Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 marzo 2010

Immigrazione: si riapre il duello Fini-Berlusconi
Sulla cittadinanza breve ai bambini nuove scintille tra ex An ed ex Forza Italia
Avvenire, 24-03-2010
DA ROMA GIOVANNI GRASSO
Gianfranco Fini non demorde su immigrazione e cittadinanza. Provocando una spaccatura all'interno del Pdl a pochi giorni dalle elezioni regionali. Fa un certo effetto confrontare le dichiarazioni di ieri del presidente della Camera, che ha parlato a Milano, e quelle del premier, che è intervenuto in teleconferenza a un dibattito in Umbria. Mentre Silvio Berlusconi ha attaccato, ancora una volta, la sinistra che «spalancherebbe le porte agli immigrati extracomunitari», Gianfranco Fini ha osservato: «Dobbiamo essere grati a quelle coppie di immigrati che mettono al mondo figli, altrimenti i livelli di natalità in Italia scenderebbero al di sotto della linea di allarme rosso». Non sono, insomma, solo accenti diversi. Ma proprio due impostazioni culturali di fondo. Destinate a confliggere quando si tratta di tradurle in leggi e provvedimenti. Come la legge sulla cittadinanza. Per Fini, infatti, è giusto ragionare su un tot di anni di residenza prima di concederla. Ma un discorso a parte andrebbe fatto per i bambini: «Per loro, che sono già negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra, è necessario pensare ad un percorso breve per la cittadinanza», altrimenti rischiano di finire in mano a «cattivi maestri». Ma su questa linea arriva subito lo stop di Isabella Bertolini (Pdl, area Forza Italia) relatrice del provvedimento sulla cittadinanza alla Camera: « Niente scorciatone. Siamo contrari all'ipotesi prospettata di Fini di concedere la cittadinanza veloce ai bambini immigrati. La cittadinanza non è un regalo che precede l'integrazione, ma il suggello della stessa». Ignazio La Russa, nel suo non sempre facile ruolo di coordinatore, stavolta si sbilancia: «La posizione di Fini è quella mediana che già in An avevamo condiviso. Mi sembra giusto che i bambini nati in Italia da genitori immigrati regolari possano diventare cittadini italiani». La querelle divampa. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto (ex Forza Italia), analizzando la sconfitta di Sarkozy in Francia, mette in guardia «da posizioni non ben calibrate sull'immigrazione e la cittadinanza» che rischiano di finire «a favore di quella Lega che alcuni esorcizzano».
Cicchitto non fa nomi, ma il bersaglio della sua polemica è Gianfranco Fini. E infatti insorge un fedelissimo del presidente della Camera, Carmelo Briguglio, che ribatte: a far perdere Sarkozy, semmai, è stata «una eccessiva personalizzazione del governo, il giudizio severo sui comportamenti pubblici e privati di Sarkozy da parte degli elettori, un'azione di governo insufficiente sul piano economico e sociale». Che ce l'abbia anche con il presidente del Consiglio italiano?








Finì: cittadinanza breve per i figli degli immigrati
La «sfida» al Pdl: senza gli stranieri sarebbe allarme rosso
Corriere della sera, 24-03-2010
Maurizio Giannattasio
MILANO — Se l'originale è meglio della fotocopia, tanto vale rivolgersi direttamente all'originale. Gianfranco Fini, presidente della Camera, dopo aver frenato sui tempi del presidenzialismo dettati dal premier Silvio Berlusconi, dopo aver criticato l'appiattimento del Pdl su Umberto Bossi, si è rivolto direttamente alla Lega su un tema sensibile come la cittadinanza per gli immi-grati. Ma solo per un nuovo affondo nei riguardi del Pdl.
Quello della cittadinanza è un vecchio pallino del presidente della Camera, ma ieri, alla presentazione del rapporto sulla famiglia del Centro Internazionale Studi Famiglia, il suo pensiero ha conosciuto un'ulteriore evoluzione. «Si può discutere — attacca Fini — sui sette, i dieci o i dodici anni per la cittadinanza degli immigrati adulti ma non lo si può fare per i bambini. Per loro, che sono già negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra, che sentono le stesse canzoni, è necessario pensare ad un percorso breve per la cittadinanza». Sia bambini nati in Italia, sia bambini nati all'estero ma trasferiti in tenera età nel nostro Paese. «Còme si fa - continua il presidente della Camera - a non capire che aspettare i 18 anni per dare la cittadinanza a questi ragazzi c'è il rischio che quando avranno dieci o dodici anni possano raccogliere le prediche di qualche cattivo maestro?».
La sala applaude. Ma l'applauso più forte arriva quando Fini insiste sul concetto di patria. «Vogliamo negare loro il diritto di sentirsi orgogliosamente italiani, soltanto perché, nel secolo scorso, vigeva la legge del sangue e del suolo? Il concetto di patria va ripensato anche in una logica multietnica e multiculturale». Due parole bandite dal vocabolario della Lega. Ma che nel ragionamento di Fini hanno una consequenzialità logica stringente, «perché dobbiamo includere nella nostra società anche coloro che amano la loro patria ma l'Italia non è la terra dei loro Padri». Fini non si ferma. E siccome il tema del convegno è il welfare per la famiglie e il costo dei figli, aggiunge': «Senza gli immigrati saremmo in una condizione da allarme rosso per la natalità e saremmo molto più bassi della media dei Paesi occidentali che sono agli ultimi
posti». D'altra parte, i dati pubblicati nel «rapporto famiglia» del 2009, sembrano dare ragione al presidente della Camera. Il 53 per cento delle famiglie italiane non ha figli e il 35 per cento di quelli che hanno figli fanno fatica ad arrivare a fine mese a causa delle difficoltà economiche e della crisi.
La Lega preferisce non replicare. Ma il bersaglio della terza carica dello Stato è duplice perché il relatore del testo di legge sulla cittadinanza in discussione al Parlamento è Isabella Bartolini della direzione nazionale del Pdl. E la sua
chiusura è secca. «Siamo contrari all'ipotesi prospettata dal presidente Fini di concedere la cittadinanza veloce ai bambini immigrati. La cittadinanza non è una scorciatoia, non è un regalo che precede l'integrazione, ma il suggello della stessa». E aggiunge: «L'acquisizione dello status di cittadino non può essere automatico solo in base all'età di una persona. Una cosa è certa: non si fa integrazione svendendo un diritto fondamentale». Cerca di smorzare i toni il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: «È la stessa posizione condivisa all'interno di An. Mi sembra giusto che i bambini nati in Italia da genitori immigrati ma nel nostro Paese regolarmente, possano diventare cittadini italiani». Ma quello che non va giù al ministro è l'insistenza sulla multiculturalità. «Sono contrario ad una società multiculturale, una società in cui si rischia di finire con il rifiuto del crocefisso e senza il presepe a Natale».
Plaude il Pd. «Fini ha ragione sulla cittadinanza agli stranieri - attacca il deputato del Pd, Enrico Farinone - Continuo però a domandarmi come Fini possa rimanere alleato della Lega, che su questi temi la pensa esattamente all'opposto. Non per nulla il Carroccio ora chiede un test d'italiano per chi vuole aprire un bar in Lombardia». E plaude anche l'Idv con Giuliana Carlino non perde l'occasione per mettere il dito nella piaga: «Ancora una volta, la distanza tra il presidente della Camera e il Governo è abissale».







Islam Il neo presidente Izzedin Elzir
La svolta dell'Ucoii «Ora gli imam parlino in italiano»
Corriere della sera, 24-03-2010
ROMA — «Solo l'italiano può essere la lingua comune degli imam». Si apre con una svolta inaspettata e moderata la presidenza di Izzedin Elzir, eletto leader dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia, l'Ucoii, che ieri ha presentato la sua piattaforma. Palestinese ma toscano d'adozione, l'imam di Firenze, leader moderato e attento al dialogo interreligioso, punta a imporre un cambio nell'organizzazione finora molto vicino ai fratelli musulmani. «Innanzitutto — sottolinea Elzir — noi ci sentiamo parte integrante della società italiana, siamo cittadini italiani di fede musulmana. È un elemento che te-
niamo a ribadire. Detto questo, il messaggio dentro e fuori le nostre moschee deve essere di massima trasparenza». E con gli estremisti? «Non nego che talvolta possano essersi inseriti nelle comunità islami¬che ma credo che sia necessario il dialogo per convincerli che la loro strada è quella sbagliata».
La novità resta l'obiettivo di estendere nella comunità l'uso della lingua italiana: «L'arabo è parlato da una minoranza — spiega Elzir — ci sono invece altre cinquanta nazioni rappresentate con tantissime lingue diverse, solo l'italiano può essere l'idioma comune», un cambio in vista del raggiungimento di un'intesa con lo Stato italiano che preveda anche finanziamenti per i luoghi di culto islamici.
Sugli altri temi caldi dei rapporti con l'islam, Elzir non lancia anatemi. Sul velo: «Noi siamo dell'idea che il volto debba essere scoperto ma pensiamo che non sia questione da regolare per legge, deve essere una libera scelta».
Il nuovo permesso di soggiorno a punti in cui conoscenza della Costituzione e della lingua sono motivo di credito? «Bisogna assolutamente insegnare a chi viene in Italia la nostra lingua ma sulla questione immigrazione non si può fare propaganda come si è fatto finora. Bisogna invece varare leggi praticabili, che non finiscano solo per creare nuovi clandestini. È necessario lavorare sul territorio, con le istituzioni e anche con i datori di lavoro».
Infine il crocefisso, deve essere tolto dalle scuole? «Tutte le religioni hanno simboli ed è giusto che li espongano nei loro luoghi. Ma credo che abbiamo bisogno soprattutto di una cultura in cui io so di potermi realizzare solo se c'è l'altro e non di una cultura in cui io penso di realizzarmi solo escludendo l'altro».








E il leghista: «Un test d'italiano per chi vuole aprire un bar»
Corriere della sera,24-03-2010
MILANO — Un test di lingua italiana per gli immigrati che vogliono aprire un bar o un ristorante in Lombardia. La proposta-choc è firmata dal consigliere regionale della Lega Nord, Fabrizio Cecchetti: «Conoscere l'italiano - sostiene Cecchetti - è indispensabile per chi deve gestire un'attività di somministrazione bevande o alimenti,
in primo luogo per la sicurezza e la salute del consumatore». Il consigliere leghista (ricandidato al Consiglio regionale) per sostenere la sua proposta cita la Costituzione: «L'articolo 41 sancisce che l'iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza». «Non si pretende dall'immigrato un grado di conoscenza dell'italiano da Accademia della Crusca: è sufficiente un certificato di primo livello, l'attestato di frequenza di un corso professionale o organizzato dal Comune che dovrà rilasciare l'autorizzazione all'esercizio». Tutto nasce da un episodio di vita «reale»: «Una mia amica è stata a cena in un ristorante etnico. Intollerante al glutine, aveva tentato di spiegare il suo problema al titolare. Il quale però non ha capito la questione. Risultato? La mia amica è rimasta intossicata».







«Senza immigrati allarme natalità»
Finanza Mercati, 24-03-2010
«Senza gli immigrati saremmo in una condizione da allarme rosso e saremmo molto più bassi della media dei Paesi occidentali che sono agli ultimi posti». Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, commentando il tasso di natalità in Italia. «Alcuni dati - ha quindi aggiunto Fini - dicono che anche gli immigrati anche a causa delle condizioni economiche da qualche anno hanno diminuito il tasso di natalità. Non dimentichiamoci che una popolazione che tende a invecchiare è sull'orlo di un inevitabile declino». Fini ha quindi sottolineato come sia compito della politica indicare cosa fare per dare il via a un'inversione di tendenza sulla natalità.










«Bambini, cittadinanza sprint»

IL. GIORNO   il Resto del Carlino   LA NAZIONE, 24-03-2010
-ROMA-GLI ITALIANI fanno sempre meno figli, e senza l'apporto della popolazione immigrata il trend demografico complessivo sarebbe del tutto negativo. Il dato emerge da una ricerca del Centro internazionale studi famiglia presentata ieri, nel quale si spiega come la popolazione italiana sia composta per la maggior parte da famiglie anagrafiche senza figli (53,4%). Le contromisure? Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, sottolinea che «se non fosse per il tasso di natalità delle coppie di immigrati, noi saremmo di gran lunga al di sotto dei livelli più bassi tra i Paesi occidentali». Fini ha poi continuato sul tema immigrazione, per lui non nuovo. Anzi, uno dei suoi più classici «cavalli di battaglia», che però ripetuto a pochi giorni da un voto amministrativo non facile per il Pdl e in particolare per alcuni dei «suoi» candidati (Renata Polverini in testa), fa assumere a quanto detto ieri un carattere del tutto particolare.
«E' UNA questione di civiltà, capire l'importanza della questione della cittadinanza per i bambini figli di immigrati. Come si fa a non capire che aspettare il 18esimo anno d'età per riconoscere la cittadinanza a bambini nati qui o arrivati piccolissimi, significa esporre loro e noi al rischio che si sentano dire: 'tu sei altro'. Vogliamo negare loro il diritto di sentirsi orgogliosamente italiani, soltanto perché, nel secolo scorso, vigeva la 'legge del sangue e suolo?'». Sul tema, caldissimo, si è scatenata la solita ridda di polemiche. Da una parte i finiani di stretta osservanza e in alcuni casi anche il Pd, dall'altra esponenti del Pdl provenienti dalle fila ex FI.
A SOSTENERE Fini è stato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: quasi a voler disinnescare sul nascere possibili polemiche, ha sostenuto che «la posizione del presidente della Camera sulla cittadinanza accelerata ai figli di immigrati nati in Italia, da coppie regolarmente residenti, è frutto di un punto di convergenzao già raggiunto all'interno del partito quando esisteva ancora An. Ne hanno già diritto al compimento dei 18 anni». D'accordo con Fini anche l'esponente del Pd, Jean Léonard Touadì, il deputato di colore che sostenne la corsa di Dario Franceschini alla segreteria. «Sono d'accordo con Fini. Peccato tuttavia che il testo in discussione alla Camera, della relatrice Bertolini, vada nella direzione opposta. E' riuscito nell'exploit di peggiorare persino l'attuale disciplina dell'acquisizione della cittadinanza». Chiamata in causa è intervenuta anche la stessa Isabella Bertolini, deputata Pdl di provenienza FI.
«SIAMO contrari all'ipotesi prospettata dal presidente Fini di concedere la cittadinanza veloce ai bambini immigrati. La cittadinanza non è un regalo che precede l'integrazione, ma il suggello della stessa. La cittadinanza poi deve sempre essere un atto volontario che testimoni la reale intenzione di far parte della nostra comunità nazionale. Per questo l'acquisizione dello status di cittadino non può essere automatico solo in base all'età di una persona. Una cosa è certa: non si fa integrazione svendendo un diritto fondamentale. Per cui ribadiamo il nostro no a qualunque scorciatoia per concedere la cittadinanza».










COMMENTO
Un inganno per migranti e datori di lavoro
il manifesto, 24-03-2010
Filippo Miraglla   
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dopo gli allarmi lanciati in tante città per il comportamento degli sportelli unici delle Prefetture e delle Questure che rigettano le domande di regolarizzazione di lavoratori stranieri condannati per inottemperanza all'ordine del Questore di lasciare il Paese per irregolarità del soggiorno, arriva la conferma che l'ordine arriva dall'alto. E che si tratta di un imbroglio nei confronti di datori di lavoro e migranti che, fidandosi dello Stato, hanno presentato domanda di regolarizzazione. Con una circolare firmata dal capo della polizia, in netto contrasto con l'orientamento espresso dallo stesso ministero, si chiude la trappola organizzata contro quegli stranieri che, avendo avuto la sfortuna di incappare nelle forze dell'ordine dopo un provvedimento d'espulsione, ed essendo quindi stati condannati per non aver lasciato l'Italia come ordinato dal Questore, hanno partecipato alla regolarizzazione di settembre come tanti altri, fidandosi di quanto affermato in più sedi dal governo. Si tratta di una vera e propria infamia. Si emana un provvedimento di regolarizzazione che riguarda lavoratori e famiglie. Si sbandiera ai quattro venti come positivo un intervento che discrimina altre centinaia di migliaia di lavoratori e aziende (introducendo peraltro un elemento di corruzione, arbitrio e ricattabilità nei confronti dei migranti indegno di una democrazia), si dichiarano le condizioni per le quali questo è possibile e poi ci si rimangia quanto sostenuto e si fa scattare la trappola.
«La giustizia è uguale per tutti», c'è scritto in quei tribunali che il presidente del consiglio non vuole frequentare nonostante sia spesso invitato a farlo. Ma le garanzie valgono solo per i potenti. Gli immigrati, le loro famiglie e chi li ha assunti devono sottostare agli umori preelettorali di una maggioranza xenofoba e incapace di serietà e affidabilità.
Cosa succederà adesso? È prevedibile, e le organizzazioni sociali si adopereranno in questo senso, che il sistema
della giustizia amministrativa venga investito da migliaia di ricorsi. Così il governo ottiene il doppio brillante risultato di promuovere la criminalizzazione dei migranti e il razzismo che ne consegue, e di ingolfare il sistema della giustizia amministrativa per poter continuare a parlar male della magistratura. Noi sappiamo, come sanno il capo della polizia e il ministro e come spiegano i giuristi, che questa circolare e l'interpretazione della norma che stanno già dando le Questure non sono coerenti con la legislazione e che si tratta di un vero e proprio imbroglio (non essersi allontanati dal Paese a seguito di una espulsione non è un reato che rientri tra quelli previsti come ostativi alla regolarizzazione), eppure dobbiamo assistere a questo ennesimo scempio della democrazia e della giustizia per l'ingordigia di un governo che, non soddisfatto di aver già prodotto danni seri ai migranti e ai datori di lavoro che hanno aderito alla regolarizzazione, si adopera a organizzare anche la beffa. Una beffa alla quale bisognerà reagire con forza, dicendo basta nelle aule dei tribunali, nelle piazze e magari intasando con messaggi di indignazione le mail dei principali responsabili di questa infamia.
Ps.: caro ministro, chi restituirà i 500 euro alle famiglie che si sono fidate? * responsabile immigrazione Arci









Fini: "Concetto Patria in logica multietnica"

Lab il socialista, 24-03-2010
Il presidente della Camera," Gianfranco Fini, che a Milano e' intervenuto alla presentazione del rapporto sulla famiglia del Cisf, ha auspicato che per i bambini degli immigrati ci possa essere un percorso breve per la cittadinanza.
'Se non fosse per le coppie degli immigrati - ha affermato Fini - il tasso di natalità' del nostro paese sarebbe da allarme rosso. Per fortuna nel dibattito politico si sta avviando una discussione sul ruolo degli immigrati che spesso con il loro lavoro servono per pagare le pensioni ma non possiamo fermarci a meta' del ragionamento. Ed e' a questo pro-
posito che il presidente della Camera ha sottolineato la necessita' di un percorso sulla cittadinanza. 'Si può' discutere - ha spiegato - sui sette, i dieci o i dodici anni ma non lo si può' fare per i bambini.
Per loro, che sono già' negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra, e' necessario pensare ad un percorso breve per la cittadinanza'.
'Come si fa - ha aggiunto - a non capire che aspettare a dare la cittadinanza a questi ragazzi c'è' il rischio che quando avranno dieci o dodici anni possano raccogliere le prediche di qualche cattivo maestro?'. "Non possiamo - ha proseguito -negare a dei ragazzi che si sentono orgogliosamente italiani di avere la cittadinanza. Il concetto di patria oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica'.
Per Gianfranco Fini il "concetto di patria va ripensato anche in una logica multietnica e multiculturale". Il Presidente della Camera ha più' volte insistito sull'urgenza di una rivisitazione dei concetti di appartenenza e nazione per includere nella nostra società' anche coloro che "amano la loro patria ma l'Italia non e' la terra dei loro Padri".








Fini: "Cittadinanza breve per i bambini immigrati"

Avanti, 24-03-2010
Si arrivi in fretta a concedere la cittadinanza ai bambini figli di immigrati. È questo l'auspicio espresso dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ieri mattina a Milano è intervenuto alla presentazione del rapporto sulla" famiglia del Cisf.
«Se non fosse per le coppie degli immigrati - ha affermato il presidente Fini - il tasso di natalità del nostro Paese sarebbe da allarme rosso. Per fortuna nel dibattito politico si sta avviando una discussione sul ruolo degli immigrati che spesso con il loro lavoro servono per pagare le pensioni ma non possiamo fermarci a metà del ragionamento». Ed 'è proprio a questo proposito che il presidente della Camera ha sottolineato in modo particolare la necessità, di un percorso sulla concessione della cittadinanza, una «questione di civiltà» secondo il numero uno di Montecitorio. «Si può discùtere - ha spiegato entrando più nel dettaglio la terza carica dello Stato -sui sette, i dieci o i dodici anni, ma questo non lo si può fare per i bambini. Per loro, che sono già negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra di calcio, è necessario pensare ad un percorso breve per la cittadinanza». «Come si fa - ha aggiunto ancora Gianfranco Fini - a non capire che aspettare a dare là cittadinanza a questi ragazzi c'è poi il rischio che quando avranno dieci o dodici anni possano raccogliere le prediche di qualche cattivo maestro?». «Non possiamo - ha concluso il presidente della Camera dei deputati - negare a dei ragazzi che si sentono orgogliosamente italiani di avere la cittadinanza. Il concetto di patria oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica».









Il Titano paradiso dell'amore
I clandestini aggirano le leggi e si sposano a San Marino
Libero, 24-03-2010
CAMILLA CONTI
? ?? Altro che paradiso fiscale, la Repubblica di San Marino è diventato il paradiso dell'amore. Clandestino.
Gli stranieri senza permesso di soggiorno non possono più sposarsi in Italia e allora decidono di prendere gli anelli e salire sulla Rocca dove la legge è molto più elastica di quella italiana. Il decreto sulla sicurezza entrato da poco in vigore nel nostro Paese impedisce in infatti alle coppie miste di convolare a giuste nozze se lo straniero non è in possesso di regolare permesso di soggiorno. Ecco allora che la piccola Repubblica diventa la soluzione: lo straniero non deve produrre né documentazione attestante la regolarità del soggiorno, né nulla osta al matrimonio: una semplice comunicazione consolare porta alla vidimazione automatica delle nozze.
LO STATO SI FA RICCO
In caso di cittadino straniero, viene richiesto un nulla osta all'autorità consolare o diplomatica del paese di origine, quindi, i partner stranieri potranno avviare l'iter per ottenere la nazionalità esattamente come accadeva prima i matrimoni celebrati all'estero non subiscono infatti variazioni normative. Almeno quattro coppie miste, stando a quanto riporta la stampa locale, hanno già trasferito la loro pratica da Rimini a San Marino. E il tam tam su Internet sta aumentando il numero dei promessi sposi con tanto di consigli sul giorno giusto per dire sì in base al tariffario degli uffici dello Stato Civile del Titano.
Paradiso dell'amore ma anche business. Perché chi governa la piccola Repubblica del Titano ha capito che il matrimonio civile può gonfiare le casse dello Stato. Lo scorso 30 dicembre il Congresso sanmarinese ha licenziato un decreto delegato che regola la tassa sulle nozze in Comune.
Un vero e proprio tariffario: sposarsi all'ufficio di stato civile per un cittadino sammarinese non costerà niente ma costerà invece 300 euro per gli "stranieri". Un po' più cara la Sala del Castello: nella categoria autoctoni si spendono 50 euro, nei giorni feriali, 100 euro il sabato e 150 euro alla domenica. Prezzi maggiorati per i forestieri: 300 euro nel giorni feriali e l'aggravante dell'orario di ufficio, 500 euro il sabato e la domenica. Poi c'è il capitolo Palazzo Pubblico, la cassaforte del buon matrimonio. Se un sanmarinese decide di celebrare il rito in un giorno feriale se la cava con 100 euro, il sabato con 200 e la domenica con 300 euro. Ma per chi arriva da oltre confine deve tirar fuori 500 euro per un semplice giorno feriale e 800 euro per il sabato. Scambiarsi gli anelli di domenica costerà un salasso: fino a mille euro.
VIA LIBERA Al DICO
Il Titano diventa zona franca anche per i Dico. Davanti al Tribunale della Repubblica, con una storica sentenza del giudice Gilberto Felici sono stati infatti riconosciuti pieni diritti anche alle coppie di fatto. La vicenda era iniziata sette anni fa e ha come protagonista una signora, oggi 93enne, che dopo aver perso il compagno per malattia aveva presentato domanda poter otte-nere l'assegno di reversibilità per il proprio sostentamento. L'Istituto per la sicurezza sociale, però, aveva respinto l'istanza. La donna ha dunque deciso di rivolgersi al tribunale di San Marino per fare valere quello che ha sempre ritenuto essere un proprio diritto, avendo convissuto per anni con il compagno come sua moglie, sep-pure non fossero mai stati formalizzati gli atti coniugati con un matrimonio civile o religioso con effetti civili.
La sentenza depositata la scorsa settimana riconosce invece alla convivenza "more uxorio", così viene definita legalmente, la titolarità degli stessi diritti di un matrimonio ufficialmente celebrato. Almeno per quanto riguarda la possibilità di uno dei due conviventi di ottenere l'assegno di reversibilità dell'altro. Secondo la stessa sentenza a San Marino la convivenza che ha avuto durata, attestata nei modi di legge, di almeno quindici anni, diviene " la fonte diretta di obbligazione, connettendo al comportamento stabile tenuto doveri ed obblighi". Quindi diritti e doveri anche per i conviventi.










Giovani e immigrati
La Cgil aumenta gli iscritti

l'Unità, 24-03-2010
MILANO Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
La Cgil arriva al sedicesimo con-gresso, a Rimini dal 5 all'8 maggio, in buona salute. Oltre 5 milioni e 746mila gli iscritti, in aumento rispetto al 2008 (+11.312 tessere, lo 0,20% in più), soprattutto grazie ad immigrati, che ora rappresentano il 14% del ttoale e circa 380mila persone, donne (più 5%, con punte del 22% in alcune categorie) e giovani (più 10% tra chi ha meno di 35 anni). E anche i primi tre mesi di quest'anno sono positivi. Sono i dati conclusivi del tesseramento 2009 illustrati dal segretario generale, Guglielmo Epifani, e dal responsabile organizzativo Enrico Panini. Che, quantità a parte, mettono in evidenza anche un cambiamento «qualitativo», di composizione interna della confederazione di Corso d'Italia, con il sorpasso dei lavoratori del commercio su quelli dell'edilizia e sui metalmeccanici. La Filcams (commercio e servizi) segna un aumento del 4,39%. Mentre le tute blu, storicamente primo sindacato della confederazione, dopo aver subito il sorpasso dei pubblici e l'anno scorso degli edili, perdono quota anche rispetto al commercio e, con 363.507 iscritti, diventano la quarta categoria tra gli attivi, pur registrando  una  crescita  dell'I,3%, nonostante la crisi. La prima (dopo lo Spi) resta la funzione pubblica, con 407.716 tessere. «Siamo la più grande forza sociale in Italia - dice Epifani, «soddisfatto» dell'andamento del tesseramento - quando si pensa di escludere la Cgil dai confronti e dagli accordi si va contro la maggior parte dei lavoratori e dei pensionati». «Durante i congressi - continua - abbiamo notato che in tutti i settori la gente veniva a iscriversi. È un fenomeno che ci ha molto colpito. Prendiamo questo segno anche come una risposta alla crisi perché in questi momenti si avverte un senso di solitudine e il bisogno di reti di protezione. Si tratta, dunque, di un risultato importante malgrado la crisi».
LA LOMBARDIA PRIMA REGIONE
Negli ultimi quattro anni i lavoratori attivi sono aumentati di 207.041 unità, pari all'8,25%. Lo scorso anno i lavoratori attivi sono stati 2.751.964, più 0,84% (22.241 unità) rispetto al 2008. I pensionati iscritti   alla   Cgil   sono   invece 2.994.203, in diminuzione dello 0,02% sull'anno precedente. Considerando poi gli iscritti alle organizzazioni di emanazione del sindacato guidato da Epifani (Auser, Federconsumatori e Sunia) il «sistema Cgil» può contare su circa 6 milioni e 350mila iscritti.
Panini sottolinea che la linea di tendenza mostra un ulteriore incremento degli iscritti nel 2010 che potrebbero superare i 5,8 milioni: «Si profila un risultato positivo per quanto riguarda le adesioni».
Dal punto di vista territoriale la Lombardia si conferma prima regione per numero di iscritti con un aumento dello 0,12%, seguita dall'Emilia Romagna, più 0,4%. Seguono Toscana, Sicilia e Veneto. ?











«Immigrati: subito ai figli la cittadinanza»

Fini: patria multietnica, senza stranieri natalità sotto zero. Pd e Idv applaudono
IL  MATTINO, 24-03-2010
Teresa Bartoli
«Non possiamo negare a dei ragazzi che si sentono orgogliosamente italiani di avere la cittadinanza. Il concetto di patria oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica»: Gianfranco Fini non ha cambiato idea, per i bambini che nascono in Italia da genitori immigrati, o vi arrivano piccolissimi, la cittadinanza italiana deve arrivare in tempi brevi. Prima che quei piccoli si sentano diversi dai loro coetanei italiani e vengano catturati da cattivi maestri. Un discorso di giustizia, ma anche di utilità per un paese che, senza chi vi arriva in cerca di futuro, vedrebbe il suo tasso di natalità in «allarme rosso». Un tema che già l'estate scorsa ha spaccato il centrodestra e creato una asse trasversale tra finiani ed opposizio -ne, al punto da far rinviare il confronto parlamentare a dopo le regionali. L'appuntamento si avvicina, la polemica si riapre.
Il discorso di Fini prende le mosse dal rapporto sulla famiglia curato dal Cisf, che accende un riflettore sulla denatalità italiana: «Se non fosse per le coppie di immigrati, il tasso di natalità del nostro paese sarebbe da allarme rosso» dice sottolineando che «per fortuna nel dibattito politico si sta avviando una discussione sul ruolo degli immigrati che spesso, con il loro lavoro, servono per pagare le pensioni. Ma non possiamo fermarci a metà del ragionamento». Cioè alla cittadinanza: «Si può discutere sui sette, i dieci o i dodici anni ma non lo si può fare per i bambini».
Per Fini non si tratta di un ragionamento solo economico. «Come si fa a non capire che ci vuole una cittadinanza celere per i bambini immigrati, per chi nasce qui o per chi arriva qui piccolissimo?» si chiede spiegando: «Quei bambini sono nei nostri asili, parlano non solo la nostra lingua ma i nostri dialetti, tifano per le stesse squadre di calcio dei nostri figli, ascoltano la stessa musica e vedono gli stessi film». Bisogna evitare - dice il presidente della Camera - «che aspettino fino a diciotto anni, che poi significa qualche anno in più, per avere la cittadinanza altrimenti c'è il rischio che a dieci-dodici anni si sentano dire "tu sei diverso, non sei italiano" e cadano nelle mani della predicazione di qualche cattivo maestro». Questo ragazzi, la cosiddetta genera¬zione Balotelli, «sono orgogliosamen¬te italiani e devono fare parte della comunità nazionale perché ormai questo concetto è diventato multietnico e multiculturale».
Ignazio La Russa assicura che si tratta della posizione «condivisa da An» per poi, però, prendere le distanze dalla chiave del ragionamento di Fini: «Sono contrario ad una società multiculturale, una società in cui si rischia di finire con il rifiuto del crocefisso e senza il presepe a Natale». Per i finiani, invece il punto è proprio quello. Spiega Fabio Granata: «L'Italia che immaginiamo nei prossimi anni è terra accogliente   e   generosa, aperta alle nuove culture ed all'altezza della sua straordinaria storia». Per questo Granata nel luglio scorso aveva firmato assieme al deputato del Pd Andrea Sarubbi un testo per la cittadinanza veloce, immaginata come strumento per favorire l'integrazione. Ne nacque un caso politico nel centrodestra. E, in commissione, il testo fu abbandonato, per lasciar spazio al testo della Pdl Isabella Bertolini che di fatto conferma la legge in vigore, con i dieci anni per l'acquisizione del diritto, e l'aggiunta di test di lingua, cultura e rispetto delle leggi. Ribadisce ora Bertolini: «Siamo contrari all'ipotesi prospettata da Fini. La cittadinanza non è un regalo che precede l'integrazione mail suggello della stessa. E deve sempre essere un atto volontario che testimoni la reale intenzione di far parte della nostra comunità nazionale». È per queste divisioni nella maggioranza che l'opposizione apprezza le dichiarazioni di Fini aggiungendo un «peccato che non siano le posizioni della maggioranza del centrodestra». «Il testo Bertolini è riuscito nell'exploit di peggiorare persino l'attuale disciplina» dice per il Pd Jean Leonard Touadì. «Continuo a domandarmi come Fini possa rimanere alleato della Lega» aggiunge, ancora dal Pd, Enrico Farinone. Sarubbi è convinto che, dopo il voto, sarà possibile far passare una legge più aperta.









A.A.A. cercasi muratore rumeno part time

l'Unità, 24-03-2010
di Roberto Rossi
C’è un cantiere nel cuore della Roma di Alemanno dove 42 fantasmi lavorano giorno e notte. È tra via Palermo e via Nazionale, a un passo dall'ex sede dei Ds, a cento metri dalla Banca d'Italia, a uno schioppo dal Quirinale. Gli invisibili, che stanno ristrutturando un teatro auditorium, sono tutti rumeni. E, soprattutto, lavorano part time, la nuova frontiera del lavoro nero nell’edilizia.
A Roma, come risulta dai dati della Cassa edile, oltre il 22% degli operai (circa 12.500) lavora con contratti di questo tipo. Così capita, come nel caso dell'auditorium di Via Nazionale, che E.M. raggiunga anche le 14 ore di lavoro continuato al giorno ma alla fine del mese (febbraio) il datore di lavoro, il gruppo Raia, ne dichiari solo 64. Il resto è nero. Come la vita degli edili romani-romeni. Un gruppo folto nella capitale e dintorni. Rappresentano l’80% dei 30mila lavoratori stranieri. Che poi sono il 50% della forza lavoro in questo settore.
Dati che riflettono quelli a livello nazionale. Dove gli stranieri sono circa 210mila ovvero il 30% degli iscritti totali. Spesso irregolari. Si stima che in Italia ci siano almeno 3 milioni in totale, di cui forse la metà completamente in nero. Circa 2 milioni sono stranieri, 300mila lavorano al Sud, quasi interamente in nero, ed il resto lavora al Centro – Nord, prevalentemente in nero. E quanto muovono? Circa il 17% del Pil. Oltre 25 miliardi di euro. Più o meno. Alla cifra contribuiscono anche i 42 romeni dell’auditorium in questione. Nella sola capitale sono circa 80mila i lavoratori edili fantasma. Producono quasi 1,2 miliardi di euro di economia sommersa.
Gente sfruttata, senza tutele, spesso costretta a lunghi turni di lavoro. Di più. Spesso costretti a prendere una partita iva, a creare una finta impresa e fingersi un lavoratore autonomo. «A Roma - ci dice Roberto Cellini della Fillea Cgil - negli ultimi tempi si è avuto una recrudescenza del fenomeno». Colpa della crisi, certo, che colpisce un settore che vive anche di sub appalto, spesso sinonimo di bassa qualità del lavoro, ma colpa anche di una politica, locale nel caso in questione, piuttosto miope. Basti pensare che oltre 100 milioni di appalti sono stati assegnati dal Comune con trattativa privata o per emergenza. La straordinarietà non è più un’eccezione. Come in Italia. L’affaire Protezione civile questo ci ha insegnato.
E proprio seguendo questa logica di precarietà che prolifera il lavoro irregolare. Non è un caso se rispetto all’anno precedente, nel 2009 gli occupati nell’edilizia sono scesi del 4% ma i lavoratori stranieri occupati sono aumentati del 10%. Vuol dire che le imprese edili non assumono più italiani ma stranieri. Perché mentre in tutti gli altri settori i primi ad essere espulsi sono i migranti ed addirittura in settori storici a prevalente presenza di manodopera straniera (badanti, colf) si comincia ad inserire manodopera italiana, nell’edilizia cresce la manodopera straniera.
Ciò dipende dalle caratteristiche del mercato e dalla struttura del sistema di impresa e dalla fragilità del sistema delle imprese. In Italia sono 775mila quelle edili. Occupano un totale di 1,9 milione di addetti (tra dipendenti ed autonomi), per una media di 2,4 dipendenti per azienda. Dunque, le costruzioni in Italia si reggono su un numero esiguo di grandi imprese strutturate (la più grande impresa italiana, Impregilo, è nella classifica delle grandi imprese europee al 27imo posto) ed un sistema frammentato e destrutturato di micro imprese. Dove l’immigrato è l’anello debole. Un esempio? Nel 2007 presso la centrale nucleare di Borgo Sabotino, nei pressi di Latina, si apre uno dei cantieri più grandi. L’impresa committente è Terna spa, l’appaltatrice l’Acmar di Ravenna, la subappaltrice la Treton spa di Pero. Sul sito lavorano 68 edili, di cui 54 rumeni. I lavoratori sono 20 su 60 e i denuncianti hanno una media di 80 ore mensili. Invece gli operai lavorano 11 ore al giorno. In nero, senza diritti e senza tutele.









L'Ucoii dice no al burqa: svolta moderata al vertice

Via a una nuova stagione, ma non mancano le spaccature
Il Messaggero, 24-03-2010
di FRANCA GIANSOLDATI
ROMA-Blazer, cravatta regimental. occhialetti da intellettuale, spigliato e simpatico. Izzedine El Zir, la colomba, è stato eletto a Bologna presidente dell'Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii). Questo giovane imam che per anni ha svolto il ruolo di guida per i musulmani di Firenze, ha un aspetto gioviale e rassicurante. Si batte per la completa integrazione dei fedeli musulmani, perchè le moschee siano luoghi trasparenti e sicuri e in più non vuole proprio sentire parlare di burqa. «Le donne devono stare col volto scoperto, ma non si può imporre per legge». La sua elezione è stata salutata come l'avvio di una nuova stagione- decisamente moderata - per la più diffusa e radicata organizzazione islamica italiana che riunisce sotto lo stesso ombrello ben 122 associazioni sia territoriali che di settore, e gestisce circa
80 moschee e 300 luoghi di culto non ufficiali.
In passato l'Ucoii era stata aspramente contestata per avere avuto una linea integralista e intrasigente ma soprattutto perchè all'interno dell'unione tante moschee si ispiravano apertamente alla ideologia dei Fratelli Musulmani. una organizzazione considerata terroristica (il cui motto è: «Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad è la nostra via. Morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza»). Izzedine El Zir nel precedente direttivo guidato da Nour Dachan. medico anconetano, vicino alle posizioni dei Fratelli Musulmani e da Roberto Piecardo, aveva gestito il settore dell'informazione. A lui era toccato tenere i contatti coi mass media, gestendo varie polemiche, dalla bufera sul burqa ai sospetti per alcuni centri legati all'Ucoii di ospitare estremisti e fanatici. As-
sieme a Ezzedine sono stati eletti Khadija Patrizia Dal Monte e Samir Khaldi, in qualità di vice presidenti e Mohamed Ibrahim, tesoriere. Nel direttivo è stato inserito anche Hamza Piccardo, già segretario nazionale dell'Ucoii. Il primo punto programmatico del nuovo presidente, sul quale si sono poi concentrati i consensi, riguarda la richiesta di maggiore trasparenza all'interno della comunità islamica. Firenze, dove ha svolto per anni il ruolo di imam, e più in genera¬le la Regione Toscana, a suo parere rappresentano dei modelli che l'Ucoii dovrebbe esportare in tutta Italia. «Noi ci sentiamo parte integrante della società italiana, siamo cittadini   italiani di fede musulmana. Questo è un elemento che teniamo a ribadire». Nelle moschee, ha aggiunto, la tolleranza verso i fanatici dovrà essere pari allo zero. «E anche rispetto agli elementi più estremisti che, non lo nego, possono essersi talvolta inseriti nelle comunità islamiche, io ritengo che sia necessario il dialogo per convincerli che la loro strada è quella sbagliata». Per questo l'uso della lingua italiana e non più l'arabo da parte degli imam, per i sermoni del venerdì, dovrà essere   un    punto   fermo. L'obiettivo finale di questo percorso è riuscire ad arrivare ad un'intesa con lo Stato italiano che preveda anche finanziamenti per i luoghi di culto islamici. Non tutti nel mondo islamico italiano vedono però nella nuova presi-denza una svolta moderata. Non sono pochi quelli che definicono Ezzedine El Zir una operazione di maquilla-ge dietro la quale starebbero già lavorando i falchi della moschea romana di Centocelle.









«LA PATRIA OGGI È CONDIVISIONE DI DIRITTI»

Fini parla al centro studi
di "Famiglia cristiana":
giusta la cittadinanza breve
SECOLO, 24-03-2010
-? Girolamo Fragala
Ha scelto un incontro di rilievo, Gianfranco Fini, per affrontare di nuovo il tema dei diritti civili, della cittadinanza e dell'immigrazione, andando subito al cuore del problema con una premessa: «Il concetto di patria oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica». L'occasione è stata data dal rapporto "Famiglia 2009" del Cisf, il centro studi di Famiglia cristiana, presentato ieri a Milano. Le parole del presidente della Camera hanno assunto un significato particolare proprio perché pronunciate in un contesto ben definito, alla presenza di Luigi Campiglio, prorettore dell'Università cattolica del Sacro Cuore e dello stesso direttore del settimanale, Antonio Sciortino.
Fini ha dimostrato, sin dalle prime battute del suo intervento, che con il mondo cattolico il dialogo non può essere a singhiozzo, prendendo quel che fa comodo e scartando il resto. E soprattutto non può essere legato e piegato a esigenze elettorali. La linea continua ad essere quella di guardare avanti, pensare ai traguardi futuri, approfondire le questioni senza slogan e dare una risposta ai problemi pratici. E la prima domanda che il presidente della Camera ha posto è forte nella sua semplicità: «Come si fa a non capire che ci vuole una cittadinanza celere per i bambini immigrati, per chi nasce qui o per chi arriva qui piccolissimo?». Ecco, una delle risposte ai problemi pratici potrebbe essere proprio la riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza. È su basi come queste che la Chiesa diventa interlocutore in un confronto che non sia solo valoriale ma in grado di superare di per sé le polemiche sulla laicità.
«Quei bambini - ha spiegato Fini - sono nei nostri asili, parlano non solo la nostra lingua ma i nostri dialetti, tifano per le stesse squadre di calcio dei nostri figli, ascoltano la stessa musica e ve-dono gli stessi film. Bisogna evitare che aspettino fino a diciotto anni, che poi significa qualche anno in più, per avere la cittadinanza altrimenti c'è il rischio che all'età di dieci-dodici anni si sentano dire "tu sei diverso, non sei italiano" e cadano nelle mani della predicazione di qualche cattivo maestro. Bisogna evitare questo rischio. Questi ragazzi sono orgogliosamente italiani e devono fare parte della comunità nazionale».
C'è un altro aspetto da considerare. «Una popolazione che invecchia - ha evidenziato il presidente della Camera - è una popolazione in declino, per questo è importante l'intervento della politica che deve lavorare per evitare che questo accada. Va detto, comunque, che senza gli immigrati sarebbe "allarme rosso" per quanto riguarda la natalità, saremmo molto al di sotto dei più bassi tra i Paesi occidentali».
Proprio con il mondo cattolico,poi, Fini ha affrontato un altro tema cruciale, quello del welfare: «La politica in particolare deve pensare a un welfarè che tenta in considerazione proprio la dimensione familiare, è un'operazione necessaria anche se è un'operazione difficile dal punto di vista dei conti pubblici». Al tradizionale elenco dei soggetti deboli «va aggiunta la categoria dei giovani. Questa è una novità rispetto al passato, una volta non era così». Per Fini, «le categorie classiche da aiutare con il welfare sono i malati. i disabili, eli anziani e i disoccupati. Per loro naturalmente bisogna mantenere un welfare di tutela, di solidarietà. Questo è il lascito più importante delle culture politiche europee del Novecento. Però questo non basta, bisogna introdurre il welfare delle opportunità, il welfare per i giovani. Non bisogna lasciare indietro nessuno e certamente una società non può lasciare indietro i giovani. La politica deve dare risposte a questo».
«Non entro nelle polemiche sui bamboccioni - ha aggiunto il presidente della Camera - ma molti giovani che si affacciano al mercato del lavoro temono di stare meno bene negli anni del lavoro rispetto alla situazione in cui si trovano grazie al sacrificio dei genitori. Questo per la società è un grave problema, bisogna che i giovani abbiano fiducia nel futuro, è la prima volta che i giovani non pensano di stare meglio con l'andare degli anni». E non bisogna dimenticare che «la maggior parte dei lavoratori, che nel periodo di crisi hanno magari perso il lavoro, hanno alle spalle una famiglia. È auspicabile, quindi, che non ci si soffermi ai singoli».
Fini poi ha commentato il dato secondo il quale il sedici per cento delle famiglie italiane è nello stato di povertà e che un altro sedici per cento è a rischio. Le cifre, secondo il suo giudizio, non corrispondono probabilmente alla realtà. «Questi dati - ha spiegato il presidente della Camera - sono incontestabili ma io ho qualche dubbio che fotografino esattamente il Paese. I dati sono quelli di un'indagine ma c'è una qualità complessiva migliore perché c'è una fetta di nero e di sommerso diffìcilmente stimabile». A questo proposito Fini ha paragonato il dato sulla povertà delle famiglie a quello delle dichiarazioni dei redditi: «Non credo ci sia il 35 per cento delle famiglie italiane nello stato di povertà. È un po' come quando leggiamo le dichiarazioni dei redditi per qualcuno e vediamo che ha un reddito di un certo tipo... ma tutti sappiamo che guadagna di più».









PLAUDE L'API: SÌ Al NUOVI ITALIANI

SECOLO, 24-03-2010
Non solo il Pdl, ma anche l'opposizione approva le parole di Fini. Un plauso arriva da Pino Pisicchio, di Alleanza per l'Italia. «Essere italiani oggi - dice - significa partecipare, anche con culture ed etnie diverse, a un'identità collettiva dai connotati originali. Significa, anche, favorire l'integrazione con i nuovi italiani provenienti da altri paesi. Occorre dunque una politica dell'integrazione mirata e consapevole. Oggi purtroppo carente».






MORCELLINI: «L'IDENTITÀ ITALIANA È COSTRUITA SULLO SCAMBIO TRA CULTURE E VISIONI DIVERSE»

SECOLO, 24-03-2010
-? Antonella Ambrosioni
Il Dna dell'Italia parla la lingua dell'accoglienza e dell'assimilazione. Ripensare la Patria, come esorta Fini in termini più ampi, multiculturali e multietnici, è inscritto nel tratto più distintivo e qualificante della civiltà in cui amiamo riconoscerci e alla quale dobbiamo e vogliamo rimanere fedeli. L'Italia ha rappresentano da sempre un crogiolo di culture, tradizioni e valori che hanno trovato modi e forme virtuosi di fusione e di reciproco scambio. Fusione e mai scontro. Il professor Mario Morcellini, sociologo, preside della Facoltà di Scienze delle comunicazioni alla Sapienza di Roma, da tempo fornisce contributi di ricerca e riflessioni importanti sul tema dell'immigrazione.
—? Professor Morcellini, l'accoglienza è una scelta obbligata del "mondo nuovo"?
Da noi, in Italia, è piuttosto un tratto culturale distintivo. L'identità italiana si è costruita sulla continua interferenza di popolazioni. Prendiamo Roma vincitrice e gli etruschi sconfitti: a giudicare dai lasciti storici, noi oggi non potremmo dire chi ha vinto culturalmente tra le due componenti, perché nessuno è stato veramente sconfitto, tagliato fuori. Così come le invasioni barbariche, che dopo essere state "invasioni", sono diventate compresenza. Gli stessi dei Lari, dività domestiche dell'antica Roma, erano ereditati da altre cosmologie. Insomma, siamo tutti costruiti su una sorta di "parassitismo" delle culture. La storia antica e quella recente, con l'immigrazione dei nostri connazionali sarebbero due motivi eccellenti per essere ultrapreparati a diventare oggi terra d'immigrazione. Gli esempi di sincretismo sono tanti, anche di ordine religioso.
—? Anche di ordine religioso?
Certo, la chiesa cattolica, ad esempio, rappresenta l'unico esempio al mondo di edifìci religiosi che hanno cambiato stile in continuazione a seconda dello stile vincente, inglobando il precedente,in una sorta "cinismo" architettonico: se entra nella basilica di S. Francesco ad Assisi, trova all'interno dipinti del '600. C'è una contaminazione impressionante nelle chiese italiane, spesso edificate su luoghi di culto pagani.Il melting-pot tra le culture tocca anche la sfera religiosa.
—? Scusi, ma le crociate?
Non nacquero come tali, ma come pellegrinaggi a Gerusalemme. La parola "crociata" fu usata 102 anni dopo. I pellegrini diventarono mano mano crociati quando insorse la tentazione di difendere i luoghi sacri. La dinamica è interessante per l'oggi: il messaggio simbolico del viaggio-pellegrinaggio indica un'identità in movimento, una modalità per rafforzare se stessi. La ricerca diventa scontro, appunto crociata quando prevale l'elemento geopolitico. Come oggi. Con gli immigrati si ripete la stessa cosa: anziché opportunità diventano un problema di ordine pubblico.
—? Beh, in tante circostanze sono anche questo. Non le pare?
Esiste un'integrazione nei fatti, soprattutto nelle città, che non viene percepita in modo esatto dai media e dunque viene assorbita solo in minima parte anche nell'immaginario collettivo. Qualche esempio: in Sicilia, nel trapanese, la popolazione è costituita al 30% da nordafricani, indispensabili nelle attività economiche della zona. In Umbria se si entra nella classe di una qualsiasi scuola si vedono studenti di tutte le provenienze, con un'integrazione compiuta. La scuola risolve molti problemi. Gli immigrati in Veneto parlano in veneto. La vita quotidiana assorbe le differenze La routine vince le diffidenze. La comunicazione invece non riesce a dare l'esatta consapevolezza di questa integrazione diffusa. Pensi che dopo vent'anni per l'immigrazione si usa ancora il termine "emergenza".
—? Lei ha indicato il sistema dell'istruzione pubblica come veicolo di integrazione. Ma a sentire gli addetti ai lavori le difficoltà sono enormi. Anche qui abbiamo una nostra specificità che dovrebbe essere guida nella riflessione. Università e monasteri, i due sistemi che sono alla base della formulazione della filosofia moderna, sono stati anche un crogiolo di contaminazione culturale. Pensiamo all'Italia nel Rinascimento, con la riscoperta della filosofia greca di Aristotele e Platone in sincronia con quella del filosofo arabo Averroè. Nella cultura monastica e universitaria, cioè nel mondo intellettuale dell'epoca, il sincretismo culturale è stato un dato di fatto.
Quale lezione può darci quell'esperienza?
Che la diversità è un valore e non un punto di crisi. Oggi in piena crisi economica prevale la paura. Ma dovremmo capire che la cultura è uno degli antidoti più potenti a questa dinamica, perché è capace di ridurre l'incertezza proprio nei momenti di crisi.
—? Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, proprio ieri ha sollecitato il diritto di cittadinanza immediato ai bambini stranieri nati in Italia. Che ne pensa? Che sarebbe un gesto "profetico", un modo pratico per pensare al futuro. E il futuro parlerà in termini multiculturali: la presenza degli immigrati è ineliminabile dal nostro orizzonte culturale ed economico, non è più in una fase congiunturale ma in una fase strutturale.

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