Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 dicembre 2011

Se Lucia e Renzo fossero stati stranieri (e lui anche irregolare)
l'Unità, 17-12-2011    
Questo matrimonio non s’ha da fare». Ed è stato proprio così per Sall e Maria Adela. Lui senegalese, lei rumena; lui irregolare, lei no. A qualche minuto dal fatidico sì il promesso sposo è stato prelevato dall’edificio comunale di Seravezza in provincia di Lucca dove si sarebbe celebrato il matrimonio e portato direttamente al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma. Da qui, dopo appena qualche giorno, viene letteralmente caricato su un aereo per essere rimpatriato in Senegal. L’operazione è stata bloccata dal pilota che, di fronte alla reazione di rabbia e protesta di Sall si è rifiutato di far decollare l’aereo per motivi di sicurezza. Una partenza quella che avrebbe violentemente cancellato, almeno per il momento, la speranza di una vita migliore (una fidanzata incinta e l’acquisizione di una regolarità giuridica dovuta alla posizione di lei possono costituire un buon inizio). Ma ora Sall è tornato a Ponte Galeria.
Tutto in regola? Non proprio. La Corte Costituzionale nel luglio 2000, con sentenza n. 376, ha dichiarato illegittima la parte dell’articolo 19 del Testo Unico sull’immigrazione in cui «non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio». Ora, è vero che si parla di “marito” e che per diventare tale è necessario possedere un regolare permesso di soggiorno, ma questo solleva un’altra questione: perché mai un irregolare, e per il solo fatto di essere irregolare, non può “regolarizzare” la propria situazione familiare, tanto più quando si è in attesa di un figlio?
Questa è la sua/loro storia, ma è sicuramente simile a quella di molte altre. Storie di possibilità e di diritti negati.



Non chiamiamoli clandestini
“Afgani pakistani usciti dalla Bibbia cancellati sulla sabbia / Dalla mafia del petrolio negati dal nostro odio che gli volta le spalle e riduce a un errore dello sguardo la loro voglia / di una stanza, di lavorare e partecipare” (Ennio Rega)
l'Unità, 17-12-2011
Luigi Manconi                                                                                     ****
Va da sé che l’Italia non è “un paese razzista”. E c’è da chiedersi se vi sia al mondo un paese definibile come razzista. Non c’è dubbio tuttavia, che vi siano stati sistemi politici organizzati secondo linee di discriminazione razziale, tracciate da conflitti etnici e da legislazioni discriminatorie; ed è altrettanto ovvio che quelle strutture non siano state bandite una volta per sempre, ma tendano a riprodursi. Diverso è il discorso relativo all’orientamento culturale e alla mentalità condivisa della popolazione di uno stato democratico. È qui che la definizione di “paese razzista” sembra davvero difficile da attribuirsi. Qui, certo, possono svilupparsi movimenti xenofobi e scontri etnici; qui possono essere adottate leggi e politiche discriminatorie: ma ancora siamo assai lontani da poter definire “razzista” la popolazione di quello stato. In tutti i paesi europei, negli ultimi due decenni, si sono manifestati movimenti e partiti fondati sull’ostilità nei confronti degli stranieri, che hanno conosciuto alterne fortune elettorali. In Italia il principale partito xenofobo, la Lega Nord, non ha fatto della lotta contro l’immigrazione il suo primo obiettivo, pur collocandolo in cima al proprio programma, ma ha sempre privilegiato il tema della secessione. E, tuttavia, la sua costante polemica contro lo stato centrale ha sempre avuto una sua aggressiva ricaduta nella stigmatizzazione dello straniero; e, dalla cruciale postazione del ministero dell’Interno, nella politica dei respingimenti. Ciò ha fatto della Lega il primo degli imprenditori politici dell’intolleranza. Ovvero coloro che trasferiscono nella sfera politica e utilizzano come risorsa elettorale il disagio prodotto dal faticoso impatto tra residenti e immigrati. Qui sta il nodo cruciale dell’intero problema. L’ansia collettiva nei confronti dello straniero, tanto più in una fase di acuta crisi economica, è un sentimento spiegabile: la traduzione di quel sentimento in conflitto politico è la più scellerata e colpevole delle strategie. Tutto ciò sembra diventare infine chiaro, ma c’è qualcosa che continua a essere costantemente sottovalutato e che rischia di risultare un formidabile fattore di precipitazione delle situazioni di crisi. È la questione del linguaggio. Finalmente si incomincia ad affrontare il tema, ma esso è così  sottile e pervasivo da non essere sempre colto nella sua criticità, in particolare quando si presenta con una sua “innocenza”, dovuta a una supposta neutralità. Ciò riguarda in particolare quello che forse è il termine più utilizzato nel vocabolario dell’immigrazione: clandestino. A questa parola si fa ricorso, da tempo, con speciale riferimento a coloro che sbarcano sulle nostre coste. Vi ricorrono  gli organi di informazione più insospettabili, o perché incapaci di cogliere il terribile peso colpevolizzante che il termine porta con sé, o perché incapaci di sottrarsi all’omologazione linguistica dominante. E così vengono chiamati clandestini i meno clandestini tra tutti i migranti: quanti giungono sulle nostre coste in pieno giorno o sotto la luce abbagliante di fari, riflettori, telecamere e flash, mostrando i loro volti allo sguardo invadente della curiosità dei residenti e di noi tutti, palesemente privi di ogni cosa e totalmente disarmati, nudi o semi nudi, piagati o febbricitanti, comunque assolutamente inermi. Per questi esseri umani, costretti a mostrarsi nella loro “nuda vita”, i democraticissimi e tollerantissimi operatori dell’informazione usano il termine clandestino. Che evoca, piuttosto, la figura di chi agisce nell’ombra,  trama nel buio, ci minaccia alle spalle. È solo un esempio delle peripezie, talvolta perverse, che conosce il linguaggio. Molto opportunamente l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, d’intesa con l’UNHCR, con l’adesione di Arci, Acli, Amnesty International, Centro Astalli, A Buon Diritto e molti altri, ha promosso la cosiddetta Carta di Roma. In essa si affronta la questione della “informazione concernente rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta e migranti, (…)con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità (…)”. Di conseguenza, i promotori invitano i giornalisti ad “adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri”. Molto giusto. Speriamo che la Carta di Roma, come si dice, non resti sulla carta.



Le parole dei senegalesi antidoto contro il disprezzo
la Repubblica, 19-12-2011
CONCITA DE GREGORIO
IN QUESTI anni si è diffuso il disprezzo. Provo a mettere a fuoco questa frase semplice e mite, persino riduttiva, in un certo senso pudica: la frase di un senegalese fiorentino colta dalle telecamere e dai taccuini dei giornalisti al corteo di Firenze in morte di due ragazzi uccisi martedi scorso a colpi di pistola da un "cacciatore di negri". Un tizio sui cinquanta, l'assassino.
TROPPO giovane per essere stato fascista davvero — quando il partito fascista, o almeno il Msi esisteva ancora—e però fascista di ritorno. Fascista di Casa Pound e figlio degli anni dell'odio e del disprezzo, appunto, dei diversi e dei più deboli. Del "padroni a casanostra"—canone leghista ma non solo— gli anni scellerati in cui mascherato dal sorriso da squali dei corruttori si è fatto Strada il cinismo egoista e squallido, opportunista, di chi mostrava al pubblico che solo a spese degli altri si costruisce la propria fortuna, ciascuno la sua e fatevi sotto coi mezzi che avete, le parole o le spranghe, l'ignoranza a far da padrona, pazienza per chi non può difendersi. "In questi anni si è diffuso il disprezzo" è una sintesi gentile, prova vergogna per chi si dovrebbe vergognare, non dice della paura seminata come fertilizzante elettorale, della stupidità e della sistematica distruzione del sapere che l'ha scientificamente, consapevolmente coltivata. Da quanti anni? Venti, trenta o persino di più? Achi addosseranno i libri di storia la responsabilità politica dello sfacelo nelle cui macerie ci aggiriamo increduli, spaventati dall'odore di polveri che non sappiamo se e quando si riveleranno esplosive ben oltre quei due colpi di pistola? Solo a Berlusconi? Solo ai signori del denaro o anche, ben prima, già sul finire degli anni Settanta e poi negli Ottanta, a una classe politica esangue e pronta a lasciarsi comprare o spazzare via, brodo di coltura dell'Uomo della provvidenza prossimo venturo? Da quanti anni in questo Paese mancano lo sguardo, il sorriso, l'intelligenza la generosità e il coraggio di qualcuno capace di pensare il bene di tutti a scapito dei suo? Qualcuno capace di vedere quel che gli altri ancora non vedono e provare a realizzarlo: senzaun torna conto privato, perché è l'unica Strada possibile ed è giusta, persino. Pazienza se costa.
Mi scuso per la lunga premessa ma è che avevo negli occhi e nelle orecchie le immagini del corteo dei senegalesi di Firenze nelle ore in cui chiudevo il secondo dei due libri appena usciti per una piccolissima casa editrice, Alphabeta, che raccontano come fosse un romanzo d'avventura una straordinaria storia davvero accaduta in ltalia negli anni Settanta. Una storia di cui i nostri ventenni sanno poco o niente e quanto sarebbe importante che la conoscessero, invece, per dare una direzione e un senso costruttivo alla loro sacrosanta indignazione. C'era una volta la città dei matti  e Marco Cavallo— poderosi tomi, non libriccini— narrano l'incredibile magnifica rivoluzione condotta controcorrente da un pugno di donne e di uomini guidati da Franco Basaglia. Raccontano come sia stato possibile far approvare, in Italia, nei giorni del sequestro Moro, una legge che riguardava apparentemente una irrilevante minoranza di persone, i matti dei manicomi. E siccome allora, davvero, molti dei "matti" erano semplicemente vittime delle violenze di quel tempo, non è poi cosi difficile per quanto sia— lo riconosco —sommamente impreciso pensare che il posto che occupavano i matti negli anni di Basaglia l'abbiano adesso i neri d'Africa egli afgani e  migranti dei barconi che muoiono speronati al largo delle nostre coste. Numeri, volti senza identità, estranei, stranieri, diversi da noi che siinsinuano nelle strade e nelle piazze proprio come, usciti dai manicomi, Boris e Mara, Margherita e suo figlio cercavano senza trovarlo un posto in un appartamento a Gorizia, a Trieste. La cronaca dell'assemblea in cui i Cittadini "normali" denunciano come l'apertura dei centri di igiene mentale nel loro quartiere faccia perdere valore alle loro case, la paura delle "donne per bene" di fronte a "quelli là", l'ostilità, la chiusura. L'atteggiamento dei politici, cosi prudente, cosi diffidente, anche a sinistra: perche non bisogna perdere di vista il fatto che sara pure giusto che i matti escano dai manicomi ma la gente non li vuole e il nostro elettorato sono la gente, non i matti. Ecco, c'è più di una suggestione, come vedete.
Poi penso anche, forse con una punta di ottimismo, che questo sia il tempo giusto per ricominciare a raccontare —a ricordare—storie come quella. Il film di Marco Turco, C'era una volta la città dei matti, è andato in onda nel 2010 in Rai ed ha avuto un successo straordinario. Sette, otto milioni di spettatori. Fabrizio Gifuni, il sorriso di Basaglia redivivo. Un sorriso che guarisce e che illumina. Il libro che esce oggi contiene i due dvd del film tv e il corposissimo trattamento scritto da Elena Bucaccio, Katja Kolia, Alessandro Sermoneta e Marco Turco. II trattamento è tutto il materiale raccolto perla preparazione del film. Un romanzo storico, un documento eticoloso e avvincente che racconta centinaia di storie, di vicende minori che si intrecciano alla cronaca grande, Tina Anselmi e la Dc di allora, i volontari da tutto il mondo, Zavoli e la Rai com'era, I'Italia di chi sognava il futuro e quella di chi conservava il passato nel presente, impaurita.
Marco Cavallo è il diario di Giuliano Scabia che racconta la storia del Cavallo azzurro di cartapesta che—cavallo di Troia alla rovescia— ha portato fuori dai manicomi i biglietti dei reclusi chiusi nella pancia ed è diventato il simbolo del dialogo, è ristampato qui, rispetto all'edizione Einaudi dei '76, coi contributi di Basaglia stesso e di Peppe dell'Acqua, allora giovane medico oggi direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste. Dell'Acqua racconta come questa storia ci porti fino ad oggi: all'interesse attivo di Giorgio Napolitano per la chiusure dei manicomi giudiziari, per esempio, sconcio e ferita ancora aperta. Quest'estate Marco Cavallo, il cavallo blu di cartapesta emblema della via crucis dei senza volto, senza diritti, sans papiers di ogni tempo ha fatto il suo ingresso al Teatro Valle Occupato, avamposto della tutela dei Beni comuni e supplente di una sinistra smarrita e divisa. È arrivato coi suoi quarant'anni che parevano quattro. I ragazzi, giovanissimi, lo hanno applaudito e festeggiato senza conoscerne, spesso, la storia. È stata una festa di teatro e di Strada, un momento magnifico. I giornali nonne hanno quasi parlato, le televisioni per nulla. II fatto è che in questi anni si è diffuso il disprezzo. L'antídoto è a rilascio lento, come certe medicine omeopatiche, e comincia dalle parole senza rabbia dei senegalesi di Firenze e da due libri cosi.



Strage di Firenze, migliaia di senegalesi in corteo
Avvenire, 17-12-2011
Migliaia in corteo a Firenze per la manifestazione nazionale organizzata dalla comunità senegalese di Firenze, dopo l'assassinio di due migranti dal Senegal e il ferimento di altri tre da parte dell'estremista di destra Gianluca Casseri. Circa 8000 persone stanno sfilando secondo la questura, oltre 12.000 per gli organizzatori.
Tantissimi i rappresentanti delle comunità senegalesi in Italia, in particolare dall'Emilia Romagna e dalla Lombardia ma molto nutrita anche la partecipazione di Italiani. Il corteo si è svolto tranquillamente, con ampi settori in assoluto silenzio, come era richiesto dagli organizzatori. Alcuni gruppi di senegalesi dietro striscioni e bandiere del Senegal cantano Allah. Centri sociali e antagonisti, a tratti hanno scandito slogan contro il razzismo. Intorno alle 16.30 la testa del corteo è arrivata in piazza Santa Maria Novella.



Sprangato a 13 anni perché è Cingalese
Insulti razzisti, poi il gruppo di picchiatori cerca di gettarlo sotto un'auto in corsa
La Stampa, 19-12-2011
MASSIMO GUERRETTA
VERONA  -Il gruppo, che rende forti e impunibili, è il miglior amico dell'odio. Quello violento, verso l'indifeso, lo spau- rito, fa ancora più terrore. Lo stesso stato di paura incontrollabile che quattro giovanissimi veronesi hanno visto negli occhi della loro vittima, un tredicenne cingalese «colpevole» soltanto del colore della propria pelle. Proprio nei giorni del Migrante, e dopo la tragedia di Firenze, sono ancora una volta gli stranieri a diventare, loro malgrado, vittime di feroci violenze. «Mi hanno preso a sprangate», ha detto uno studente dello Sri Lanka, aggredito dopo una discussione con quattro ragazzi più grandi di lui in Borgo Trento a Verona. I carabinieri hanno già dato inizio alla caccia alla banda per identificare gli autori del pestaggio: prima recuperando le immagini delle telecamere di via IV Novembre, poi cercando l'identità dei quattro negli ambienti più estremisti.
Secondo i primi riscontri i militari dell'Arma avrebbero già individuato uno dei partecipanti al raid, anche se sarebbe stato un solo giovane l'autore del pestaggio. La ricostruzione è ancora frammentaria, ma le autorità non si fermano. Sarebbe stata una discussione di qualche giorno fa ad accendere gli animi, prima a bordo di un autobus di linea e poi vicino alla fermata. Prima, forse, qualche sguardo di troppo, con il gruppetto di ventenni a farsi beffe del minorenne e dei suoi compagni di scuola che stavano tornando a casa dopo una lezione. Poi il nuovo incontro, la stessa sfida che per il gruppo era una goliardata, ma un ferita nell'animo del cingalese. Fino alle botte. Cinque giorni di prognosi, l'occhio destro gonfio,
il mal di schiena che non se ne va. Le lacrime che continuano a rigargli il viso più per la violenza psicologica che per quella fisica, per l'umiliazione che non lo lascia solo. «Mi hanno spintonato, mi hanno versato della birra addosso e colpito con una spranga di ferro di un motorino, volevano farmi rottolare sotto un'auto».
Parole che i carabinieri stanno analizzando nel dettaglio, verificando anche le testimonianze di quanti stavano passando in quel momento: proprio la presenza di altre persone ha evitato che il pestaggio si tramutasse in tragedia. Tutto in pochi istanti, tutto in strada, sotto gli occhi degli amici. I compagni di classe sono i primi a soccorrere il 13enne, l'ambulanza arriva in ospedale: il ricovero non è necessario, ma il terrore non se ne va. Gli aggressori, invece, se n'erano già anda- ti: all'arrivo dei carabinieri non c'era piü loro traccia, se non quella forse rimasta impressa nelle telecamere. .
Lesioni derivanti dall'odio razziale: è questa l'ipotesi di reato che si prefigura per il gruppo, ora piü che mai braccato dagli investigatori, che stanno cercando ogni elemento utile per chiudere al più presto un'amarissima pagina di intolleranza proprio nella città di Romeo e Giulietta. Un fatto venuto alla luce proprio mentre in piazza Bra i senegalesi manifestavano contro il razzismo. Cosi il sindaco leghista Flavio Tosi, nonostante il gelo, ha ribadito la propria posizione: «Nelle battaglie poli- tiche le idee possono essere diverse, ma nel dire no a fatti come quello accaduto a Firenze siamo tutti uniti e solidali - ha detto Tosi - chi ha sparato a Firenze era certo un pazzo razzista e un criminale, ma l'Italia non lo è. E nemmeno Verona, dove si sono integrati oltre 30mila stranieri e si lavora costantemente per una pacifica inte- grazione». Da oggi il lavoro è un po' più difficile.



Immigrazione, nuova rivolta notturna al Cie
L'Informazione, 19-12-2011
Ancora una rivolta, sabato notte, da parte degli ‘ospiti’ del Cie di Bologna. Nella struttura di via Mattei, tra l’una e le due, sono dovute intervenire volanti della Polizia e carabinieri per riportare la calma. Una ventina di immigrati, infatti, con il volto coperto da indumenti, si sono messi a lanciare bottiglie d’acqua e altri oggetti contro il personale, nella parte del centro dove stanno gli uomini. Alla fine non ci sono stati feriti, né nessuno è fuggito. La notte precedente, invece, quattro stranieri erano riusciti a ‘evadere’, salendo sui tetti e scavalcando le recinzioni. Altri sei erano stati bloccati mentre stavano tentando di scappare dal centro di identificazione.



Nasce l’Associazione “Carta di Roma” per attuare il protocollo deontologico dei giornalisti sull’immigrazione
Immigrazione Oggi, 19-12-2011
Nasce l’Associazione “Carta di Roma”, formata da giornalisti e organizzazioni umanitarie, per dare attuazione all’omonimo protocollo deontologico della professione giornalistica concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
Il protocollo, sottoscritto dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana e promosso da diverse associazioni, verrà ora promosso e monitorato da un gruppo di enti: Acli, Amnesty International, Arci, Archivio immigrazione, Asgi, Comunità di Capodarco, Centro Astalli, Cestim, Cnog, Cospe, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia-Fcei, Fnsi, Istituto Paralleli, Lunaria, Rete G2 - Seconde generazioni, Unhcr (invitato permanente) e Unar (osservatore permanente).
L’Associazione ha eletto presidente Tiziana Ferrario, giornalista del Tg1 e rappresentante dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Scopo dell’associazione – dice un comunicato – è la promozione di iniziative per assicurare una responsabilità sociale dell’informazione sui temi dell’immigrazione e dell’asilo e, in generale, per garantire il rispetto delle minoranze, la correttezza dell’informazione e il superamento degli stereotipi. “È un momento d’incontro tra le espressioni della società civile, le rappresentanze professionali giornalistiche e il mondo della ricerca: un segnale tanto più importante alla luce dei gravi episodi di Torino e Firenze, entrambi caratterizzati da violenza di stampo razzista e xenofobo”.



Giornata internazionale del migrante: Napolitano, non discriminate le minoranze
International bussines times, 18-12-2011
Francesca De Meo
In occasione della Giornata mondiale del migrante, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affronta il problema dell'immigrazione, facendo tesoro delle preoccupazioni mostrate da Medici senza Frontiere. L'organizzazione umanitaria aveva chiesto al governo italiano di migliorare le condizioni di accoglienza, di garantire che i migranti e i rifugiati siano soccorsi e trasferiti in un luogo sicuro, di consentire ai clandestini impiegati come lavoratori stagionali di avere accesso all'assistenza sanitaria e a una vita sociale dignitosa.
"Rivolgo un caloroso saluto ed esprimo -afferma il Capo dello Stato nel suo discorso- la mia vicinanza ai lavoratori stranieri immigrati nel nostro Paese, e alle loro famiglie, agli italiani che emigrano oggi e ai discendenti che sono emigrati in passato, affrontando dure difficoltà e iniziali ostilità. Desidero inoltre ribadire con forza che l'intera comunità nazionale rifiuti e condanni con piena convinzione e assoluta fermezza ogni forma di discriminazione e di violenza a danno di individui e gruppi appartenenti a comunità minoritarie".
"La pesante crisi economica che sta colpendo il tessuto sociale italiano -aggiunge Napolitano- obbliga a considerare con particolare attenzione i fenomeni migratori e le misure che devono accompagnarli. Non possiamo innanzitutto trascurare il fenomeno dei tanti giovani preparati e capaci che lasciano il nostro Paese."
"Inoltre -prosegue il Presidente- la grave congiuntura economica sta incrementando anche la disoccupazione tra i lavoratori stranieri. Una parte del lavoro immigrato si concentra in settori particolarmente aggrediti dalla crisi. Occorre riflettere sulla situazione di particolare difficoltà in cui si vengono a trovare i lavoratori stranieri, quando perdono il posto di lavoro. Restano infatti esposti al rischio di forme più pesanti di sfruttamento e possono essere privati dopo breve tempo del permesso di soggiorno".



Indonesia, affonda barcone 217 immigrati dispersi
l'Unità, 18-12-2011
Erano oltre 380 gli immigrati accalcati su un barcone di legno spezzato dalle onde al largo delle coste indonesiane, mentre tentava di raggiungere l'isola australiana di Natale. Sul numero dei dispersi le cifre fornite dalle varie autorità non danno certezze: 217 quelli dichiarati formalmente tali, ma potrebbero essere decine di più, visto che sui superstiti le fonti forniscono al massimo la cifra di 76. Il naufragio è avvenuto la notte scorsa durante una tempesta a circa 90 chilometri al largo da Prigi Beach sulla costa di Giava.
I migranti, provenienti in gran parte da Iran, Iraq e Afghanistan, erano accalcati su una barca che avrebbe potuto accoglierne al massimo un centinaio. I superstiti, tra cui una donna e diversi bambini tra gli 8 e i 10 anni, sono stati trovati aggrappati ai rottami della barca e a sei giubbotti di salvataggio, dopo una permanenza di acqua di circa cinque ore. Chi ce l'ha fatta ha raccontato che le onde hanno colpito la fiancata della barca, che si è spezzata a metà e si è rovesciata. «I pescatori della zona - ha detto Kelik Enggar Purwanto, il coordinatore dei servizi di emergenza sul posto - hanno riferito che c'erano fortissime correnti e onde alte anche cinque metri».
«Le condizioni meteorologiche estreme hanno ridotto la visibilità rendendo le operazioni di salvataggio molto difficili - ha aggiunto Brian Gautama, un altro dei soccorritori all'agenzia indonesiana Antara. Alcuni hanno raccontato che la meta del viaggio era l'isola di Natale, un piccolo territorio australiano nell'Oceano indiano, a circa 2.600 chilometri dalle coste settentrionali dell'Australia e 300 dalle quelle indonesiane. In Australia il ministro dell'interno Jason Clare ha parlato di "terribile tragedia", ma le associazione di aiuto ai migranti hanno definito le sue dichiarazioni «ipocrite». «Se il governo e l'opposizione avessero veramente a cuore la sorte dei richiedenti asilo, metterebbero in campo in Australia politiche di accoglienza di cui il paese ha bisogno da molto tempo», ha dichiarato Ian Rintoul, coordinatore della Coalizione di azione per i rifugiati.



Rap e Facebook contro i pregiudizi l'avventura delle ragazze musulmane
Nadia compirà 18 anni tra due settimane. Non si toglierebbe il velo per nulla al mondo. E, insieme a molte amiche cerca spazio in una città in bilico tra curiosità e diffidenza
la Repubblica, 14-12-2011
ERICA MANNA
Porta il velo e veste Zara. Nadia tra due settimane compie diciotto anni, e se non trova quello che le piace, se lo cerca su Internet: "Ci sono siti web specializzati dove compro vestiti per l'inverno, e non costano nemmeno tanto". Nadia è una tosta. Faceva karate, ma quando le hanno detto che per partecipare alle gare doveva togliersi il velo, ha smesso: "Non me lo leverei per niente al mondo. In ogni caso, tra lo studio e il resto, non è che ho più tutto questo tempo".
Anche oggi, uscita dal liceo scientifico Fermi, va di fretta, con le sue ballerine col fiocco che spuntano dalla gonna lunga: "Vado a studiare alla Berio, devo preparare filosofia. E a febbraio c'è la simulazione dell'esame di maturità". Facebook e quiz sul Corano, preghiere e gare di rap, impegno sociale e copricapo in microfibra ("Per andare in piscina"): la seconda generazione dell'Islam genovese sta diventando maggiorenne. Parla quattro lingue e si prepara all'Università. Torna al paese d'origine dei genitori solo d'estate. E cerca spazio. Qui, a Genova:
"Ci troviamo una volta alla settimana, alla moschea di Sampierdarena o alla Berio, spesso in casa di amici - racconta Nadia Rouatbi, tunisina nata a Cornigliano con la cittadinanza italiana, che coordina la sezione genovese dei Giovani Musulmani - ma ci manca un posto dove vederci con continuità. E poi, non siamo solo stranieri. Da poco viene alle lezioni sull'Islam anche Daniela, una ragazza italiana convertita. O altri amici, non necessariamente
musulmani. L'idea è proprio quella: uno scambio. Farci conoscere, spazzare via certi pregiudizi assurdi".
Sono quasi cinquemila, i musulmani che vivono a Genova. I ragazzi che frequentano il GIM sono una trentina: "La sezione genovese ha aperto solo l'anno scorso - spiega Nadia - mentre a livello nazionale l'associazione compie dieci anni, ed è aperta ai ragazzi da 13 a 30 anni -. Il coordinatore, in realtà, è mio cugino. Ma l'hanno preso alla Normale di Pisa, così ora sono io a organizzare gli incontri". La pagina Facebook del gruppo, 245 membri, è aggiornata di continuo. Perché il calendario è fittissimo: il prossimo appuntamento è a Cesenatico, dal 24 al 26 dicembre.
Qui, i ragazzi delle sezioni di tutta Italia si troveranno per confrontarsi su tanti temi: dal volontariato al ruolo della donna al rapporto tra Islam e società. Anche per ripercorrere quei momenti dopo l'11 settembre 2001, in cui è diventato necessario riunirsi in un'associazione per condividere certi valori. E spiegarli agli italiani, tra gare di rap, concorsi di disegno e Corano a quiz. Il "Concorso di Corano" ci sarà anche in occasione dell'Islam Expo, dal 30 dicembre al 2 gennaio a Reggio Emilia: aperto ai giovani fino ai 30 anni, è diviso in vari livelli: Tawba, Yussuf, Al Furqan, Arrahman. In palio, gadget con il logo del gruppo.
Non che sia sempre facile, essere musulmana a Genova. "Non mi lamento, questa è la mia città e non ho avuto grossi problemi - dice davanti a un'insalata, prima di correre a studiare - certo, a volte qualcuno mi dice: ma come parli bene italiano! e a me scappa da ridere. Un giorno un autista, sull'autobus, mi ha detto: perché non ti ribelli e togli il velo? Io l'ho messo in prima media, è stata una mia libera scelta. È una protezione, mi fa sentire bene. Dicono che la nostra cultura non rispetta il mondo femminile, ma è proprio il contrario. Piuttosto, quando vedo certi cartelloni pubblicitari con donne dalle tette al vento, ecco: e il rispetto dove lo mettiamo?". Dopo la maturità, si iscriverà a Ingegneria edile: "Anche questo è un modo per far vedere che la donna, nell'Islam, lavora. Ha un valore. E poi, chissà che non prenda anche una seconda laurea...". È una tosta, Nadia: si vede subito.

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