Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 marzo 2014

Oggi è la Giornata mondiale contro il razzismo
Il 21 marzo 1960 a Sharpeville furono massacrate 69 persone che manifestavano per dire no alla segregazione razziale. La battaglia contro chi crede che gli uomini non siano tutti uguali continua
stranieriinitalia.it, 21-03-2014
Roma – 21 marzo 2014 - Oggi inizia la primavera, ma si celebra anche la Giornata mondiale contro il razzismo. È una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite per ricordare uno dei tanti massacri della storia dell’uomo partorito dall’idea che gli esseri umani non sono tutti uguali.
Era la mattina del 21 marzo 1960 quando nel sobborgo di Sharpeville, in Sudafrica, migliaia di neri scesero in strada a manifestare davanti alla locale stazione di polizia.  Protestavano contro l’Urban areas Act, le cosiddette Pass laws,  ennesima tappa della politica di segregazione attuata per decenni nel Paese.
Le nuove norme volute dal National Party, il partito dei bianchi al governo, prevedevano, pena l’arresto,  che uomini e donne nere avessero bisogno di uno speciale lasciapassare per circolare nelle aree riservate ai bianchi. Questo veniva concesso solo a quelli che lavoravano in zona.
Quella mattina oltre cinquemila persone sfidarono le Pass laws, chiedendo di essere arrestate. Il regime, per disperderli, fece sfrecciare sulle loro teste i caccia militari, vennero lanciati gas lacrimogeni, poi si passò ai manganelli. Infine la polizia aprì il fuoco contro i dimostranti.
Morirono 69 persone, comprese otto donne e dieci bambini. I feriti furono 180. Molte delle vittime furono colpite alle spalle, mentre tentavano di fuggire. Le indagini dimostrarono che le uniche armi a disposizione di chi dimostrava erano delle pietre.
Quel giorno iniziò un’escalation di proteste e repressione, furono arrestati migliaia di attivisti neri, in breve tempo i partiti che si battevano contro la segregazione vennero messi fuori legge e anche Nelson Mandela finì in prigione. Il massacro di Sharpeville segnò però anche l’inizio dell’isolamento internazionale che dopo lunghissimi anni contribuì alla fine dell’apartheid in Sudafrica.
Oggi in tutta Italia ci saranno eventi e momenti di incontro e riflessione sui temi della prevenzione della discriminazione razziale e della tutela dei diritti umani, coordinati dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, nell’ambito della X Settimana d’Azione Contro il Razzismo (qui il programma). L’arancione è stato scelto come colore simbolo di questa giornata.  
Stranieriinitalia.it, oggi e sempre, continua le sue battaglie contro ogni forma di razzismo. Da qualche settimana, insieme ai nostri lettori, ne abbiamo avviata una contro i predicatori di odio su Facebook, nuova frontiera minacciata da quanti credono che il colore della pelle, la religione o il Paese d’origine possano fare la differenza tra esseri umani. Unitevi a noi.



Razzismo. Gli esclusi d’Europa
L’Europa che oggi sponsorizza e celebra con centinaia di manifestazioni e iniziative la Giornata mondiale contro il razzismo è la stessa che ha permesso la strage di Lampedusa del 3 ottobre, solo la più grave delle centinaia di naufragi che hanno attraversato il Mediterraneo
il manifesto, 21-03-2014
Grazia Naletto
L’Europa che oggi sponsorizza e celebra con centinaia di manifestazioni e iniziative la Giornata mondiale contro il razzismo è la stessa che ha permesso la strage di Lampedusa del 3 ottobre, solo la più grave delle centinaia di naufragi che hanno attraversato il Mediterraneo.
È quella che impone a chi è costretto a fuggire dal proprio paese di chiedere asilo nel primo paese europeo di arrivo, a meno che non sia provato e documentato che questo non è in grado di accoglierlo. Tutela il diritto di asilo, ma sino ad oggi ha accolto solo 56 mila degli oltre 2,5 milioni di profughi siriani (la Turchia ne ha accolti 656 mila, il Libano un milione).
L’Europa di oggi è quella che vincola la «cooperazione con i paesi terzi» alla sottoscrizione di accordi stringenti sul «contrasto dell’immigrazione irregolare» e che con la “direttiva della vergogna” ha stabilito che è possibile rinchiudere nei centri di detenzione i migranti senza documenti colpiti da un provvedimento di espulsione per 18 mesi. È, infine, quella che nella Carta dei diritti fondamentali vieta le espulsioni collettive e le discriminazioni “etniche”, religiose o fondate sulle caratteristiche somatiche, prevedendo il «rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche». Ma poi lascia che i singoli paesi membri possano negare o restringere l’accesso dei cittadini stranieri (ormai non solo di paesi terzi) ai servizi sanitari, assistenziali e previdenziali.L’Unione Europea promuove regole comuni per rifiutare, respingere ed espellere i migranti di paesi terzi; disciplina le regole sul soggiorno e sulla circolazione dei migranti regolarmente residenti; ha definito uno status uniforme e procedure comuni in materia di asilo, ma lascia che siano i singoli stati membri a governare l’immigrazione per motivi di lavoro. Nè è pre­vi­sta alcuna forma di armonizzazione delle politiche di «integrazione», ambito nel quale l’Ue può solo «incentivare e sostenere l’azione dei paesi membri». Così in Germania come in Italia e in Spagna si pongono limiti all’ingresso di lavoratori migranti, salvo poi farne lavorare a migliaia al nero e sottopagati nell’edilizia, nell’industria alimentare, nell’agricoltura o nelle ristrette mura domestiche, per svolgere quei lavori di cura che il sistema di welfare in via di smantellamento non assicura più. E ciò avviene anche nel pieno della crisi. In molti, espulsi dal mercato del lavoro, decidono di tornare nel paese di origine. I più restano.
Non di memoria dunque dovremmo parlare oggi, ma del presente. E l’Europa del presente è quella del rifiuto, della sofisticazione degli strumenti di sorveglianza e di militarizzazione dei mari e delle frontiere grazie al sistema Eurosur e all’agenzia Frontex: 2 miliardi e 496 milioni stanziati tra il 2007 e il 2013 per i due fondi per le frontiere esterne e per i rimpatri, ma solo 1 miliardo e 455 milioni per i fondi per i rifugiati e per «l’integrazione» dei cittadini di paesi terzi.
Nel 2012 i cittadini di paesi terzi stabilmente soggiornanti erano il 4,1% della popolazione europea, 20,7 milioni, ma non par­teciperanno alle prossime elezioni europee perché non sono considerati cittadini e sono privi del diritto di voto. Potranno invece candidarsi i rappresentanti di quei movimenti nazionalisti, xenofobi e populisti che vorrebbero cacciarli tutti. Sarebbe un errore lasciare che fossero loro a dettare l’agenda nella prossima campagna elettorale.



Profughi. Cir: "Accoglienza al collasso, serve un piano e vanno distribuiti nell'Ue"
Il Consiglio Italiano per i Rifugiati: "I Paesi del Sud Europa non possono essere penalizzati a causa della posizione geografica.Servono canali di accesso protetto e regolareal territorio europeo"
stranieriinitalia.it, 21-03-2014
20 marzo 2014 - Con gli arrivi del 20 marzo, e quelli previsti per oggi, il numero di persone salvate nel Mediterraneo in questa settimana supera le 4.000 unità. Dall’inizio dell’anno sono arrivate quasi 10.000 persone, mentre nello stesso periodo del 2013 erano solo 900.
A fare i conti è il Consiglio Itlainoper i Rifugiati, che rinnova il grande apprezzamento per gli sforzi italiani di mettere in salvo e portare in un porto sicuro i rifugiati e i migranti a rischio di naufragio, in particolare grazie all’Operazione "Mare Nostrum".Il CIR contesta, invece, fortemente ogni voce che, in sede europea e da parte di altri Stati membri, tende a considerare questo sforzo come un fattore d’attrazione alla base dell'aumento nel numero di arrivi.
Il CIR insiste affinchè continuino le Operazioni "Mare Nostrum", anche con il sostegno finanziario dell’Unione Europea.
“Un diverso orientamento sarà possibile solo quando si apriranno canali di accesso al territorio europeo protetto e regolare, garantendo per le persone in fuga un’alternativa a quella di mettere a rischio le proprie vite e pagare i trafficanti” dichiara Christopher Hein, direttore del CIR.
Nell’immediato si pone il problema dell’accoglienza, considerando che i vari sistemi che prestano ospitalità ai richiedenti asilo sono praticamente al collasso. Il CIR chiede al governo italiano, come anche alle istituzioni comunitarie, di mettere in atto un piano complessivo che preveda tempi più brevi di permeanza nelle strutture di prima accoglienza e procedure più veloci per il riconoscimento della protezione. Un piano che dovrebbe, quindi, favorire l’integrazione di chi ha ottenuto l’asilo, garantendo percorsi efficaci verso l’autonomia anche economica.
Questo piano dovrebbe inoltre considerare una re-distribuzione, in tutti e 28 gli Stati membri, dei rifugiati che arrivano in Italia e in altri Paesi del Sud Europa semplicemente a causa della posizione geografica.
 


Ceuta e Melilla, le altre Lampedusa d’Europa
Ceuta e Melilla. L’ultima strage nell’énclave spagnola in Marocco si è registrata il 6 febbraio. Il governo di Madrid allarmista sull’«invasione»
il manifesto, 21-03-2014
Paolo Leotti
Il 6 febbraio scorso si è consumata l’ennesima strage nell’énclave di Ceuta, un territorio che assieme all’altra enclave, Melilla, si trova sulla costa mediterranea del Marocco. In seguito a un tentativo di massa di scavalcare il muro che separa i due stati, 15 migranti sono affogati mentre provavano ad aggirare il muro a nuoto. È più che probabile che la responsabilità di queste morti sia dovuta all’uso di fumogeni, di proiettili di gomma e a salve sparati dalla Guardia civil spagnola e dal fatto che il soccorso marittimo della città non ha ricevuto nessuna richiesta di intervento.La barriera di Ceuta e Melilla è diventata negli ultimi anni uno dei principali punti di pres­sione da parte dell’immigrazione irregolare, soprattutto subsahariana, ed esemplifica molto bene l’approccio europeo di gestione dei flussi migratori: un approccio securitario e utilitarista.In quest’ottica si devono leggere la richiesta di 45 milioni di euro che la Spagna ha inoltrato alla Commissione Europea per rafforzare ulteriormente il muro e il cen­tro di accoglienza della città, le stime diffuse dal ministro degli Interni che parlavano di 80 mila persone in attesa di «assal­tare» il muro (stime smentite dalle ong locali) e il rifiuto di aprire una commissione d’inchiesta indipendente per appurare le responsabilità della strage.Sarebbe ingenuo pensare che l’operato del governo spagnolo sia stato una fatalità. Sono infatti nume­rose le decisioni che hanno peggiorato i diritti dei migranti, soprattutto di coloro senza permesso di soggiorno, il cui numero nel 2013 è stato stimato da Amnesty International in 870 mila persone.
Il Real Decreto 1192/2012, ribattezzato dell’apartheid sanitario e giustificato con motivazioni di ordine economico, ha limitato l’accesso alla sanità dei migranti a pochi casi tra i quali le urgenze, le gravidanze, i parti e l’assistenza sanitaria ai minorenni. Il provvedimento ha prodotto il caos. Infatti la Sanità è una competenza delle regioni e non tutte hanno condiviso i contenuti del decreto: alcune lo hanno implementato alla lettera, altre con distinguo, altre si sono opposte. Tutto questo, accom­pagnato da una grande dose di disinformazione del personale della sanità, ha portato a una situazione di incertezza giuridica: a seconda degli ambulatori, gli immigrati senza documenti devono pagare o meno le prestazioni aggiuntive.La Spagna è uno degli stati europei in cui le forze dell’ordine chiedono la documentazione con più frequenza e dove i pregiudizi razzisti purtroppo prendono il sopravvento. Secondo uno studio presentato lo scorso ottobre dall’Istituto per i diritti fondamentali dell’Universitá di Valencia, una persona immigrata ha quattro volte in più la probabilità di essere fermata per strada rispetto a un cittadino spagnolo.
Per coloro che si trovano in situazione irregolare e vengono identificati dalla polizia durante i controlli, si aprono le porte di uno degli otto centri d’internamento per stranieri (Cie), in attesa dell’espulsione. Contrariamente a quanto affermato dal governo, nei Cie vengono private della libertà soprattutto persone senza precedenti penali (uno studio del 2012 della Ong gesuita Pueblos Unidos su un campione del Cie di Madrid sono il 73%), colpevoli solo di non avere il permesso di soggiorno in regola. I Cie sono di fatto delle strutture di detenzione, ma a differenza di queste ultime non erano soggette ad un regolamento interno sino a qualche giorno fa. Ciò ha reso le condizioni di vita all’interno dei centri inumane e gli abusi innumerevoli, come del resto hanno documentato diverse associazioni ed è stato ribadito da Mutuma Ruteere, Relatore speciale delle Nazioni Unite per il razzismo durante la visita del gennaio del 2013.
Il futuro non lascia intravedere un’inversione di tendenza visto che le bozze della prossima riforma del codice penale contengono una norma che proibisce di dare ospitalità ai migranti senza documenti.* Ricercatore del Gabinet d’Estudis Socials di Barcellon



Cartello choc a Roma: “Ingresso vietato ai rom”
il fatto, 21-03-2014
È SEVERAMENTE vietato l’ingresso agli zingari”. Roma, 2014 come la Berlino del 1938. Sono passati più di 70 anni dal periodo più buio che l’uomo abbia conosciuto, ma la storia si ripete. Stavolta a farne le spese sono gli zingari ai quali è vietato entrare in una panetteria di Roma, nella zona popolare Tuscolana. La denuncia viene dall’Associazione 21 Luglio che, attraverso i suoi legali, ha inviato una diffida alla panetteria, paragonando ciò che è scritto nel cartello “alla discriminazione degli ebrei nella Germania nazista e a quella dei neri, in Sudafrica, durante l’Apartheid”. Dopo la segnalazione di uno degli attivisti, il cartello è stato rimosso. L’associazione ha anche inviato una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella giornata mondiale contro il razzismo che si celebra oggi, per esprimere “preoccupazione sul livello di conflittualità e ostilità nei confronti delle comunità rom e sinti e per l’emergenza democratica e civile del Paese”.



Alunni figli di immigrati: in Europa non si chiamano più “stranieri”
CIRDI, 21-03-2014
Non più alunni “stranieri”, ma con “retroterra migratorio” o “background etnico”: in Europa cambia la denominazione ufficiale degli studenti provenienti da altri paesi, ma non c’è un’indicazione unica di matrice europea, ognuno fa per sé. A rilevarlo è il nuovo rapporto del ministero dell’Istruzione (Miur) sugli “Alunni con cittadinanza non italiana” riferito all’anno scolastico 2012/2013. Il rapporto mette in evidenza i cambiamenti del panorama europeo riguardo il numero di alunni iscritti a scuola. Le statistiche disponibili sull’ultimo anno scolastico confermano un “calo demografico in atto già da alcuni decenni in molti paesi dell’Europa occidentale – spiega il dossier -. Le ricadute sulla popolazione scolastica sono evidenti: il calo è lento ma costante, come dimostrano i dati delle annualità più recenti”. Una diminuzione che coinvolge “anche gli alunni con altra nazionalità”, come in Spagna dove gli alunni non spagnoli sono il 9,4 per cento con una diminuzione dello 0,5 per cento, oppure in Germania, dove la quota di non nazionali rimane sul 7,3 per cento, con un leggero calo che conferma il trend discensionale dell’ultima decade.
A cambiare però, non è solo il numero degli iscritti. Nelle scuole europee cambiano anche le definizioni legate a questo mondo. “Quella di “alunno straniero” – spiega il rapporto – è una tipologia sempre meno indicativa della effettiva diversità a scuola”. Ed è così che nel Regno Unito non si rileva più la nazionalità ma il “race/ethnic background”. In Francia, invece, è stata abolita a categoria di “straniero” a favore degli Eana, cioè “élèves allophones nouvellement arrivés”. Nei paesi tedescofoni, invece, “si parla ormai da tempo di persone oalunni con retroterra migratorio, una tipologia che diventa numericamente sempre più significativa, indice di un avanzato grado di stabilizzazione dei flussi migratori”. Categoria che include i nati all’estero, i bambini con uno o entrambi i genitori stranieri, gli adottati. “In Germania, il termine comprende anche le generazioni discendenti degli Aussiedler, immigrati di origine tedesca provenienti dall’Europa orientale”. In Austria, invece, ci sono i “non tedescofoni” mentre in Svizzera, “il Bundesamt für Statistik (BFS) ha proposto una revisione delle categorie utilizzate per i censimenti, inserendo la distinzione tra nati in Svizzera e nati all’estero, e tra popolazione con o senza retroterra migratorio”.
Per il Miur, “la presenza di alunni allofoni nelle scuole ha messo in luce nuove sfide formative”, e mentre in paesi già connotati da un pluralismo linguistico, il tema della diversità ha già un proprio rilievo, negli ultimi anni si è sviluppato anche in altri paesi, come in Spagna, dove il protocollo di accoglienza prevede l’insegnamento della lingua in corsi speciali, anche se non mancano voci critiche sul carattere discriminatorio della misura e la “tendenza a correlare il livello di integrazione con la padronanza della lingua del paese di arrivo”. In Germania, invece, il dibattito è ancora aperto e le risposte sono diverse nei vari Länder. In generale, però, si tende ad anticipare la scolarizzazione e l’introduzione dell’obbligo delle Vorschulen, le scuole preparatorie al livello elementare, ma l’obbligo non è stato introdotto in tutti i Länder. In Francia, le misure dell’accoglienza si concentrano sull’aspetto linguistico, che si riflette nella denominazione dei nuovi arrivati. “Ne consegue una diversità di approccio formativo, che considera le competenze già acquisite una risorsa e non un freno: risorse a cui appoggiarsi per l’acquisizione della lingua di scolarizzazione”.
Anche in Austria, le misure riguardano percorsi  prescolari obbligatori, mentre in Gran Bretagna, da settembre 2014 sarà obbligatorio per i bambini della scuola primaria, dai sette agli undici anni, imparare una delle sette lingue straniere, tra cui francese, tedesco, italiano, mandarino, spagnolo. “Il governo sta incoraggiando le scuole ad adottare una più ampia varietà di offerte linguistiche – spiega il Miur -, dopo che, secondo un recente studio, gli adolescenti nelle scuole in Inghilterra hanno avuto le peggiori competenze linguistiche in Europa”.
Fonte: Redattore Sociale



La lezione di Prato
Avvenire, 21-03-2014
Diego Motta

Per anni non hanno visto, non hanno sentito, non hanno parlato. Proprio come i cinesi, da loro stessi accusati di omertà mafiosa, concorrenza sleale, sfruttamento. Ora che la Procura di Prato ha arrestato anche due italiani, insieme a tre datori di lavoro asiatici, per il tragico incendio del Macrolotto costato nel dicembre scorso la vita a sette persone, il disvelamento è finalmente avvenuto. Dietro ai laboratori dell’orrore, all’inabissamento di tanti uomini e donne costretti a dormire e a mangiare negli stessi luoghi di produzione, c’era dunque (e ancora prospera) una rete di complicità che coinvolge molti nostri connazionali.
Un segreto di Pulcinella, anche se non pochi hanno preferito credere che a Prato ci fossero due comunità – la italiana e la la cinese – assolutamente distinte, persino opposte, autoreferenziali. Non è mai stato così: chi affittava capannoni agli imprenditori cinesi, salvo poi chiudere gli occhi su quanto accadeva all’interno degli stessi? Chi praticava prezzi da usura negli affitti per costringere i giovani in arrivo dalle regioni più remote della Cina a vivere 24 ore su 24 nelle fabbriche della vergogna?
Tanti sapevano e nessuno parlava, dunque. Perché negli stabilimenti del Macrolotto hanno trovato un impiego anche diversi pratesi, che in tempi di crisi economica hanno accettato di sorvolare su standard ambientali, norme di sicurezza e condizioni igieniche pur di guadagnare quanto serviva per sbarcare dignitosamente il lunario. Per alcuni, si è trattato di una scelta senza alternative, frutto indesiderato di una congiuntura che non ha risparmiato neppure il "pronto moda". Insieme a quella degli affari, ha finito per restringersi anche la sfera dei diritti e troppi ne stanno facendo le spese, anche negli stabilimenti tessili pratesi.
Ha dunque ragione il procuratore della città toscana, Piero Tony, nel definire l’operazione di ieri un vero e proprio «salto culturale». Intendiamoci: le accuse rivolte ai datori di lavoro cinesi che costringevano a turni massacranti i loro sottoposti sono gravissime e vanno dall’incendio colposo all’omicidio colposo plurimo, dall’omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro fino al favoreggiamento di "clandestini". Eppure anche i proprietari dell’immobile, due italiani, hanno avuto secondo gli inquirenti «piena consapevolezza» di quanto stava accadendo. Un concorso di colpa che, se dimostrato, può diventare un precedente pesantissimo per altri proprietari immobiliari, in gran parte nostri connazionali.
Quel che conta è però adesso far seguire alla mossa dei giudici e delle forze dell’ordine, una vera e propria mobilitazione della città e dell’intera opinione pubblica. Qualcosa si è già visto in questi mesi e fa ben sperare: il "tavolo Prato" nei giorni scorsi è approdato direttamente al Quirinale e ora attende segnali di operatività da parte di governo, regione ed enti locali, proprio nei giorni in cui la città si prepara a un attesissimo test elettorale per l’elezione del sindaco.
Più che guardare ai politici, però, conviene osservare quanto sta accadendo nei patronati sindacali o nelle associazioni di categoria delle imprese, dove da un po’ di tempo si mettono silenziosamente in fila anche lavoratori e piccoli imprenditori cinesi. Chiedono la traduzione di norme spesso incomprensibili, vogliono partecipare a corsi di formazione che prima erano un’esclusiva solo italiana, sognano se possibile un’abitazione in regola. I loro figli sono in molti casi nati e cresciuti a Prato, si iscrivono in massa agli istituti di ragioneria e, se accettano di dare una mano nell’impresa di famiglia, stanno bene attenti a non sacrificare del tutto la vita sociale. Da loro, e dai loro coetanei pratesi, è lecito aspettarsi di più di quanto non abbiano fatto molti loro padri. Cinesi e italiani. Senza eccezioni, purtroppo.



La fortuna di Kassim: “Una foto per caso e sono diventato attore”
Corriere.it, 21-03-2014
Massimo Andreozzi
KassimYassin Saleh è un vulcano di idee. Viene dal Gibuti e nella vita è attore e fotomodello.
    «Inizialmente la mia destinazione doveva essere il Canada e avrei dovuto fermarmi a Roma solo per un breve periodo. Sono pochissimi gli africani che giungono in questo Paese per rimanerci. Avevo un visto turistico per l’Italia. Giusto il tempo di fare le carte per spostarmi nuovamente. Poi però il corso degli eventi non mi ha fatto più partire».
Da qualche anno Kassim vive nel quartiere Trionfale-Monte Mario, a Roma, con la sua compagna italiana Luciana, stilista e costumista. Mi accoglie nella loro casa con la sua folta chioma afro, indossando abbigliamento eccentrico e vivace. Mi soffermo a guardare le sue foto sulle pareti, i suoi preziosi oggetti “amarcord” e i premi ottenuti nella sua carriera.
Mi racconta con grande entusiasmo di quando il corto “Nero Apparente”, di cui è protagonista, vinse il Riff Award come miglior cortometraggio italiano nel 2009. Guardiamo assieme il dvd, che si conclude con una scena di pestaggio sotto Ponte Sisto, sulle sponde del Tevere.
    «In questa scena ho quasi vissuto un’esperienza di pestaggio reale, sia perché qualche calcio involontariamente mi ha preso, sia perché per terra era veramente sporco, con un olezzo di piscio nauseante».
Ma Kassim non è arrivato in Italia da attore. «Con la legge Martelli ottenni il mio primo permesso di soggiorno di due anni. Un prete della Caritas mi suggerì di andare in un centro di formazione per l’edilizia, dove ho imparato ad usare la scavatrice. I miei primi contratti li ho avuti a Perugia. Dopo qualche tempo ho capito che quel lavoro non faceva per me e sono riuscito a farmi assumere come commesso dal Gruppo Clark a viale Marconi, una via incredibile e punto d’incontro tra etnie diverse, che ha avuto una grande importanza nella mia vita».
È proprio lì che Kassim si fa notare:
    «Nel 2001 una fotografa di Milano era in cerca di un volto africano per una pubblicità e mi chiese di potermi fotografare. Pochi giorni dopo mi ritrovai sui cartelloni pubblicitari per una campagna delle politiche sociali. Quella è stata la mia prima esperienza. E da lì non mi sono più fermato».
E infatti, oltre ad essere contattato per le pubblicità, Kassim inizia a collezionare esperienze anche nel mondo della TV: nel 2003 lavora con il programma “Invisibili” di Marco Berry e ottiene piccole parti in fiction e film per il cinema. Fino al giorno in cui, nel 2007, viene scelto come protagonista di “Said”, primo blaxploitation movie italiano in stile Tarantino, diretto da Joseph Lefevre. Pur non essendo mai stato distribuito il film è divenuto un piccolo cult nella scena underground anche per la colonna sonora firmata dai Calibro 35. Kassim interpreta Said, immigrato africano che lavora per organizzazioni mafiose e si trova coinvolto in un vortice di violenza e droga.
Ha il cinema nel sangue, Kassim.
    «Mi hanno doppiato, ma mi sarebbe piaciuta la mia voce originale. Non avevo mai fatto corsi di recitazione. Terminato il film ho però deciso di frequentare il laboratorio di Francesca de Sapio».
Ad aiutarlo nelle sue varie esperienze è stata la sua filosofia di vita.
    «La vita da immigrato non è stata semplice, ma ho sempre cercato di trovare stimolo da ciò che mi circondava per risolvere i problemi. Non mi va di perdere tempo a piangermi addosso e a lamentarmi. Voglio dimostrare la mia creatività. Qui in Italia, per un nero, conquistare la propria fetta di mondo è difficile. Ma io, da buon africano, sono sempre fiducioso che le cose andranno bene».
Oggi Kassim vuole dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera artistica. «Dopo 15 anni, a luglio scorso mi sono licenziato dal negozio. Ora ho molto più tempo e posso focalizzare l’attenzione sulle mie cose. Il mio prossimo sogno è realizzare “Grazie a Dio!”, una serie tv da me ideata e scritta assieme a Heidrun Schleef e Brando de Sica». La fiction vuole raccontare, attraverso i toni della black-comedy, storie che vedono coinvolti immigrati. «Nessuno qui in Italia ha ancora prodotto una serie sugli immigrati con veri immigrati come attori. Spero veramente che la mia idea avrà l’attenzione che merita». Non solo cinema e tv: Kassim ha inoltre lanciato un marchio di moda, Des Enfants Petits, e produce t-shirts per uomo, donna e bambino con il simpatico logo da lui immaginato. «Sto lanciando il mio marchio facendo indossare le mie magliette a personaggi dello spettacolo, musicisti e artisti. Vorrei che il mio marchio fosse un messaggio di integrazione fra i popoli».

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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