Quel barcone di migranti e l’identità del Pd
Ora che l’estenuante procedura per l’elezione del nuovo segretario del Pd è infine conclusa, ora viene il bello.
Che, in genere, è assai poco bello e tende, piuttosto, al brutto. O al pessimo. Come nel caso di quel barcone con oltre 200 migranti (tra cui donne e bambini) che, per molti giorni, è stato in balia delle onde. Sulle loro vite è stata giocata un’oscena partita tra attori tutti scarsamente affidabili: il governo libico, quello maltese, quello italiano. E questo ci consegna una verità inconfutabile. Dice, cioè, a quale livello di deprezzamento sia giunta la caduta del valore della vita umana nelle opinioni pubbliche e nelle relazioni di potere nazionale e sovranazionale. E dice, ancora, di quale sordità sia capace – di fronte a bambini in pericolo di vita – quell’Italia sempre dipinta come inguaribilmente “mammona”. Quell’Italia sembra essersi estinta e, a prestare ascolto e aiuto, sembrano rimasti solo preti e monache. È qui, proprio qui, che il discorso torna prepotentemente al Pd. Quei tre milioni di persone che domenica hanno afferrato al volo l’opportunità di partecipazione offerta loro, sono disposti – vogliamo crederlo – a mobilitarsi perché quel barcone non diventi la bara per l’ennesima strage di innocenti. È ovvio: partecipare alle primarie e aderire al Pd non garantisce automaticamente che, di fronte alla tragedia dell’immigrazione, si stia dalla parte giusta. Assolutamente no. Ma dovrebbe garantire che la nuova leadership voglia esserlo davvero, dalla parte giusta: quella del riconoscimento pieno dei diritti degli immigrati. Può essere poco remunerativo sul piano elettorale (ma ne dubitiamo fortemente): è, in ogni caso, una delle occasioni preziose per dare al Pd una identità e un sistema di valori.   
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