Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 novembre 2013

Migranti, la piaga dimenticata La Marina ne salva 200 al giorno
Lo sfogo del ministro Alfano: “C’è la crisi, non possiamo accoglierli tutti”
La Stampa, 04-11-2013
francesco grignetti
Era il 18 ottobre, venerdì, quando è iniziata ufficialmente la missione Mare Nostrum. Da poco più di due settimane ci sono alcune navi della Marina militare che presidiano il mare aperto a sud di Lampedusa.  
E i risultati sono eclatanti: in media, sono stati soccorsi almeno 200 migranti ogni giorno. Il conto più aggiornato parla di almeno 3500 persone soccorse. Arrivano a bordo di qualsiasi cosa galleggi: lance, gozzi, vecchi pescherecci, gommoni.  
Carrette del mare. Mettono a repentaglio la vita di donne e bambini. Eppure si lanciano nel Mediterraneo per fuggire dall’Africa, dai loro Stati in disfacimento, da guerre civili, dichiarate o striscianti, da regimi opprimenti, dalla miseria.  
Fino a un mese fa, e lo testimonia il dramma del naufragio di Lampedusa, gli italiani si prodigavano come potevano, ma partendo da terra. Li aspettavamo sotto costa con le motovedette della Capitaneria di Porto, con i natanti della Guardia di Finanza e anche con un paio di navi militari che d’istituto presidiano l’area di pesca verso la Tunisia e la Libia, ma che erano state dirottate in corsa a fronteggiare l’emergenza sbarchi.  
I migranti lo sapevano, e appena erano a portata di telefono, avvertivano di andarli a salvare. Ma ovviamente, così messe le cose, ogni giorno e ogni notte era una lotteria. C’era chi riusciva ad arrivare e chi drammaticamente affondava. I sopravissuti del naufragio dell’11 ottobre, ad esempio, raccontano affranti di quando diedero l’allarme. Vero.  
Ma siccome si trovavano a due ore di navigazione da Lampedusa, quando i mezzi della Capitaneria di Porto arrivarono, in tanti erano già andati a fondo. Con la predisposizione di Mare Nostrum il «punto di contatto», per stare alle terminologia militare, è molto più ravvicinato. E quindi il soccorso può essere immensamente più efficace.  
È evidente, dunque, che il bel tempo sta anche favorendo il traffico. Il mare è «forza olio», lo definiscono gli ufficiali di Marina. E finché le condizioni meteo saranno così favorevoli, quindi fino a metà della prossima settimana, è ragionevole attendersi almeno 200 persone a notte. «Per ora - dice intanto il contrammiraglio Guido Rando, al comando della missione, da bordo del San Marco - hanno la certezza che siamo qui a salvaguardia del bene supremo: la vita. Per noi è l’assoluta e inderogabile priorità».
Tanta gente in salvo, di converso, rappresenta un problema non piccolo per il ministero dell’Interno, che deve organizzare l’accoglienza a terra. Finora sono stati interessati 5 porti (Pozzallo, Augusta, Porto Empedocle, Siracusa, Catania) dove le navi militari di volta in volta sono state indirizzate e dove le prefetture avevano preventivamente attivato le procedure di assistenza.  
Comunque lo si voglia considerare, è un esodo biblico. E si capisce il crescente nervosismo di Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell’Interno. Qualche giorno fa, al vertice in Belgio del partito popolare europeo, è sbottato: «L’Italia e l’Europa sono accoglienti, ma non possiamo accogliere tutti perché noi abbiamo già difficoltà con la crisi che stiamo tentando di superare ad assicurare un futuro dignitoso agli italiani e ai loro figli».  
 


Diritto d’asilo, uno sportello in Africa
Corriere dellas era, 04-11-2013
Luigi Manconi
Presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato
Caro direttore, la strage di Lampedusa del 3 ottobre impedirà forse di chiudere ancora gli occhi davanti a un dato di realtà che non può più essere rimosso. Nel corso di un quarto di secolo, ogni giorno in quel mare sono morti mediamente 6-7 fuggiaschi che cercavano di raggiungere il continente europeo. Quel tratto di mare è ormai un cimitero, una tomba liquida e una trappola mortale. Dunque, è proprio lì che bisogna guardare per evitare che quella macabra contabilità di morti si perpetui. Qualche giorno fa, insieme al Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini ho presentato al Capo dello Stato un piano per la «ammissione umanitaria». Il progetto è semplicissimo, anche se di ardua realizzabilità, e si fonda su un dispositivo elementare: se il principale attentato all’incolumità è rappresentato da quei viaggi illegali nel Mediterraneo, va fatto in modo che quel tragitto possa realizzarsi in condizioni di sicurezza. Dunque, va anticipato geograficamente il momento e il luogo in cui è possibile chiedere all’Italia e ai Paesi europei una misura di protezione temporanea. Deve essere possibile, cioè, formulare quella richiesta e indirizzarla all’Unione Europea già nei Paesi di partenza o in quelli di transito. Si tratta, in sostanza, di ricorrere a un piano di reinsediamento, come già si fa per i profughi siriani, e al riconoscimento di una forma di protezione, a partire da un territorio precedente la traversata del Mediterraneo. Quest’ultimo progetto è previsto (direttiva Ue 2001) in presenza di un «afflusso massiccio di sfollati», ovvero di persone che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa di una persistente situazione di guerra o di violazione dei diritti umani.
Una volta riconosciuta la sussistenza delle condizioni per la protezione temporanea, l’Unione Europea definirà le quote di accoglienza per ciascuno Stato membro.
La procedura per il riconoscimento di quella protezione deve avvenire — questo è il punto fondamentale — direttamente nei Paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo e deve attuarsi attraverso il Servizio europeo per l’azione esterna e la rete delle ambasciate e dei consolati degli Stati membri, con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali. Questo comporta la realizzazione di presidi dell’Ue, così che in quei Paesi — Egitto, Giordania, Libano, Algeria, Tunisia, Marocco e, se ve ne sono le condizioni, Libia — si possa avviare la procedura di concessione della protezione temporanea. A questo punto, l’arrivo in Europa per quei profughi potrebbe avvenire con mezzi legali e sicuri, direttamente dal presidio internazionale al Paese di destinazione, individuato tenendo conto del regolamento Dublino III che considera l’eventuale presenza di familiari.
Ovviamente, la misura di protezione temporanea non precluderebbe la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato nei singoli Paesi. Tutto ciò ricorrendo al Fondo europeo per i Rifugiati e a quello per la Protezione civile.
Conosco bene l’obiezione: questo piano potrebbe funzionare se l’Europa lo condividesse. Appunto. Ma non c’è alternativa: o l’Unione Europea prende in considerazione un simile progetto o qualcosa che gli assomigli, oppure l’intera responsabilità di quel flusso di profughi ricadrà ancora sull’Italia. Dunque, questa è l’occasione e questo è il piano (o uno con le stesse finalità) in grado di verificare quanto l’Unione Europea sia davvero propensa ad accettare la «condivisione» alla quale l’Italia la sollecita e alla quale dice di essere disponibile. Se uno spiraglio si aprisse, è proprio lì, in quei Paesi dell’Africa, prima che inizi quella traversata maledetta, che una politica europea di accoglienza può fare le sue prove. Non avremo eliminato il traffico di esseri umani, ma certamente avremo ridotto le dimensioni di quella ecatombe marina.



Lampedusa, la disperata attesa dei sopravvissuti
l'Unità, 04-11-2013
Flore Murard-Yovanovitch
Oggi ricorre un mese dal tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre scorso a pochi metri dalle coste dell’isola mediterranea. Il comune in collaborazione con Legambiente e con il coinvolgimento di tutte le realtà che hanno partecipato alla rete dei soccorsi,  vuole ricordare così le vittime con un rito laico e cittadino.
All’interno della Riserva naturale orientata Isola di Lampedusa, saranno messe 366 piccole piante e altrettanti lumi accesi, accompagnati dai rintocchi della campana nautica. Mentre il collettivo Askavusa allestirà un albero rovesciato, con la testa in giù e le radici in aria. Saranno anche presenti alcuni dei 108 sopravvissuti eritrei (dopo il trasferimento di una quarantina di minori nei centri siciliani), ancora confinati nel centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola.
I profughi superstiti, dopo varie richieste di trasferimento sulla terraferma all'Ufficio Immigrazione e forze dell’ordine rimasti inascoltati, sono ancora in attesa. Trattenuti.  Peggio ancora, non è stato loro permesso di partecipare ai funerali dei loro cari ad Agrigento lo scorso 21 ottobre. Da un mese vagano di giorno per le strade del paese, e le loro notti sono risvegli e incubi. Un lutto che sembra senza fine, vicino alle onde che ricordano il trauma. Intanto quei profughi non hanno ancora ricevuto alcuna informazione ufficiale da parte delle istituzioni italiane sul loro futuro, quando e dove saranno trasferiti nei centri della penisola e soprattutto, se verranno prese loro le impronte digitali. Un evento che gli impedisce di ricongiungersi ai loro parenti nel Nord Europa e che li confina di fatto nel paese dove è avvenuta la strage.
IL CENTRO IMBRIACOLA
Ha dell’incredibile davvero dover scrivere, ma è la realtà: quei superstiti che hanno commosso tutta l'Italia, nonostante le promesse di Letta, Alfano, Barroso e Maelstrom, e ancora ieri del presidente della Regione Crocetta, sono ancora  oggi trattenuti nello squallido e invivibile centro Imbriacola.
Sono 108 i sopravvissuti eritrei che come i nuovi migranti arrivati con gli ultimi sbarchi dormono da un mese su materassi lerci, o in capanne fai-da te con gomma e plastica. In condizioni igienico-sanitarie indescrivibili e sotto ogni standard, indegne di un paese del G8: senza accoglienza.
L’altro ieri c’è stato un acquazzone e il cortile si è trasformato in una palude. Mentre sui recinti si asciugano i vestiti, tute di ginnastica tutte uguali.  Più in là si vedono gli edifici semibruciati e mai ricostruiti dopo l’incendio del settembre 2011. Un campo-carcere non idoneo a garantire il minimo rispetto della dignità umana.
Le immagini del video girato dalle colline che circondano il campo per solo stranieri come a voler nasconderli in fondo  alla valle, parlano da sole. Basterebbe ai dirigenti italiani fare un chilometro sulla strada sterrata che porta al campo di detenzione, per scorgere, tra grate e filo spinato uomini ridotti a non-persone.
Tutto questo non può essere chiamato accoglienza. Una detenzione disumana, già denunciata da anni da associazioni, con articoli, foto, video, ma questa volta, ad un mese del 3 ottobre, è la prova che nessuno davvero vuole vedere né cambiare.



Lampedusa piange Ma un mese dopo l’emergenza rimane
Avvenire, 04-11-2013
Alessandra Turrisi

Fiori sulle tombe di chi è morto in mare per raggiungere la salvezza in Europa. Alberi che porteranno il loro ricordo nel pezzo di paradiso naturalistico davanti al quale si è infranta quella speranza. Si prepara così Lampedusa a celebrare la memoria dei 366 migranti annegati esattamente un mese fa, nel tragico naufragio di fronte alla spiaggia dell’Isola dei Conigli.
Un dolore e una commozione che fanno a pugni con lo stato in cui si trovano ancora i sopravvissuti, stipati in un centro d’accoglienza che potrebbe contenere trecento ospiti e ne conta settecento, costretti a dormire in ripari di fortuna a cielo aperto, negli uffici o dentro bus e auto. Lampedusa aspetta che gli impegni assunti a vario livello, a Roma e a Bruxelles, con l’arrivo sull’isola dei massimi esponenti istituzionali, si trasformino in fatti concreti. Per rendere omaggio ai migranti nel giorno della commemorazione dei defunti, il governatore della Sicilia Rosario Crocetta e il sindaco Giusi Nicolini hanno pregato davanti alle tombe delle vittime nel cimitero dell’isola.
Con loro anche il procuratore di Gela Lucia Lotti e l’assessore regionale al Turismo, la bergamasca Michela Stancheris. «Ricordare chi non è ricordato, perché forse non ha nessuno; ma ricordare anche il valore e il diritto alla vita», dice Crocetta. «Vanno trovate soluzioni immediate per il centro di Lampedusa: ieri è piovuto e i migranti hanno trovato ripari di fortuna, nei bus, negli uffici, in qualche auto. È una questione di civiltà, bisogna rendere umano il centro - aggiunge Crocetta -. Basterebbe mettere in emergenza qualche tenda, poi ovviamente ci sono tante altre questioni ancora da affrontare». Il piazzale antistante la struttura, dove i migranti hanno costruito delle capanne, sembra una palude dopo la pioggia torrenziale di venerdì pomeriggio. E oggi Crocetta, assieme al sindaco Giusi Nicolini, si recherà proprio nel centro in contrada Imbriacola per verificare le condizioni dei migranti ospiti della struttura.
Poi sarà celebrata la giornata della memoria durante la quale verranno messe a dimora le prima 50 piantine delle 366 previste, tante quante sono state le vittime del naufragio, nella riserva naturale dell’isola dei Conigli, gestita da Legambiente. E saranno accesi altrettanti lumini. «Pianteremo piccoli arbusti – dice il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – per ricordare i naufraghi del 3 ottobre e tutti gli altri migranti scomparsi in mare, una strage silenziosa dai numeri impressionanti».
Sarà questo il Giardino della memoria in una riserva che è «un presidio di bellezza, un modello di gestione ben riuscita di salvaguardia del territorio e rappresenta la maggior attrazione turistica dell’isola - aggiunge il presidente di Legambiente - Per questo abbiamo ritenuto importante creare proprio qui un piccolo bosco, un luogo vivo e destinato a crescere, che rammenti a tutti l’indiscutibile necessità del rispetto dei diritti umani. Lampedusa deve essere una terra d’accoglienza e non di morte. Ci aspettiamo al più presto, dall’Italia e dall’Europa».



Regolarizzazione. Sì al medico di base per chi attende la risposta
Nuova procedura per l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. Bisogna presentarsi alla Asl con la ricevuta della domanda
stranieriinitalia.it, 04-11-2013
Roma – 4 novembre 2013 - A oltre un anno dalla presentazione delle domande, sono ancora tantissimi i lavoratori stranieri in attesa di regolarizzazione. Ora, però, potranno almeno iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale con tutti i diritti riconosciuti agli immigrati regolari, ad esempio scegliendosi un medico di base.
Il problema in realtà era stato già affrontato, in parte, nell’autunno dello scorso anno. Il ministero dell’Interno aveva stabilito che chi attendeva la regolarizzazione andava iscritto obbligatoriamente al Servizio sanitario nazionale, ma come Straniero Temporaneamente Presente, lo stesso trattamento riservato agli irregolari.
L’esame delle domande, però, va per le lunghe, e chi attende una risposta rischiava di rimanere per troppo tempo in un limbo anche per quanto riguarda l’iscrizione al Ssn. Così i ministeri dell’Interno e della Salute , insieme all’Agenzia delle Entrate, hanno trovato un modo  per dare a quanti attendono la regolarizzazione “ la possibilità di fruire pienamente del diritto all’assistenza sanitaria”, come spiega una nuova circolare.
Basterà presentarsi alla Asl con la ricevuta della domanda di regolarizzazione, sulla quale ci sono i propri dati anagrafici.
L’operatore potrà iscrivere il lavoratore al SSn e assegnargli un medico di base utilizzando un codice fiscale provvisorio che dovrebbe essere già presente nel sistema informatico. Se però questo codice fiscale provvisorio non c’è, il lavoratore dovrà recarsi al più vicino ufficio dell’Agenzia delle Entrate per verificare la sua posizione.
Dopo l’iscrizione Ssn, al lavoratore straniero verrà anche rilasciato un certificato sostitutivo della tessera sanitaria. Quando poi, finalmente, terminerà la procedura di regolarizzazione, potrà ottenere la tessera vera e propria.



Cittadinanza. Da oggi a Torino prenotazioni online
Per presentare la richiesta in Prefettura è obbligatorio prenotare un appuntamento via internet. Basta inserire i propri dati e scegliere il primo giorno utile
stranieriinitalia,it, 04-11-2013
4 novembre 2013 – Niente più file per chi deve chiedere la cittadinanza per residenza o per matrimonio a Torino. Il primo passo per diventare italiani si fa da seduti, davanti allo schermo di un computer.
Lo scorso giugno la Prefettura del capoluogo piemontese ha attivato lo Sportello Cittadinanza OnLine, attraverso il quale si prenotano gli appuntamenti per la presentazione delle domande. Uno strumento, si legge sul sito, che “elimina inutili code e facilita la vita del cittadino straniero e il suo rapporto con le istituzioni”.
Finita la fase sperimentale, si entra a regime. Come informa la Prefettura, “per migliorare il servizio e garantire un’informazione corretta, efficace e tempestiva a partire dal 4 novembre 2013 la presentazione delle istanze per ottenere la cittadinanza italiana avverrà esclusivamente utilizzando tale modalità”.
La procedura è molto semplice. Basta entrare nella sezione “Prenotazione online”, inserire in un modulo elettronico i propri dati e scegliere dal calendario un giorno e un orario per l’appuntamento. Conviene muoversi per tempo: ad oggi, la prima data utile indicata dal sistema è all’inizio di dicembre.
Attraverso lo Sportello Cittadinanza OnLine  è possibile anche chiedere via mail informazioni o comunicare all’Ufficio Cittadinanza un cambio di residenza. La Prefettura assicura una risposta via mail entro due giorni lavorativi. Sempre a partire da oggi, questo sistema soppianterà gradualmente il servizio di informazione telefonica.



Mano dura contro i migranti: arresti e campi smantellati
il manifesto, 03-11-2013
Rita Plantera
INFERNO NIGER
Scappano dalla fame, dalla mancanza d'acqua, dalla povertà e dall'uranio, lungo le vecchie rotte delle carovane del Sahara nigerino per raggiungere la Libia e l'Algeria e da lì attraverso il Mediterraneo arrivare in Europa, a Malta, Lampedusa, Pantelleria.
Spesso però vengono risucchiati dal silenzio surreale del deserto senza lasciare traccia o si fermano nelle città di confine come Agadez, a 1300 km dal confine libico. Agadez, la porta verso il Maghreb e biforcazione per Sebha in Libia e Tamanrasset in Algeria, città desertiche da tempo ormai divenute snodi migratori per i disperati delle traversate trans-sahariane. Ma per il governo nigerino questi dannati sono soltanto migranti clandestini e i loro stanziamenti di fortuna in queste città sono «ghetti».
Centoventisette migranti provenienti dalla Nigeria e dallo stesso Niger sono stati arrestati ieri mentre prima dell'alba a bordo di 5 camion cercavano di lasciare la città mineraria di Arlit, nel nord del Niger al confine con l'Algeria. In maggior numero uomini, ma anche donne e bambini nel disperato tentativo di attraversare il Sahara alla ricerca del sogno europeo. L'arresto rientra tra le misure contro l'immigrazione clandestina annunciate dal governo del Niger e che prevedono anche la chiusura immediata dei «campi migranti» di Agadez, dopo il ritrovamento mercoledì scorso nel deserto di 92 corpi in avanzato stato di decomposizione.
52 bambini, 33 donne e 7 uomini morti di sete, le dune del Sahara come le sponde del Mediterraneo che a Lampedusa il mese scorso ha ingoiato almeno 500 migranti. Nelle vicinanze dei due camion su cui viaggiavano arenatisi nella sabbia, sono state ritrovate piccole lavagne che fanno pensare a una scolaresca di una scuola coranica accompagnata da giovani adulti in cerca di lavoro. Originari della regione di Kantche nel Niger del sud, 700 km e est della capitale Niamey, erano partiti da Arlit diretti a Tamanrasset in Algeria tra la fine di settembre e i primi di ottobre. Il loro sogno è finito nel Sahara. Un precedente simile risale al 2001, quando più di 140 migranti morirono di sete nel deserto mentre cercavano di raggiungere la Libia. In molti lasciano il Niger per sfuggire alla povertà e cercare lavoro in Algeria e Libia.
Gli «scafisti da terra» in questo caso sono gruppi di nomadi che la siccità sin dagli anni 70 ha costretto a una vita sedentaria, secondo un rapporto dell'Onu di febbraio scorso. La stessa Onu stima che tra marzo e agosto di quest'anno circa 5,000 migranti al mese provenienti dall'Africa occidentale, soprattutto dal Niger, hanno percorso la rotta di Agadez per raggiungere l'Europa. Eppure il Niger, che secondo le Nazioni Unite è il Paese meno sviluppato sulla faccia della terra, è il quarto più grande produttore di uranio al mondo e secondo la World Nuclear Association (Wna) il Paese con il più alto livello di addensamento di uranio in Africa. Che va ad arricchire però le tasche della francese Areva, colosso minerario di proprietà per l'87% dello stato francese.

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