Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 dicembre 2014

Immigrazione: fondi tagliati al Cie di Roma Ponte Galeria
Valentina Brinis e Liana Vita
Il Manifesto, 16-12-2014
A rischio le condizioni di vita degli immigrati. E i 67 operatori rischiano il posto.
È stata quasi dimezzata la cifra quotidiana a disposizione dell'ente gestore per ogni trattenuto al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma: da 41 a 28,8 euro al giorno. È questa la variazione principale derivata dal cambio di amministrazione del centro, prima coordinato dalla cooperativa Auxilium e, dalla mezzanotte del 14 dicembre, dalla Rti Gepsa S.A. e dall'associazione culturale Acuarinto. Il passaggio da un ente all'altro si sta rivelando pieno di difficoltà, a cominciare dalla sorte dei 67 operatori cui non è stata garantita la riconferma. La nuova gestione è subentrata a quella precedente due anni dopo la scadenza del contratto tra l'Auxilium e la prefettura di Roma, poiché alla fine del 2012 non era ancora terminata la gara per l'assegnazione dell'appalto. L'aspetto più delicato riguardava la determinazione del costo giornaliero di ogni ospite che è stato infine fissato dalla prefettura a 30 euro. E ancora una volta, nonostante le denunce di associazioni e operatori, il criterio per selezionare l'organizzazione aggiudicatrice è stato quello della "migliore offerta con il criterio del prezzo più basso", come si legge nel testo del bando "ponendo a basa d'asta il prezzo di 30,00 pro-capite pro-die" e senza che fossero "ammesse offerte in aumento rispetto al prezzo a base di gara".
Una dicitura che crea non poche perplessità. Innanzitutto perché la cooperativa Auxilium, insieme ad altri enti gestori in tutta Italia, attribuiva alla scarsità di fondi disponibili le difficoltà di gestione del centro. L'esempio più evidente, tra tanti, riguardava l'impossibilità di ritinteggiare le pareti in seguito a un principio di incendio verificatosi durante una protesta. Non solo. I fondi insufficienti ricevuti per la gestione influivano negativamente sulla qualità dei prodotti da acquistare per l'igiene degli ospiti, dal dentifricio al detersivo per lavare gli indumenti. Ma a risentirne erano anche gli operatori, costretti a ritmi di lavoro estenuanti in un edificio fatiscente e lugubre. E tutto ciò, quando a disposizione c'erano 41euro, ogni giorno e per ogni ospite. Dal 15 dicembre, quella cifra è diminuita di 13 euro. Le ripercussioni sulla vita dei trattenuti saranno numerose, a cominciare dalla prima misura messa in atto: la riduzione del pocket money, ovvero dei soldi che ogni ospite ha a disposizione per l'acquisto di beni extra, come snack, tessere telefoniche e sigarette. Da 7 euro si è passati agli attuali 5 euro.
Senza voler mettere in discussione preventivamente la nuova gestione, occorre valutare le conseguenze di un simile taglio. E non mancano i precedenti: negli anni scorsi a Crotone, a Modena e a Bologna si è arrivati alla chiusura dei centri per l'insostenibilità dei costi di gestione a fronte della scarsità di fondi, e dopo che per mesi i trattenuti erano stati costretti a condizioni di vita del tutto inadeguate. Andrebbe rivisto l'intero sistema e soprattutto i criteri di assegnazione, affidando ad esempio a un ente gestore su scala nazionale tutti i centri attraverso un'unica procedura a evidenza pubblica e legando l'assegnazione delle gare d'appalto non solo all'offerta economica più bassa, ma al rispetto di quanto previsto dal capitolato. Andrebbe poi garantito il monitoraggio a livello centrale delle condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni.
E, ancora, andrebbe ripensato il ricorso stesso ai Cie, se si pensa alla funzione che svolgono: trattenere, anche per mesi, persone che raramente vengono poi rimpatriate. Il problema vero riguarda la sussistenza di questi posti che hanno già dimostrato tutta l'inefficacia rispetto alla loro ragione di esistere: l'identificazione e l'espulsione. Basta un solo dato a dimostrarlo: a fronte di tutte le persone trattenute, solo lo 0,9% viene rimandato nel paese di origine. Tutte le altre escono senza essere identificate e senza aver avuto la possibilità di regolarizzare la loro posizione sul territorio italiano.

 



Immigrazione: Cie Torino; oggi sopralluogo assessore regionale, c'è ipotesi di chiusura
La Presse, 16 dicembre 2014
Il Cie di Torino potrebbe essere chiuso per le condizioni "non dignitose" degli immigrati rinchiusi e per il fatto che costituirebbe uno "spreco di risorse". È il pensiero dell'assessore regionale piemontese all'immigrazione Monica Cerutti, che oggi effettuerà un sopralluogo al Centro di identificazione e espulsione di corso Brunelleschi a Torino. La visita è nata da alcune segnalazioni arrivate a Cerutti dopo la rottura dell'impianto di riscaldamento del Cie.
"Oggi pomeriggio - dichiara l'assessore - mi recherò per l'ennesima volta al Ciedi Torino per verificare personalmente la condizione nella quale versano gli "ospiti" della struttura dopo le segnalazioni che abbiamo ricevuto in questi giorni in merito alla rottura dell'impianto di riscaldamento all'interno del centro".
"Già nel pomeriggio di venerdì - prosegue - abbiamo inoltrato una richiesta scritta alla Prefettura di Torino con la quale chiedevamo notizie in merito alla rottura della caldaia del Cie. La prefettura oggi ci ha fornito garanzie sul fatto che sia stata trovata una soluzione temporanea del tutto emergenziale in attesa di una sistemazione definitiva, ma che al momento garantisce il riscaldamento. In ogni caso durante la visita di oggi avrò modo di verificare di persona lo stato delle cose".
"Già da consigliera regionale - denuncia Cerutti - ho avuto modo di monitorare con attenzione e in modo costante il Cie di Torino. Sono convinta che sia necessario aprire una discussione sulla possibilità di superare i centri partendo anche dallo spreco di risorse pubbliche che rappresentano. Il Cie di Torino, nato per "ospitare" più di 200 persone, ospita poco più di una ventina di stranieri impegnando però lo stesso numero di forze dell'ordine che occuperebbe a pieno regime. Nel caso in cui oggi dovessi riscontrare che le condizioni degli "ospiti" del Cie non sono dignitose chiederò ufficialmente l'adozione di provvedimenti alternativi e temporanei a quelli già adottati".
Sel ha denunciato nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta oggi a Torino al Cie "24 persone, che sono detenute per il solo fatto di non essere ancora state identificate, si trovano al freddo insieme agli addetti e agli operatori del centro".
"Il problema alla caldaia - scrive Sel in un comunicato stampa - era stato segnalato dalla Croce rossa alla prefettura di Torino già la scorsa estate e si è ripresentato da 15 giorni, fino al guasto definitivo. Sabato la ditta è finalmente intervenuta per mettere in pressione la pompa di calore, ma occorrerebbe un intervento strutturale e naturalmente la sostituzione della caldaia".Rinchiudere immigrati solo perché sprovvisti di documenti è un'inqualificabile violazione dei diritti umani oltre che uno spreco di risorse pubbliche - ha dichiarato il capogruppo di Sel al Comune di Torino Michele Curto.
"Oggi - ha proseguito - la situazione è ancora più paradossale, perché gran parte dei reclusi proviene da una precedente esperienza carceraria e ha dunque già scontato la pena". "Nei Cie italiani - ha spiegato il deputato Giorgio Airaudo - la situazione è spesso ancora più grave di quella torinese da ogni punto di vista: sovraffollamento, condizioni igieniche spaventose, risse, violenze, fughe, rivolte, maltrattamenti. Ansiolitici e antidepressivi sono all'ordine del giorno. È un vulnus allo stato di diritto intollerabile per una democrazia".
"Chiederemo alle autorità competenti - hanno concluso i rappresentanti di Sel - e alle assemblee dove siamo eletti di superare i Cie e chiudere l'esperienza di Torino entro fine anno. Spostiamo da subito queste persone in altri luoghi idonei e umani. Evitiamo sofferenze inutili a coloro che vi sono detenuti. L'unico desiderio che abbiamo per il nuovo anno è che quello passato sia l'ultimo del Cie di corso Brunelleschi".

 

 

I centri della vergogna di Malta
Avvenire, 16-12-2014
Sara Lucaroni
Un contesto «disumanizzato», in cui i migranti sono trattati come «oggetti illegali», privi di ogni diritto. Sono le parole con cui l’inchiesta «Valencia», presentata solo pochi giorni fa da una commissione  governativa al Parlamento di Malta e aperta nel 2012 dopo la morte di un migrante del Mali ospitato al Detention centre for immigrant di Safi, riaccende la polemica sul sistema di accoglienza dell’isola.
«Luoghi orrendi», si legge, «strutture in stato pietoso», nessuna privacy, stanzoni dormitorio con caldo estremo e  300 letti, e dove «circa il 70% dei soldati assegnati al servizio di detenzione erano scarti dell’esercito», perché essere assegnato alla detenzione era considerata una punizione.
E ancora, casi di molestie sessuali da parte del personale, utilizzo di soldati al posto di assistenti sociali, inadempienze nelle procedure sono descritti da alcune ong, da testimoni e soprattutto dall’allora capo dei servizi di detenzione, il colonnello Brian Gatt. Tutto ciò fa da cornice alla morte del 32enne Mamadou Kamara, avvenuta  dopo un tentativo di fuga.
Secondo la ricostruzione, l’uomo sarebbe deceduto per un attacco cardiaco causato da un forte trauma contusivo. Respinto dal Mount Carmel Hospital dove gli agenti dovevano accompagnarlo «per liberarsi di lui» perché dava in escandescenze, secondo il rapporto Mamadou avrebbe aggredito un ufficiale prima di fuggire. Catturato di nuovo, ha aggredito un altro militare. A quel punto, ammanettato, sarebbe stato fatto salire in un furgone dotato di una gabbia di acciaio, per essere trasportato ad un altro centro di cura. Ma chi lo accompagnava, lo avrebbe colpito all’inguine con una ginocchiata, procurandogli un dolore così forte da fermargli il cuore.
L’attuale responsabile dei servizi, il colonnello Mario Schembri, al Times of Malta parla di episodi che riguardano il passato, sottolineando la riduzione dell’organico attuale e l’assenza, tra il personale sotto la sua direzione, dei nomi implicati nelle vicende ricostruite nell’inchiesta.
«Nessuno ne parla mai apertamente, ma tagli di fondi, scarso addestramento, i primi grandi numeri dell’emergenza e l’assenza di controlli adeguati sui soggetti che arrivano, anche potenziali terroristi o criminali nel loro paese, e che spesso si rivoltano durante la detenzione, non hanno messo gli operatori nella possibilità di lavorare sempre con serenità e professionalità – conferma un ex soldato che conosce bene la situazione – così la morte di quel migrante ha riacceso le polemiche sui centri di detenzione. Giusto, ma se ti lanciano urina, arance con dentro lamette da barba, o ti pungono con forchette sporche di sangue per infettarti o ti sputano perché vogliono uscire, non riesci sempre a porgere l’altra guancia».
La pubblicazione del rapporto esplicita ancora una volta la durezza del sistema con cui Malta accoglie i migranti e ha riacceso il dibattito sull’assoluta necessità di gestire con personale specializzato i momenti più delicati del sistema migrazione, i cui limiti sono sempre stati denunciati dalle stesse organizzazioni umanitarie.
In una nota congiunta le associazioni umanitarie maltesi, tra cui Jesuit refugee service, puntano il dito contro chi sapeva e non ha agito: «Abbiamo sempre espresso la nostra preoccupazione per la situazione in Safi e la caserma di Lyster e, nonostante i miglioramenti minimi spesso di tipo estetico, le nostre preoccupazioni restano valide e urgenti più che mai. Il regime di detenzione di Malta resta una macchia indelebile nel quadro del rispetto dei diritti umani».
«Concordiamo con la conclusione principale dell’indagine, che indica la necessità di rivedere il sistema di detenzione», ha detto Jon Hoisaeter, rappresentante dell’Acnur a Malta, che spiega anche come molti problemi non abbiano ancora una soluzione, come la mancanza di adeguato sostegno psicologico per chi arriva. A Malta la detenzione per i migranti arrivati dal mare è la diretta conseguenza di una legge del 1970, che definisce la clandestinità "reato amministrativo".
Dopo un colloquio per l’identificazione e la formulazione della richiesta di asilo, i migranti vengono accompagnati in queste carceri/caserme in attesa che venga valutata la loro domanda. Ma qui rimangono anche fino a 18 mesi. Secondo i dati ad ottobre di Alto commissariato Onu per i rifugiati di Malta, sono stati 250 i migranti accolti nei centri di detenzione, 960 quelli qui transitati nell’intero 2014 e 885 quelli trasferiti in uno dei sei centri aperti, spesso gestiti da ong o dalla Chiesa, dopo il riconoscimento di una qualche forma di protezione internazionale, l’assegnazione di un documento di viaggio e 4 euro al giorno. Sono somali per il 23%, il 13% è siriano, e poi eritrei, etiopi e nigeriani, soprattutto uomini. Il 47% del totale di chi arriva sull’isola riceve protezione, solo il 5% ottiene lo status di rifugiato e il 22 % viene respinto.
Al momento sono due i centri di detenzione operativi. Quello di Safi, al centro dell’inchiesta, si trova nell’area della caserma del terzo reggimento delle forze armate maltesi. Ad Hal Far, "città dei ratti," si trova invece la caserma di Lyster Barracks, che ospita il 1° reggimento. Nei periodi di massima emergenza, nell’estate del 2011, anche i tre magazzini di Safi, i magazzini militari, furono trasformati in dormitori con bagni, docce e cucine. Qui, molti degli stessi alloggi dei soldati furono assegnati ai migranti soccorsi in mare.  Da allora le cose non sono cambiate. Le notizie di rivolte, fughe, proteste e la morte di un altro migrante, nel 2011, ogni tanto riempiono le cronache maltesi, alimentando l’immagine negativa di queste strutture e di chi è costretto a passarci mesi.



GRECIA • Due profughi sono morti. In molti chiedono di essere respinti alla frontiera pur di tornare liberi
I siriani occupano piazza Syntagma
il Manifesto, 16-12-2014
Marco Ornizzolo e Roberto Lessio
Sono trecento i migranti fuggiti dalla Siria che dal 19 novembre scorso occupano Piazza Syntagma, davanti al Parlamento greco. Uomini, donne e bambini in presidio permanente e in sciopero della fame che rivendicano il diritto di lasciare la Grecia e di presentare domanda d`asilo in altri paesi europei. Una protesta condivisibile che conta purtroppo già due morti, mentre il governo di Atene continua a fare finta di nulla. Il primo è morto di freddo cercando di attraversare il confine tra Grecia e Albania nel tentativo di realizzare il suo progetto di vita. Il secondo siriano, gravemente debilitato per lo sciopero della fame, è invece morto di infarto in un ospedale di Atene.
Per sostenere la protesta dei richiedenti asilo siriani si sta diffondendo in rete un appello da firmare. Melting pot Europa tra i vari se ne sta facendo carico. Sono molte sinora le adesioni, a partire da Erri De Luca, LasciateClEntrare, Be Free, Chiara Ingrao e Terre des Hommes.
Il regolamento Dublino III è il principale ostacolo per i richiedenti asilo in Europa. Una forma di costrizione che obbliga il richiedente a stanziare nel primo paese di arrivo, spesso impedendogli di ricongiungersi coi familiari già presenti in altri paesi. È bene ricordare che la Grecia non è un paese sicuro per i richiedenti asilo, considerando le carenze dei suoi centri di accoglienza. Inoltre vari rapporti internazionali confermano da anni gli abusi delle autorità greche nei confronti dei profughi, tanto che le Corti internazionali hanno sospeso i rinvii Dublino verso il paese. Eppure i richiedenti asilo siriani sono obbligati proprio da un regolamento europeo a risiedere in quel paese. Una violenza inaccettabile, mentre chi riesce a fuggire raggiungendo altri paesi subisce abusi gravi sino all`arresto, come si sta verificando in Bulgaria e in Polonia.
La speranza dei siriani di lasciare il paese è dunque mortificata sia dalla ottusa volontà ellenica, che dalla stessa Unione europea, che con ostinazione continua a blindare le frontiere, anche quelle interne, per impedire i movimenti secondari dei migranti da uno Stato all`altro.
Un`applicazione sempre più rigida del Regolamento Dublino III, decisa anche a livello di forze di polizia, con accordi multilaterali come le ultime intese tra Italia, Austria e Germania, responsabili di disastri e tragedie continue. Proprio a causa del Regolamento Dublino III molti potenziali richiedenti asilo preferiscono addirittura essere respinti in frontiera e proseguire il viaggio affidandosi ai trafficanti di uomini, faccendieri della mafia delle migrazioni, alimentando il business della clandestinità, piuttosto che restare intrappolati in un girone infernale ammantato di retorica dell` accoglienza.
Il diritto d`asilo in Europa, dunque, è evidentemente inadeguato ad accogliere e risolvere i drammi di migliaia di persone che fuggono da guerre, epidemie, dittature e cambiamenti climatici. Un sistema che nasce per difendere i diritti umani e che invece si sta tramutando nel suo contrario.
L`Unione europea dovrebbe attivare gli strumenti e i canali della protezione temporanea previsti dalla Direttiva 2001 /55/CE, per decongestionare il sistema dell`asilo e consentire una mobilità secondaria nei diversi paesi Ue. Una volta dotati di un documento provvisorio di soggiorno legale, e dunque della libertà di circolazione, i profughi devono avere riconosciuto il diritto di chiedere asilo dove hanno già legami familiari o sociali o almeno in paesi che abbiano sistemi di accoglienza che rispettino la dignità umana e il diritto al ricongiungimento familiare.
I nuovi Commissari europei, il parlamento, così come i ministri degli Esteri e degli Interni dei paesi membri devono rispondere delle continue carneficine che avvengono nei mari di fronte all`Europa, delle condizioni disumane di assistenza, prima accoglienza e di detenzione dei profughi, dei migranti richiedenti ask e dei migranti economici. Devono prendere atto del fallimento di dispositivi come quello di Dublino, e lavorare nell`ottica di politiche di inclusione realmente efficaci così come garantire il diritto alla libertà dí circolazione.



IMMIGRATI HOLLANDE SFIDA LE PEN
lA Stampa, 16-1-2014
CESARE MARTINETTI
Marine Le Pen sfida Hollande per l`Eliseo , Frangois Hollande sfida madame Le Pen sull`immigrazione. Lo ha fatto ieri con un discorso alto e infarcito di quella retorica nazionale che costituisce il sentimento primario del Paese. Il gesto politico è tuttavia forte e controcorrente e dunque non facile per un presidente che ha già sfondato tutti i record di impopolarità.
Inoltre arriva piuttosto tardi, due anni e mezzo dopo il suo arrivo all`Eliseo, quando invece la questione era una delle maggiori del programma elettorale e il voto agli immigrati nelle elezioni locali era una delle promesse più significative. Resterà tale, per ora. Ieri il presidente ha detto che ci vuole il consenso di tutte le forze repubblicane, vale a dire anche della destra appena riconquistata da Sarkozy. E quindi, non se ne parla.
Tanta timidezza gli aveva già portato le critiche degli attivisti dei diritti civili. La gauche non ha più il coraggio degli Anni 80, scriveva ieri Le Monde. E poi, insediato all`Eliseo, Hollande aveva scelto come ministro dell`Interno Manuel Valls, noto per la sua durezza con i rom che a molti è parsa niente più che la prosecuzione della linea Sarkozy su sicurezza e immigrazione. Una specie di corsa a inseguimento del Front National che sta dilagando nei quartieri popolari dove più drammatiche si manifestano le tensioni con gli immigrati. Questa linea ha portato Valls a diventare il socialista più popolare e convinto Hollande a nominarlo primo ministro dopo i primi due anni di una presidenza decisamente deludente.
L`inaugurazione del museo dell`immigrazione (negli stessi padiglioni della Porte Dorée che furono progettati per celebrare le vittorie coloniali) è avvenuta ieri con un certo imbarazzo istituzionale per ben sette anni di ritardo dall`apertura. Ai francesi il presidente ha ricordato il contributo degli immigrati, agli immigrati ha invece rammentato che vivere in Francia è una chance. Ha citato De Gaulle e messo in guardia da quelli che agitano le paure per speculazione politica, vale a dire Le Pen, ma anche il redivivo Sarkozy.
Insomma, della buona retorica patriottica e integrazionista. Servirà? Forse potrà recuperare qualche consenso a sinistra, ma lo stato d`animo di frustrazione del Paese richiede ben altro. Tuttavia ci sono dei momenti in cui anche i principi vanno ribaditi. E, pur con tutte le sue contraddizioni, bene ha fatto Hollande a ricordarli.
Twitter@cesmartinetti



Rifugiati. Nuove regole per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale
Ok definitivo in Consiglio dei Ministri. Il governo "Garanzie e assistenza  fin dal momento della presentazione della domanda"
stranieriinitalia.it, 16-12-2014
Roma - 15 dicembre 2014 -  Arrivano nuove regole per chi fuggendo da guerre e persecuzioni cerca scampo in Italia.
Venerdì scorso, su proposta del premier Matteo Renzi e del Ministro dell’Interno Angelino Alfano, il Consiglio dei ministri ha approvato definitivamente il regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale, a norma dell’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008 n. 25. Quel decreto ha recepito la direttiva europea 2005/85/CE in materia di riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Il regolamento approvato dal governo, spiega una nota di Palazzo Chigi, tiene conto di problemi emersi in sede di applicazione. Sono state quindi valutate e in buona parte accolte le proposte formulate dal “Tavolo nazionale asilo”, un forum coordinato dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), che raccoglie enti ed associazioni di tutela che operano in questo settore.
L’obiettivo, assicura il governo, è rafforzare l’effettività dell’accesso alle procedure e della tutela dei richiedenti la protezione internazionale, garantendo le garanzie previste e le misure assistenziali fin dal momento della presentazione della domanda.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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