Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 aprile 2010

IMMIGRAZIONE DIBATTITO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI GRANATA CON VELTRONI E PISANU
Legge sulla cittadinanza prove di dialogo finiani-Pd
La Gazzetta del Mezzogiorno, 22-04-2010

• ROMA. Nelle prossime settimane migliaia di cartoline verranno spedite al presidente della Camera perchè venga cambiata la legge sulla cittadinanza. È questa l'iniziativa promossa a margine della presentazione del libro di Fabio Granata, deputato del Pdl, «l'Italia a chi la ama», fatta ieri pomeriggio nella sala del Mappamondo di Montecitorio. Grande assente è stato proprio il numero uno della Camera, che in un primo momento aveva aderito all'evento. Ma questa scelta non ha sottratto nulla al dato politico della presentazione. Questi i fatti: il finiano
doc Granata e il democratico Andrea Sarubbi aprono un dialogo insieme a Walter Veltroni e al «dissidente» del Pdl Giuseppe Pisanu sull'immigrazione e sul diritto alla cittadinanza. Il presidente della Camera ha dato il suo apporto a favore della piena integrazione degli immigrati attraverso l'introduzione al libro, finora inedita. L'incontro ha registrato un dato comune per tutti gli interventi: messa al bando della celebrazione delle «radici giudaico-cristiane» come scontro di civiltà e porte aperte alla piena integrazione degli extra-comunitari.
Per Giuseppe Pisanu «le diverse religioni possono convivere e arricchirsi reciprocamente anche perchè il futuro dell'Europa è nella sua capacità di attrarre e integrare gli immigrati». «Dobbiamo evitare - ha aggiunto il parlamentare del Pdl - di arroccarci nella nostra cultura, dissipando questo incubo di Babele secondo il quale la nostra lingua dovrebbe avere l'esclusiva in un mondo nel quale se ne parlano 150».
Veltroni non ha esitato a fare i complimenti all'autore del volume: «E' un libro coraggioso e autentico perchè combatte apertamente la xenofobia proprio quando in Europa si fa più forte la tendenza ad arroccarsi e a chiudersi all'immigrazione giocando la carta di un facile consenso elettorale». Ma il clou politico dell'intervento dell'ex segretario Pd è stato raggiunto quando ha auspicato che si possa approvare una legge per la cittadinanza e per il voto agli immigrati con «consensi trasversali in Parlamento». E poco dopo lo stesso Granata ha dato il suo via libera all'operazione, facendo notare che «si tratta di temi in se stessi trasversali». Del resto Fini l'aveva detto due giorni fa a Berlusconi: resto nel Pdl ma non starò zitto.






Migranti, Maroni tace sui nuovi centri d'espulsione

Stefano Galieni
Perché il silenzio? Il Ministro dell’interno Maroni, dopo aver comunicato l’intenzione di aprire a breve almeno altri 4 nuovi centri di identificazione ed espulsione per migranti (Cie)- presumibilmente in Veneto, Liguria, Toscana e Marche - continua a lasciare in un inquietante cono d’ombra ogni evento legato ai centri. I dati in merito a espulsioni, rimpatri, transiti nei centri, non vengono resi pubblici, l’accesso in alcuni di questi è divenuto più restrittivo, le interrogazioni parlamentari prodotte dai pochi deputati e senatori che se ne interessano, giacciono, alcune da mesi nei cassetti del Viminale. Eppure accadono tante cose: il risultato della entrata a regime della legge 94 (pacchetto sicurezza) con il conseguente aumento dei tempi medi di trattenimento ha prodotto un’accentuarsi ancora più estremo delle condizioni di vita nei centri. Sono divenuti a tutti gli effetti penitenziari senza rispondere neanche ai criteri minimi che vigono nelle carceri e questo ha portato ad una frequenza maggiore di rivolte, tentativi di suicidio, scioperi della fame, atti di autolesionismo. Nel solo centro di Ponte Galeria a Roma, in un mese si sono avute 4 rivolte di cui si è avuta notizia ufficiale, in quelli di Milano, Torino, Bologna, Gorizia, si alternano momenti di tensione a scioperi della fame, magari a staffetta, compiuti pressoché nell’indifferenza, se non fosse per il prezioso lavoro di contro informazione condotto da alcune realtà di movimento. Addirittura si è giunti nel passato recente a Torino a provvedimenti di custodia cautelare per chi diffondeva le notizie. Antirazzisti il cui impegno è stato considerato la causa delle rivolte. Le persone nei Cie stanno male, anzi peggio, ma questo non deve trapelare, la stessa sostituzione del prefetto Morcone con Alessandro Pansa, un tempo responsabile Ps nel ministero, nella carica di direttore del Dipartimento libertà civili e immigrazione, lascia presagire l’intenzione di procedere ad un ulteriore giro di vite. Lo scenario che si prospetta è fosco: se viene attuata la decisione di svuotare le carceri con un provvedimento tampone mandando in libertà coloro che sono giunti ad un anno dalla fine pena, ci saranno parecchi migranti che ne usufruiranno. Per loro – la Lega ne fa un punto imprescindibile – dovrebbe scattare immediatamente l’espulsione e il trasferimento nei Cie che a quel punto sarebbero ancora più ingovernabili. Ammesso e non concesso che le 4 nuove strutture si realizzino e che vengano spostati in spazi più grandi i centri di Trapani e di Lametia Terme, che dovrebbero chiudere, i 1000 posti in più che si andrebbero a creare sarebbero immediatamente riempiti. Si potrebbe preparare insomma una estate incandescente su cui, in attesa di “soluzioni” deve calare una cappa di silenzio. Per fortuna c’è chi a questo silenzio non si rassegna, ieri le realtà auto organizzate di Bologna, Milano e Roma hanno dato vita a tre iniziative. A Milano, senza andare per il sottile, è stata organizzata una due giorni all’Università Statale, dal titolo inequivocabile “distruggere i Cie”, a Bologna un gruppo di “solidali” è entrato nell’edificio dei Giudici di pace con striscioni, volantini e megafono per sostenere chi è nel centro cittadino di Via Mattei. A Roma circa un centinaio fra studenti, antirazzisti/e, migranti, sono entrati all’ora di pranzo nella mensa universitaria de “La Cascina”, la cooperativa legata a Cl che fornisce alla socia Auxilium i pasti per il Cie di Ponte Galeria. Una iniziativa di comunicazione che ha permesso di denunciare la complicità della cooperativa nella gestione del centro. Piccole cose forse, ma il segnale della volontà di riportare la questione dei Cie e della loro irriformabilità, sul tavolo dell’agenda politica e di un opinione pubblica più vasta.
Liberazione 22.04.2010




CITTADINANZA, ASSE FINI-PISANU-VELTRONI

Avvvenire, 22-04-2010

Una «gigantesca operazione politica», la definisce Beppe Pisanu. Di più. Un "laboratorio politico», per Fabio Granata, deputato finiano e vice dell'Antimafia, che ieri alla sala del Mappamondo presentava il libro "L'Italia a chi la ama". Un titolo che e anche un programma, sulla cittadinanza agli immigrati.Tema che si candida ad alimentare i distinguo nel Pdl. in grado comunque di marcare le distanze dall'alleato Lega. Pisanu non fa mistero di guardare con simpatia alle istanze di Gianfranco Fini, volte a chiedere più dibattilo nel Pdl. Ma si dice anche fiducioso, il presidente della Commissione Antimafia, che tutto il partito possa convergere, anche sull'immigrazione. Viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda. intanto, in materia di integrazione anche Walter Veltroni e Andrea Sarubbi, del Pd. Quest'ultimo co-intestatario. con Granata, della proposta che e in attesa di calendarizzazione. «Bisogna saper andare olire il rischio di impopolarità - dice Veltroni -.Anche Martin Luther King sembrava un utopista. Ma oggi il suo sogno e realtà». (A.Pic.)










Giustizia, immigrati e riforme: 52 parlamentari determinanti

Il Mattino, 22-04-2010
Claudio Sardo

ROMA. Era davvero difficile ieri, alla presentazione del libro di Fabio Granata su immigrazione e cittadinanza, cogliere delle differenze tra il deputato iper-finiano e i suoi interlocutori, Beppe Pisanu, Walter Veltroni e Andrea Sarrubbi. Tutti d'accordo sulla necessità di cambiare la legge e anche sul come. D'accordo pure sull'impianto culturale e le politiche di integrazione. È vero che il pasdaran Granata è solito a spingersi un passo più in là. Mail convegno di Montecitorio ha comunque offerto un'anticipazione di come la «corrente» di Fini può muoversi ora sulla scena politica e del potere di condizionamento che i suoi 52 parlamentari (determinanti perla maggioranza) possono esercitare su temi cruciali. È probabile che il presidente della Camera decida di non collocare in cima all'agenda proprio l'immigrazione. La sfida con Berlusconi e Bossi richiede anche prudenza e sul tema della cittadinanza c'è il rischio di un corto circuito con il senso comune della destra. Più agevole sarebbe dare priorità ad altre questioni: il federalismo fiscale, contrastando le scelte nordiste della Lega e imponendo quella che il finiano Pasquale Viespoli definisce la «valutazione di impatto meridionalista»; le politiche sociali, incalzando il governo su giovani, mobili¬tà e ancora sul Sud; le riforme istituzionali, frenando le pulsioni plebiscitarie e insistendo sulla necessità dell'intesa con le opposizioni. Di queste cose oggi parlerà Fini, definendo profilo e contenuti della sua corrente, ma è chiaro che il confronto nel Pdl da domani non sarà limitato al foro interno di partito ma prenderà forma in Parlamento. Del resto è questa la ragione del nervosismo di Berlusconi e dei timori dei suoi: 52 parlamentari tuttora incardinati nel Pdl possono mettere i bastoni tra le ruote del governo e aprire interlocuzioni con l'Udc, con il Pd, persino con altri esponenti del Pdl, come è accaduto ieri con Pisanu.
Il federalismo fiscale è un percorso ancora agli inizi. Per i decreti più importanti (quelli sulla nuova divisione dei tributi) ci vorranno ancora mesi. Ieri Italo Bocchino ripeteva: «Tutto ciò che è scritto nel programma di gover-no, sarà rispettato fedelmente. Tutto ciò che non è scritto, si dovrà discutere». Il federalismo fiscale è scritto a caratteri cubitali. Ma nel programma non è certo definito il «costo standard» dei servizi sanitari, né lo sono i rapporti tra Stato e Regioni, tra Nord e Sud. L'unità d'Italia e la politica meridionalista saranno certamente punti d'attacco: se c'è un obiettivo chiaro davanti a Fini è indebolire l'asse di comando Berlusconi-Bossi. Il Cavaliere proverà ad imporre una disciplina ferrea nei gruppi parlamentari. Ma non è difficile aprire un dialogo all'esterno, fare gioco di sponda conl'opposizione quando le proposte tendono a convergere. I finiani hanno dato in passato filo da torcere a Berlusconi sui provvedimenti a lui più cari in tema di giustizia: lodo Alfano, intercettazioni, legittimo impedimento, processo breve. Dove Fini è deciso invece a dire la sua fino in fondo è sulle riforme istituzionali, anche per tenere saldo il rapporto col Quirinale. Non è un caso che Pier Luigi Bersani abbia lanciato un segnale a Fini proprio su questo.









L'operazione a Milano
Blitz nella banca dei clandestini Trovati conti per 200 milioni
il Giornale, 22-04-2010
Luca Fazzo

Milano Come è possibile che dal vulcano multietnico di via Padova, dalla sarabanda di negozietti e di dittarelle pigiati nella prima periferia milanese, partano centinaia di milioni in direzione di un solo paese a ridosso del terzo mondo? È questo l'interrogativo che da ieri si pongono gli investigatori della Guardia di finanza dopo la retata che li ha portati - sotto la protezione in assetto da combattimento dei baschi verdi, perchè non si sa mai - a scoperchiare la banca clandestina della comunità cingalese, il network finanziario che aveva nel suo cuore nella zona oltre piazzale Loreto dove il 12 febbraio scorso scoppiò la rivolta degli immigrati arabi contro quelli sudamericani.
Da allora, la strategia dell'attenzione su quanto di lecito e illecito accade nel «laboratorio sociale» di via Padova non si è mai abbassata. Il sindaco Letizia Moratti è stata attaccata dalle sinistre per avere varato una serie di provvedimenti finalizzati a rafforzare la sicurezza nella zona, e accusati di voler imporre una sorta di coprifuoco. E ora arriva la operazione della Gdf: realizzata, e questo è significativo, dal nucleo speciale di polizia valutaria, il reparto hi teda che si occupa in genere di grandi crimini finanziari. E che adesso ha preso di mira il mondo della finanza sommersa nel quartiere più critico (almeno nella vulgata mediatica) delle banlieue milanesi.
Nel bersaglio non sono finite le comunità protagoniste delle violenze di due mesi fa: gli arabi in via Padova gestiscono quasi solo affari illeciti, i sudamericani lavorano ma nel tempo libero più che di flussi finanziari si occupano di ingollare birra e fare a bottigliate tra gang. A rastrellare risorse economiche e a finire nell' operazione delle fiamme gialle sono invece gli esponenti della etnia più silenziosa ed operosa di questa Babele metropolitana: i cingalesi, le migliaia di immigrati provenienti dallo Sri Lanka che a Milano costituiscono una comunità compatta e quasi impenetrabile, a partire dai caratteri incomprensibili del loro alfabeto.
I cingalesi sono una comunità considerata in genere a modico tasso di devianza. Fanno i collaboratori domestici, lavorano nelle imprese di pulizie, hanno piccoli negozi. Le uniche preoccupazioni fornite finora alle forze di polizia erano legate alla presenza di una percentuale consistente di estremisti tamil. Che producano reddito da inviare in patria è normale. Ma le dimensioni e le modalità di questo flusso hanno lasciato sorpresi gli stessi investigatori.
Le indagini coordinate dal sostituto procuratore Gaetano Ruta hanno permesso di accertare che dietro molti dei negozietti tra via Padova e la stazione Centrale agivano i collettori di attività clandestine di money transfer, che dietro il paravento di quattro circoli culturali gestivano i conti di transito con modalità tali da rendere quasi impossibili i controlli. Punto d'approdo del circuito internazionale seguito per far perdere le tracce del liquido, un conto a Singapore da cui poi il denaro spiccava l'ultimo volo con destinazione Ceylon. Solo nel corso nell'ultimo anno sono passati nel circuito 30 milioni, ieri sono stati sequestrai 41 conti correnti su uno dei quali c'erano più di 250mila euro, e spiccati ventuno avvisi di garanzia per attività finanziaria non autorizzata. In casa di Fernando, titolare di uno dei punti di raccolta, sono stati sequestrati 27mila euro in contanti, in quattro valute diverse.










L'islam in Europa
Francia, a maggio una legge per vietare il burqa
il Giornale, 22-04-2010

?? Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha deciso: il velo integrale islamico sarà illegale in tutto il Paese. Un apposito progetto di legge, per tutelare «la dignità delle donne» e il rispetto dei valori della Repubblica, sarà presentato dal governo a metà maggio per poi approdare in Parlamento a luglio. Lo ha reso noto ieri il portavoce del governo Luc Chatel, al termine del consiglio dei ministri.
Il governo francese ha scelto dunque la linea del divieto totale, malgrado il Consiglio di Stato avesse emesso un parere sfavorevole su questa scelta a metà marzo. Secondo il Consiglio, una tale legge «non avrebbe fondamenta giuridiche incontestabili», mentre il divieto potrebbe essere giustificato in alcuni luoghi per motivi di sicurezza.
Su questa linea, un gruppo di parlamentari aveva già suggerito in gennaio il divieto del velo integrale nei trasporti e nei luoghi dove sono erogati servizi pubblici, come scuole, uffici e tribunali. Il presidente Sarkozy è però sempre stato sostenitore del divieto totale, da lui promesso più volte, malgrado siano per ora soltanto duemila le donne a indossare il burqa o in niqab in Francia oggi. La scelta di un
progetto di legge comporterà anche il vaglio del Consiglio di stato. Il dibattito sul velo e sui simboli religiosi in Francia non è scoppiato soltanto quest'anno. Dal marzo 2005 in tutte le scuole francesi è vietato mostrare simboli religiosi, come il velo islamico, la croce cristiana e la kippah, il copricapo degli ebrei, mentre lo scorso giugno è stata negata la cittadinanza francese a una donna marocchina che portava il velo integrale.
La Francia non è il solo Paese europeo a discutere la questione del velo integrale. L'approccio all'utilizzo del velo integrale nell'Unione è molto variegato: da un atteggiamento sempre più rigido a uno invece decisamente liberale, anche se il dibattito è sempre più in-
tenso un pò ovunque. Ecco una panoramica. In Italia il dibattito è esploso a ottobre, quando il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, si è detto favorevole a «una legge che vieti burqa e niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione». Al momento una legge del 1975 vieta di circolare a volto coperto nei luoghi pubblici. Le singole ipotesi sono poi gestite a livello locale. Anche la Lega ha proposto una legge che vieti il velo.
Il Belgio invece potrebbe essere il primo Paese europeo a dotarsi di una legge che vieta espressamente l'uso del velo islamico integrale. Il dibattito si è aperto nel Paese a fine marzo, quando i gruppi politici rappresentati in parlamento hanno approvato all'unanimità una proposta di legge in tal senso.
Si tratta, per il momento, di un voto in commissione, mala proposta arriverà in aula già oggi per la discussione e il testo potrebbe entrare in vigore entro l'estate. Secondo la proposta, chi «si presenta negli spazi pubblici con il viso mascherato o coperto, in tutto o in parte, in modo tale da non essere identificabile» sarà punito con un'ammenda o il carcere da uno a sette giorni.
Proprio in queste ore, suscita polemiche in Spagna il caso di una ragazza di 16 anni di origine marocchina sospesa da una scuola della periferia di Madrid perché indossava l'hijab, il velo islamico. La giovane, Najwa Malha, nata in Spagna in una famiglia di immigrati dal Marocco, ha deciso nelle scorse settimane di indossare il velo a scuola. La direzione dell'Istituto superiore Camilo Josè Cela di Pozuelo l'ha sospesa dai corsi in base al regolamento della scuola che vieta di entrare in classe con il capo coperto.










FRANCIA
Sarkozy. divieto totale per il burqa
«E' contro la dignità della donna», progetto di legge entro un mese

il Messaggero, 22-04-2010
di FRANCESCA PIERANTOZZI

PARIGI - No al burqa in Francia. II velo integrale è incompatibile con i valori della Républìque, non soltanto negli ospedali o negli uffici pubblici, ma dovunque, su tutto il territorio nazionale, per le strade, le piazze e nei giardini.   La   volontà   di   Nicolas Sarkozy di vietare totalmente    «un simbolo contrario alla dignità della donna» si trasformerà in un progetto di legge entro un mese. Ignorando le reticenze del Consiglio di Stato, che alla fine di marzo aveva negato un «fondamento giuri dico incontestabile» al divieto totale del burqa, il governo ha scelto la via più radicale, provocando dubbi e polemiche anche nella maggioranza di destra. «Il divieto deve essere generale perché la dignità della donna non ammette discriminazioni»: questa la posizione di Nicolas Sarkozy, che dopo la sconfitta alle elezioni regionali di marzo è partito alla riconquista dell'elettorato più conservatore.
Detto fatto, il primo ministro Francois Fillon ha subito allineato il governo dietro il verbo presidenziale: «Se siamo convinti che si tratti di un problema di dignità -ha detto il primo ministro - non possiamo tergiversare davanti ad una legislazione che non è al passo con la società di oggi». Ovvero: il governo è pronto a fare una legge simbolica, anche se va incontro ad una probabile bocciatura da parte del Consiglio costituzionale. Il progetto che presenterà il governo, ha precisato Fillon «si baserà soprattutto sulla questione della dignità della persona e dell'uguaglianza uomo-donna». II primo ministro ha anticipato una battaglia anche a livello europeo: «Bisogna far evolvere la giurisprudenza del Consiglio costituzionale e quella della Corte europea dei diritti umani - ha detto -per fare fronte a un nuovo problema che non esisteva vent'anni fa». A titolo di esempio, il premier ha citato la legge francese che ha vietato il velo a scuola: «La stragrande maggioranza degli osservatori, gli stessi che oggi invitano alla prudenza, erano contrari alla legge - ha detto il premier -. Il divieto del velo a scuola è stato invece un successo. Questa pratica è scomparsa dagli istituti scolastici e non c'è stata nessuna esclusione delle ragazze. C'è stato soltanto un progresso della società francese». Dall'Eliseo, il portavoce Luc Chatel ha detto anche che «si farà presto»: il progetto di legge verrà presentato a maggio.
Il divieto sarà dunque generale, e non soltanto negli uffici pubblici, gli ospedali e sui mezzi di trasporto come aveva invece consigliato il rapporto di una missione parlamentare sul burqa, che aveva sottolineato come il fenomeno riguardasse una piccolissima minoranza della comunità musulmana (la più grande d'Europa, oltre 5 milioni i persone). Il rischio - avevano detto i parlamelitari-è stigmatizzare l'islam. Il capo della missione parlamentare, il deputato comunista Eric Raoult, ha messo in guardia da una legge radicale ma inapplicabile. «Il parlamento ha votato la legge contro i segni religiosi nelle scuole con il 95 per cento dei voti a favore - ha detto Raoult -, Il governo non deve agire da solo. Contro il velo integrale, ci vuole un dibattito e il Parlamento, integralmente».









Immigrati e bioetica Anti-Cav divisi in partenza

Libero, 22-04-2010
Fosca Bincher

Metà dei parlamentari vicini al presidente della Camera non la pensa
come lui sui temi usati per smarcarsi dalla maggioranza del PdL   

Non è passato molto tempo. Era il 5 febbraio 2009, poco più di un anno fa. I giorni del braccio di ferro fra il governo di Silvio Berlusconi e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sul caso di Eluana Englaro. Maggioranza compatta nel cercare di salvare la vita di Eluana e impedire di staccare la spina. Salvo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che accusò esplicitamente il governo di «grave errore». Erano ore di tensione. Davanti a palazzo Chigi passarono due autorevoli esponenti di An. Il primo era il ministro delle Politiche Uè, Andrea Ronchi. Disse: «non so perché Gianfranco si è intestardito. Noi non lo seguiamo». Il secondo era il capogruppo di An alla Camera dei deputati, Italo Bocchino: «quella di Fini è una posizione assolutamente personale, il 90% dei deputati di An- me compreso- non è disposto a seguirlo ed è invece disposto a votare quel decreto legge». Le dichiarazioni furono pubblicate, ed esiste ancora la registrazione audio di quel breve colloquio. Più o meno le stesse parole e la stessa divergenza di idee si era registrata qualche anno prima quando Fini seguì una per lui anomala linea solitaria votando a favore del referendum sulla procreazione assistita. Non è cambiata la realtà. Proprio su uno dei due grandi
temi programmatici della possibile corrente Fini, quello sulla bioetica, più di 30 dei 52 che hanno mostrato al presidente della Camera vicinanza, non la pensa come lui. Sono cattolici, e molto vicini alle gerarchie ecclesiastiche che per loro contano più del leader della possibile corrente.
L'altro grande tema su cui Fini si è pubblicamente differenziato è quello dell'immigrazione. Uno dei suoi fedelissimi, Adolfo Urso, si è spinto addirittura più in là, allargando ai diritti civili in senso lato, patrimonio delle battaglie dei radicali (tra cui le unioni gay). Su questo non si troverebbero almeno una quarantina di quei 52 "finiani" .Anche qui uno come Bocchino non si spingerebbe al di là del riconoscimento che anche i gay sono persone come tutte le altre, rivendicando- come ha fatto- che a Napoli «i femminielli votano a destra». Ma che la famiglia sia quella fondata sul diritto naturale e composta da uomo e donna è fuori discussione e contenuto nei manifesti programmatici della maggioranza di quei 52. Chiedetelo a un altro colonnello finiano come Agostino Chiglia, il torinese che ha tuonato più della Lega contro Sergio Chiamparino che sceneggiava un matrimonio fra due lesbiche. Quanto ai diritti civili e politici, Ghiglia è uno dal pugno di ferro: celebri le sue battaglie locali contro i centri sociali e contro l'invasione degli immigrati irregolari verso cui ha sempre tuonato: "tolleranza zero". Anzi, lui per mandare a scuola gli stranieri imponeva il test di italiano. Se l'è presa con il comune di Torino che dava sussidi ai ragazzi rom e ha fatto una battaglia personale sul caso della Clinica San Paolo, dove immigrati che avevano ottenuto lo status di rifugiati si ubriacavano la sera alzando talvolta le mani. Poi ha infilzato pubblicamente il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che ha messo in discussione la legge del governo che introduceva il reato di immigrazione clandestina. Battaglie da pasdaran che nemmeno Mauro Borghezio fa più, altro che Lega. Non così diversi gli atteggiamenti di Roberto Menia, finiano del Friuli. Scorrendo proposte di legge e dichiarazioni sui propri siti, dei 52 almeno 25 sono assai lontani dalla linea del leader. E allora la corrente su che diversità si fonda? Sui rapporti di potere? Sugli incarichi di partito? Sulla corrente stessa come prova muscolare con gli altri? Impossibile. Parola di Bocchino, in un'intervista del 21 marzo 2009 a Emilio Gioventù: «Che bisogno c' è di fare una corrente? Io sono legato a Fabrizio Cicchitto più che a molti dirigenti di An. Per quale ragione devo fare una corrente di quelli di An dentro il PdL? Anzi, se devo creare un collegamento lo creo fra le persone generazionalmente più vicine a me».










Su Federalismo e Sud il presidente della Camera è pronto a sfidare la Lega. Più prudente sulla bioetica
Giustizia, immigrati, riforme: il potere di condizionamento di Fini
il Messaggero, 22-04-2010
Claudio Sardo

Con i suoi 52 parlamentari (pari al 6%) può essere determinante. La sponda di Pisanu e il dialogo con l'opposizione
ROMA - Era davvero difficile ieri, alia presentazione del libro di Fabio Granata su immigrazione e cittadinanza, cogliere delle differenze tra il deputato iper-finiano e i suoi interlocutori, Beppe Pisanu, Walter Veltroni e Andrea Sarrabbi. Tutti d'accordo sulla necessità di cambiare la legge e anche sul come. D'accordo pure sull'impianto culturale e le politiche di integrazione. È vero che il pasdaran Granata è solito a spingersi un passo più in là. Ma il convegno di Montecitorio ha comunque offerto un'anticipazione di come la «corrente» di Fini può muoversi ora sulla scena politica e del potere di condizionamento che i suoi 52 parlamentari (determinanti per la maggioranza) possono esercitare su temi cruciali.
È probabile che il presidente della Camera decida di non collocare in cima all'agenda proprio l'immigrazione. La sfida con Berlusconi e Bossi richiede anche prudenza e sul tema della cittadinanza c'è il rischio di un corto circuito con il senso comune della destra. Più agevole sarebbe dare priorità ad altre. questioni: il federalismo fiscale, contrastando le scelte nordiste della Lega e imponendo quella che il finiano Pasquale Viespoli definisce la «valutazione di impatto meridionalista»; le politiche sociali, incalzando il governo su giovani, mobilità e ancora sul Sud; le riforme istituzionali, frenando le pulsioni plebiscitarie e insistendo sulla necessità dell'intesa con le opposizioni. Di queste cose oggi parlerà Fini, definendo profilo e contenuti della sua corrente, ma è chiaro che il confronto nel Pdl da domani non sarà limitato al foro interno di partito ma prenderà forma in Parlamento. Del resto è questa la ragione del nervosismo di Berlusconi e dei timori dei suoi: 52 parlamentari tuttora incardinati nel Pdl possono mettere i bastoni tra le ruote del governo e aprire interlocuzioni con l'Udc, con il'Pd, persino con altri esponenti del Pdl, come è accaduto ieri con Pisanu.
Certo, sulla cittadinanza i punti-chiave sono ormai definiti nel dettaglio. Pisanu è convinto che, sulla concessione della cittadinanza per i nati in Italia e per i giovani che hanno compiuto qui i loro studi, tutto il Pdl è pronto a dire sì. Più complicata semmai è la riduzione degli anni di residenza per ottenere il passaporto italiano: ma una mediazione non è impossibile. L'ostacolo è l'ostilità della Lega, che si fonda su ragioni simboliche. Ma Fini vuole esattamente portare la sfida all'asse di comando Berlusconi-Bossi. Anche se probabilmente cercherà altri terreni per ingaggiare il confronto diretto.
Il federalismo fiscale è un percorso ancora agli inizi. Per i decreti più importanti (quelli sulla nuova divisione dei tributi) ci vorranno ancora mesi. Ieri Italo Bocchino ripeteva: «Tutto ciò che è scritto nel programma di governo, sarà rispettato fedelmente. Tutto ciò che non è scritto, si dovrà discutere». Il federalismo fiscale è scritto a caratteri cubitali. Ma nel programma non è certo definito il «costo standard» dei servizi sanitari, né lo sono i rapporti tra Stato e Regioni, tra Nord e Sud. La politica meridionalista, quella sì, sarà un punto d'attacco: i finiani l'hanno già anticipato in un recente convegno, in cui lanciarono l'idea della Conferenza permanente per il Sud.
Berlusconi cercherà di imporre una disciplina ferrea nei gruppi parlamentari. Ma non è difficile aprire un dialogo all'esterno, fare gioco di sponda con l'opposizione quando le proposte tendono a convergere. Ieri qualcuno nel Pd ha persino sperato che gli uomini di Fini potessero lanciare un primo segnale dì autonomia sugli ammortizzatori sociali (legge di iniziativa Pd). Così però non è stato.
1 finiani piuttosto hanno dato in passato filo da torcere a Berlusconi sui provvedimenti a luì più cari in tema di giustizia: lodo Alfano, intercettazioni, legittimo impedimento, processo breve. Giulia Bongiorno è stata spesso il contraltare di Niccolò Ghedini. E tutto fa pensare che il braccio di ferro continuerà. Tanto più se Berlusconi cercherà altre leggi ad personam. In questo campo è più facile per Fini trovare convergenze con l'Udc (più propenso a mediazioni) piuttosto che con il Pd. Ma le recenti proposte di Andrea Orlando, responsabile giustizia del Pd, potrebbero anche cambiare il clima.
Dove Fini è deciso invece a dire la sua fino in fondo è sulle riforme istituzionali, anche per tenere saldo il rapporto col Quirinale. Non è un caso che Pier Luigi Bersani abbia lanciato un segnale a Fini proprio su questo: «Se si vuole evitare la deriva plebiscitaria e restare nel solco della Costituzione, noi siamo pronti a discutere». I numeri dei finiani possono frenare tentativi di spallate: ma non è detto che la Lega non torni a scavalcare Fini nel dialogo con il Pd. Di certo, nel pacchetto di mischia della nuova «corrente» non rientrano le questioni etiche. Fini, di sicuro, continuerà a dire la sua sul testamento biologico ma il voto nel Pdl resterà affidato alla libertà di coscienza. Peraltro, i numeri di Fini stavolta neppure possono essere determinanti, essendo l'Udc schierata sul tema con Berlusconi.









La stanza di Mario Cervi
I clandestini da galera si autoregolano meglio di quelli per bene

il Giornale, 22-04-2010

Gentilissimo dottor Cervi, in Italia molti immigrati sono costretti a vivere di accattonaggio, o vendendo oggetti contraffatti o intraprendendo attività criminali. Questi immigrati, in gran parte privi di occupazione, sono proprio così indispensabili a sostenere l'economia italiana? Non mi pare esistano le condizioni per offrire loro, che sono in continuo aumento, condizioni di vita dignitose. Non sarebbe ora di pensare a una politica internazionale per intervenire sui Paesi dove ha origine l'immigrazione concedendo aiuti finalizzati al contenimento demografico?
Omar Valentini Salò (Brescia)

Caro Valentini,
le categorie d'immigrati che lei cita non sono indispensabili e nemmeno utili. Sono altamente dannose. Indispensabili sono invece gli immigrati che fanno onestamente lavori ormai rifiutati dagli italiani (questa è una realtà, e certe prediche moralistiche che vorrebbero indurre tanti italiani a ripensarci, e a essere mungitori o raccoglitori di pomodori o pescatori a Mazara del Vallo, sono assolutamente sterili). Vorremmo tutti che la legislazione e le misure di polizia consentissero di separare il grano dal loglio, ossia di accogliere i veri indispensabili e tenere fuori dai confini i mendicanti, i protettori di prostitute, gli spacciatori di droga. Mi pare che finora abbiano avuto successo alcune misure di prevenzione e di repressione - gli sbarchi sono molto diminuiti -, ma che il filtro sia tuttora poco efficace. Per motivi che ignoro, ma che sospetto, accade che i clandestini da galera riescano a regolarizzarsi più facilmente dei clandestini per bene. Fin qui sono d'accordo con lei. Non lo sono più quando invoca una «politica internazionale» di intervento nei Paesi d'origine degli immigrati finalizzata a un «contenimento demografico». Ho la convinzione che l'intervento da lei suggerito avrebbe la sorte di innumerevoli interventi del passato, attuati (teoricamente) in favore del Terzo Mondo. L'afflusso dei clandestini non sarebbe davvero scoraggiato. Gli aiuti internazionali e la struttura burocratica che verrebbe allestita per distribuirli assicurerebbero lauti stipendi a una pletora di funzionari incaricati di sovrintendere ai pagamenti. Arricchirebbero inoltre alcuni capoccia furbastri e corrotti dei Paesi di destinazione degli aiuti, gran parte dei quali finirebbe, per vie traverse, nei conti cifrati di qualche paradiso fiscale. Ci guadagnerebbero i soliti noti. E gli ignoti continuerebbero a essere irretiti nel turpe traffico di esseri umani.









NEL SILENZIO TUTTO COME PRIMA
A Rosarno tornano gli africani. E fanno gli schiavi

il Giornale, 22-04-2010
Filippo Marra Cutrupi

Quattro mesi fa la rivolta degli immigrati in Calabria. L'Italia si indignò a suon di slogan così: «Mai più sfruttati, mai più violenza»
Gli extracomunitari fuggirono in massa: oggi i riflettori sono spenti e loro sono di nuovo lì. Sono maltrattati come allora, ma nessuno ne parla

Rosarno (Rc) È tornato tutto com'era, a Rosarno. Come prima della rivolta di gennaio, gli africani vivono nei casolari abbandonati, senz'acqua, né luce. Se possibile, in condizioni più disumane di prima. Devono nascondersi e disperdersi per le campagne, altrimenti polizia e carabinieri li costringono a sloggiare. Alle porte del paese, la vecchia fabbrica della Rognetta, dove si erano accampati e dove almeno c'erano acqua corrente e bagni chimici, è stata demolita. L'ex Opera Sila, 700 posti in un impianto abbandonato per la raffinazione dell'olio, è frequentemente perlustrata dalle forze dell'ordine per impedire i rientri, così come le casupole nei dintorni. E allora gli africani hanno ripiegato per ricoveri di fortuna in luoghi più impervi, laddove i controlli non arrivano, ma stentano a raggiungerli anche i pochi aiuti delle associazioni di volontariato e della gente di buon cuore. E ogni giorno, per andare in centro a cercare lavoro, i ragazzi di colore devono macinare chilometri e chilometri, per lo più a piedi. Certo, adesso sono rimasti davvero in pochi. «Fino ad un mese erano circa 400 - spiega Giuseppe Pugliese dell'Osservatorio Migranti di Rosarno -adesso saranno la metà. Anche la stagione delle arance è finita e, come ogni anno in questo periodo, gli africani sono già in Puglia e Campania dove comincerà la raccolta dei pomodori».
Cosa resta della rivolta? Per Giuseppe Pugliese, solo amarezza. «Sono stati scritti fiumi d'inchiostro, abbiamo ascoltato le analisi e i commenti più disparati, ma qui non è cambiato niente - sostiene il responsabile dell'Osservatorio Migranti - Aldilà dell'indignazione e delle promesse, le condizioni di vita di questi ragazzi non hanno subito alcun miglioramento. Chi di loro ha potuto, una volta rientrato dopo gli sgomberi, ha affittato una piccola casa in paese, gli altri sono tornati a vivere tra i cumuli di spazzatura. Continuano ad elemosinare un lavoro nei campi: ora che la stagione degli agrumi si è conclusa, zappano, seminano, ripuliscono dalle erbacce».
A Rosarno, però, le rivolte dei neri - quella di gennaio e l'altra del dicembre 2008, scatenate entrambe dalle pistolettate esplose contro alcuni di loro - qualche beneficio l'hanno portato. Al Comune, ancora commissariato per le infiltrazioni mafiose, stanno arrivando i milioni di euro dei fondi europei. «Ora è partito il business dell'accoglienza -afferma Pugliese - Gli stagionali sono stati mandati via,
ma si aspetta il milione e 900 mila euro del Pon Sicurezza per costruire un centro di aggregazione e di accoglienza per immigrati regolari sui terreni confiscati al clan Bellocco, in contrada Carmine». Un altro centro per stranieri e un'area attrezzata per il mercato sono previsti alla Rognetta, l'ex stabilimento per la trasformazione del succo d'arancia demolito subito dopo gli scontri.
E con 200 mila euro, stanziati dal ministro Maroni per l'emergenza dello scorso anno, sono stati acquistati sette containers con servizi igienici e docce che dovevano essere sistemati nei siti popolati dagli africani e ora resteranno al Comune. Insomma, gli aiuti agli stranieri si sono fermati alle intenzioni e loro si sono arrangiati come hanno potuto, con il solo aiuto dei volontari, come Norina Ventre. Gli Africani la chiamano "Mamma Africa" quest'ex insegnante ottantenne che non si risparmia per accudirli: cucina pentoloni di pasta, carne e legumi, distribuisce buste piene di viveri e vestiti, li cura e li ascolta. Dopo la rivolta, qualcuno le distrusse la men-sa che aveva allestito in una piccola abitazione nel suo agrumeto, ma lei, caparbia, dopo qualche settimana ha ricostruito tavoli e sedie ed ha riaperto il suo "ristorante" sotto gli aranci. Una volta, la domenica in fila si contavano anche 200 africani, ore sono poche decine, al massimo 60 persone. Norina non li abbandona, anche se la fatica comincia a farsi sentire, ma continua pure a difendere i rosarnesi che sono stati tacciati di razzismo. «A gennaio i ragazzi hanno esagerato - dice - è normale che la gente sia insorta, ma nessuno dei rosarnesi perbene ha mai sparato o picchiato uno di loro».
A guardarlo ora, Rosarno, non sembra affatto il paese degli scontri e della caccia al nero. Un giovanissimo africano attraversa la strada in bicicletta, un altro cammina tranquillo con in mano una busta colma dei prodotti del vicino discount. Per la gente di qui, abituata a conviverci da ormai vent'anni, è come se anche loro facessero parte del paesaggio.









I rom della capitale contro il piano nomadi

Internazionale, 22-04-2010
Gabriella Bianchi, Financial Times, Gran Bretagna

Roma, febbraio 2010. L'ex campo rom Casilino 900
Amnesty international e l'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani criticano il comune di Roma per i trasferimenti forzati nei campi autorizzati
Preferiamo morire piuttosto 'che spostarci". Hasco Rustie è il portavoce dei 350 rom bosniaci che vivono nel campo di Tor de' Cenci insieme a un piccolo gruppo di macedoni. Il campo, nella periferia sud di Roma, ostacola la costruzione della pista per il Gran premio di Formula uno di Roma, che dovrebbe debuttare nel 2013. È anche uno dei tanti insediamenti che il sindaco Gianni Alemanno vuole smantellare per raggruppare circa seimila rom in una decina di "villaggi della solidarietà" fuori Roma. "Viviamo qui da quindici anni e ci siamo integrati. I nostri figli vanno a scuola qui e abbiamo tutto quello che ci serve: cucina, tv, doccia", spiega Rustic.
A febbraio, con grande risalto sui mezzi d'informazione, Alemanno ha annunciato la chiusura del campo rom Casilino 900, il più grande d'Europa. " È una giornata storica", ha dichiarato. "Abbiamo cancellato questa vergogna con la collaborazione dei nomadi e dei comitati di quartiere".
Nel 2008 l'indignazione generale suscitata dall'uccisione di una donna da parte di un rom romeno ha aiutato Alemanno a vincere le eiezioni. La chiusura del Casilino 900, invece, è stata un elemento chiave della campagna del centrodestra in vista delle elezioni regionali dì fine marzo. Anche se nel 2008 il governo ha dichiarato un '"emergenza rom" nazionale, è stato affidato ai comuni il compito di trovare una soluzione. A differenza di città come Milano - dove i rom vengono sfrattati senza offrire sistemazioni alternative - Roma sta cercando di strìngere accordi con gli abitanti dei campi più grandi, mentre chiude con la forza quelli piccoli. I rom di Tor de' Cenci cercano di
resistere al trasferimento in un altro campo a dieci chilometri di distanza. Temono di essere ulteriormente emarginati, soprattutto perché i bambini avranno problemi ad andare a scuola.
Ai rom che vengono trasferiti viene controllata la fedina penale. La polizia prende le impronte digitali dei maggiori di 14 anni e rilascia documenti identificativi con una foto. "Per individuare le mele marce", spiega Sveva Belviso, assessore alle politiche sociali. Amnesty international chiede, invece, di interrompere i trasferimenti coatti, sostenendo che i nuovi campi sono inadeguati e sono una forma di segregazione. Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha visitato il campo e ha spronato l'Italia a fare di più per promuovere l'integrazione.
Cinquanta container
Roma, però, non costruirà per i rom delle case popolari. "Che lo si voglia o no", dice Belviso, Tor de' Cenci deve chiudere perché la circoscrizione non può permetterselo, "inoltre", aggiunge, "il sindaco Alemanno ha in mente di destinare quel terrèno alla Formula uno". A Castel Romano, un campo costruito sei anni fa, su duecento container ce ne sono cinquanta vuoti per i nuovi arrivati. Ma non ci sono né acqua potabile né alberi che facciano un po' d'ombra. Belviso ammette che il campo sarà migliorato solo dopo che avranno completato i trasferimenti. Secondo Belviso, Castel Romano diventerà un "laboratorio di produttività", con programmi di formazione e inserimento nel mondo del lavoro. La città però non ha abbastanza fondi e ha chiesto aiuto all'Unione europea.
I rom di Tor de' Cenci sono scettici e si sono rivolti a un avvocato per poter rimanere dove sono. Altri invece, quasi tutti romeni, hanno ceduto alle pressioni economiche e politiche accettando un biglietto pagato dal comune per tornare a casa.
Dopo aver vissuto per due anni sotto un cavalcavia di via Palmiro Togliatti, Marinella dice di aver preso questa decisione dopo aver visto il figlio che giocava a calcio nel fango con un topo morto. La sua baracca era piena d'infiltrazioni, lei aveva la schiena a pezzi per la fatica di trasportare l'acqua. Chiedere l'elemosina era l'unico modo per sopravvivere. È tornata nella fattoria della madre a Craiova.









Il tribunale dice sì alle nozze impossibili di un clandestino

la Repubblica, 22-04-2010

RAGUSA — Storia a lieto fine per due giovani, lei ragusana e lui albanese, ai quali l'ufficiale di stato civile del Comune di Ragusa aveva negato le nozze. Il rifiuto era legato ai termini di presentazione dell'istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno del giovane albanese. Il Tribunale di Ragusa ha accolto la richiesta avanzata dal legale della coppia, l'avvocato Michele Maiellaro di Foggia, e nei fatti non ha applicato una circolare del ministero dell'Interno di luglio del 2009 collegata alle norme del "pacchetto sicurezza". I giudici hanno motivato il provvedimento con la considerazione che «la libertà di sposarsi (o di non sposarsi), e di scegliere il coniuge in assoluta libertà, riguarda la sfera dell'autonomia e dell'individualità e, quindi, una scelta sulla quale lo Stato, che tutela la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, non può interferire». I due, Egentian Mucajed Eugenia Libro,entrambi di 24 anni, sono stati uniti in matrimonio ieri mattina, al Comune, dal sindaco.








CITTADINANZA BREVE: ASSE FINIANI-PISANU-PD

laPadania, 22-04-2010

La legge sulla cittadinanza è una «gigantesca operazione politica», un obiettivo «lungimirante» con cui il Parlamento dovrà misurarsi, sfidando i modelli sociali fondati sull'identità nazionale. Così lo strano quartetto formato dal finiano Fabio Granata (foto), dall'ex ministro Beppe Pisanu e dai Pd Walter Veltroni e Andrea Sarubbi che ieri si sono riuniti alla sala del Mappamondo della Camera per partecipare alla presentazione del libro "L'Italia a chi la ama" scritto dall'esponente finiano. Tutti i partecipanti hanno ribadito la necessità e l'urgenza di una legge che abbrevi i tempi di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri come mezzo per favorire l'integrazione


Senegalese "placcato" dai vigili urbani

Il video dell'arresto finisce in rete
La Nuova Sardegna
Quattro agenti della polizia municipale immobilizzano energicamente un giovane ambulante senegalese che steso a terra rifiuta di farsi ammanettare. Tutt'intorno gli abitanti urlano "vergogna", esprimendo contrarietà sul modo in cui gli agenti hanno fermato l'uomo. E' quanto si vede nelle immagini riprese con i cellulari, messe in rete su Youtube e altri siti analoghi
CAGLIARI. Quattro agenti della Polizia municipale di Quartu Sant'Elena su un giovane ambulante senegalese steso a terra che rifiuta di farsi ammanettare e di entrare nell'auto di servizio. Mentre tutt'intorno gli abitanti urlano "lasciatelo lavorare" e, poco dopo, "vergogna", esprimendo contrarietà sul modo in cui i vigili urbani hanno fermato l'uomo. E' quanto si vede nelle immagini riprese con i cellulari, messe in rete su Youtube e altri siti analoghi (Youreporter.it) e sottolineate con commenti estremamente negativi.

A segnalare il video, poco più di 4 minuti, sono stati stamattina i dirigenti provinciali del Pd e del Prc di Cagliari a margine di una conferenza stampa su temi elettorali. Il senegalese è stato fermato nei pressi del mercatino di Quartu con un intervento della polizia municipale che i due politici - Thamas Castangia (Pd) e Giuseppe Stocchino (Prc) - giudicano "eccessivo". I due esponenti della centrosinistra sollecitano le autorità competenti a visionare attentamente il filmato per chiarire le modalità del fermo e fanno appello al sindaco di Quartu affinchè si attivi con un'indagine interna: "lo stesso comportamento - si chiedono Castangia e Stocchino - sarebbe stato attuato se non si fosse trattato di un extracomunitario?".
(22 aprile 2010)






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