Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 aprile 2011

Il fallimento di Maroni
L'Unità, 10 aprile 2011
Luigi Manconi
Il governo Berlusconi-Maroni, il più isolazionista e autoreferenziale, sospettoso e refrattario verso ogni politica comunitaria, ritrovatosi in braghe di tela, scopre infine una sgangherata vocazione europeista. Una sorta di sciovinismo pedemontano nutrito di umori alla Oktoberfest, vorrebbe darsi una ripulita con una gita a Bruxelles.
Ma quella tardiva pulsione europeista appare tanto insincera quanto abborracciata: così come il ricorso a quel permesso di protezione temporanea previsto dalla legge italiana, pure utile, si rivela un espediente piccino. E così risulta in particolare agli occhi dei riottosi partner europei. Perché questo è il punto: quel provvedimento avrebbe dovuto far parte di una strategia condivisa, e da tempo elaborata e avviata, e non ridursi a un escamotage, buono (buono?) per levare le castagne dal fuoco all’ultimo momento. Ne consegue che oggi sarebbe quanto mai necessaria l’applicazione della direttiva europea 55/2001 sulla tutela umanitaria internazionale, che prevede  un programma di distribuzione dei profughi in tutti i Paesi dell’Unione, come da tempo richiedono Emma Bonino e i Radicali. Quella direttiva dovrebbe essere portata dalla Commissione europea al Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Unione. Finora colpevolmente non è stato fatto: ma quale credibilità può avere oggi il governo Berlusconi-Maroni nel chiedere che finalmente quella direttiva sia attivata? Da qui non si scappa. Dopo tre ani di questo governo, emerge impietosamente una verità: l’esecutivo non ha uno straccio di programma per migranti e profughi. Il Pdl non si è nemmeno curato di elaborarne uno; la Lega si è affidata a due opzioni. La prima (“aiutiamoli a casa loro”) si è rivelata mera evocazione ideologica, nel momento in cui si certifica che l’Italia è saldamente all’ultimo posto nel fornire aiuti allo sviluppo; la seconda, interamente basata sull’uso della forza, era destinata fatalmente a mostrare la propria impotenza. Quale idea della politica e quale intelligenza del mondo possono far credere al ceto dirigente leghista, tutto concentrato sul presidio di una “identità inventata” e, allo stesso tempo sulle pratiche di sottogoverno, che un sommovimento planetario come quello che produce le migrazioni sia controllabile con le motovedette della finanza? E con il reato di clandestinità? E con i Centri di Identificazione ed Espulsione? Perché, al di là delle trivialità xenofobe e delle dozzinali analisi geopolitiche, la Lega rivela il buco nero della totale incapacità del centro destra di elaborare una politica per l’immigrazione. E, infatti, la nuova visita di Silvio Berlusconi a Lampedusa, più che offensiva, appare risibile. Un’altra consunta gag di un vecchio entertainer, che ricorre a un copione frusto mentre il teatro viene colpito dalle bombe. Ma negli attori del grande cabaret tedesco tra le due guerre e persino nelle compagnie del varietà romano e napoletano degli anni ’40 si avvertiva la consapevolezza della tragedia annunciata. Qui, solo futilità e ammuina.  Non dico che non funzioni nell’immediato (è forte in tutti “il bisogno di consolazione” e di ammuina). Ma dall’entrata in vigore del permesso temporaneo (mercoledì scorso) a oggi nell’isola sono sbarcati oltre un migliaio di fuggiaschi. Diventa urgente, pertanto, porre mano, da subito, a una seria politica per l’immigrazione che – mentre provvede all’emergenza – programma il futuro. Da un rapporto del ministero del Lavoro si apprende che il nostro sistema economico avrà bisogno di 100mila lavoratori stranieri all’anno, oltre quelli già regolarmente residenti, per il prossimo quindicennio. Dunque, è concreta, concretissima, la possibilità di fare incontrare offerta e domanda di lavoro, in particolare in una società, come quella italiana, in via di progressivo invecchiamento. Certo, qui dovrebbe soccorrere la politica. Mentre il Fora di ball di Umberto Bossi, più che trucido, risulta pateticamente autolesionistico.
 
 

Le parole di Alemanno e quel cartello a Roma contro gli immigrati
Italia-Razzismo
l'Unità, 9 aprile 2011   
Roma ha già ampiamente dato» e, per essere prudenti e per non compromettere il delicatissimo equilibrio che ritiene di aver ottenuto, bisogna opporsi al rischio di essere «investiti da nuovi flussi migratori e di clandestini». Queste le parole del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Il primo cittadino ci rassicura sul fatto che non corriamo pericoli perché, riferendosi all’insediamento di immigrati a Civitavecchia, «i clandestini sono in una caserma ben custodita» e aggiunge: «per fortuna». Ancora una volta, Alemanno, ricorre a un linguaggio che – quando non è schiettamente xenofobo – è comunque imprudente e poco sorvegliato. Non vogliamo strumentalizzare niente e nessuno e non riteniamo che vi sia un legame diretto, ma immaginare che parole provenienti dalla massima autorità cittadina non abbiano alcun peso sul senso comune, è un errore. E allora: quali messaggi sono giunti, in questi anni, dall’amministrazione comunale affinché, nel quartiere romano di Montesacro, non venisse consumata l’efferatezza che ora illustriamo? Qualche giorno fa a Roma un cartello all’ingresso di un bar recitava: «Vietato l’ingresso agli animali ed agli immigrati. La direzione». A denunciare il fatto è stato Abdul Bouja, nato in Marocco e da anni residente regolarmente in Italia. Il suo avvocato, Giacinto Canzona, sta valutando la possibilità di un’azione legale nei confronti del proprietario del bar poiché ritiene che quel cartello sia «altamente discriminatorio». Ora, è possibile che tutto ciò sia solo il prodotto di uno scherzo di pessimo gusto. Ma il fatto che abbia circolato e continui a circolare negli organi di informazione e che sia stato considerato plausibile da molti, e da molti giornalisti e politici, la dice lunga.



Permessi temporanei, gelo Ue «Non validi in area Schengen»
Corriere della Sera 11 aprile 2011
Luigi Offeddu
Non valgono come passaporti, i «permessi di soggiorno temporanei» che l’Italia vuol dare agli immigrati tunisini. E non permetteranno loro di viaggiare liberamente dall’Italia alla Francia, alla Germania, in tutta l’Unione europea. Lo dice e lo scrive la stessa Europa, attraverso il suo commissario agli Affari interni Cecilia Malmström. La lettera — o la doccia fredda— è partita venerdì da Bruxelles. Destinatario formale: il nostro ministro degli Interni Roberto Maroni. Destinatario sottinteso: il premier Silvio Berlusconi, perché è sua la firma sul decreto che introduce gli stessi permessi temporanei: ma che non fa scattare «automaticamente» , dice ora la Ue, la libera circolazione nell’area di Schengen. Non solo: Bruxelles risponde anche con un secondo «no» alla richiesta italiana di applicazione della direttiva sulla protezione europea, quella che autorizza appunto i permessi temporanei; «al momento non sussistono le condizioni» per attivarla. I rifiuti spediti a Roma sembrano placare le preoccupazioni di Francia e Germania, schierate contro la «protezione temporanea» . Ma la partita è solo all’inizio. E oggi c’è una delle sfide decisive: l’incontro fra i ministri degli Interni della Ue, in Lussemburgo. Come le barche dei migranti avanzano sparse nel Mediterraneo, così i 27 Stati avanzano sparsi verso una meta che nessuno riesce a distinguere: sarà l’accordo, o sarà lo scontro che potrebbe mettere in discussione gli stessi accordi di Schengen. Nonostante il suo doppio diniego all’Italia, Bruxelles riconosce che questo è un problema europeo: bisognerà trovare un compromesso. Nicolas Sarkozy il suo «no» ai permessi temporanei lo ha messo per iscritto, in una lettera alla Commissione europea. La Germania gli ha fatto eco. Malta, ieri, si è distaccata dall’Italia: «Se Lampedusa non è considerata sicura per gli immigrati — ha detto il suo premier Lawrence Gonzi — allora tutta l’Italia non è sicura» . Tutti contro tutti, almeno apparentemente. In realtà, dietro le quinte, i mediatori sono all’opera. Ieri sono rimbalzate fra Roma, Parigi e Bruxelles voci di contatti intensi: proprio le due capitali «nemiche» potrebbero preparare un documento comune per il vertice fra Sarkozy e Bruxelles, il 26 aprile, una piattaforma di intenti da allargare poi eventualmente alla Germania e a tutti gli altri. Anche la Commissione europea è al lavoro: il presidente Barroso volerà martedì a Tunisi. E sempre la Commissione sarebbe pronta a rafforzare la missione Frontex (polizia di frontiera Ue) affidandole compiti di riaccompagnamento dei migranti oltre a quelli di controllo. Bruxelles sarebbe poi disponibile a erogare nuovi fondi all’Italia per l’emergenza immigrazione: anche se — ha notato ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini — «diciamo all’Europa che non bastano i contributi economici, occorre un’azione politica» . E c’è chi indica anche altre strade, come quella del controllo dal cielo dei battelli garantito dai satelliti dell’Agenzia spaziale europea. «Ma la cosa forse più importante è riuscire ad aiutare questi popoli anche laggiù, in Africa— dice il vicepresidente della Commissione europea e commissario all’Industria Antonio Tajani —. Non c’è molto tempo: basta guardare ai massacri in Costa d’Avorio e alle altre ondate migratorie che potrebbero presto arrivare» .



Migranti, il 48% di chi vota per il Carroccio pronto ad accettare i perseguitati in patria.
Corriere della Sera 11 aprile 2011
Renato Mannheimer
Che fare con gli immigrati? Le modalità di accoglimento— o di respingimento — dei clandestini approdati all’isola di Lampedusa occupano gran parte del dibattito politico e, di conseguenza, delle cronache dei media. C’è chi ha proposto di esercitare una linea «dura» , di netto rifiuto dell’accoglierli e chi, viceversa, ha esplicitato posizioni più concilianti. Tutti sono combattuti tra la necessità di preservare il nostro Paese da un’invasione incontrollata e quella di mantenere comunque un atteggiamento di comprensione e di umanità. Anche i risultati dei sondaggi tra la popolazione riflettono l’esistenza e, talvolta, la contrapposizione tra questi punti di vista. La percentuale di chi dichiara di voler «accogliere tutti quelli che arrivano» in modo indiscriminato (si esprime così il 16%) è pressoché simile a quella di chi, all’opposto, propone, altrettanto drasticamente, di «respingerli tutti» (18%). La gran parte degli italiani si colloca però su posizioni intermedie, tendenti a favorire l’accettazione solo di una porzione degli immigrati. La maggioranza relativa (41%) suggerisce di accettare i soli profughi politici, cioè coloro che fuggono a causa di persecuzioni, mentre altri (22%), più genericamente, indicano l’opportunità di accogliere una parte degli immigrati e di respingere quelli in eccesso, operando quindi una sorta di selezione, i cui criteri, però, resterebbero tutti da stabilire. La prima opzione («Accoglierli tutti» ) è prescelta in misura relativamente maggiore dai più giovani e, in genere, da chi possiede un titolo di studio più elevato (tra i laureati sfiora il 30%). Quella opposta («Respingerli tutti» ) è significativamente più gettonata nel Centro e nel Sud, che sono le aree più immediatamente interessate al fenomeno. Ma, naturalmente, le differenziazioni maggiori si rilevano in relazione all’orientamento politico. Tra gli elettori del Pd si registra la quota massima dei favorevoli ad una accoglienza indiscriminata: ma anche tra costoro questa posizione supera di poco il 20%. Come era facile immaginare, l’idea di non accettare nessun esule nel nostro Paese raggiunge il massimo di popolarità nella Lega: il 43%dei votanti per il Carroccio opta per questa radicale alternativa. A questi ultimi si oppone però, anche all’interno della base leghista, il 48%, che indica l’opportunità di un’accoglienza per chi è perseguitato nel proprio Paese. Questa vera e propria spaccatura in parti quasi eguali riflette peraltro il forte dibattito in corso all’interno della Lega, di cui si è avuta testimonianza anche dagli interventi trasmessi da Radio Padania e del confronto tra il ministro Maroni e altri vertici del suo partito. Un quadro simile emerge dai giudizi sull’opportunità o meno di trasferire gli immigrati giunti a Lampedusa in altri luoghi d’Italia. La maggioranza della popolazione è d’accordo con questa ipotesi, anche se una quota consistente (26%) la ritiene «non giusta, ma necessaria» . È ancora una volta nell’elettorato leghista che si trova la diffusione massima dell’opinione che sia sbagliato ritrasferire gli immigrati in altri luoghi: lo pensa il 43%dei votanti per il Carroccio, a fronte di una media nazionale del 19%. Ma, anche in questa circostanza, la maggioranza (57%) della base leghista finisce con l’auspicare, seppur talvolta a malincuore, la ridistribuzione territoriale dei migranti. Sul piano dei principi, dunque, la maggior parte della popolazione sembrerebbe orientata, sia pure con diversa intensità, verso un accoglimento, quanto meno parziale, degli immigrati. Ma il quadro cambia se si evoca la possibilità che un centro di accoglienza venisse istituito proprio nella zona in cui si abita. La maggioranza relativa (47%) manifesta subito le proprie perplessità, ammettendo che «non sarebbe contenta» , ma che accetterebbe comunque la decisione. A costoro va affiancato chi (24%) dichiara esplicitamente che «cercherebbero di opporsi» a qualunque iniziativa di questo genere. Insomma, si ripete il noto «effetto Nimby» , così diffuso nel nostro Paese. Siamo spesso d’accordo con questo o quel provvedimento (dal termovalorizzatore al centro di accoglienza per gli immigrati), purché non tocchi troppo da vicino la nostra vita e il nostro contesto quotidiano. L’italiano medio è favorevole all’accoglimento dei profughi, a patto che non avvenga troppo vicino a casa propria.



A Lampedusa altri tre barconi. Via ai rimpatri

Corriere della Sera 11 aprile 2011
Alfio Sciacca
Dovrebbero cominciare oggi i rimpatri in Tunisia annunciati da Berlusconi. Sulla carta sono previsti due voli al giorno, ma potrebbero esserci aggiustamenti visto che non è facile trasferire in modo coatto persone che tutto vogliono tranne che essere riportati in Tunisia. Fino ad oggi c’è stato un solo rimpatrio di 30 immigrati e ha scatenato una piccola rivolta. Non è difficile immaginare cosa succederà nel momento in cui i trasferimenti saranno quotidiani. Attualmente a Lampedusa ci sono circa 700 tunisini su 1.300 immigrati. Il resto proviene da Paesi in guerra e dunque debbono solo attendere lo smistamento nei centri per richiedenti asilo. I tunisini sono invece considerati clandestini e in base agli accordi presi dal nostro governo debbono essere rimpatriati. Lo hanno capito anche quelli ora a Lampedusa che hanno cominciato a protestare e minacciano di andare oltre. Questo spiega la cautela delle forze dell’ordine. Se realmente il piano dovesse partire oggi comunque non verranno rimpatriate più di 60 persone al giorno, visto che a bordo degli aerei bisogna garantire almeno un poliziotto per ogni immigrato. E poi sarà necessario fare i conti con i flussi in entrata che potrebbero essere tali da mettere nuovamente in ginocchio Lampedusa. Anche ieri gli sbarchi non si sono fermati: è arrivato un barcone con 50 tunisini (nella foto) e in serata altri due con 366 persone. Sull’isola sono approdati anche sette immigrati su un gommone di 2 metri senza remi e persino 160 tunisini arrivati in aereo da Pantelleria per essere poi rimpatriati, non si capisce perché, sempre in aereo ma da Lampedusa.

 


Immigrati, oggi scattano i rimpatri
Roma 11 aprile 2011
Pasquale Carotenuto

ROMA. Oltre che dal mare, i migranti a Lampedusa arrivano ora anche dal cielo: con due voli speciali sono infatti stati trasferiti sull'isola circa 160 tunisini che erano sbarcati nei giorni scorsi a Pantelleria. I tunisini sono stati trasferiti al centro di accoglienza e sull'isola a questo punto ci sono mille migranti. Non sono invece ancora stati conteggiati i circa 350 che arriveranno entro stamane a bordo di due barconi già agganciati dalla motovedette. II motivo per cui sono stati trasferiti i migranti da Pantelleria a Lampedusa, secondo quanto si apprende, è perché da quest'ultima isola verranno effettuati i rimpatri verso la Tunisia. Voli che dovrebbero partire già oggi e che, però, saranno da 30 migranti ognuno. Sempre oggi riuonione dell'Ue a Lussemburgo dove il ministro dell'intero, Roberto Maroni, chiederà a'llUe di farsi carico del problema. Una ventina di extracomunitari, tutti minorenni, sono intanto riusciti a fuggire dalla tenso struttura di Porto Empedocle. Il folto gruppo è riuscito ad eludere la sorveglianza delle forze dell'ordine e a scappare verso il centro abitato. Alcuni sono stati subito bloccati, ma di una ventina si sono perse le tracce. E un altro barcone con 50 immigrati provenienti dalla Tunisia è arrivato ieri pomeriggio a Lampedusa scortato da una motovedetta della Guardia di Finanza. Sono tutti uomini tra cui tre minori e saranno trasferiti nel Centro di accoglienza dell'isola dove ci sono circa 500 persone. Ma sul tema resta la tensione. Alcune decine di militanti di Forza Nuova hanno bloccato il traffico diretto in Francia, presso il valico di Ponte San Ludovico, per una decina di minuti, per protestare contro 1'arrivo degli immigrati e contro il rilascio dei permessi di soggiorno temporanei. Nell'occasione è stato aperto uno striscione di 10 metri con la scritta: «Maroni e clandestini, fuori dalle p...», acceso fumogeni e distribuito volantini in italiano e in francese. Al presidio ha preso parte anche una delegazione del Fronte nazionale di Nizza e Marsiglia. Resta la polemica con Malta: «Se l'isola di Lampedusa è considerata non sicura per gli immigrati, allora tutta l'Italia non è sicura». Lo dice il primo ministro maltese, Lawrence Gonzi, durante una discussione politica commentando l'incidente di giovedi quando a una motovedetta maltese è stata negato l'attracco al molo di Lampedusa, dopo il soccorso di 170 immigrati al largo dell'isola. E continua la battaglia politica sul fronte degli immigrati. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini avverte: «Facciamo in modo che l'Italia sia più rispettata e rispettabile in Europa, ad esempio dicendo basta alle improvvisazioni. C'è una ragione se presso gli altri Paesi europei siamo poco credibili». Il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, critica il premier Berlusconi: «Mentre i bimbi muoiono in mare - dice - lui compra ville a Lampedusa».



Le regole di Schengen sull'immigrazione
La Repubblica 10 aprile 2011
Sono cinque i requisiti che un extracomunitario deve avere per superare le frontiere interne della Ue abolite dal Trattato di Schengen. A regolare le "condizioni di ingresso dei cittadini di paesi terzi" è l'articolo 5 del regolamento 562 del 2006, detto "Codice delle frontiere Schengen".
Secondo il comma 1, "per un soggiorno non superiore a tre mesi nell'arco di sei mesi" è necessario che gli extracomunitari rispondano ai seguenti requisiti: "a) essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che consentano di attraversare la frontiera"; "b) essere in possesso di un visto valido" se necessario in base al paese di provenienza; "c) giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o per il transito verso un paese terzo nel quale l'ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi"; "d) non essere segnalato nel SIS (Sistema di informazioni di sicurezza - ndr) ai fini della non ammissione"; "e) non essere considerato una minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri".
L'articolo, al comma 3, specifica che "la valutazione dei mezzi di sussistenza si effettua in funzione della durata e dello scopo del soggiorno e con riferimento ai prezzi medi vigenti
nello o negli Stati membri interessati di vitto e alloggio in sistemazione economica, moltiplicati per il numero di giorni del soggiorno", inoltre è indicato che tale valutazione "può basarsi sul possesso di contanti, assegni turistici e carte di credito da parte del cittadino di paese terzo". E' anche previsto e regolamentato il caso di ospitalità (definita come "dichiarazione di presa in carico") fornita da un cittadino del paese in cui l'extracomunitario entra.
Fra le tre possibili deroghe di quanto disposto dal comma 1, al punto 4.b è indicato che, per quanti si presentino alla frontiera senza il visto quando esso richiesto essi "possono essere ammessi nei territori degli Stati membri se è stato loro rilasciato un visto alla frontiera a norma del regolamento (CE) n. 415/2003 del Consiglio, del 27 febbraio 2003, relativo al rilascio di visti alla frontiera, compreso il rilascio di visti a marittimi in transito".
Infine al punto 4.c è scritto che "i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali". Viene altresì specificato che, quando si ammette una persona segnalata al SIS, "lo Stato membro che ne autorizza l'ingresso nel suo territorio ne informa gli altri Stati membri".



Il business scafista: 20 milioni in tre mesi
Corriere della Sera 11 aprile 2011
Giuseppe Sarcina
Con i due-tre barconi di immigranti dati in partenza tra ieri e oggi i trafficanti di Zarzis incasseranno un po'meno del solito. Una cifra complessiva intorno ai 10 mila euro. Ma dal 14 gennaio a oggi, il giorno nello stesso tempo della rivoluzione dei ciclamini e della partenza del primo battello per Lampedusa, il fronte del porto tunisino ha messo le mani su almeno 18-20 milioni di euro. L'equivalente del fatturato bimestrale di una media impresa europea, ma da queste parti una somma in grado di scompaginare il fragile equilibrio socioeconomico, costruito su una trentina di grandi alberghi per il turismo «tutto compreso» , il traffico di benzina con la Libia (ora fermo), un po'di pesca, qualche spezzone di agricoltura e un pulviscolo di attività commerciali a basso rendimento. Il «business clandestino» è cominciato in modo artigianale: una decina di pescatori-scafisti pronti a ritornare al vecchio «mestiere» ; un po'di ragazzotti con precedenti penali per reati minori. Insomma un'organizzazione elementare che la polizia avrebbe potuto smantellare, se solo avesse esercitato un centesimo dell'ordinaria repressione sperimentata nei 23 anni del regime di Ben Alì. Forse è venuto il momento di chiedersi perché non lo ha fatto e non lo fa. Qualcuno assicura che i trafficanti abbiano messo a libro paga le pattuglie della guardia costiera. Altri ritengono che siamo già nella «fase due» : vecchi arnesi del regime, con o senza divisa, si starebbero riciclando nella mafia nascente di Zarzis. È chiaro che ai vertici e anche nei livelli intermedi della filiera si sono insediati personaggi di ben altra caratura, rispetto agli scafisti del debutto. C'è chi parla di criminali venuti dalle grandi città (Sfax, forse anche Tunisi), chi di vecchi immigrati rientrati per entrare nell'affare. Sta di fatto che solo un mese e mezzo dopo la «banda dei pescatori» è diventato un clan (o un cartello di cosche) che può contare almeno su 200-300 dipendenti fissi. La produttività e l'efficienza sono aumentate con tassi di crescita alla cinese. Dopo quel primo peschereccio del 14 gennaio sono salpate da qui, a voler stare bassi, almeno altre 100-150 imbarcazioni, con oltre 15-18 mila ragazzi, ciascuno dei quali ha pagato, in media, 1.300-1.500 euro. A queste cifre si arriva incrociando i dati ufficiali degli sbarchi tunisini a Lampedusa, le stime informali dei comandi militari e delle capitanerie di porto di Jerba e Medenine, e, infine, mescolando il tutto con il fiuto dei vecchi pescatori (neutrali) di Zarzis. Con venti milioni di euro nella Tunisia meridionale potrebbero campare (bene) per un anno intero 3.300 famiglie o 15 mila cittadini tunisini. Certo, «la linea di assemblaggio» si è allungata: intermediari, galoppini del servizio d'ordine, trasportatori, oltre ai marinai incaricati di procurarsi barche lungo tutta la costa della Tunisia, perché quelle di Zarzis stanno finendo. Ma le risorse raccolte dai trafficanti si stanno concentrando in pochi nuclei pericolosamente fuori controllo. La prova? I «soldati» dei clan per ora sono armati selvaggiamente alla buona: coltelli, bastoni, machete, qualche vecchio fucile Steyr sottratto all'esercito nei giorni della rivoluzione. Ma, come dimostra la storia di tutte le mafie, i criminali amano comprare armi con lo stesso gusto con cui le signore di ogni età acquistano un paio di scarpe.



L’Europa ci scarica: tenetevi i clandestini
Il Giornale 11 aprile 2011
L’Italia si trova ad affrontare l’emergenza sbarchi, chiede aiuto all’Europa, ma dall’Unione arrivano messaggi di scarso sostegno, alla vigilia del vertice di oggi a Lussemburgo. Ieri infatti è stato reso noto il contenuto di una lettera, in cui il commissario Malmstrom afferma che il decreto firmato giovedì dal governo italiano non fa scattare «automaticamente» la libera circolazione nell’area Schengen. La lettera, preparata venerdì scorso e scoperta dall’Ansa, è stata inviata al ministro dell’Interno Maroni in risposta ad una richiesta di chiarimenti. La commissaria sottolinea anche che «al momento» «non sussistono le condizioni» per attivare la direttiva 55 del 2001 sulla «protezione temporanea». La Commissaria svedese afferma che Bruxelles «ha già attivato meccanismi per contribuire ad affrontare» una situazione «effettivamente molto difficile sul piano umano, sul piano economico e su quello del sistema di controllo alle frontiere». E afferma che la Commissione «resta disponibile a fare anche di più» e ricorda di aver inviato ai ministri degli Interni dei 27, in vista del Consiglio a Lussemburgo, una «lista di iniziative possibili». Per la Malmstrom «il rilascio dei permessi di soggiorno temporaneo a fini umanitari non appare sollevare problemi di compatibilità con la normativa comunitaria», ma poi aggiunge che «per quanto riguarda il possibile utilizzo a fini di circolazione nell’area Schengen» è esclusa «ogni automaticità legata al permesso di soggiorno in questione». La notizia però non sembra scuotere il Viminale, dove fonti replicano così: «Nulla di nuovo». Il fatto che il permesso temporaneo di soggiorno non faccia scattare automaticamente la libera circolazione, spiegano, «è cosa nota, perché devono anche essere rispettate una serie di condizioni previste dal Trattato che per noi, in questo caso, sono rispettate». Quanto al fatto che non ci siano le condizioni per attuare la direttiva sulla protezione temporanea, lo stesso Maroni giovedì scorso in Parlamento aveva riconosciuto che diversi Paesi erano contrari.
E ieri dell’emergenza immigrazione ha parlato il ministro per la Semplificazione Calderoli, secondo cui l’Italia dovrebbe reperire le risorse necessarie ritirandosi dal Libano. «Al prossimo Consiglio dei ministri proporrò il ritiro delle nostre truppe». Immediata la replica-conferma del ministro della Difesa La Russa: «È prevista una diminuzione progressiva delle nostre truppe in Libano e in Kosovo. È corretto immaginare di portare i nostri uomini intorno alle mille unità». Ma non sono mancate le polemiche.



RIBELLIAMOCI ALL'EUROPA PER EVITARE L'INVASIONE
Il Giornale 11 aprile 2011
Magdi Cristiano Allam
Basta ipocrisie! Bene fa Berlusconi ad ammonire che l'Italia potrebbe uscire dall'Unione Europea nel momento in cui veniamo abbandonati di fronte all'emergenza clandestini. Confermando che questa Europa è essenzialmente un colosso di materialità asservita ai poteri forti che s'incarnano nell'euro, ma del tutto priva di un'anima che la renda capace di accogliere le istanze reali e profonde dei Cittadini. E lo invito ad estendere il medesimo monito alle Nazioni Unite che ci vogliono imporre di accogliere i cosiddetti profughi anche se ne arrivassero a milioni, incuranti delle deleterie conseguenze per la popolazione italiana e indipendentemente dal fatto che in ogni caso ci rendiamo complici di regimi autoritari e della criminalità organizzata che lucrano sulla vita di persone che vengono sfruttate e raggirate.
Basta ipocrisie! Che ce ne facciamo di un' Europa che vergognandosi delle proprie radici giudaico-cristiane, svendendo i valori non negoziabili e tradendo l'identità Cristiana finisce per essere incapace ad assumere una politica unitaria non solo di fronte all'emergenza dei clandestini, ma più in generale in politica estera, della difesa e della sicurezza? Prendiamo atto che questo deserto spirituale denuncia il falso dio dell'euro, che avrebbe dovuto sollevarci dalle difficoltà finanziarie ed economiche, mentre oggi ci ritroviamo ad essere più poveri, più disoccupati, più indebitati, più incapaci a competere sul mercato globalizzato. Se oltretutto l'Europa si traduce nella perdita della nostra sovranità imponendoci di acquisire acriticamente 1'80 per cento delle nostre leggi recependo delle direttive dettate da una lobby scristianizzata, relativista, laicista, buonista e islamicamente corretta, mettendo a repentaglio le nostre certezze in tema di dignità della persona, sacralità della vita e centralità della famiglia naturale, ebbene non è forse arrivato il momento di dire basta? Basta ipocrisie! Ribelliamoci al falso mito del profugo onnipotente di fronte al quale il mondo intero dovrebbe inchinarsi automaticamente accogliendo tutte le sue richieste senza battere ciglio. Nel mondo sono attualmente in corso circa una quarantina di guerre principali e decine di conflitti minori che complessivamente coinvolgono centinaia di milioni di persone. Per le Nazioni Unite sarebbero tutti potenziali profughi e avrebbero tutti il diritto di essere accolti in qualsiasi parte del mondo. Basta che loro bussino e noi siamo costretti ad aprire loro la porta. Se qualcuno bussa alla porta di casa nostra, noi l'accogliamo come ospite solo se ce lo possiamo permettere e solo se rispetta le stesse regole che ci hanno consentito di realizzare un soddisfacente livello di benessere materiale e di civiltà spirituale.
Ebbene l'Onu vorrebbe imporci che nella nostra casa comune, l'Italia o la nostra città di residenza, noi saremmo costretti ad accogliere immediatamente e senza fiatare tutti coloro che si presentano alla frontiera. Ebbene se consideriamo che solo nella sponda meridionale del Mediterraneo e nell'Africa sub-Sahariana ci sono decine di milioni di persone che potrebbero vantare lo status di profughi o che comunque aspirano a venire da noi per fuggire alla miseria e all'ingiustizia, come potremmo immaginare di poterli accogliere se siamo precipitati nel panico per l'arrivo improvviso di appena 23mila tunisini e africani?
Basta ipocrisie! Rifondiamo queste Nazioni Unite (...) (...) che sono un mostro politico multicefalo legittimante di dittature che violano flagrantemente il loro stesso Statuto, onerosissimo, corrottissimo e ineficientissimo. Come può 1'Onu immaginare di essere credibile quando l'organismo che do-vrebbe risolvere la piaga delia fa- menelmondo, laFao, sperpera oltre 1'80% delle sue risorse per gli stipendi dei funzionari? Se 1'Onu ha veramente a cuore la vita dei profughi, che insedi i centri di accoglienza a casa loro o nelle immediate vicinanze, in modo da non costiingerli a sradicarsi dalla propria terra e a favorire il loro ritorno in seno ai propri cari non appena le condizioni lo permettano. Alla brava e mediatizzatissima Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, domando: perché non si trasferisce a lavorare in Libia o in Tunisia, in Somalia o nel Sudan, invece che ripetere le solite denunce all'operato dei governi italiani standosene comodamente in un albergo di Lampedusa?
Basta ipocrisie! Lo sanno i nostri politicanti di sinistra e i nostri magistrati ideologizzati che le decine di migliaia di clandestini che giacciono sui fondali dei Mediterraneo avevano pagato centinaia di euro per salire su quelle carrette del mare prima di morire affogati? Lo sanno che 1'odioso traffico di esseri umani è diventato la principale fonte di profitto delia criminalità organizzata superando i proventi derivanti dal commercio della droga? Come possono, per un verso, considerarsi «umani» opponendosi al reato di immigrazione clandestina e, per 1'altro verso, considerarsi «umani» rendendosi concretamente complici e conniventi di questi cinici mercanti di morte che lucrano sulla pelle dei clandestini?
Basta ipocrisie! Caro Berlusconi vai avanti fino in fondo nella tua denuncia del lassismo e della miseria di quest'Eu- ropa. Non esitare ad assumere un atteggiamento di fermezza con queste Nazioni Unite che predicano bene e razzolano male. Non lasciarti intimidire dalla demagogia di questa sinistra e di questa magistratura che hanno come unico obiettivo il tuo allontanamento dal potere. Abbi a cuore unicamente il bene degli italiani e stai certo che gli italiani te ne saranno riconoscenti.



Lampedusa, gli sbarchi non si fermano trasferimenti a rilento
Il Messaggero 11 aprile 2011
LAMPEDUSA - Lampedusa non si svuota, an che se le immagini di migliaia di migrantí abbandonati sul molo sono, fortunatamente, solo un ricordo. L'emergenza più acuta sembra superata ma gli extracomunitari continuano ad arrivare con ogni mezzo: sette li hanno raccolti su un gommone di due metri, senza remi e senza motore, all'ingresso del porto. In totale ieri ne sono sbarcati circa quattrocento. L'unica speranza dei lampedusani - e del governo, dopo la mazzata al decreto sui permessi temporanei arrivata dalla Mamlstrom - è che a questo punto il meccanismo dei rimpatri funzioni, Oggi si comincia: sono previsti due voli, sui quali però verranno imbarcati soltanto sessanta tunisini, perche ogni migrante deve essere scortato da tre uomini delle forze di polizia.
A cinque giorni dall'accordo siglato da Maroni con la Tunisia, sono partiti da Lampedusa soltanto in trenta.L'instabilità della situazione politica nel paese nordafricano contribuisce a rendere la situazione particolarmente precaria. Senza considerare l'incognita Libia, da dove due giorni fa è arrivalo un barcone con oltre 500 profughi: ne bastano tre in una giornata per mandare in crisi l'ntero meccanismo di accoglienza sull'isola.
A Lampedusa attualmente ci sono circa 1.300 migranti, compresi gli ottanta che erano sbarcati a Pantelleria nei giorni scorsi e che sono stati trasferiti con un volo speciale a Lampedusa. In realtà i voli previsti erano due, per un totale di 160 persone, ma il secondo è saltato - spiegano fonti qualificate delle forze di polizia - perchè i tunisini a Pantelleria, capita la sorte che li attendeva, si sono rifiutati di salire sull'aereo. Quella di far arrivare i migranti anche dal cielo e non più solo dal mare è l'ultima trovata, con l'obiettivo di fare di Lampedusa la base avanzata per i rimpatri. Di questi 1.300 migranti, quasi cinquecento sono profughi provenienti dai paesi sub sahariani che nei prossimi giorni saranno trasferiti nei centri di accoglienza sparsi nelle regioni italiane, comprese quelle del nord come ha ribadito il premier Silvio Berlusconi.



Perché muoiono i migranti
L'Espresso 7 aprile 2011
Fabrizio Gatti
La barzelletta che Silvio Berlusconi non racconta è quella di cui è protagonista. Avanti e indietro tra Roma, Lampedusa e Tunisi per far credere che con un accordo fermerà gli sbarchi di immigrati. E' questa la bugia più grossa tra quelle raccontate. Non i campi da golf a Lampedusa, il casinò, l'acquisto della villa annunciato mentre migliaia di tunisini erano costretti a vivere all'aperto in mezzo ai loro escrementi. Le relazioni tra Stati vanno sempre incoraggiate. Ma con la caduta della dittatura filoitaliana di Ben Ali, la Tunisia ha perso 100 mila su 150 mila poliziotti: si sono tolti la divisa per paura di ritorsioni. E anche se arriverà l'intesa, chi pattuglierà le coste visto che il premier Beji Caid Essebsi ha escluso che lo possano fare gli italiani?
Serviranno mesi. Bisognerà attendere (e sostenere) la crescita della Primavera araba, il consolidamento delle istituzioni a Tunisi, la fine della guerra civile in Libia e la ripresa economica. Di questo sono consapevoli i diplomatici che da anni puntellano con suggerimenti e contatti personali i rapporti tra Italia e Nord Africa. La politica ufficiale però, quella proclamata in tv, tira da tutt'altra parte. Dovremmo forse imparare dai tunisini. Capiremmo come un popolo in difficoltà, in piena rivoluzione sociale e politica, sia in grado di ospitare e sfamare alle porte del deserto i profughi in fuga dal disastro libico. Una massa che cresce di giorno in giorno e che ha ormai superato 160 mila persone.
Il traballante governo di Tunisi è riuscito dove l'Italia ha dimostrato grande disorganizzazione. La pessima figura davanti al Maghreb e all'Europa non è dovuta soltanto alle promesse fantasiose del presidente del Consiglio. Ma a una strategia voluta dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che ha riempito il Sud Italia di immigrati irregolari. E ha portato alla crisi i rapporti tra la Lega e Berlusconi in persona. Il primo sintomo risale a qualche giorno fa: le dimissioni del sottosegretario al ministero dell'Interno, Alfredo Mantovano, che con Umberto Bossi e Gianfranco Fini ha firmato l'omonima legge sull'immigrazione. "Quello che abbiamo visto a Lampedusa e nel Sud fino a questa settimana è stato gestito direttamente dal ministro dell'Interno", confermano a "l'Espresso" alcuni funzionari del Viminale. A cominciare dall'allestimento dei campi di assistenza. I vigili del fuoco sono stati inviati in Puglia e in Sicilia a montare le tendopoli, sguarnendo di uomini alcuni importanti comandi regionali come quello di Roma.
L'intervento della Croce rossa è limitato all'aspetto sanitario. Le procedure di identificazione e di vigilanza sono finite per giorni nella confusione più totale. Con la farsa delle fughe in massa: "Se queste persone devono essere lasciate libere, tanto valeva identificarle e dare loro un permesso provvisorio", dice un sottufficiale di un reparto mobile della polizia, mandato di rinforzo in Puglia. Per l'Italia non sarebbe la prima volta. Basta andare a rileggersi le cronache dell'inverno tra il 1998 e il '99, quando almeno cinquantamila profughi kosovari sbarcarono in Puglia per sfuggire alla pulizia etnica della Serbia di Slobodan Milosevic.
Il premier di allora, Massimo D'Alema, affidò la gestione al sottosegretario Franco Barberi che mobilitò la Protezione civile. "I profughi ottenevano subito un permesso di soggiorno temporaneo", spiega uno dei responsabili di quell'operazione: "Non furono montate tendopoli. L'emergenza iniziale venne affrontata prendendo in affitto i campeggi e affidando la loro gestione ai volontari delle associazioni e delle parrocchie. Molti kosovari proseguirono il viaggio. Andavano in Germania o in Svizzera. Finita la crisi, la maggior parte se ne tornò in Kosovo".
Una soluzione, quella dei permessi temporanei, che alla fine Bossi è stato costretto ad accettare sull'onda delle figuracce di Berlusconi e Maroni a Tunisi. Ma non si poteva fare subito? "� evidente che Maroni non si è comportato da ministro di tutti gli italiani", commenta Paola La Rosa, avvocato e volontaria a Lampedusa: "Si è comportato da ministro del Nord e ha costretto migliaia di migranti, noi lampedusani e tutta l'isola a sopportare la vergogna che abbiamo visto. Ecco perché hanno ritardato i trasferimenti. I tunisini non dovevano arrivare nelle regioni dove la Lega e Maroni prendono voti". Sarebbe stata una grande occasione per mettere alla prova la presunta efficienza del federalismo verde. Le norme che avrebbero consentito l'identificazione e la regolarizzazione temporanea già esistono. Sono contenute nell'articolo 20 del Testo unico delle leggi sull'immigrazione. Norme imposte dalla direttiva europea attuata in Italia con il decreto legislativo numero 85 del 7 aprile 2003, quando al governo c'era sempre Berlusconi. "Di questa normativa fingono di non sapere sia gli Stati dell'Unione Europea, sia i loro organismi", dice Gianfranco Schiavone, consigliere dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione: "Questo genera una situazione di grave confusione, foriera di reazioni xenofobe abilmente sfruttate". Un po' quello che sta accadendo in Italia con la Lega. E in Francia con il Fronte nazionale di Marine Le Pen che erode consensi al presidente Nicolas Sarkozy. Proprio a Nizza, Sarkozy si gioca parte della sua reputazione con l'amico ex ministro e ora sindaco della città, Christian Estrosi. Il piano di Estrosi è un déjà vu: accuse di inefficienza alla magistratura, 624 telecamere montate ovunque, 355 poliziotti locali. Ma nemmeno Nizza è riuscita a fermare le migliaia di tunisini entrati illegalmente dall'Italia.
Il permesso temporaneo avrebbe consentito loro di raggiungere tranquillamente i familiari, cercare eventualmente lavoro, vivere senza nascondersi. Il caos provocato dai no affidati dalla Lega al ministro Maroni rischiano invece di alimentare il solito mercato nero: quello del caporalato, dei tuguri, degli impieghi stagionali senza garanzie. "Le norme", spiega Schiavone, "sono state elaborate proprio allo scopo di gestire flussi massicci di persone che fuggono da una situazione di grave instabilità. Persone il cui rimpatrio in condizioni stabili e sicure risulta momentaneamente impossibile. Inoltre il regime della protezione internazionale consentirebbe a ogni Stato dell'Ue di accogliere una quota. Il governo italiano invece si lamenta di essere stato lasciato solo da Bruxelles: perché non chiede ufficialmente di attivare ciò che Bruxelles potrebbe fare?". Lo stesso vale per la Francia.
Il piano immigrazione di Silvio Berlusconi esce così demolito dalla caduta dei due regimi che lo sostenevano: Ben Ali in Tunisia, dove il 24 luglio si terranno le elezioni e Muammar Gheddafi in Libia, dove la rivolta è diventata guerra. "I migranti finora sbarcati non vogliono fermarsi in Italia", conferma Abbes Abbes, 49 anni, presidente tunisino del Tribunale dell'immigrato a Milano: "Tutti sanno che qui di lavoro ce n'è poco". Eppure qualcosa dev'essere saltato nelle previsioni del governo italiano. Nei giorni scorsi Berlusconi e Maroni hanno chiuso le procedure per far entrare altri centomila stranieri. Proprio mentre promettevano senza successo di rimpatriare migliaia di tunisini già in Italia.



Ventimiglia, ucciso a calci e pugni per aver difeso il figlio: fermati quattro romeni
AdnKronos 10 aprile 2011
Quattro romeni sono stati fermati per l'omicidio dell'uomo di 53 anni morto dopo essere stato violentemente picchiato a Stazione Torri, frazione di Ventimiglia, la notte scorsa tra l'una e le due. Secondo una prima ricostruzione, l'uomo era sceso in strada per difendere il figlio coinvolto in una rissa, dopo che aveva sentito urla e schiamazzi a pochi metri da casa.
L'accusa nei confronti dei quattro fermati al termine delle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Imperia, dagli agenti del commissariato di Ventimiglia in collaborazione con la locale compagnia dei carabinieri, è di omicidio preterintenzionale. Si tratta di M.M.C., 32 anni, M. A. B., 22 anni, M.A. 19 anni e M.A.S., 36 anni. Sembra che a scatenare la rissa tra una decina di italiani e una decina di romeni sia stato un motivo banale.
Tutto sarebbe nato perché uno dei ragazzi romeni voleva accarezzare il cane di un ragazzo dell'altro gruppo. Dopo un primo scontro, che si è concluso senza nessun ferito, ne è scaturito un altro. A quel punto Walter Allavena, 53 anni, sceso in strada per difendere il figlio e sedare la rissa, è stato picchiato, è caduto a terra ed è morto. L'uomo è stato rapidamente soccorso, ma non c'è stato niente da fare. Sarà l'autopsia a stabilire le cause della morte.



"Siamo invasi dagli stranieri ma continueremo ad essere aperti"
La Stampa 11 aprile 2011
Grazia Longo
Da città di frontiera abituata a gestire le emergenze, Ventimiglia ieri si è scoperta a fare i conti con la banalità del male. La morte assurda di Walter Allavena, certo. Ma non solo. La firma romena di un delitto che per modi e violenza rievoca atmosfere arcaiche, molto distanti dalla pietas del mondo civile.
Atmosfere che smuovono la paura dello sconosciuto, dello straniero, del diverso. La comunità romena è quasi inesistente – 200 persone su quasi 30 mila residenti – ma ha comunque un volto non italiano. Come le centinaia di tunisini che premono alla frontiera in cerca di fortuna, ma che intanto restano qui. In questo scampolo di costa sul mare, che con le sue serre di garofani e le tante opportunità commerciali, negli Anni 50 attirò ondate di calabresi e siciliani. I primi, oggi, sono oltre 7 mila, gli altri 4 mila. Adesso è il tempo dei tunisini, ma è un’altra storia. La macchina organizzativa messa a punto dal sindaco Gaetano Scullino, in collaborazione con la Croce Rossa, è impeccabile. Il centro di accoglienza nell’ex caserma dei vigili del fuoco è il biglietto da visita di una città che conosce il significato di parole come solidarietà ed efficienza.
Eppure non basta. Tanto da spingere il primo cittadino, che milita nelle fila del Pdl, a prendere il coraggio a quattro mani e a criticare la scelta del governo a proposito del permesso di soggiorno temporaneo e del rapporto con gli altri Stati dell’Unione europea. «Stiamo sbagliando – esordisce Scullino -: invece di risolvere il problema, lo aggraviamo molto di più. L’Italia deve raggiungere un’intesa con le altre nazioni. Il patto di Schengen deve costituire una risorsa, con le minacce non si va da nessuna parte. E neppure con l’escamotage del permesso provvisorio: gli altri Stati la vedono come una furbata all’italiana». Sindaco, ma che fa: si mette contro il suo partito? «Quando ci vuole, ci vuole. Ventimiglia ha una tradizione collaudata di città di frontiera: abbiamo 8 valichi, da noi si può andare dappertutto. Siamo in grado di affrontare crisi ed emergenze, come abbiamo dimostrato anche nel 2000 con i curdi. Però stavolta è un’altra storia. Stavolta, il volontariato e lo spirito umanitario non sono sufficienti. Il governo deve coinvolgere gli altri Stati europei. Soli non possiamo farcela».
Di natura estemporanea, «per quanto inaudito e incomprensibile invece l’omicidio dell’altra notte, secondo Scullino. «Come sindaco lo posso dire ad alta voce: non esistono problemi di integrazione con i romeni. Si è trattato di un caso isolato, terribile e sconvolgente, ma isolato». A conferma di quanto sostenuto, il sindaco precisa: «Stamattina (ieri per chi legge, ndr) sono andato a casa di Walter per abbracciare i suoi cari. Beh, poco dopo ho incrociato vicino alla loro casa alcuni romeni che si sono messi a piangere a dirotto. Costernati per quanto era accaduto e per l’immagine negativa che avrebbero avuto tutti quanti. Sarebbe davvero ingiusto amplificare il gesto di un gruppo di delinquenti».
L’amarezza e lo sconforto sono, tuttavia, grandi. «Sono episodi che pensi accadano solo altrove, e invece poi succedono proprio nella tua città. Mi sento proprio amareggiato. Anche perché conoscevo Walter: era davvero una brava persona, sempre disponibile, tranquillo. Impegnato nel sociale e per la sua comunità». Il sindaco sottolinea come la comunità romena viva da anni in città e spesso la domenica si riunisca in un’area sportiva a Calvo, paese a pochi chilometri da Torri, il borgo dove sabato notte si è consumata l’aggressione mortale. «Sono inseriti - conclude - lavorano, ma spesso bevono e questo è un problema, perché diventano violenti, ma fatti così gravi non si erano mai verificati. Ho intensificato anche l’attività della polizia municipale, che controlla a tappeto i bar frequentati dai romeni. Il guaio è che acquistano l’alcol nei grandi magazzini e quindi è difficile beccarli».
Da un ostacolo difficile da superare, a una piaga sociale di dimensioni troppo grandi. Nonostante la buona volontà di chi vive a Ventimiglia. «Ogni giorno al centro di accoglienza lavorano 35 persone di cui la maggior parte sono volontari – sottolinea il presidente della Croce Rossa provinciale, Vincenzo Palmero -. La struttura può ospitare massimo 200 persone, ma ogni giorno arrivano nuovi profughi con i treni delle 19,45 e delle 23,30. L’80% degli extracomunitari è senza documenti, molti scappano e cercano di superare la frontiera. Riuscendoci spesso. Altri attendono il permesso di soggiorno temporaneo, altri ancora si confondono nei paesi dell’entroterra alla ricerca di un lavoro in nero. Per Ventimiglia sono giorni duri, con questo delitto poi è ancora peggio. Ma siamo gente che non demorde, che combatte e si impegna con l’anima».
Finora non si sono registrati episodi preoccupanti, ma come racconta il dirigente della polizia di frontiera Pierpaolo Fanzone «gli stessi nordafricani sono confusi, è evidente che non sanno cosa li attende. Per ora la situazione è sotto controllo, vedremo cosa succederà nei prossimi giorni». Il sindaco, intanto, sta valutando se proclamare il lutto cittadino per Walter Allavena. «Penso a qualcosa di semplice – dice – che attiri poco l’attenzione. Abbiamo già tanti problemi». Quei problemi che, secondo il parroco Don Jeejo, «occorre affrontare con fiducia e altruismo».
A sentirlo dire da lui fa un certo effetto, e non solo perché la chiesa è quella che si affaccia sulla piazza dov’è stato massacrato a sassate Walter Allavena. Il nome del sacerdote è esotico, perché tali sono le sue origini. Don Jeejo è di origine filippina. Una realtà etnica poco presente a Ventimiglia, ma sufficiente a delinearne i connotati. A differenza di altri centri omologhi, questo porto di frontiera ha amalgamato nel suo centro storico non tanto extracomunitari - la popolazione più numerosa è quella equadoregna, ma supera di poco i 500 residenti - quanto immigrati italiani. Chi si spinge verso la parte alta, quella antica, fin sulla piazza della Cattedrale, avrà una sorpresa. Dal sapore tutto italiano: entri in uno dei bar sui bordi della piazza e fai un salto indietro di mezzo secolo. Altro che accenti del Nord Africa o dell’Est europeo.
Qui si sente parlare il dialetto calabrese. Quello fitto fitto, un tuffo al cuore per chi è nato in quelle terre. Ma che appare quasi un affronto a chi sogna un Paese dove poter lavorare e crescere i propri figli e si scontra con un mare di difficoltà. «Ventimiglia è terremotata dall’esodo dei tunisini - conclude il sindaco -: proseguiremo a impegnarci come abbiamo sempre fatto. Siamo una città in grado di attirare i 9 mila italiani che abitano a Montecarlo e non possono fare a meno di venire ad acquistare i prodotti italiani da noi. Sappiamo fare tanto, ma non possiamo essere abbandonati. La tragedia causata dai romeni possiamo affrontarla, il resto no».



Flussi, stranieri metà dei datori
Il Sole 24 Ore 11 aprile 2011
Leonard Berberi Francesca Padula
La "gara" si è trasferita in prefettura. Milano, Modena e Roma sono partite per prime, Napoli ha iniziato la convocazione dei vincitori venerdi scorso. Gli Sportelli unici di Bari e Brescia sono ai nastri di partenza, Torino nelle prossime settimane.
Cosi entra nel vivo il secondo tempo dei decreto flussi per 1'assunzione di lavoratori extra-comunitari. Un iter che va avanti - nonostante 1'emergenza umanitaria con 1'ondata di sbarchi dal Maghreb - nell'ambito del tetto quantitativo stabilito a fine 2010 per gli ingressi regolari di colf, badaniti, e lavoratori subordinati non stagionali. Ribattezzato finora "lotteria" per il peso delia casualità nel grande divario tra posti disponibili e domande - per 83mila ingressi effettivi (più 15mila conversioni) da dicembre sono arrivate 403mila domande - o "gara di velocità" visto che le prenotazioni esauriscono le assunzioni in pochi secondi.
Ora con una caratteristica inedita: 1'adesione massiccia di quasi 200mila stranieri regolarmente residenti in Italia in veste di datori di lavoro. Nel click day 1, destinato ai paesi riservatari, ben 159mila datori stranieri hanno quasi raggiunto i 172mila italiani. Dall'Afghanistan allo Zimbabwe, hanno risposto all'appello 182 nazionalità: chi con una sola richiesta (come la Corea dei Nord), molti con centinaia di tentativi fino al record di richieste per "sistemare" i connazionali (regolarizzando quelli già qui o facendo arrivare per la prima volta parenti e amici) di Marocco, Bangladesh, India, Pakistan ed Egitto.
Il sorpasso gli stranieri se lo sono aggiudicati di un soffio - in base ai dati dei Viminale elaborati dal Sole 24 Ore - nel click day 2 riservato al lavoro domestico da paesi senza accordi in materia migratoria, quando quasi un terzo delle richieste totali è arrivata da datori della Cina, seguiti da quelli Costa d'Avorio ed Ecuador.
Sorpresa? In realtà un'avvisaglia c'era già nella sanatoria 2009 per colf e badanti, quando i datori con nazionalità non italiana erano stati il 13%. Ma è la stessa legge Bossi-Fini a rendere possibile questa trasformazione mettendo sullo stesso piano gli italiani e gli stranieri titolari di un regolare permesso e in possesso degli altri requisiti (reddito adeguato e abitazione idónea).
Alla fine, se tutto andrà bene, ce la fará solo uno su quattro. Anche quest'anno velocità e buona sorte contano, ma la chance dipende anche dalle quote assegnate a ogni nazionalità: la probabilità di successo più elevata gioca a favore della Moldavia (saranno accolte più di 54 domande su 100), dell'Algeria (47) e dell'Egitto (30).
E dipende anche da dove la richiesta è partita. Sarà più fortunato chi l'avrà inserita nel Sud ltalia. Perché se al Nord sono state presentate oltre sei domande su dieci, solo il 15,8% riceverà 1'ok. Nel Meridione, invece, ci sono stati meno invii telematici, ma quasi uno su tre avrà esito positivo.
A tracciare una mappa geografica dell'ultimo decreto flussi è stata la Fondazione Leone Moressa di Mestre. Per il bilancio finale bisogna ancora aspettare perché il ministero del Lavoro deve ancora assegnare oltre 10mila quote. La Lombardia è la regione da dove sono partite più domande: poco più di 116 mila, quasi un terzo del totale. E anche se le è stata attribuita la quota d'ingresso più alta solo 16 invii ogni cento saranno accolti. Il discorso si aggrava per Emilia Romagna (entraranno poco meno di 8 ogni cento richieste) e Veneto (4per cento).
L'unica eccezione, al Nord, è il Piemonte: riceverà 1'ok il 34% delle domande. Andrà molto meglio a chi ha inoltrato la richiesta in Puglia (62,5% il tasso di esito positivo), Lazio e Marche (circa il 40 per cento).
A livello provinciale, a Roma e Milano è stato attribuito il maggior numero di quote (rispettivamente 13 mila e 9 mila). Seguono Torino, Brescia e Bari. Ma saranno Benevento, Avellino, Vibo Valentia e Brindisi le realtà con alti livelli di accettazione: oltre 7 richieste su dieci andranno a buon fine.
Questo decreto flussi, secondo la fondazione, produce anche effetti curiosi. «Ad alcune regioni sono state attribuite in proporzione più quote rispetto alla richiesta di ingressi espressa dal territorio stesso», spiega Valeria Benvenuti delia Fondazione. Come nel Lazio, dove le domande ammontano al 9,5% sul totale nazionale, ma le quote riservate pesano per il 17,6%.
«Le cifre evidenziano il gap che continua ad esistere tra le domande presentate per lavoro non stagionale e le quote ripartite nel territorio - prosegue -. È chiaro che questo tipo di decreto flussi dovrà essere ripensato. Introducendo soprattutto una maggiore flessibilità delle quote e migliorando 1'incontro tra domanda e offerta d'impiego».



«Ho anche pagato un connazionale»
Il Sole 24 Ore 11 aprile 2011
Fr. Mi.
Nel via vai frenetico di via Paolo Sarpi, la chinatown milanese, L.M., 33enne proveniente da Wenzhou (Cina) si mescola e si confonde. «Sono arrivata in Italia tre anni fa - racconta dopo essersi assicurata che la sua testimonianza resterà anonima - e sono clandestina. Ma ho fatto richiesta di regolarizzazione con il decreto flussi e spero di ottenere il nullaosta». Fino ad allora, L.M. vivrà confinata nel quartiere cinese. «Qui mi sento al sicuro», dice. A Milano lavora da quando è arrivata in Italia con la sua famiglia. Hanno
raggiunto altri parenti, che però poi hanno scelto di trasferirsi in Toscana. «Anch'io voglio vedere il resto dell'Italia - racconta - ma aspetto di avere i documenti». A inoltrare 1'istanza al ministero è stato un suo conoscente, che ha accettato di assumerla come colf, «ma il mio vero lavoro - sottolinea con orgoglio - è quello di sarta». L.M. non nasconde la delusione raccontando del suo arrivo in Italia: «Ci avevano detto che c'erano posti di lavoro per noi, che le imprese italiane cercavano manodopera esperta». Invece quando è arrivata l'hanno messo a lavorare nel retrobottega di un piccolo negozio di tessuti.
E' grata al suo connazionale che ha accettato di "fingere" di assumerla, anche se per farlo si è fatto pagare (ma preferisce non dire quanto). La sua pratica è stata inviata al ministero direttamente dal "datore" e questo le dà buone chance. «Mi hanno spiegato - dice - che chi si è rivolto a un patronato rischia perché in quel caso i tempi di invio delle pratiche sono più lunghi». L.M. si aspetta una risposta quanto prima. «Ogni mattina - racconta - mi sveglio e spero che il mio datore mi chiami per dirmi che è tutto a posto, anche se so che con i decreti precedenti sono passati mesi prima che gli stranieri abbiano avuto una risposta».



Assunto come colf restera ambulante
Il Sole 24 Ore 11 aprile 2011
Fr. Mi.
Dopo cinque anni di clandestinità, L. S., 29enne del Bangladesh, sogna un documento che gli permetta di non aver più paura di un'espulsione. Lavora a Roma come ambulante e trema ogni volta che vede un'auto della polizia. «Ho ricevuto il foglio di via nel 2008 - racconta - e poi nel 2009 ho fatto domanda per l'emersione, ma la pratica è stata bloccata». Proprio nei giorni scorsi il Consiglio di stato ha accolto il ricorso di un altro straniero stabilendo che non sono esclusi dalla procedura di emersione gli immigrati condannati per non aver rispettato l'espulsione. Dopo aver tentato invano la strada della sanatoria per colf e badanti, adesso L. S. ci riprova. «La domanda l'ha fatta mio zio - spiega - che vive a Modena da molti anni. Ha chiesto di assumermi come colf, ma in realtà resterò a Roma e continuerò a fare l'ambulante». Quella di L.S. è una storia emblematica che fa emergere molte delle incongruenze della normativa sull'immigrazione: da una parte la procedura di emersione destinata ai clandestini in Italia, dall'altra il decreto flussi che invece prevede che il lavoratore chiamato dal datore sia ancora nel proprio paese d'origine al momento della richiesta. L.S. ha lasciato il Bangladesh e la sua famiglia cinque anni fa e attraverso la sanatoria si è "autodenunciato" come clandestino. «Spero che questo non mi penalizzi - continua - perché è la mia ultima Speranza. Sono stanco di non avere i documenti, di dover sempre stare attento. Sono stanco di avere paura. Voglio una vita normale, fare il mio lavoro e avere una famiglia». La sua istanza, presentata il giorno del primo click day dallo zio-datore, è una delle 50.916 riferite a lavoratori dei Bangladesh. Di queste, 21.636 sono state presentate da connazionali, proprio come nel caso di L. S.



Flussi e click day, un sistema alle corde
Il Sole 24 Ore 11 aprile 2011
La famiglia è marocchina, anche la colf lo è. È la religione del lavoro che unisce tutti gli immigrati, Cristiani o i musulmani. Un solo comandamento: «Arriva, lavora e appena puoi dai un permesso di soggiorno regolare a un çonnazionale». Succede proprio in questi giorni, lontano dalle coste, dall'emergenza umanitaria, degli sbarchi dal Maghreb. Succede nelle prefetture d'Italia dove sono iniziate le convocazioni dei datori di lavoro che tra fine gennaio e i primi di febbraio hanno cliccato (veloce, veloce) per aggiudicarsi uno degli 83mila posti di lavoro in palio. Solita gara di velocità, solita lotteria a cui concorrono oltre 400mila domande. Ma quest'anno con un inedito ed emblematico particolare: l'esercito dei datori di lavoro stranieri ha quasi eguagliato i colleghi italiani il primo giorno e lo ha addirittura sorpassato durante il secondo click day. Un'assunzione, quella che andrà in porto, assolutamente regolare per la Bossi-Fini, visto che è la stessa legge a mettere sullo stesso piano i Cittadini italiani e gli stranieri con un permesso regolare, quando anche questi ultimi hanno la capacità economica (reddito doppio a quello di chi si vuole assumere) e una casa adeguata. Promossi a datori di lavoro.



NESSUNO LI VUOLE
Quotidiano Nazionale 11 aprile 2011
Roberto Pazzi
IL SOTTOSEGRETARIO Mantovano si è dimesso, qualche giorno fa (salvo ripensarci nelle ultime ore), pur di non accettare nelle Puglie nuovi emigranti da Lampedusa, porta dell'Africa e delle nostre paure. Il sindaco di Roma, Alemanno, è corso dal premier per assicurarsi che Roma sia blindata contro ogni possibile strisciante assedio dei clandestini. Cota se l'è presa col sindaco di Torino — che ha però ritirato la disponibilità — e, lesto a gestire ogni paura di pancia, ha dichiarato l'impermeabilità del Piemonte da lui govemato. La nipote di Mussolini — una gelosia fra dame di rango e di stirpe la divora per la première dame? — ha invitato Carla Bruni a ospitare gli emigranti magrebini nei suoi castelli. Un ministro della Repubblica intanto sta passando alla cronaca, non certo alla Storia, per il suo « fora da i bail», il meditato aforisma che testimonia quanto intimamente ispirata al Cristianesimo sia l'anima del ricco popolo padano.
«E PIU FACILE che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno dei cieli»: ascoltare le orrende parole di Bossi, ci riconferma nella fede che fossero parole di Dio queste del Cristo. Ma, per le imprevedibili implicazioni, la più suggestiva delle reazioni fra ministri e govematori — scolaretti intenti a copiare la soluzione del problema spiando il quaderno del compagn — pare quella di Renata Polverini. E' colei che, nel ballottaggio con la Bonino, aveva fatto intravedere un miraggio, nel caso Emma vincesse: una donna icona della laicità, aperta alle libertà civili che l'Europa ci chiede da tanto tempo di rispettare, in condominio col Papa al governo della città eterna... Renata infatti, non negando il Lazio all'accoglienza — come potrebbe la regione che ospita il Vicario di Cristo? —parrebbe però limitare i centri di assistenza, in Roma, soltanto agli istituti religiosi. Che magico paradosso la non dubitabile buona fede delia signora realizzerebbe! Compirebbe il sogno di molti atei e protestatari dei privilegi del Vaticano, a cominciare dalla mancata tassa dell'Ici sulle proprietà. Ma, se la richiesta della pia governante del Lazio venisse accolta, la fantasia volerebbe a evocare una piazza San Pietro, il Primo maggio, quando si proclamerà una beatitudine polacca, affollata anche di libici, etiopici, eritrei, tunisini, confusi fra i canti della fede cattolica, pronti a inginocchiarsi, a mezzogiorno, per la preghiera ad Allah... La variopinta visione dei sederi musulmani per aria, confusa a quella di suore, preti, Cardinali, e dei tanti oranti polacchi, dal rosario in mano, dimostra ancora una volta come la realtà storica possa superare il più surreale dei romanzi.



Immigrazione: Ventimiglia; giovani FN bloccano valico
Ansa 10 aprile 2011
VENTIMIGLIA (IMPERIA), 10 APR - Alcune decine di militanti di Forza Nuova hanno bloccato il traffico diretto in Francia, presso il valico di Ponte San Ludovico, per una decina di minuti, per protestare contro l'arrivo degli immigrati e contro il rilascio dei permessi di soggiorno temporanei. Nell'occasione e' stato aperto uno striscione di 10 metri con la scritta: ''Maroni e clandestini, fuori dalle palle", acceso fumogeni e distribuito volantini in italiano e in francese. Al presidio ha preso parte anche una delegazione del Fronte nazionale di Nizza e Marsiglia.



Lettere choc alla Padania
Repubblica.it, 11 aprile 2011
“Ma vadano a fare in culo immigrati, profughi, clandestini e tutto il governo!” Il canale di Sicilia ha appena inghiottito altri 250 cristi, morti senza facce né nomi, e a sfogliare le pagine delle lettere della Padania non si crede ai propri occhi. Per giorni e giorni una distesa di missive senza pietà: “Non riesco ad addolorarmi troppo per le continue perdite di vite umane” scrive un militante sabato 9 aprile. E il giornale di Bossi gliela pubblica senza fiatare.
Giovedì 7 aprile, all’indomani della tragedia: “Sarebbe ora di chiamare questa gente con il loro vero nome: delinquenti comuni”. Oppure: “Quando sento l’insistente sproloquio sulla integrazione della invasione nord africana mi vengono disfunzioni ormonali di giramenti di zibedei”. Ci sono poi razzismi esibiti senza pudori: “Cosa vengono a cercare in Italia questi spavaldi giovani dai modi così arroganti e baldanzosi?” chiede Silvana da Milano. E trova subito la risposta: “Non il lavoro, o perlomeno non quello onesto”. Sarcasmi muscolari: “Assistere alle scene che si stanno svolgendo a Lampedusa fa montare il sangue alla testa. Ma come? Sono venuti qua di loro spontanea volontà e poi osano anche lamentarsi perché non trovano l’hotel a 5 stelle? Si lamentano perché non hanno camere confortevoli e devono sostare al sole, come se non fossero abituati al sole”. Non c’è compassione. “Siamo uno Stato di merda”, scrive Lucio. “Serve la cattiveria” gli fa eco Marco. “Mano pesante, sorveglianza armata, con l’ordine di fare fuoco”. “I nostri cuori sono troppo pavidi” denuncia Davide. Cinismo da bar Sport: “Provate a pensare cosa ci costano questi sbarchi di clandestini: quanti aumenti delle pensioni minime”.
Che dire? Molti di questi lumbard hanno (o hanno avuto) un parente emigrato in Svizzera, dove negli anni Settanta si celebravano referendum anti-stranieri. Non era facile essere un sau-tschingg, un porco-italiano. Li difese lo scrittore Max Frisch, l’autore di Homo Faber, con una frase rimasta celebre: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”.



«Clandestini invasori» Quando le stesse parole diventano razzismo
l'Unità, 10 aprile 2011
Igiaba Scego
Emergenza, orda, valanga, invasione, assalto, paura.
Queste alcune delle parole usate nei media questi giorni per descrivere la situazione nell'isola siciliana diLampedusa. Tutta la vicenda è stata raccontata sempre da una sola prospettiva quella del paese di arrivo.
Ho notato infatti che nella narrazione è sempre assente la voce dei migrantio dei media non ufficiali. Il discorso
mediatico è sempre diretto da un “Noi” che racconta un “Loro”.
Il “Loro” è considerato dal “Noi” un problema da eliminare ad ogni costo.Conosciamo questo “Loro” attraverso
immagini sempre uguali a se stesse: li vediamo sui barconi, in fila sotto lo sguardo vigile diun poliziotto
con la mascherina (mascherina che ci rimanda a possibili malattie) o mentre manifestano per un tozzo di pane e un po' di acqua. Siamo abituati ormai ai primi piani stretti che deformano questi volti stanchi e frustrati.
I migranti sono equiparati nei servizi Tv ad animali: puzzano, ringhiano, si agitano. I giovani tunisini si trasformano davanti a nostri occhi in non persone. Non hanno un nome, una età o un sentimento.
Questa disumanizzazione che parte dalle immagini culmina nell'uso della parola “clandestino”. Questa parola disumanizza, non ci fa tener conto delle mille storie individuali, della situazione di partenza da cui il migrante arriva. Cancella tutto e ci fa venire il dubbio che questo qualcuno che arriva forse è un delinquente. Il clandestino è un non essere, non ha emozioni, non ha voce, non pensa e in definitiva anche se respira non vive. È diverso dal “Noi” e deve essere relegato dove non può fare danni. La figura del clandestino ricorda molto da vicino la categoria degli atavici di Lombrosiana memoria, ossia quelle persone che il determinismo scientifico (e razzista) del XIX secolo considerava assassini nati. I media inoltre hanno creato ad arte la distinzione tra migranti buoni e migranti cattivi, da una parte queste non persone, i clandestini e dall'altra i poveri cristi dei rifugiati che scappano dalle guerre.
Purtroppo molta sinistra è caduta nella trappola di questa cattiva pratica ideata dal centrodestra e quasi
tutti, in buona fede, hanno cominciato a dividere i buoni dai cattivi, i clandestini dai rifugiati. Certi i somali,
gli eritrei, gli etiopi sono profughi, provengono daun Corno D'Africa infiammato dai conflitti e hanno
davvero bisogno di aiuto. Ma anche i tunisini hanno davvero bisogno d'aiuto. Dobbiamo ricordare che il Nord Africa sta vivendo un momento molto delicato della  sua storia e che le dittature che hanno esasperato queste popolazioni sono state appoggiate (e rimpinguate) dall'Occidente intero. Non è un caso che Bettino Craxi sia sepolto proprio in Tunisia. Ben Alì ha purtroppo potuto soffocare la sua gente per anni anche con il nostro aiuto.
Servirebbe un piano Marshall per creare lavoro in Tunisia dare una spinta al turismo e trovare una soluzione
comune. Questo fermerebbe la fuga dei giovani. Ma nessuno per ora ci sta pensando. Ma queste colpe
“europee” (e italiane in particolare) non sono illuminate a sufficienza dai media né tantomeno dalla politica. Non creano opinione. Non portano a provvedimenti.Inoltre, a mio parere, i media non hanno messo in luce nemmeno il parallelismo che c'è tra i giovani tunisini e i giovani italiani. Mi è capitato di pensarci rileggendo giorni fa Vivo Altrove di Claudia Cucchiarato, giovane giornalista italiana residente in Spagna Claudia ha raccolto le storie di alcuni tra le decine di migliaia di giovani che negli ultimi anni hanno deciso di abbandonare l'Italia. Giovani stanchi del precariato, stanchi di non trovare lavoro, stanchi di non vedersi valorizzati. Noretta, Angela, Marco, Roberto, Claudia Cucchiarato stessa hanno trovato altrove la loro vita e ora sono felici di aver riacchiappato il proprio futuro all'estero. Ora questo succede se si ha un passaporto europeo odel cosiddetto primo mondo. Se disgraziatamente non si hanno questi requisiti le cose vanno diversamente. Mi sono chiesta in questi giorni quale sia la differenza traunMarco, cittadino italiano, e un Ahmed, cittadino tunisino, per esempio. Entrambi hanno 20 anni, entrambi hanno sudato sui libri, entrambi amano il rap e Eminem. Perché per alcuni, la gente di Marco, il diritto al viaggio è un diritto acquisito che non si discute e per altri questo diritto non è contemplato? Perché Marco può prendere un aereo, viaggiare pulito e tranquillo, mentre Ahmed deve prendereunbarcone fatiscente e rischiare la vita? Hanno la stessa età, gli stessi sogni, la stessa voglia di futuro. Purtroppo hanno geografie diverse.
Dobbiamo a sinistra riflettere anche su questo... perché qui si decide che paese vogliamo costruire nel futuro, se uno basato sui diritti umani o uno basato sui privilegi per pochi noti.



Cagliari che vuol bene ai migranti. Quando il profugo non è "invasore"
l'Unità, 10 aprile 2011
Chicco Gallus
Fra Cagliari e la Tunisia ci sono duecento chilometri circa. Centotrenta miglia. È una distanza incredibilmente piccola, a vederla sulla carta geografica. È una distanza molto maggiore, quando per percorrerla si fa il giro lungo, quello che passa dai barconi stracarichi che sono approdati a Lampedusa. È la strada che hanno fatto 700 ragazzi tunisini, che adesso sono a Cagliari.
Sono arrivati portati qui da un'altra isola a questa con un traghetto tutto per loro, ma hanno viaggiato nel garage, grande come un hangar e tutto vuoto. Esigenze di sicurezza, comunque meglio, molto meglio che i barconi. Sono sbarcati al porto industriale e poi sono stati portati ad una vecchia caserma dell'Aeronautica, che era quasi inutilizzata da tanto, in città. La caserma è fatta come una caserma, con un muro dove c'è l'ingresso e, quando finisce il muro, una rete con in cima un groviglio di filo spinato. I ragazzi tunisini si sono messi lì alla rete a guardar fuori. I cagliaritani sono passati a vedere. Lo hanno saputo dai giornali e dalla televisione, che erano arrivati i migranti, i profughi, i clandestini, gli invasori, a seconda di chi lo raccontava e di quanto poco gradiva l'arrivo. Solo che poi, passando fuori dalla caserma non è che si capisca esattamente lo status giuridico, e quindi la definizione giusta. Però si capisce bene che sono ragazzi, qualcuno è giovanissimo, e hanno proprio le nostre facce, quelle che avevamo quando partivamo di leva e stavamo per tanti giorni in quegli stessi cortili.
Così è successo che tante persone, di fuori dalla rete si sono avvicinate e hanno chiesto ai ragazzi di cosa avessero bisogno. Qualcuno dei ragazzi parla italiano, qualcuno francese. Comunque ci si capisce abbastanza. Di cosa ha bisogno chi ha da mangiare, ma non si cambia vestiti da giorni? Calze, magliette, mutande, detersivo, shampoo. Sigarette anche, proprio come noi quando avevamo le loro stesse facce. E allora da quella rete, sotto il filo spinato, hanno cominciato a passare tutte queste cose. Una radio, Radiopress, lo ha raccontato. Monica Magro, una cronista della radio, ha avuto l'intuizione di chiedere se avevano filmato il viaggio con i telefonini. Sì, avevano filmato la gioia quando dal barcone hanno incontrato una motovedetta e poi avevano filmato il garage immenso e vuoto del traghetto. È bastato un collegamento bluetooth e adesso quelle immagini sono su Internet.
Tanti hanno chiesto come si potesse fare per dare una mano e come ci si potesse organizzare per aiutare. Adesso c'è un gruppo su Facebook, per organizzare una raccolta di cose di prima necessità. C'è una sede della CGIL, dove si porta tutto. Poi ci sono anche quelli che pensano che non si debba dare nulla e che qui i tunisini non ci dovrebbero stare. E ci sono quelli che invece a vedere questi ragazzi si ricordano quando loro stessi hanno provato cosa vuol dire non avere nulla, durante lo sfollamento, quando Cagliari era stata rasa al suolo dai bombardamenti. I ragazzi tunisini probabilmente non lo sanno, ma tremila anni fa questa città l'hanno fondata, e le hanno dato il nome proprio delle persone che venivano da dove son venuti loro. Di certo non sanno che quella collina dietro i palazzi, che si chiama Tuvixeddu, è una necropoli cartaginese, traforata di tombe dipinte. Che lì riposavano gli antenati dei cagliaritani da questa parte della rete, che probabilmente erano anche i progenitori dei ragazzi tunisini, che stanno dall'altro lato.
Punici, cartaginesi, cagliaritani. Vissuti tanto tempo fa, quando questo braccio di mare, appena duecento chilometri, invece di dividerci, ci univa.



I migranti che arrivani, la «sfida» che portano
Quelle ombre che ci inquietano e ci strappano dall’ombra
Avvenire, 10 aprile 2011
Davide Rondoni
Sono loro, le ombre. Sbucano dalle stazioni, tra i binari e i vagoni. Le trovi lungo viottoli di collina, dove non le aspetti. Lontane ormai da dove dovrebbero stare. Da dove le avevamo recintate. Perché le ombre, si sa, non le puoi rinchiudere. Uomini ombra, dai tratti somatici lontani si aggirano, si mescolano alle ombre che già conoscevamo. Li vedi solitari o a piccoli gruppi. Raminghi. Lo sguardo da fuggiaschi. Traversano l’Italia. Ombre che passano. E poi forse si acquattano, si infrattano. Entrano in muri disabitati. In catapecchie. Le poche che ancora non sono abitate da altre ombre. Da altri uomini ombra che cercano un po’ di luce. Si muovono sparsi, o a piccoli branchi. Li vediamo dalle nostre auto, corrono sui cigli delle strade. Traversano campi, li depredano. Arraffano. Uomini ombra che s’arrangiano. E quando li vediamo, se li incrociamo per un istante, ci viene il dubbio: sono loro le ombre o siamo ormai noi le ombre? Chi è davvero preda dell’ombra? La loro vita rischiosa e animata dall’ansia di cavarsela, di trovare una sistemazione, un espediente per campare o la nostra, avviata come è, per i più, lungo i binari di una acquietata tranquillità? In noi, a vederli, sale una inquietudine.
Comprensibile. E forse più profonda della primaria, immediata inquietudine dovuta alle domande che sorgono sul futuro, sugli sbocchi, sull’esito di questa invasione di ombre. Per noi, per i nostri i figli.
Oltre a questa comprensibile, primaria, naturale inquietudine, ne sorge un’altra.
Un’altra più profonda inquietudine. Ormai, forse, stiamo diventando noi ombre. Ha ormai la consistenza di un’ombra la nostra umanità non più tesa a cercare, non più sollecitata dal bisogno, non più animata dall’avventura – dura e splendida – di vivere. Forse sta diventando un’ombra il nostro cuore.
Mentre il loro, quello degli uomini ombra che sbucano da dietro le massicciate delle ferrovie, da dietro i fossi, da dietro i guard-rail delle autostrade, ecco quel cuore ci pare di vederlo, acceso e intimorito. Rischioso e spavaldo. Quelle ombre che abitano il nostro paesaggio ci stanno costringendo a vedere anche le ombre che abitano la nostra anima. Il loro passaggio furtivo, il loro passo solerte e il loro sguardo braccato ci obbligano a sentire quanta vita in noi è diventata poco più che un’ombra. Quanta vita è diventata una memoria sbiadita. Questi uomini ombra ci stanno costringendo – e se li incontri, quardali negli occhi – a sentire la vita in tutto il suo rilievo, fastoso e drammatico, grandioso e irrisolvibile. Perché tutte le soluzioni possibili per evitare che l’ombra dilaghi non bastano a cancellare l’inquietudine di averne vista anche una sola di queste ombre sui nostri viali, costeggiare i nostri giardini, le piazze o percorrere cauti gli atri delle stazioni. Basta averne vista una sola di queste ombre per sentire di nuovo tutta l’ombra che siamo diventati. Tutta la vita, tutto il cuore ridotto a ombra. Perché il cuore tenuto fuori, al riparo dal dramma della vita, tenuto all’asciutto dal mare aperto del rischio, del possibile naufragio o dell’avventura della ricerca del senso della vita e di una sua maggiore dignità, diventa pian piano un’ombra, una cosa inanimata se non superficialmente. Una pietra su cui lasciamo crescere il poco muschio di emozioni passeggere invece che le esigenze primarie e profonde che lo possono impegnare totalmente. Per questo, pur con le mani che non sanno bene cosa fare, con la inquietudine comprensibile, con la coscienza della responsabilità che ci tocca perché le cose non vadano in malora, diciamo benvenute ombre, aiutateci a strappare la nostra vita dall’ombra.



Francia, da oggi vietato il velo. Ma una donna sfida Sarkozy
l'Unità, 11 aprile 2011
Una giovane donna con il niqab (il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi) ha preso il treno, dalla stazione di Avignone diretta a Parigi, affermando che il divieto del velo islamico negli spazi pubblici è un attentato ai suoi «diritti europei». «Sono stata invitata a prender parte a un programma televisivo a cui andrò e scopro che oggi è l'11 aprile, primo giorno dell'applicazione del nuovo divieto», ha spiegato ai giornalisti Kenza Drider, 32 anni. La legge, ha proseguito, «infrange i miei diritti europei: non posso che difenderli, il che vuol dire difendere la mia libertà di andare e venire e la mia libertà religiosa».
La Francia, con la comunità musulmana più popolosa d'Europa, è stato il primo Paese europeo a vietare il burqa e il niqab. «Secondo questa legge», ha rincarato la dose il marito di Drider, Allal, «mia moglie dovrebbe restare chiusa in casa: vi sembra normale tutto questo? Indossa il velo da 13 anni e non ha mai sconvolto nessuno».
La legge entra in vigore in un momento molto delicato, in cui il presidente Nicolas Sarkozy è accusato di utilizzare l'Islam per riconquistare i voti della destra estrema. Nonostante l'attivismo su più fronti (dalla Libia alla Costa d'Avorio), il tasso di fiducia che i francesi ripongono in Nicolas Sarrkozy continua a scendere. Più di tre francesi su quattro (il 74%) non si fidano del capo dell'Eilseo e due terzi (66%) non hanno alcuna fiducia nel premier, Francois Fillon. Secondo le stime ufficiali, sono circa 2mila le donne che in Francia indossano il velo islamico, su una popolazione musulmana totale stimata tra i 4 e i sei milioni.
Le nuove norme entrano in vigore oggi in tutti i luoghi pubblici della Francia primo Paese europeo ad applicare un divieto di questo tipo. La legge - adottata dal parlamento francese l'11 ottobre 2010 dopo un acceso dibattito - riguarda circa meno di duemila donne, in un paese che, secondo le stime, conta tra i quattro e i sei milioni di persone di fede musulmana. Secondo la normativa, da oggi sarà vietato coprirsi il volto con un velo, un casco o una maschera negli spazi pubblici, che comprendono strade, giardini pubblici, stazioni e negozi, altrimenti si dovrà pagare una multa. Le forze dell'ordine non hanno tuttavia il potere di levare il velo alle persone che si oppongono, ma queste ultime incorreranno in una sanzione massima di 150 euro o in un corso di educazione civica. Gli uomini che obbligheranno una donna a portare il velo da oggi in poi rischiano un anno di prigione e 30mila euro di multa; pena raddoppiata (due anni di prigione e 60mila euro di multa) se la persona è una minorenne. La legge contro il velo entra in vigore mentre islam e laicità sono divenuti argomenti di dibattito politico centrali in Francia, ma soprattutto a un anno dalle presidenziali del 2012 e sul fondo di un nuovo avanzamento del Fronte nazionale di Marine Le Pen.
Nel giugno 2009 il presidente Nicolas Sarkozy aveva dichiarato che il burqa non sarebbe stato «il benvenuto sul territorio della Repubblica francese», vedendo nell'indumento un «segno di asservimento» e non un «problema religioso». Nell'ottobre 2010 la legge è stata nominata dal leader di Al Qaida, Osama Bin Laden, come uno dei motivi per minacciare la Francia di attentati. E oggi una manifestazione contro la legge è programmata davanti alla cattedrale di Notre Dame a Parigi. Sabato la polizia ha arrestato 61 persone che, rispondendo all'appello di associazioni islamiche, hanno partecipato a Parigi a una dimostrazione non autorizzata.



Parte ad Alghero l'Università per Stranieri
algheronotizie.it 11 aprile 2011
ALGHERO - Il prossimo 22 Aprile iniziano le lezioni all’Università per Stranieri di Alghero. Un altro importante traguardo per la città che può ora vantare di essere la quarta sede in Italia ad avere questa istituzione culturale, dopo Perugia, Siena e Reggio Calabria. Il primo gruppo di studenti proviene dalla Germania.
I giovani arrivano ad Alghero grazie alla collaborazione dell’Assessorato regionale del Lavoro che opera a stretto contatto con i circoli dei sardi nel mondo. A seguire arriveranno ad Alghero diversi gruppi di giovani che nel corso dell’estate frequenteranno i corsi di lingua e cultura italiana per stranieri. Ad ottobre è prevista la frequenza da parte di un gruppo di giovani argentini. I contatti da parte della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari sono molteplici in diverse nazioni europee, anche attraverso l’Istituto Dante Alighieri, che si occupa della diffusione della lingua e cultura italiana in Italia e nel mondo. L’Università per Stranieri nasce ad Alghero come diretta emanazione della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari in collaborazione con il Comune di Alghero.
“Alghero è sempre più città della cultura – spiega il Sindaco Marco Tedde - il luogo ideale nel quale avviare le nuove realtà formative come l’Università per Stranieri che generano economia e che vanno ad aggiungersi alla Facoltà di Architettura, attiva in città dal 2002. Alghero avrà presto operativi tre musei, un polo culturale di eccellenza come il Santa Chiara, conta già sul consolidato prestigio del Centro Ricerche di Porto Conte. Questa è la nostra programmazione, è il Piano Strategico della Città di Alghero che nell’asse Alghero Città della Conoscenza indica il tracciato da seguire per avere un ruolo culturale centrale nel Mediterraneo”. L’Università per Stranieri di Alghero è quindi un ulteriore elemento di pregio per arricchire l’offerta della città in chiave turistica in periodi di bassa stagione.
“La città aumenta la sua competitività – sottolinea il Sindaco – incrementando la molteplicità degli elementi capaci di attrarre e motivare i turisti anche lontano dalla stagione estiva. Lo stiamo facendo con la valorizzazione della nostra cultura, della nostra enogastronomia, delle nostre peculiarità storiche. L’Università per Stranieri – evidenzia - si inserisce in questa nostra idea di sviluppo con un ruolo importante”. L’Università per Stranieri ha sede nel prestigioso Centro Storico di Alghero, in Piazza Civica, in un immobile di proprietà comunale di 300 mq. L’Università rappresenta una fonte di ricchezza, è un’azienda che produce valore e distribuisce reddito sul territorio.
Gli effetti sull’economia del territorio, diretti e indiretti sono importanti: beni di consumo e investimenti da parte dell’Università, il reddito spendibile in loco da parte dei dipendenti dell’Ateneo, la domanda di servizi proveniente dagli studenti e dai dipendenti ( dalle attività ristorative ai trasporti) la domanda aggiuntiva di alloggi per docenti e studenti non residenti.







 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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