma che qualifica come fattispecie penale l’ingresso e il soggiorno irregolari nel nostro paese. Il giudice appare, oltre che comprensibilmente accaldato, visibilmente infastidito e fin irritato dal trovarsi costretto ad affrontare –“perché proprio io?” e con quel clima torrido, poi- una questione giuridica tanto delicata; e cerca in tutti i modi di scoraggiare il legale e di evitare che l’eccezione di costituzionalità sia messa agli atti. Come andrà a finire, è difficile prevedere, ma è certo che si tratta solo di una delle molte manifestazioni delle incongruenze, e degli effetti incontrollabili che l’applicazione delle nuove norme sulla sicurezza è destinata a produrre. Alla prova dei fatti, a pochi giorni da quell’8 agosto che ha visto l’entrata in vigore della legge, si ha la netta sensazione che l’effetto propagandistico-ideologico tenda a svanire, e resti solo un macchinoso e ferrigno apparato coercitivo, destinato a precipitare nell’illegalità un gran numero di immigrati intenzionati a regolarizzare la propria posizione. Cosicché quelle misure, si traducono, per un verso, in un ghigno feroce, e per l’altro, in un meccanismo discriminatorio ed escludente. L’efficacia di tutto ciò, ai fini della sicurezza collettiva, è perlomeno assai dubbia. Insomma, la finalità tutta politica che ha portato all’approvazione delle norme sulla sicurezza sembra accontentarsi dell’effetto suggestivo del messaggio. E ora si scopre che, mentre leghisti balneari e con false Crocs ai piedi (denunciateli alla Guardia di Finanza per contraffazione) parlano di “centinaia di espulsioni”, quei provvedimenti raramente (e fortunatamente, aggiungo) vengono eseguiti. Basti un esempio: i primi migranti, arrestati per clandestinità, hanno fatto perdere agevolmente le proprie tracce perché i funzionari dell’Interno non avevano previsto che -per trasferirli nel CIE di Brindisi- si dovesse provvedere al pernottamento della scorta. E così, al CIE di Brindisi, ancora li aspettano. Ma guai a pensare che un tale indecente esercizio di propaganda sia solo propaganda. Una parte delle nuove norme costituiscono una rappresentazione per così dire plastica di quella “produzione di razzismo per via istituzionale”, di cui più volte si è scritto: selezionano, discriminano, sperequano, determinano disparità e diseguaglianze, handicap e svantaggi. Soprattutto, producono clandestinità, mentre declamano di volerla combattere. Per migliaia e migliaia di migranti diventa più difficile continuare nel proprio lavoro o trovarne uno nuovo, ricongiungersi ai propri familiari o sposarsi, riconoscere i propri figli e farli studiare, curarsi, formarsi, integrarsi (come viene raccontato nelle pagine seguenti di questo giornale). Infine, consideriamo quanto avviene a Lampedusa: le tronfie e tonitruanti dichiarazioni del ministro dell’Interno e dei suoi corifei (“più nessuno sbarco in Sicilia”) tentano di celare, con macabra ipocrisia, il fatto che i pattugliamenti delle coste libiche e di quelle italiane finiscono col dischiudere, in quel tratto di mare aperto, una voragine in cui si inabissano i corpi di migranti e profughi.
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