Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 giugno 2012

Dodici immigrati a bordo di una “chiatta”. Ma vengono scoperti e recuperati
Al largo di San Cataldo, il gruppo, a bordo di una piccola imbarcazione, sale di nascosto su una piattaforma in mare trainata da un rimorchiatore; ad accorgersi della loro presenza il comandante, che allerta subito i soccorsi
Dodici immigrati a bordo di una "chiatta". Ma vengono scoperti e recuperati
LeccePrima.it, 05-06-2012
OTRANTO - Sono tutti uomini, adulti e stanno bene. Non si conosce ancora molto della loro provenienza, ma sono stati recuperati nel tardo pomeriggio nelle acque di San Cataldo. Altri dodici clandestini rintracciati sulla rotta per il Salento, a conferma del fenomeno migratorio che non si arresta: ma, dopo il maxi-sbarco di Porto Badisco, i flussi tornano a rappresentarsi con numeri ridotti, così come le cronache più recenti avevano abituato. Ma sono arrivi costanti.
Dopo la tregua di un paio di giorni, dunque, il "don Tonino Bello" torna ad ospitare altre persone, venute presumibilmente dal Nord Africa, passando per i porti di Turchia o Grecia. Erano a bordo di una piccola imbarcazione, lunga circa cinque metri, quando gli immigrati hanno avvistato una chiatta trainata da un rimorchiatore (ossia un rettangolo galleggiante senza motore con un cavo di traino collegato ad un rimorchiatore), con una murata esterna di circa 5 metri (ma che compreso l'interno, arriva a toccare 15 metri), lunga 70 metri e larga 24.
Gli immigrati hanno raggiunto la piattaforma in mare, raggiungendo la scala posta sulla murata e sono saliti sopra la chiatta. Ma il capitano dell'imbarcazione, che aveva precedentemente avvistato l'unità navale in mare, si è accorto della loro presenza sulla chiatta ed ha lanciato l'allarme.
Prontamente la motovedetta di soccorso della Guardia Costiera di Otranto é intervenuta sul posto, per recuperare i migranti. Ma a causa delle avverse condizioni meteo-marine, i militari hanno dovuto attendere che la situazione climatica migliorasse, per garantire la massima incolumità dei clandestini. Una volta ripresi e fatti salire sulla motovedetta, sono stati condotti nel porto della città dei Martiri, dove, caricati su un pullman, sono stati poi trasferiti al centro di prima accoglienza, dove al momento i volontari della Misericordia stanno provvedendo a soccorrerli e rifocillarli. Le operazioni di identificazione avranno luogo domattina, con la partecipazione di tutte le forze dell'ordine territoriali.



Immigrazione: colla su polpastrelli, 27 denunciati
Migranti erano sbarcati a Pozzallo
(ANSA) - PACHINO (SIRACUSA), 5 GIU - Ventisette dei 61 clandestini (21 eritrei e sei somali) sbarcati a Pozzallo (Ragusa) la sera del 2 giugno scorso sono stati denunciati da agenti del Commissariato di Polizia di Pachino perche' durante le procedure di identificazione si sono cosparsi i polpastrelli delle dita di colla cianoacrilica. Devono rispondere di fraudolente alterazioni finalizzate ad impedire l'identificazione.(ANSA).



Cie di Milo-
Viaggio nel CIE di Milo.
Come si può passare dal carcere al CIE e poi dal CIE al carcere, per anni, senza via di uscita? Essere straniero in posizione irregolare in Italia.
l'Unità, 05-06-2012
Trapani – C.I.E. di Milo. Una scatola di sbarre alte e gialle, quasi tecnologiche, estranea all’ambiente, su una strada periferica vicino Trapani; un illegale carcere per migranti, che i cittadini fanno finta di non vedere: di non sapere. Il 30 maggio scorso una delegazione di giornalisti guidata dal Presidente della Fnsi, Roberto Natale, ha invece potuto varcare il cancello, anche se l’accesso è stato garantito a un unico “settore” della struttura, che può detenere fino a circa 204 uomini (ma con massimi di 270).
La maggioranza dei detenuti è di nazionalità magrebina: solo pochi gli sbarcati, mentre la grande maggioranza, circa il 90%, sono ex-carcerati, con il particolare di aver già scontato la loro pena in carcere; ma a fine pena, invece di tornare in libertà o di venire rimpatriati, sono trattenuti di nuovo, fino a 18 mesi, nel CIE. Si chiama “detenzione amministrativa”: ma significa privazione della libertà personale senza accusa né processo; per un unico reato, quello di avere il permesso di soggiorno scaduto. Peggio del carcere, senza le garanzie assicurate dal sistema penale: zero privacy né assistenza legale, niente libri né matite, persone isolate dal mondo esterno, cui il diritto alle cure e alla socialità viene negato: uomini ridotti a numeri e deportati da un Cie all’altro, per mezza Italia. Mera prassi discrezionale del potere. Anche se alcuni immigrati vivono in Italia e hanno pagato le tasse per anni, sono sposati o convivono e hanno figli italiani; come Jamel, allenatore di cavalli, che in perfetto dialetto siculo racconta di vivere nella penisola da più di 33 anni e di avere una figlia nata e sposata con un italiano, mentre lui era chiuso lì; o Mohamed che dichiara che “qua non esiste mai la fine della pena, solo angoscia” e preferirebbe persino essere rimpatriato.
A Milo, però, per causa di precedenti penali (soprattutto per spaccio e traffico di stupefacenti), nessuno li vuole e il consolato del proprio paese di origine non agevola il rimpatrio (che avviene soltanto per meno della metà dei detenuti). Qua in terra trapanese “finiscono i casi più complicati, i casi limite”, riconosce Tommaso Mondello, responsabile Immigrazione della Prefettura. Indesiderati tra due Stati: relitti del sistema.
A comprovare la totale inutilità del trattenimento nei Cie, allo scadere dei 18 mesi, a volte anche prima, il detenuto viene semplicemente “rimesso in libertà” con convalida del Giudice di pace, con  l’ordine di lasciare il territorio nazionale. Ovviamente, in assenza di documenti e con l’assurda normativa del “reato di clandestinità”, finiscono di nuovo in prigione. “Nel corso degli anni vediamo tornare le stesse persone”, osserva Edoardo Menghi, responsabile Immigrazione della Questura. Un folle, costoso e disumano circuito chiuso, senza alcuna utilità nel contrasto all’immigrazione irregolare.
Perfino le forze dell’ordine impiegate nel CIE di Milo sono a disagio; nel suo ennesimo comunicato, la Segreteria Nazionale del Siulp chiede d’urgenza di “incrementare il personale da impiegare, perché fare meramente ‘sopravvivere’ una struttura indispensabile alle procedure finalizzate alla identificazione e alla espulsione degli extracomunitari significa soltanto uno spreco di energie, di uomini e di mezzi, senza pensare al mancato soddisfacimento della primaria esigenza di sicurezza”.
Intanto, a marcire dietro muri, recinzioni, cordoni, ci sono persone internate sulla base di ciò che sono: “stranieri”, “migranti”, “non bianchi”. Le sbarre di sei metri, da carcere di massima sicurezza peggio di quelle per la mafia, la sorveglianza 24 ore su 24 dalle forze dell’ordine, dicono l’evidenza: è mera reclusione sociale di soggetti presunti “pericolosi”, da tenere chiusi come bestie, criminalizzare, piegare a quello che si vuole fare di loro. Un nulla. Salta la nuda verità alla coscienza: il CIE è la mera spazializzazione di un’ideologia razzista, perché solo un pensiero che nega l’umanità a questi uomini, li rende oggetti, può spiegare una tale volontaria privazione della loro libertà, una tale distruzione arbitraria della loro mente, vita e sogni.
Nessuno si degna di comunicare le “ragioni”, ove ce ne fossero, ma almeno la durata della detenzione. E quel limbo senza senso, che toglie la dignità, produce solo autolesionismo (“mensilmente almeno 15 casi”, spiega Giovanna Ottoveggio, medico della struttura), somministrazione di psicofarmaci, violenze, fughe (come i 130 scappati nei giorni scorsi). Come racconta un detenuto con le braccia e i polsi pieni di cicatrici e vistosi lividi: “la fuga è la nostra unica salvezza, per non impazzire”.



Roma/Immigrati: 'Ufficio cittadinanza' trasferito in via Ostiense
(ASCA) - Roma, 4 giu - Si comunica che dal 18 giugno l'area IV bis- Ufficio cittadinanza verra' trasferito presso la sede distaccata della Prefettura di Roma in via Ostiense 131/L Scala B - 1* piano.
L'accesso del pubblico resta consentito unicamente attraverso la prenotazione on line sul sito. La sede di piazza Tommaso De Cristoforis 3 a partire dalla data indicata, verra' quindi dismessa.
Lo comunica, in una nota, la Prefettura di Roma.



Torneo dell'Immigrazione 2012, torna il Mundial dell'integrazione
Tutto è pronto per la seconda edizione del Torneo dell'Immigrazione UN.IT.I. che conterà quest’anno sulla partecipazione di circa 100 atleti provenienti da quattro continenti e ben 14 nazioni diverse  di stranieri residenti e quindi ormai “adottati” dalla provincia di Bari
Go bari.it, 05-06-2012
Marco Beltrami
Bari - Dopo il sorprendente successo della scorsa stagione, tutto è pronto per la seconda edizione del Torneo dell'Immigrazione UN.IT.I. (Unione Italiana Immigrati). Un vero e proprio "Mundial" quello che andrà in scena nel capoluogo pugliese organizzato in collaborazione con la UIL di Puglia, il Patronato ITAL, Laboratorio.Com, Uisp e Somed, che conterà quest’anno sulla partecipazione di circa 100 atleti provenienti da quattro continenti e ben 14 nazioni diverse (cinque in più rispetto a 12 mesi fa) di stranieri residenti e quindi ormai “adottati” dalla provincia di Bari: oltre alle confermate Afghanistan, Georgia, Romania, Albania, Senegal, Nigeria, Mauritius e Italia, hanno aderito alla manifestazione anche Costa d’Avorio, Argentina, Sierra Leone, Russia e Ucraina.
La novità principale della II edizione del Torneo dell’Immigrazione sarà il raggruppamento dei giocatori in quattro squadre rappresentative, rispettivamente, di Asia, Africa, Europa e Italia, che sarà rappresentata dalla compagine multiculturale degli “studenti per Bari”, associazione composta da studenti delle scuole medie superiori baresi italiani e immigrati di “seconda generazione”. L’appuntamento è per i prossimi 9 e 10 giugno al centro sportivo “Capocasale” di Bari (nei pressi della pineta di San Francesco). Il sorteggio degli accoppiamenti per il calendario avrà luogo domani, martedì 5 giugno, alle ore 11,30, presso la sala Giunta del Comune di Bari, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa a cui prenderanno parte l’assessore allo Sport Elio Sannicandro, l’assessore alle Politiche educative e giovanili, Accoglienza e Pace, Fabio Losito e il presidente del CONI provinciale di Bari, Eustacchio Lionetti.
“Troppo spesso si parla di nuovi cittadini – è il commento della presidentessa dell’Uniti, Vera Guelfi – o di nuovi italiani, eppure spesso per tanti giovani immigrati anche piccole iniziative come organizzare una partita di calcio diventano grandi imprese. Lo sport invece può svolgere un ruolo fondamentale nel completamento di un necessario processo di integrazione che vada al di là della retorica, ma che conceda ai giovani che vivono, lavorano e studiano nella nostra terra, una dignità reale e non solo sulla carta”.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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