Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 dicembre 2011

Da immigrati a cittadini. Ecco dove siamo gli ultimi in Europa
l'Unità, 14-12-2011
Saleh Zaghloul
La Francia ha iniziato ad accogliere gli stranieri negli anni quaranta del secolo scorso, decine di anni prima dell’Italia. Gli immigrati dovrebbero essere molto più numerosi che nel nostro paese, e invece, dal 2009, abbiamo superato il numero di presenze rispetto alla Francia. Un paradosso? No, è solo che in Francia i migranti diventano cittadini in una percentuale e con una rapidità maggiore di quanto accada da noi. Nel 2003, il tasso di acquisizione della cittadinanza in Italia era pari allo 0,9% (il più basso in Europa) contro il 4,5% della Francia, il 4,7% della Gran Bretagna ed il 7% della Svezia. La nostra legge sulla cittadinanza è tra le più arretrate perché la sua concessione resta un atto discrezionale e perché prevale in essa l’elemento familiare (jus sanguinis) mentre l'elemento territoriale (jus soli) è molto marginale.
La riforma della legge sulla cittadinanza dovrebbe prevedere che tutti coloro che nascono in Italia da genitori immigrati che qui vivono stabilmente ne abbiano diritto. I termini necessari alla presentazione della domanda vanno riportati da dieci a cinque anni di “soggiorno” e non più di “residenza” (spesso occorrono fino a dieci anni di soggiorno regolare per accumulare cinque anni di residenza), l’acquisizione della cittadinanza non dovrebbe essere vincolata al reddito, per non escludere i meno garantiti, e il rigetto delle domande deve essere esplicitato in maniera argomentata e trasparente. Per i coniugi di cittadini italiani, regolarmente soggiornanti in Italia da un certo numero di anni e senza pendenze penali, andrebbe introdotto un meccanismo che garantisca automaticamente questo diritto. I tempi di risposta alla domanda di cittadinanza sono di circa tre/quattro anni: andrebbero ridotti e andrebbe introdotto il principio del silenzio-assenso.



L’uomo nero a Firenze
Un pazzo, o un pazzo razzista. Un uomo uccide due senegalesi in preda a una furia xenofoba. Per Luigi Manconi è la caduta del tabù del razzismo che genera gli "imprenditori dell'intolleranza"
il Foglio 14- 12-2011
Melania Rizzini
Un uomo che apre il fuoco in due mercati di Firenze, uccide due ambulanti senegalesi, ne ferisce gravemente altri, viene raggiunto dalla polizia in un parcheggio sotterraneo e si spara al petto per evitare la cattura (o, dice un’altra versione, nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine). “Un pazzo”, dicono alcuni mentre un corteo di senegalesi attraversa la città (con momenti di tensione). “Un razzista”, dicono altri. “Un pazzo razzista”, dicono altri ancora, mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invita a ripudiare ogni “predicazione di razzismo”. L’uomo, Gianluca Casseri, ragioniere, solitario, cinquantenne fondatore di una rivista della destra radicale, viene descritto come “vicino” a Casa Pound. L’associazione ieri diceva: era solo un simpatizzante, lo conoscevamo appena, non siamo soliti chiedere la patente di sanità mentale.
Il sociologo Luigi Manconi studia il tema dell’intolleranza da venticinque anni. Premette che “esiste la psicopatologia ed è altamente probabile che questo criminale fosse affetto da qualche patologia grave”, e però poi dice: “Un conto sono le parole, con la loro libertà sregolata, un conto gli atti”. Da garantista Manconi ritiene “sanzionabili soltanto gli atti”, ma pensa anche che “Casa Pound debba cominciare a interrogarsi, perché è troppo lungo l’elenco degli aderenti al movimento che si sono trovati coinvolti non in propaganda, ma in azioni criminali”. Dopodiché, dice Manconi, “se nel senso comune si diffonde una sorta di automatismo che attribuisce allo straniero la responsabilità dei crimini, per un verso, e del disordine sociale, per l’altro, è inevitabile che persone variamente fragili, come la sedicenne torinese che non riesce a giustificare la propria libertà sessuale e accusa il rom o il sociopatico che cerca una sorta di rivalsa sociale, si indirizzino contro la figura del diverso da noi”. Un meccanismo, questo, che in Italia “da un lato è stato attivato e dall’altro sottovalutato”. Abbiamo vissuto per decenni “con il tabù del razzismo”, dice Manconi, perché “le subculture prevalenti nel paese – di origine socialista-comunista, religiosa-cristiana e liberaldemocratica – avevano prodotto un’interdizione morale nei confronti del razzismo, al punto che l’accusa di razzismo era quella socialmente e moralmente più riprovevole”. Come tutti i tabù, anche quello del razzismo alludeva “a una rimozione, ma costituiva anche una forma di deterrente, di tutela sociale”. C’è uno spartiacque temporale, l’autunno del 2007, dice Manconi, “l’autunno dell’omicidio di Giovanna Reggiani, uccisa a Roma da un romeno”. Fino ad allora “non era stata accolta nello spazio pubblico l’equazione romeno uguale stupratore, circolante nel discorso corrente e presso alcuni gruppi periferici o esponenti poco significativi del ceto politico”. Dopo l’omicidio Reggiani, però, “quell’equazione viene addirittura pronunciata, detta nella campagna elettorale per il comune di Roma e per le politiche del 2008”. E’ a quel punto, dice Manconi, “che il tabù del razzismo comincia a sgretolarsi e non funziona più come strumento di tutela sociale”. Questo fa sì che “la stigmatizzazione del romeno in quanto stupratore, e del rom in quanto ladro di bambini, possa dispiegarsi come automatismo nonostante l’insignificanza statistica: una ricerca mostra che, dal 1945 a oggi, non è stato mai processato alcun rom o sinti, in Italia, per rapimento di bambini, tranne un caso nel napoletano. Ma non basta ad annullare lo stereotipo”.
Nel 1988 Manconi ha scritto un saggio in cui parlava di “imprenditori politici dell’intolleranza”. Figure più che mai attuali: “Il disagio dell’impatto tra migranti e residenti è un dato incontestabile”, dice, “ed è incontestabile anche che il disagio si scarichi sulle fasce più deboli”. Ma il problema è “se la politica disinnesca o incentiva, se razionalizza le angosce e trova soluzioni intelligenti o esalta la conflittualità”. L’imprenditore dell’intolleranza “è chi avverte quel disagio, lo trasferisce sul piano pubblico e ne fa una risorsa politica”. Rispetto al 1988, dice Manconi, “gli imprenditori politici dell’intolleranza si sono evidenziati e moltiplicati in tutte le aree metropolitane delle nostre città. Spesso restano in ambito prepolitico, ma se questa presenza si sposa con forme organizzate di aggressività, ed è quello che è successo a Torino, viene agevolmente incanalata in strutture di mobilitazione già collaudate”. A questo si aggiunge “la sottovalutazione”. Manconi si chiede come mai “una destra che si dice moderna ed europea non si metta a urlare di fronte a fatti come quello di Firenze. Teme la Lega? Teme di fare il gioco del ‘nemico’? Angelino Alfano dovrebbe essere domani, subito, in prima fila in piazza a Firenze”.



Bandiere a mezz'asta e fiori alle vittime Firenze piange la strage dei senegalesi
Annullate tutte le cerimonie istituzionali. Il sindaco Matteo Renzi: «Questo è un dolore di tutta la città»
Corriere della sera, 14-12-2011
Federica Sanna Jacopo Storni
FIRENZE - Bandiere a mezz'asta, cerimonie istituzionali annullate e negozi con le serrande abbassate per dieci minuti (dalle 12 alle 12.10). I dipendenti comunali si riuniranno alle 12 nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio. E nel pomeriggio arriverà il ministro per la cooperazione Andrea Riccardi. Oggi è la giornata di lutto cittadino: Firenze piange per la strage dei senegalesi.
MAZZI DI FIORI E PREGHIERE - Questa mattina è in tanti hanno deciso di andare nel luogo della strage, portare un mazzo di fiori, accendere una candela oppure lasciare un messaggio. Un gruppo di venti persone è sempre presente, prega per i ragazzi senegalesi uccisi ieri. La signora Donatella abita proprio nella piazza, piange: «Questi ragazzi li conosco uno per uno, non hanno mai dato fastidio a nessuno. Erano abitanti come noi di questa piazza». Vincenzo è arrivato da Sesto Fiorentino: «Sono qui perchè i ragazzi uccisi sono delle persone e togliere la vita a un essere umano, di qualsiasi razza sia, non è mai giusto». Intorno alle 9.30 è arrivato anche il sindaco Matteo Renzi che ha portato la sua solidarietà all'edicolante, che ha provato ieri ha fermare il killer, e poi si è avvicinato al luogo della strage con grande commozione e ha pregato. Al mercato soltanto due bancarelle erano presenti, la maggior parte ha deciso di non aprire. E fra un commerciante aperto e uno che ha chiuso c'è stato un battibecco.
IL SINDACO «UN GESTO ISOLATO» Sempre il sindaco Renzi questa mattina aveva detto: «Temo il fanatismo che produce violenza, che semina morte». Il sindaco esclude «reazioni violente» perchè «questa non sembra l'azione di un gruppo ma la follia xenofoba di un gesto isolato - afferma - . E poi la senegalese è una comunità storica. Gestiremo insieme questo passaggio delicato». Il sindaco esclude il rischio di nuove manifestazioni di razzismo. «La città di cui sono orgoglioso di essere il sindaco - sottolinea - è la città aperta, plurale, la città dei corsi di alfabetizzazione per i bambini stranieri e di formazione professionale per gli immigrati». Renzi, inoltre, fa sapere che Casapound, il movimento a cui si era avvicinato il killer, aveva già dato segni pubblici di intolleranza. «A Firenze si sono resi protagonisti di un gesto meschino il giorno della liberazione quando hanno invitato a commemorare i cecchini fascisti - afferma Renzi - contro la cerimonia ufficiale organizzata dal Comune».
IL LUTTO CITTADINO - Ieri è stato proclamato il lutto cittadino. Tutte le bandiere saranno a mezz'asta e i negozi chiuderanno le saracinesche per 10 minuti, dalle 12 alle 12.10. I dipendenti comunali saranno chiamati per un momento di ritrovo a mezzogiorno, nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio. Mentre nel pomeriggio è atteso a Firenze il ministro per la cooperazione Andrea Riccardi. Ieri ha espresso «profondo turbamento e dolore» anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Il Capo dello Stato - dice il Quirinale si è fatto interprete del diffuso sentimento di ripudio di ogni predicazione e manifestazione di violenza razzista e xenofoba esprimendo, per il tramite del Sindaco di Firenze Matteo Renzi, il sentito cordoglio alle famiglie delle vittime di questa cieca esplosione di odio. È sempre più urgente l'impegno di tutte le Autorità politiche e della società civile per contrastare sul nascere ogni forma di intolleranza e riaffermare la tradizione di apertura e di solidarietà del nostro paese».



L’ossessione del diverso
l'Unità, 14-12-2011   
Michele Ciliberto
Sta succedendo qualcosa di assai grave nel nostro Paese: prima a Torino, poi a Firenze si è aperta una caccia al “diverso”; nel primo caso, i Rom, nel secondo i senegalesi. Sembra di assistere a un brutto film americano degli anni ’50 e ’60; ma non è un film. Né serve, di fronte a tanta violenza, esprimere generiche condanne; si tratta di capire, con freddezza, quello che è avvenuto.
Questi eventi drammatici sono il punto di arrivo di una campagna continua, sistematica, quotidiana, e senza quartiere, contro il “diverso” e tutto ciò è lontano da noi, dalla nostra cultura e dalla nostra religione. Né c’è dubbio che nel far precipitare la situazione abbia giocato un ruolo importante la Lega che ha alimentato sentimenti di tipo etnico, sfociati talvolta in posizioni razziste.
Dire che tutta la responsabilità di questa situazione sia della Lega sarebbe però un errore; né consentirebbe di comprendere da quale profondità arrivino fenomeni di questo genere. Essi hanno attecchito in un terreno predisposto, specie in un momento di crisi radicale che, con sempre maggior durezza, spinge gli individui a rinchiudersi nel cerchio ristretto della difesa, con ogni mezzo, del proprio spazio vitale, dei propri interessi. Quello che abbiamo di fronte è dunque un fenomeno “materiale” assai più largo della Lega; ne è una prova il fatto che a Firenze, e in Toscana, il partito di Bossi è tutt’oggi una forza minoritaria, priva di responsabilità di governo.
Ma, paradossalmente, è proprio questo a rendere ancora più grave quello che è accaduto a Firenze, città di salde tradizioni civili, con un tessuto associazionistico assai forte, con comunità ecclesiali - cattoliche e non cattoliche - impegnate nella costruzione di iniziative e momenti di apertura nei confronti ,dei “diversi”, di tutti i “diversi”.
Se fenomeni di questo tipo avvengono in Toscana vuol dire che il processo di degradazione del nostro “vivere civile” sta toccando un limite assai inquietante. Ma per capirli occorre saper guardare all’insieme della nostra società, ai “sensi comuni” diffusi, alla crisi - e al depotenziamento - dei valori di solidarietà, al prevalere del “bellum omnium contra omnes”, alla perdita di peso e di importanza, negli ultimi decenni, del valore sociale fondamentale che è, e resta, il lavoro. E, soprattutto, bisogna alzare gli occhi all’ “intero”, se si vuole capire il livello della crisi italiana: la morte dell’operaio a Trieste, pagato 5 euro all’ora e il gesto del folle a Firenze si situano - a diversi livelli, ovviamente - nello stesso contesto.
C’è però qualcosa di più profondo che si è spezzato in questi anni, in Italia e in Europa, e ora viene alla luce: è venuto meno il principio della “mediazione”, mentre si sono imposti progressivamente atteggiamenti e posizioni che tendono a risolvere direttamente i problemi, spezzando i vincoli giuridici e politici. A Londra come a Torino e a Firenze si sono rotte le logiche della mediazione e si è passati a incendiare, ferire, bruciare con le propri mani, senza alcuna delega. Quello che si manifesta in questi episodi è dunque la crisi della funzione “mediatrice” dello Stato, della rappresentanza politica, a cominciare dal Parlamento. Insomma quello che abbiamo di fronte è, al fondo, una crisi di vaste proporzioni della nostra democrazia politica e sociale. Se questo è il problema, esso può essere affrontato solo ristabilendo i principi di una democrazia politica efficiente e ricostituendo le basi “materiali” del nostro “vivere civile”, ridando, anzitutto, al lavoro il ruolo e la funzione che deve avere in una società democratica.
Ma c’è qualcosa di specifico che si impone alla nostra attenzione, di fronte a eventi così cruenti: il problema del “diverso” non si può affrontare oggi con il “principio” nobilissimo della tolleranza; in una società come la nostra, e nell’epoca della globalizzazione occorre sviluppare politiche inclusive che mettano al centro il problema, ineludibile,della comune “cittadinanza” dei “nativi” e degli immigrati. Certo, quando il Presidente della Repubblica ha sostenuto che i figli degli immigrati nati in Italia vanno considerati italiani a tutti gli effetti, è stato criticato e perfino insultato; ma questa è la strada che si deve, e si può, seguire.



ROM E POGROM, LE V
ITTIME SONO ANCHE I NOSTRI FIGLI
l'Unità, 14-12-2011
Helena Janeczek
Racconta favole nere per difendere il suo amore - quelle sentite da bambina, quando a metterle paura e farla obbedire c'erano gli zingari. Le viene istintivo scaricare addosso a loro la terribile disobbedienza della sua prima scelta adulta. Ha sedici anni, età in cui in altre nazioni europee è normale andare in vacanza con il ragazzo, persino uscir di casa e convivere. Qui invece essere giovani significa essere subalterni. Se sei femmina, lo sei due volte. Tre, se di famiglia povera. Peggio sono messi solo i rom e gli islamici, quelli non integrabili, perché non è nel nome di Gesù e Maria che, nel loro caso, la famiglia deve vigilare sulle figlie.
I mandati morali dei rogo di Torino e della corsa amok di Firenze, sono anche responsabili del fumo con cui il razzismo divenuto passepartout politico ha saputo occultare i problemi di un paese incagliato tra arretratezza e recessione, proiettandoli sugli stranieri. I loro complici sono i media per i quali uno stupro commesso su un'italiana da un rom rumeno africano fa notizia (e le notizie calde si danno subito, senza troppe verifiche), mentre una donna straniera merita solo un trafiletto persino quando viene uccisa.
Vorrei che a tutto questo ci fosse una risposta non indignata, non retorica, non per un giorno atterrita
affinché quello dopo torni tutto come prima. Vorrei che al processo per il pogrom delle Vallette si costituisse parte civile la città di Torino: come è avvenuto a Milano per Piazza Fontana o a Brescia per Piazza della Loggia. Perche la strage è stata evitata, ma non l'eversione che l'ha innescata, come dimostra la mattanza fiorentina. Perché non sono solo i rom o i senegalesi a esserne le vittime, ma anche i nostri figli: quasi altrettanto disgraziati, come scopre chi osa guardare oltre le cronache e le favole nere.-:-



L'ira della comunità: "Non dite che è pazzo voleva proprio noi"
il Giornale, 14-12-2011
Marco Gemelli
Firenze -La rabbia, come la disperazione, ha molte facce e altrettante voci. Specie per chi dalla vita ha ricevuto ben poco, e all'improvviso si scopre nel mirino di un folle «offeso» dal colore della pelle. I volti sono rigati dalle lacrime o sconvolti dalla violenza, nel cuore multietnico del quartiere di San Lorenzo, a Firenze, mentre in gola si alternano litanie funebri e improvvise urla di dolore. C'è la rabbia gridata, che esplode in accuse contro tutto e tutti e vorrebbe spaccare ogni cosa. C'è quella silenziosa, raccolta, di chi recita preghiere e invocazioni in lingue sconosciute. E poi c'è chi approfitta del dolore dei senegalesi per gettare benzina sul fuoco: al corteo improvvisato di 600 persone partito nel pomeriggio da piazza Dalmazia - scena del primo duplice omicidio - ed arrivato davanti alla prefettura per poi trasformarsi in un presidio vicino al Duomo, si sono aggregati personaggi dei centri sociali e del mondo antagonista. Sarebbero stati loro, e non i senegalesi, a circondare un fotoreporter e portargli via due macchine fotografiche e un telefono cellulare.
Per tutto il pomeriggio la tensione si tagliava col coltello, a Firenze, sia durante il corteo - con alcuni motorini fatti cadere a terra e altri piccoli atti vandalici - che in San Lorenzo, e se non ci fosse stato qualcuno a cercare di placare la rabbia della comunità senegalese, le due zone della città sarebbero potute diventare altrettante polveriere: «Non dite che è un pazzo - spiega un giovane - perch´ un pazzo spara a caso. Lui no, ha scelto i fratelli africani. Voleva uccidere proprio noi». La polizia cerca il dialogo, spiega di essere dalla loro parte e di condividere il loro dolore. Ma è ferma nel ribadire: «Ragazzi, state calmi, non passate dalla parte del torto». I giovani senegalesi di San Lorenzo guardano l'angolo del parcheggio del mercato dove giace il corpo dell'uomo che ieri ha scaricato contro di loro tutto il suo odio. Non si accontentano di sapere che si è suicidato: vogliono vederlo morto, coi propri occhi. Un paio di persone - capipopolo e improvvisati portavoce della comunità senegalese presente - vengono scortati giù nel parcheggio a verificare di persona che il loro assassino sia morto. Solo a quel punto gli animi iniziano a calmarsi. Ma solo un po', perch´ la rabbia è davvero tanta: la comunità senegalese - presente a Firenze da almeno trent'anni - conta oltre un migliaio di persone (tra regolari e clandestini), in massima parte venditori ambulanti più o meno abusivi, ma anche studenti e artigiani.



Firenze, Renzi: «È un atto razzista ma isolato. Oggi sarà lutto cittadino »
l'Unità, 14-12-2011
Sonia Renzini
Sindaco che sta succedendo?
«È un giorno terribile che nessuno avrebbe mai voluto vivere, oggi il cuore di Firenze piange come fanno tutte le persone per bene di questa città».
Come descriverebbe questo atto?
«Mi sembra la lucida follia di un killer xenofobo che ha distrutto delle vite umane e ha fatto piombare nella disperazione un’intera comunità, non solo quella senegalese, ma anche quella fiorentina. È un atto lontano dalla vita di questa città che ha un rapporto storico con la comunità senegalese, tanto che il suo leader Pape Diaw è stato consigliere comunale nella legislatura precedente».
Oggi sarà una giornata di lutto per Firenze.
«Sì, è un momento di grande dolore, non a caso abbiamo annullato le cerimonie che ci sarebbero state qui a Palazzo Vecchio con la Scuola dei marescialli e abbiamo proclamato il lutto cittadino. Le bandiere saranno a mezz’asta, ai negozi chiediamo di abbassare la saracinesca per 10 minuti, dalle 12 alle 12.10, più o meno l’ora della prima sparatoria. I bar e i pub, invece chiuderanno dalle 23.30 alle 23.40, sollecitiamo i lavoratori pubblici e privati a osservare un minuto di silenzio all’inizio della loro attività e le scuole di ogni ordine e grado della città a promuovere un momento di riflessione. Voglio rivolgere un invito a riflettere».
Alla città?
«Sì, ma non solo, invito a riflettere tutto il Paese, noi lo faremo pubblicamente già nel pomeriggio a Palazzo Vecchio, insieme al ministro all’integrazione Andrea Riccardi, il rappresentante della comunità dei senegalesi Pape Diaw, il console onorario del Senegal a Firenze Eraldo Stefani e l’imam Izzedine Elzir».
Cosa direte?
«Stop al razzismo, innanzi tutto, mi ha colpito molto quello che ha detto il leader della comunità senegalese ed è stato: “Vogliamo giustizia, non vendetta”».
La comunità senegalese ha annunciato una manifestazione per sabato, lei parteciperà?
«Penso di sì, vediamo come sarà organizzata, di sicuro già da oggi inizieremo un dialogo con i rappresentanti di quella comunità». Rimangono i morti. «Sì, purtroppo, e per quelli abbiamo deciso non solo di rispettare i riti di sepoltura previsti, ma anche di pagare le spese per rimpatriare le salme».
Vede analogie con l’episodio di Torino?
«Sinceramente no, semmai più con Oslo, pur nella loro differenza. C’è un evidente stampo razzista e xenofobo, basta vedere il tessuto culturale in cui questa persona era immersa, ma è un gesto di un uomo solo che nella sua assoluta follia xenofoba decide di uccidere a colpo sicuro».
Cosa si sente dire?
«Di invitare alla calma e di evitare strumentalizzazioni, è importante non aumentare la tensione in questo momento».



Razzismo e maschilismo default dei diritti
l'Unità, 14-12-2011   
Igiaba Sceigo
Sono ancora scossa per l'assalto in pieno stile squadrista avvenuto al campo rom del quartiere Vallette di Torino. In realtà è tutta la storia che mi ha gettato nello sgomento. Il mio pensiero è andato anche a quella ragazza di 16 anni che ha “inventato” una violenza sessuale per paura dei genitori. Ora la ragazza incorrerà in sanzioni per questa sua affermazione. Ma non dovrebbero, mi chiedo, pagare invece i suoi genitori? Sembra infatti che la ragazza avesse paura perché i genitori la sottoponevano a periodici controlli ginecologici. E questi come avvenivano? In modo casareccio o in un ambulatorio medico? Se in questa storia è coinvolto anche un ginecologo non ci resta davvero che piangere. Possibile che storie così avvengano ancora nel mondo? In Italia? Possibile che una ragazza non possa essere libera di vivere la sua sessualità, le sue prime esperienze? Possibile che dopo secoli le donne siano legate ancora a quella membrana di pelle che si chiama imene? Storie come quella del quartiere Vallette sono umilianti per tutte noi. Penso alla sconforto di quella ragazzina che mese dopo mese ha dovuto aprire le gambe e farsi ispezionare. Ho letto da qualche parte che la nonna spingeva perché arrivasse «pura» all'altare. Con le dovute differenze la storia di questa ragazza mi ha ricordato la tragica vicenda di Hina, sgozzata dal padre, perché voleva vivere l'amore per un ragazzo italiano. Il padre, non pentito, ha dichiarato dopo l'omicidio «non volevo che diventasse come le ragazze di qui». Hina era stata sgozzata perché aveva rifiutato un matrimonio combinato con un cugino lontano e perché di fatto aveva lacerato già quell'imene considerato così importante. La famiglia del quartiere Vallette è cristiana, quella di Hina mussulmana. Ma nessuna delle due famiglie ha seguito i dettami di pace e amore predicati nel vangelo e nel Corano. Quello che ha dominato nelle due storie è stato un maschilismo feroce ed idiota. Un controllo sul corpo della donna e sulla sua libertà. La sessualità femminile in Italia è ancora un tabù. Le ragazze non ricevono una buona educazione sessuale in età adolescenziale, sono lasciate sole ad occuparsi di contraccezione e di prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili. I consultori chiudono per mancanza di fondi. Le famiglie non parlano. Una sessualità femminile libera e consapevole di fatto viene ancora negata. Questo succede oggi in Italia, anno 2011. Se ci fosse un'agenzia del rating di civiltà il nostro paese meriterebbe un downgrading con i fiocchi. Però non tutto è perduto. Certo il default è dietro l'angolo, il default dei diritti umani intendo, ma possiamo ancora salvarci. Dipende un po' da noi e un po' da chi dovrà rifinanziare i fondi per i consultori.



Nazi fa strage di senegalesi
il Riformista, 14-12-2011
Erano circa le 12.30 di ieri quando a piazza Dalmazia, periferia nord di Firenze, non lontano dall'ospedale di Careggi, quattro colpi di pistola - una 357 Magnum - hanno squarciato il consueto vociare del mercatino di quartiere. Tre uomini vengono colpiti. Uno è ferito gravemente; due restano sull'asfalto, morti. Sono senegalesi, venditori ambulanti. Hanno 54 e 40 anni. A sparare, forse per un diverbio avvenuto in precedenza, un uomo che poi è scappato.
Inizia cosi una giornata infernale che si concluderà soltanto diverse ore dopo. II bilancio, a quel punto, si sarà aggravate: si conteranno altri due feriti in un successiva sparatoria. E anche i cadaveri alia fine saranno tre. Il terzo è quello dell'uomo che aveva aperto il fuoco in piazza Dalmazia e che ha finito la sua corsa a San Lorenzo, in pieno centro, puntandosi una pistola alla gola, e premendo il grilletto. Si chiamava Gianluca Casseri. Un uomo introverso e mite, dice chi lo conosceva. Un estremista di destra, racconta invece la sua biografia.
Già, perché Casseri, 50 anni, ragioniere, era noto per le sue simpatie di destra. Originario di Ciriegio, paese nel pistoiese, viveva a Firenze. Scrittore esoterico, era appassionato di Celti e miti neopagani. E ha firmato anche scritti di stampo negazionista e antisemita. Le cronache lo descrivono come legato a Casa-Pound che però ieri ha fatto sapere: «Casseri non era un militante della nostra associazione».
Dopo un paio d'ore dalla sparatoria di piazza Dalmazia, il ragioniere-giustiziere si è rifatto vivo, ancora una volta pistola in pugno. La scena è il mercato San Lorenzo ma questa volta la storia prende una piega diversa. Casseri spara ancora, ferisce altri due senegalesi. Poi, scappa verso la sua auto, nel parcheggio sotterraneo. E, però, questa volta intervengono le forze dell'ordine. Ne nasce un conflitto a fuoco. L'uomo non ha più via di scampo. «Si è sparato con un colpo alla gola che è fuoriuscito dalla testa», riferirà chi era sul posto.
Intanto, già mentre il killer scappava, una folla formata da amici, familiari e colleghi delle vittime, si era radunata in piazza Dalmazia, a pochi passi dai teli azzurri che coprivano i corpi dei loro connazionali. «Vergogna», ha gridato qualcuno. Poi, le lacrime e le urla di disperazione. La rabbia invece rimane composta anche quando, come accadrà più tardi a San Lorenzo, qualcuno chiederà di non raccontare che l'assassino era soltanto un pazzo ché, altrimenti, avrebbe ammazzato «sia neri che bianchi». Tensione, invece, c'è stata durante il corteo spontaneo che si è mosso da piazza Dalmazia in direzione centro. Alla fine, una delegazione di senegalesi è stata  ricevuta in prefettura - dove si erano recati anche il sindaco, Matteo Renzi, che ha annunciato il lutto cittadino, e il presidente della Regione, Enrico Rossi - mentre nei pressi del battistero del Duomo, gli altri senegalesi, qualche centinaio, si sono raccolti in preghiera.
La città, attorno, è rimasta attonita. Elzir lzzedin è l'imam di Firenze e, invitando alla preghiera, ha parlato di «un attacco vile». «Sono morti - ha detto riferendosi alle due vittime - senza colpa, uccisi da un atto razzista da parte di uno squilibrato». Ma ha anche aggiunto: «Questa è una situazione creata da dieci anni di politica di odio nei confronti degli immigrati». E si può dire che questo è stato il tono generale dei commenti, alla fine di una giornata nerissima, difficile da capire prima ancora che da raccontare, arrivata per di più dopo quella altrettanto nera di Torino, dove una spedizione punitiva contro un campo nomadi aveva concluso una vicenda altrettanto inconcepibile per un paese civile, frutto di pregiudizi, bugie e ossessioni familiari.
Città civilissime, Firenze e Torino, tanto che si fatica a collocarvi queste storie di follia individuale e collettiva. Follia, si è detto. Eppure, questo genere di follia difficilmente trova spazio quando la politica è ben presente al centro dela società. E, certo, la politica da sola forse non basta, ma se ricominciasse a investire sulle questioni sociali almeno le stesse energie che spende in bizantisnimi correntizi, almeno non renderebbe vani quegli appelli contro la «violenza razzista e xenófoba» che anche ieri sono giunti dal Colle il quale si è riferito al «barbaro assassínio di due lavoratori
stranieri». E, se il linguaggio ha una sua importanza, tanto basta a restituire dignità almeno alla memoria delle due vittime, uccise «senza colpa».



I senegalesi: «Perché il killer era in giro?»
l'Unità, 13-12-2011
«Vogliamo la verità: perché quella persona così pericolosa, che era nei siti, era in giro?». Lo ha detto il portavoce della comunità senegalese di Firenze, Pape Diaw, a conclusione dell'assemblea improvvisata in piazza del Duomo, a due passi dall' Arcivescovado. «Non voglio incolpare nessuno ma a me risulta che fosse di estrema destra e che fosse stato segnalato».
Anche Pape Diaw ha invitato i suoi connazionali, e gli italiani, alla manifestazione di sabato prossimo: «Noi senegalesi siamo gente molto mite ma quando si tratta di scendere in piazza non scherziamo. Il nostro sciopero della fame del 1990 (all'epoca la protesta riguardò provvedimenti contro i venditori ambulanti, ndr) dimostra che non abbiamo paura di lottare. Vogliamo una grande manifestazione pacifica perché la non violenza è importante. Dovremo fare sentire tutti assieme la nostra voce perchè quello che è accaduto a Firenze non deve più accadere».



È l'odio che arma i Breivik di casa nostra»
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vista- Tassinari, studioso dell'ultradestra: «Il vuoto di senso innesca azioni imprevedibili: da "erPelliccia" ai raid anti rom»
Avvenire, 14-12-2011
NELLO SCAVO
Milano -Un segnale spaventoso. Una violenza imprevedibile e incontrollabile, alimentata da una cultura dell'odio che fa di Casseri una sorta di Breivik italiano». Ugo Maria Tassinari, un passato da militante dell'antagonismo sociale negli anni Settanta, è autore fra l'altro di "Fascisterie" (Sperling & Kupfer) il più approfondito atlante della destra radicale e dell'eversione nera nel nostro Paese. Cos'hanno in comune lo psicopatico norvegese, che il 22 luglio fece 77 morti, e il toscano Casseri? Anders Behring Breivik non era un attivista, né un picchiatore. Non frequentava circoli né partecipava ad azioni di militanza. Era uno psicopatico dall'universo concettuale ampio, con il quale alimentava la sua islamofobia, e che a un cer-to punto passa dall'elaborazione di una serie di concetti ala pianificazione di un omicidio di massa. Casseri era un simpatizzante di estrema destra. Anche lui non ha nessun precedente da militante. Risulta identificato in un paio di manife- stazioni, ma non aveva alle spalle la classica trafila dell'attivista a tempo pieno. Come Breivik, anch'egli però, una mattina si sveglia e pianifica un omicidio di massa.
I libri, gli scritti, le opinioni di Gianluca Casseri erano però conosciute. Non c'era nulla che facesse presagire la tragedia?
Casseri per anni ha usato la penna con una evidente appartenenza ideologica, spaziando da temi antisemiti a espressioni del revival neoceltico. Scrittore con vivaci e differenziati interessi che attraversano vari spazi dell'arcipelago nero. Dai saggi tradizionalisti pubblicati per il cento studi La Runa ("Dracula", "II guerriero di Wotan", "Adriano Romualdi alle radici dell'Europa") alla polemica revisionista con Umberto Eco ("I protocolli del savio di Alessandria"), fino al risveglio culturale neoceltico ("Le radici celtiche della letteratura fantastica"). Temi fra l'altro fatti propri anche da partiti politici che fanno leva sull'identità "celtica" dei popoli dei Nord e non nascondono tendenze islamofibiche. Perche parla di «segnale spaventoso», se quelli come Cassera sono casi isolati?
Ci sono stati episodi recenti che qualcosa in comune, con questa imprevedibile esplosione di follia, hanno a che fare. Un segno dei tempi, dell'impazzimento dei codici e dei linguaggi. Per esempio, la manifestazione di Roma il 15 ottobre scorso e il raid contro il campo rom di Torino sabato scorso. A Roma l'immagine simbolo fu quella di "er pelliccia": un giovane esterno ai movimenti, estraneo ad altre violenze di piazza, il quale fissato in un gesto estremo diventa l'icona della sommossa.
Anche a Torino si sono innescate dinamiche analoghe?
II campo rom è stato devastato per uno stupro mai avvenuto. Tra gli assalitori c'erano certamente dei facinorosi, ma anche esagitati, figli di quella cultura che lievita dentro a una mancanza di senso.
II fatti di Firenze hanno rianimato le polemiche intorno alla necessita dello scioglimento di movimenti e sodalizi neofascisti. Cosa si dovrebbe fare? Penso che mirare allo scioglimento dei gruppi, (dai neofascisti ai naziskin, ecc.) sia un danno e non una soluzione. I gruppi organizzati, a torto o a ragione, hanno una funzione di stabilizzazione. Penso al rituale di Casa Pound, quando i militanti durante i concerti si prendono a cinghiate. Per assurdo che possa apparire: è un modo di ritualizzare e di controllare omeopaticamente la violenza, che cosi viene canalizzata, ricondotta in ambiti domi- nabili all'interno del gruppo, in qualche maniera limitando i danni. Poi c'è un livello di insorgenza, di crisi sociale, che rigurgita sempre fenomeni imprevedibili.



Colpa di uno o colpa di tutti
Europa, 14-12-2011
Stefano Menichini
Non so se l’uccisione di Diop Mor e Samb Modou sia davvero figlia degenere di una società disgregata, della solitudine e della disperazione che impediscono di guardare nel diverso da sé un proprio eguale. È la tesi che ho ascoltato ieri sera da Giuliano Ferrara: ha un suo significato e una sua controprova, per esempio nella follia del branco che a Torino s’è scatenato contro il campo nomadi per vendicare un’offesa inventata.
Naturalmente è una tesi che, nel coinvolgerci tutti nella corresponsabilità di aver costruito una società senza vincoli di valore, senza condivisione di regole e di sentimenti, esclude qualche spiegazione più parziale e forse più incisiva, più circostanziata. Come sarebbe, ovviamente, individuare e colpire una sottocultura della destra estrema che ha una sua eternità ma ha avuto anche una sua recrudescenza negli anni recenti segnati dalla crisi, dalla globalizzazione, dalle migrazioni di massa.
È giusto prendersela con qualcuno che abbia anche un nome e un cognome, e che si muove e predica il proprio odio sotto simboli conosciuti. È un dovere della comunità, della legge. I capi e i militanti della destra radicale, Casa Pound e altre sigle, devono sapere che la loro milizia e la loro aggressività trova un limite e una sanzione. Il legame che aveva con loro quell’uomo folle che ha sparato ieri a Firenze non era casuale. Non mi pare giusto parlare, a proposito di Casseri, di «un isolato». Non lo era, purtroppo, e questo è un punto da chiarire di questa vicenda.
Il precedente recente di Torino rende però questa spiegazione insufficiente, ancorché fondata. Lì la logica di gruppo era evidente ma la matrice politica proprio no, anzi.
Allora torna il tema della colpa collettiva. Alcune autorità morali e politiche ripetono spesso il mantra di un paese slegato, svuotato di valori. L’abbiamo sentito dire da Napolitano, da Monti, dai vescovi, magari abbiamo prestato un ascolto distratto: cercavamo più il dettaglio politico dei loro interventi.
Invece eccolo qui, il problema che tutti gli altri sovrasta. Parliamo di un paese, una comunità da ricostruire: per poterla ricostruire davvero, dobbiamo prima scavare fino alle radici di ciò che siamo diventati. Calarci nella frattura non solo politica ma morale che ci si apre sotto i piedi. Con le rotture politiche possiamo e dobbiamo convivere, per una rottura morale rischiamo di morire, o di uccidere.



Quel sottile filo di follia che lega Oslo a Firenze
il Giornale, 14-12-2011  
Vittorio Feltri
A volte bisogna avere il coraggio della banalità: i matti vivono fra noi, sono numerosi e spesso non fanno nulla di male. Ma non sempre. Alcuni di essi, di tanto in tanto, esplodono e allora sono guai. A Firenze, ieri, un tizio si è lasciato trascinare dalla follia e ha ucciso due senegalesi, altri ne ha feriti. La cronaca del fatto è riportata all'interno del Giornale per chi volesse conoscerne i dettagli. A noi non rimane che aggiungere un paio di considerazioni.
Talora si segnala nel mondo che un pazzo compie una strage e non se ne comprendono i motivi. Negli Stati Uniti non raramente dei giovani apparentemente normali sparano su coetanei. Capire che cosa frulli nella loro testa è un'impresa superiore alle nostre forze, e anche a quelle degli psichiatri e degli psicologi chiamati a interpretare, ma che azzardano solo ipotesi e non potrebbero fare diversamente.
La pazzia in certi casi (...) (...) provoca effetti cosi gravi da risultare misteriosa, un fenomeno peraltro circoscritto agli umani e quindi ancor piü inesplicabile. Personalmente non ho mai visto un gatto o un piccione o una gallina psicopatici. Ma questo è un altro discorso in cui preferiamo non addentrarci.
L'episodio che maggiormente ha impressionato, quest'anno, è quello dell'assassino norvegese che uccise decine e deci- ne di studenti, senza un movente razionale. Di lui però non si parla più. Sepolto in carcere, quell'individuo non ha mai fornito spiegazioni logiche. Ovvio, che logica ci può essere in uno che sparacchia a chiunque gli capiti a tiro? Lo stesso si può dire per Gianluca Casseri,un anonimo ragioniere, un cervello imbottito di teorie esoteriche, appassionato di magia, orecchiante di ideologie stravaganti, scrittore eccentrico quanto modesto, il quale una mattina di fine autunno esce di senno e dall'anonimato freddando due persone di colore e riducendone altre in fin di vita, per poi suicidar- si.È lecito chiedersi perché, ma trovare una risposta, che non sia superficiale e riduttiva come quella espressa da Walter Veltroni, è improbabile.
Secondo l'ex segretario dei Partito democratico «quello che è accaduto a Firenze è il frutto di un clima di intolleranza verso gli stranieri alimentato in questi anni; barbarie pura». Che si tratti di barbarie è scontato. Ma che Casseri sia diventato matto per un clima di odio razziale, inapprezzabile in Italia, è un'idea che può concepire solo Veltroni, forse ignaro che i nostri compatrioti, pur pieni di difetti (fra tanti popoli aggressivi e xenofobi), statistiche alla mano sono tra i più pacifici e ospitali del mondo anche con i clandestine con gli ambulanti irregolari, con gli extracomunitari che campano di espedienti.
Questo per dire come sia assurdo voler sfruttare un delitto di sangue, commesso da uno squilibrato, a fini politici. Un'operazione ripugnante. Siamo semplicemente in presenza di un individuo che, prima di aver steso a pistolettate dei po- veracci, aveva già dimostrato di non avere tutti i fili attaccati, ma non al punto da suscitare il sospetto di essere un potenziale assassino. Un pazzo, nulla più.
Per fortuna Silvio Berlusconi (col suo governo) si è dimesso da un mese, sennò avrebbero accusato lui, e il ministro leghi- sta Roberto Maroni, di aver guastato l'aria che ha intossicato la mente dei ragioniere, inducendolo a premere il grilletto. Almeno questo ci è stato risparmiato, in parte.



QUELLE PAROLE CHE FOMENTANO LA PAURA
l'Unità, 14-12-2011
Gianni Biondillo
Non chiedetemi di entrare nella mente dell'assassino. Ci penseranno i criminologi di grido a sbizzarrirsi negli show televisivi. Parleranno di follia, di impulso criminale, analizzeranno la triste storia personale dei sicario suicida. Qualcuno spruzzerà di sociologismo il tutto: la crisi, l'incertezza dei futuro, la paura dei diverso. Altri si dissoceranno dalle sue frequentazioni neonaziste: non basta essere simpatízzanti di Casa Pound per trasformarsi in un delirante giustiziere della notte.
Giustificazioni buone per tutte le stagioni. La televisione nazionale, che ha colonizzato il nostro immaginario di questi ultimi decenni, richiede spiegazioni semplici, facili da applicare nel mondo reale. Tipo quelle dei bravi Cittadini torinesi che hanno trovato ovvio organizzare un pogrom in un campo rom alla notizia (falsa) di uno stupro ai danni di una minorenne. Le nostre donne le difendiamo noi. «Nostre», come se ci appartenessero. Che poi lo stupro fosse una menzogna della ragazzina per difendersi da due genitori oppressivi cambia poco.
Non era vero, è stato detto, ma non ne possiamo più dei nomadi. Curioso sillogismo. Cioè: non è che siamo razzisti, è loro che sono zingari! In pratica: non siamo interessati alla responsabilità personale, sono cose da democrazia matura. A noi interessa avere un capro espiatorio, là quando occorre.
Io, insomma, di Gianluca Casseri non so nulla. E nulla sanno neppure i fascisti della rete che già lo esaltano ad eroe nazionale. Prevedo un'impennata delle vendite delle 357 magnum, il revolver che ha stroncato la vita dei due ambulanti senegalesi.
Della tragedia di Firenze sono le parole usate per raccontarla che mi interessano. Le parole, in fondo, sono il mio mestiere. Le notizie lette sul web in tempo reale, parlavano di un «folle» che aveva sparato e ucciso due «vu' cumprà». «Folle»... C'è molto poco di folle nel selezionare chi uccidere e chi no. Basta un semplice manuale di criminologia forense per saperlo: lo squilibrato spara a casaccio, nella folla, indistintamente. Qui Casseri ha scelto su base étnica le sue vittime. Sapeva esattamente cosa voleva dire al mondo.
E poi «vu cumprà», cosi, come si diceva, con quel malcelato razzismo, oltre vent'anni fa quando arrivarono i primi immigrati dall'Africa. Quasi non fossero passati questi anni, quasi fossimo ancora una «innocente» nazione di emigranti che andava trasformandosi in una di (colpevoli) immigrati. Scrivere di un folie che uccide due vu cumprà è già, intimamente, un modo di giustificarlo. Cosa avrebbero scritto i solerti giornalisti patri se un senegalese avesse sparato a due fiorentini? E quale fiaccolata capitanata dal solito politico indignato si sarebbe organizzata per dichiarare la propria insofferenza di fronte a questi stranieri che vengono qui ci rubano il    lavoro, sporcano le nostre città e - certo non siamo razzisti, ma, si sa - stuprano le «nostre» donne?
Nominare le cose significa darle un senso. Quando diciamo, ad esempio, che l'Italia sta cambiando - quasi che questo mutamento possa ancora trovare un'inversione di rotta - ci raccontiamo la piü patética delle bugie. Perche non vogliamo ammettere che l'Italia è già cambiata. Da una generazione ormai. II paesaggio antropologico è radicalmente mutato, ne prendano atto i fascistelli in pectore che propugnano la difesa di una razza inesistente. Ma soprattutto ne prenda atto la più retriva delle politiche che abbiamo avuto, miope e securitaria, che al posto di gestire il cambiamento ha fomentato col suo linguaggio da bar l'incertezza e la paura. Questo è ciò che ora raccogliamo, dopo aver seminato vento per un quarto di secolo. Tempesta.



I forum di estrema destra sul web celebrano «l'eroe bianco»
Online frasi razziste e slogan antisemiti: «E' ora che qualcuno faccia pulizia», «Onore al camerata, italiano vero»
Corriere della sera, 13-12-2011
Giulio Gori
Mentre Casa Pound prende le distanze da Gianluca Casseri («lo conoscevamo appena»), definendo l’assassinio dei due senegalesi «un gesto ripugnante», «un gesto vile e miope messo in atto da chi non ha a cuore il vero interesse della Nazione e finisce a fare il gioco del potere che a parole sostiene di voler combattere», ci sono forum di estrema destra in cui gli iscritti celebrano la memoria del loro «camerata». E che a loro modo confermano l’appartenenza di Casseri all’area della destra radicale e xenofoba.
Su stormfront.org, forum italiano di «White Pride, World White», organizzazione neo-ariana, si leggono commenti che inneggiano a Casseri quale «eroe bianco», che merita «rispetto e onore» perché ha avuto il coraggio di «fare pulizia di questa immondizia negra». «E’ uno dei nostri» scrive un utente; «Rispetto e onore» gli fa eco Biomirko.
Ma c’è chi prova ad articolare concetti più articolati, come NonConforme, che si distingue nel forum per i suoi slogan antisemiti: «E’ il prezzo che ha pagato un eroe – dice – una situazione ormai figlia dell'esasperazione di chi ha creato questa società multietnica che è una bomba a orologeria pronta a esplodere, perché la storia insegna che tante etnie non possono coesistere insieme». Ancora più deliranti le affermazioni di un certo Costantino, negazionista convinto, che scrive: «Gli sbirri di m... che non ci sono mai quando un allogeno [uno straniero, ndr] delinque oggi sono stati efficientissimi. E' terribile, Casseri è morto». E siccome non c’è limite al delirio, Longobard, un nickname che è tutto un programma, prova a dire la sua: «Firenze è ormai contesa tra bande di sporchi negri criminali. E' ora che qualcuno faccia pulizia di questa immondizia negra! Via negri e stranieri dall'Italia. Abbattere chi devasta le proprietà degli italiani».
Intanto su Facebook è subito nata l’immancabile pagina celebrativa dell’omicida, «Onore al Camerata Gianluca Casseri, Italiano Vero». Pochi gli utenti che inneggiano alla sua terribile azione, una quindicina, ma molto significativi i post: immagini di manifestazioni con tanto di saluto romano, slogan pesantemente razzisti come «Morte ai negri» e frasi antisemite talmente sgrammaticate da risultare quasi incomprensibili («Havete le ore contate bancari giudii»); tanto che Sergio ribatte: «Io che sono albanese scrivo meglio». A ruota, è nata una seconda pagina fan, sempre su Facebook («Gianluca Casseri e il conte Dracula Vlad Tepes eroi!!!») in cui Costel affianca la figura di Casseri a quella dello storico impalatore (di cui l’omicida era un appassionato), esaltando entrambi come eroi «anti islamici». Ma c’è chi in rete respinge l’immagine di un’estrema destra fatta di ignoranti e onora la memoria di Casseri, quale «intellettuale», anzi «intellettuale nero» come spiega FascinAzione.info. «Scrittore con vivaci e differenziati interessi che spaziano tra varie isole dell’arcipelago nero» scrive il sito, che precisa anche le frequentazioni di Casseri: «E’ incontestata la sua frequentazione di CasaPound».



NESSUN ALIBI ALL'ODIO
di MAURO TEDESCHINI
QN, 14-12-2011
NON-PERDIAMO-LA-TESTA. L 'única parola d'ordine possibile davanti a quel che è successo ieri a Firenze è questa. Dobbiamo porci tutte le domande, anche le piú scomode, cominciando col chiederci se gli italiani, visto il freschissimo precedente della spedizione punitiva al campo rom di Torino, stanno prendendo una deriva razzista. Dico subito che io non lo penso e che credo che i due episodi non oscurino la realtà di un Paese in larghissima parte accogliente e tollerante. Discorso che vale a maggior ragione per Firenze. Ma le domande scomode restano tutte e le risposte dobbiamo darle con il massimo delia serenità possibile, evitando di sbranarci con accuse e polemiche che rischiano soltanto di tirar fuori il peggio dalle menti piú deboli. Ecco, mentre scrivo, ore 21 di martedi 13 dicembre, 1'ipotesi piú credibile è che lo spietato killer che ieri ha seminato terrore prima in piazza Dalmazia e quindi nel mercato di San Lorenzo fosse una persona disturbata. Ilprofilo di Gianluca Casseri è farcito di devozione a riti celtici e neopagani, con simpatie neonaziste e sconcertanti astrazioni dalla realtà. Un uomo dalla doppia personalità: da un lato l'apparenza dei tranquillo ragioniere di un paesino del pistoiese, Cireglio, dall'altro l'aspirante vendicatore della razza bianca.
CERTO, in cuor nostro speravamo tutti che le stragi per mano di squilibrati appartenessero ad altre società, a mondi lontani da osservare attraverso la televisione pensando: «No, da noi non può succedere...». Adesso sappiamo che non è cosi e questo aggiunge ancora un po ' di angoscia a una situazione già densa di preoccupazioni.
LA CRISI economica, la società multirazziale... sono tutti temi che possono accentuare il senso di insicurezza e creare situazionidi tensione. L'unica risposta possibile è un appello al senso di legalità: questo Paese ha bisogno di regole, che tutti devono rispettare, indipendentemente dal luogo di nascita o dal colore della pelle. A cominciare dall'escludere la folle tentazione del farsi giustizia da soli.
QUALCHE giorno fa il capo della Polizia, Antonio Manganelli, ricordava che in Italia un terzo dei reati è commesso da stranieri, in gran parte clandestini. Ma questo, come del resto la microcriminalità dei rom, è affare delle forze di polizia, non di improvvisate ronde o, peggio, di squadracce punitive. Non diamo alibi o sponde ai troppi esagitati che ci sono in giro. E diamo la nostra solidarietà ai ragazzi di colore uccisi o feriti ieri senza un perché.
VIVIAMO giorni strani, in cui quelli che fino a ieri sembravano gli aggressori sono diventatigli aggrediti. A maggior ragione ripeto: non-perdiamo-la-testa.



Riccardi: duro colpo all'integrazione
Avvenire, 14-12-2011
?Andrea Fagioli
 «Profondo turbamento e dolore». Queste le parole espresse ieri dal presidente della Repubblica appena apprese le notizie dell’agguato ai senegalesi. Giorgio Napolitano si è fatto interprete del diffuso sentimento di ripudio di ogni predicazione e manifestazione di violenza razzista e xenofoba esprimendo, per il tramite del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, «il sentito cordoglio alle famiglie delle vittime di questa cieca esplosione di odio. È sempre più urgente l’impegno di tutte le autorità politiche e della società civile per contrastare sul nascere ogni forma di intolleranza e riaffermare la tradizione di apertura e di solidarietà del nostro Paese».
Sulla drammatica vicenda è intervenuto anche il neoministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi, per il quale l’agguato «é un atto di violenza che crea terrore, paura e che disintegra l’integrazione. Sono molto preoccupato – ha aggiunto Riccardi, che oggi sarà a Firenze – per quello che é successo, sono in contatto con il sindaco: questa è una cosa brutta che colpisce una comunità molto bene integrata».
«È un gesto efferato e sconvolgente», ha commentato il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: «Tutte le motivazioni sono possibili, ma fra tutte non è possibile non pensare che il colore della pelle delle vittime e un sentimento di odio razziale abbiano avuto il loro peso. Bisognerà capire bene – ha spiegato Rossi – il quadro entro cui è maturata una cultura di questo tipo. C’è da chiedersi se non ci siano state da parte di tutti sottovalutazioni di certe espressioni culturali che alimentano xenofobia e razzismo e di circoli che ne fanno espressamente il motivo della loro organizzazione e della loro attività. La vicenda sembra per alcuni aspetti avere analogie con quella di Oslo».
Tantissimi i messaggi di cordoglio e di solidarietà con la comunità senegalese, mentre il sindaco di Firenze ha annunciato il lutto cittadino. «È un gesto solitario di un killer lucido, folle e razzista – ha detto Renzi –, un atto lontano dalla vita di questa città, siamo scossi, il cuore di Firenze piange». Il sindaco ha sottolineato che «c’é un rapporto storico della città con la comunità senegalese» e che il Comune si farà carico delle spese di rimpatrio delle salme. «Le istituzioni – ha detto il prefetto di Firenze, Paolo Padoin – sono tutte unite e presenti per evitare che ci siano ombre su questo episodio. Lo hanno capito perfettamente i rappresentanti della comunità senegalese e si sono impegnati a far capire anche alla comunità che Firenze è una città accogliente».
Intanto, sul tema dell’insofferenza nei confronti di minoranze etniche, proprio ieri, si è pronunciata la Caritas italiana. Che ha «posto l’accento sulla necessità e sull’urgenza di definire con chiarezza la condizione giuridica dei profughi del Nord Africa sbarcati in Italia nei mesi scorsi».



Finisce il divieto di ingresso dei giornalisti nei Cie.
Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha inviato una direttiva al riguardo a tutti i prefetti.
Immigrazione Oggi, 14-12-2011
I rappresentanti degli organi di informazione potranno accedere ai centri destinati all’accoglienza, al trattenimento e all’assistenza degli immigrati.
È quanto prevede la direttiva approvata ieri dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ed indirizzata a tutti i prefetti.
L’ingresso nei centri era stato interdetto alla stampa da una circolare del ministro Maroni dello scorso 1 aprile “in considerazione del massiccio afflusso di immigrati provenienti dal Nord Africa e al fine di non intralciare le attività loro rivolte”. Da allora sono state diverse le proteste e gli appelli per consentire l’accesso della stampa nei Cie e negli altri centri, una mobilitazione promossa dalla Federazione della stampa e dall’Ordine dei giornalisti.



“Start it up” il progetto per promuovere l’imprenditoria tra gli immigrati extracomunitari.
Iniziativa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di Unioncamere attivo in 10 Camere di commercio.
Immigrazione Oggi, 14-12-2011
“Start it up” è il progetto sperimentale per sostenere l’imprenditoria tra gli stranieri promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e da Unioncamere.
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di offrire servizi di accompagnamento a 400 immigrati extracomunitari che guardano al “fare impresa come a una concreta possibilità di integrazione economica e sociale”.
Il progetto, presentato ieri nella Capitale, interesserà 10 Camere di commercio (Ancona, Bari, Bergamo, Catania, Milano, Roma, Torino, Udine, Verona e Vicenza), durerà 18 mesi e sarà finanziato con 800 mila euro del Fondo per le politiche migratorie 2010.
“Le 10 Camere di commercio – ha spiegato il segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi – si trovano in territori importanti per il rapporto con il mondo dell’immigrazione e per politiche, anche regionali, di interventi a favore della nascita di imprese. Il progetto prevede varie componenti: si partirà con l’orientamento e suggerimenti anche burocratici e giuridici su come realizzare l’impresa; saranno poi previsti corsi di formazione e un supporto nella stesura del business pan”.
“L’ambizione – ha aggiunto il direttore generale della Direzione dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro, Natale Forlani - è estendere il progetto sperimentale, creando una rete informatica e un sistema di accessi generalizzato. Ci sono potenzialità imprenditoriali tra gli immigrati: bisogna svilupparle superando le criticità”.

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