Da cittadino a clandestino

La storia di Hassoun in una Babele dominata dall’incertezza.
Valentina Ascione

Una babele di storie diverse. Speranze e illusioni, dolori ed errori messi insieme senza distinzione, nell’attesa di un destino che nessuno sa bene quale sia, né quando potrà compiersi. Chi solo pochi giorni fa ha visitato il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, i radicali Elisabetta Zamparutti – deputata nel gruppo del PD e tesoriera di Nessuno tocchi Caino - e Massimiliano Iervolino - delegato ai diritti umani della Provincia di Roma –, lo definisce come lo specchio di una politica sbagliata. Non c’è sovraffollamento:  il numero degli immigrati trattenuti, 272 di cui 128 donne e 144 uomini, rientra nel tetto della capienza regolamentare della struttura. Eppure tensione e nervosismo si tagliano col coltello e spesso sfociano in episodi di autolesionismo e altre forme di protesta. Toujani Hanihem, tunisino di 25 anni è giunto in Italia dalla Libia nove mesi fa, mesi trascorsi in tre diversi CIE. Sul suo corpo porta lividi evidenti, riferiscono i radicali. I compagni del centro raccontano di un pestaggio da parte delle forze dell’ordine di cui Toujani sarebbe stato vittima, ma la direzione del centro parla di un tentativo di evasione. E’ solo della settimana scorsa, invece, la notizia diffusa da Redattore Sociale di un secondo giovane tunisino, con probabili disturbi mentali, che ha bevuto shampoo e ingoiato una lametta quando ha saputo che sarebbe rimasto nel centro per altri sessanta giorni. Si trovava a Ponte Galeria già da due mesi, quanto basta secondo la vecchia normativa, ma solo un terzo del tempo massimo di permanenza con l’introduzione del pacchetto sicurezza. Le nuove norme, fonte di aspre polemiche sul fronte politico ma soprattutto di forti critiche da parte delle organizzazioni umanitarie, hanno infatti prolungato da due a sei mesi il periodo di trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione. I radicali raccontano di una struttura sofferente, proprio perché nata per far fronte a una permanenza molto più breve e il prolungamento rappresenta per molti dei trattenuti “una vera e propria tortura”. Nella maggior parte dei casi gli immigrati di Ponte Galeria non sono a conoscenza della nuova legge e vengono assaliti dal panico quando apprendono di avere davanti ancora altri mesi da trascorrere nel limbo. Il procedimento di identificazione non è semplice, serve la collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza e non è scontato che ci si riesca. In un’interrogazione della parlamentare radicale Rita Bernardini, che aveva visitato il CIE alla fine di agosto, si legge infatti che “dall’esperienza maturata fino a questo momento, solo nel 50 per cento circa dei casi si riesce ad ottenere l’identificazione delle persone ristrette e, falliti due tentativi con il presunto Paese d’origine, gli immigrati vengono rilasciati nel territorio con l’ordine di abbandonare l’Italia entro 5 giorni”. E se sei mesi passano invano per la burocrazia italiana, sicuramente segnano profondamente chi vive in attesa della propria sorte. La Croce Rossa fa quello che può e la direzione del Centro sembra essere attenta alle condizioni, agli umori delle centinaia di persone che vi si trovano, ma l’organico è insufficiente. I quarantacinque operatori della CRI possono garantire solo una copertura di 15 nei turni diurni e 6 in quelli notturni: ne servirebbero almeno altri dieci. Non c’è traccia di attività ricreative.  L’assistenza medica è affidata in convenzione alla ASL, mentre per far fronte alle emergenze sul posto ci sono un ambulatorio e un malridotto studio odontoiatrico. Ma il problema, o meglio il paradosso, più evidente è la promiscuità. La maggioranza degli stranieri trattenuti è composta di ex-detenuti mandati qui da diverse parti d’Italia, nonostante questo non c’è alcun coordinamento tra il centro e i penitenziari. Insieme ai tanti che vengono dal carcere convivono stranieri senza precedenti penali, ma anche molti richiedenti asilo: uomini e donne fuggiti da paesi in guerra, dalla fame e dalla povertà, e che ora si trovano costretti ad attendere il vaglio delle proprie domande al pari di chi attende l’espulsione, in balia dei tempi biblici della burocrazia. Una situazione al limite della legalità perché, come spiega Elisabetta Zamparutti, “le persone che rientrano in questa categoria dovrebbero alloggiare nei CARA, i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo, appunto”. Tra i tanti racconti che si possono ascoltare nei corridoi di Ponte Galeria c’è quella di Hassoun Abdessamod, è un ragazzo di origine marocchina, giunto in Italia nel 2001. Nel nostro Paese aveva un lavoro, una moglie e un regolare permesso di soggiorno che però gli è stato ritirato in seguito a una querela ricevuta dalla suocera. Improvvisamente diventato un “clandestino”, ora aspetta il processo tra queste mura. Moltissimi dei trattenuti qui alle Porte di Roma sono nigeriani, ma si trovano persone dalle origini più disparate tra cui albanesi, russi e sudanesi. C’è qualche tossicodipendente e molte ex prostitute. Se ognuno di loro potesse raccontare la propria, verrebbe fuori un coacervo plurale ed eterogeneo di storie tutte, però, unite da un tratto comune: l’incertezza, che qui dentro è pessima compagna dell’attesa.


L’Altro 11 settebre 2009
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