Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 novembre 2012

Cittadinanza ai diciottenni, comuni attivi Roma non c’è
l'Unità, 22-11-2012
Italia-razzismo

È cominciata un anno fa la campagna «18 anni in Comune» promossa da Anci, Save the Children e Rete G2. Si tratta di un’iniziativa volta a sollecitare i sindaci affinché inviino una lettera alle persone straniere nate sul territorio comunale e iscritte al registro anagrafico di riferimento perché sappiano che al compimento dei 18 anni, e fino che non ne abbiano compiuti 19, possono richiedere la cittadinanza italiana. È l’unica possibilità di presentare questo tipo di domanda in virtù dello ius solii, anche se si tratta di un’applicazione di questo diritto sempre moderata.
Sono stati oltre 300 i Comuni aderenti e che si sono fatti portavoce di questa importante possibilità. Nell’elenco dei lodevoli non c’è, però, il Comune di Roma. Un assente ingiustificato dal momento che la presenza straniera in quella città è davvero cospicua. La campagna è comunque ancora in atto e questo fa ben sperare che si tratti solo di una dimenticanza.
La scadenza di questa iniziativa non è stata definita perché l’obiettivo è quello di arrivare alla modifica dell’attuale legge sulla cittadinanza, la numero 91 del 1992. Una normativa che non riesce a rispondere all’attuale composizione della società italiana e che avrebbe potuto essere più lungimirante dal momento che il fenomeno dell’immigrazione straniera nel nostro Paese era già visibile e poteva essere già allora meglio compreso e analizzato. Certo, si trattava di numeri molto diversi da quelli odierni (nei primi anni 90 la presenza di stranieri non raggiungeva il milione di persone), ma non per questo si doveva ignorare il futuro mutamento sociale e demografico. Il tema della cittadinanza è strettamente legato a quello del diritto di voto: possono votare alle elezioni governative solo le persone provviste di cittadinanza e, alle amministrative, i cittadini e i comunitari. Quest’ultimi però si devono prima iscrivere in un’apposita lista. L’anno scorso, nell’ambito della campagna L’Italia sono anch’io,  erano state raccolte le firme a sostegno di una proposta di legge che avrebbe esteso il diritto di voto amministrativo a tutte le persone straniere in Italia dopo 5 anni di residenza. Un’idea questa in linea con la Francia, il Regno Unito e la Germania. E la condivisione della linea europea è quello che ci si augura anche sul fronte della cittadinanza. In Germania, per esempio, basta che uno dei due genitori viva legalmente sul territorio da 8 anni per concedere, dalla nascita, la cittadinanza al figlio; in Irlanda ne bastano tre; in Belgio è automatica al compimento dei 18 anni oppure, se i genitori sono residenti da almeno 10 anni, il figlio diventa cittadino entro un anno;  chi nasce e cresce in Francia ha l’obbligo al compimento di 18 anni di prendere la cittadinanza. In Spagna, invece, si acquisisce la cittadinanza per nascita da madre o padre spagnolo, oppure per nascita sul territorio anche da cittadini stranieri se almeno uno di essi è nato in Spagna. L’Italia da questo punto di vista ha posizioni più rigide e sarebbe auspicabile che si avvicinasse al modello americano dove chi nasce sul territorio è cittadino.
Senza se e senza ma.

 

Cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati
Riconoscimenti ai bimbi che nascono a Salerno. Il Comune intende conferirla per sollecitare il Parlamento. La proposta all’esame della
la Citta di Salerno, 22-11-2012
Fiorella Loffredo
Cittadinanza italiana onoraria ai figli di immigrati: Salerno verso il sì. Affinché centinaia di bambini non si sentano più stranieri in patria e per consentire loro di dire con orgoglio, anche se con gli occhi a mandorla o con la pelle scura, “sono salernitano”. E quindi italiano. Per lanciare un importante messaggio alle istituzioni governative perché cambi la normativa in vigore. La cittadinanza non è ancora un diritto facile da ottenere per gli immigrati nel nostro Paese. Anche per quelli che da decenni vivono nelle nostre città, dove lavorano e pagano le tasse. Dove hanno trovato l’amore, si sono sposati e hanno messo al mondo dei figli. Figli che, a loro volta, non risultano cittadini italiani, almeno fino al compimento della maggiore età, anche se nati e cresciuti a Salerno, a Firenze, a Milano o a Caltanissetta. Alcune amministrazioni comunali, però, accogliendo l’appello lanciato dall’Anci, (Associazione nazionale comuni italiani) e dall’Arci – promotrice della campagna “L’Italia sono anche io” – hanno deciso di “smuovere le acque” per affermare, anche nel Belpaese, il cosiddetto “ius soli” per i minori. Con cerimonie dal grande valore simbolico, organizzate in più parti d’Italia, diversi Comuni hanno concesso ai bambini figli di immigrati, ma nati nelle loro municipalità, la cittadinanza onoraria. Salerno potrebbe essere la prossima città a compiere questo importante scatto di civiltà, seppure simbolico. Martedì prossimo, infatti, su proposta del consigliere Nino Criscuolo, i membri della sesta commissione consiliare “Politiche sociali”, presieduta da Luciano Provenza, discuteranno della possibilità di concedere la cittadinanza onoraria ai minori stranieri nati in città. «Una riflessione importante quella che la commissione è stata chiamata a fare dal consigliere Criscuolo, da sempre sensibile a problematiche relative all’integrazione razziale, sul diritto di cittadinanza per i minori – ha affermato Provenza – che porterà di sicuro a un gesto simbolico, simile a quello promosso da molte altre amministrazioni, che mira a sollecitare il Parlamento, e quindi il Governo centrale, a emanare una legge che assicuri un diritto fondamentale che è ancora negato a molti».
Grande soddisfazione è stata espressa dal presidente dell’Arci Salerno, Peppe Cavaliere, per l’argomento su cui martedì si discuterà in Comune: «Speriamo che la proposta avanzata dalla commissione consiliare si traduca in un’iniziativa fattiva che possa aggiungersi a quelle organizzate in molte altre città – ha commentato Cavaliere – in modo che si rafforzi l’appello al Parlamento affinché finalmente legiferi nella direzione sperata».



Cittadinanza italiana - Storie di diritti negati
Mentre il Parlamento arranca sulla riforma, l’attuale legge sulla cittadinanza continua ad escludere i giovani anche 18enni
Melting pot europa, 22-11-2012
Nessuno esita a prendere in braccio i figli di cittadini stranieri nati in Italia, tutti, finanche i firmatari delle due leggi sull’immigrazione peggiori d’Europa, Napolitiano (Turco-Napolitiano) e Fini (Bossi-Fini), spendono buone parole per i giovani figli di immigrati.
Intanto però i Comuni di ogni parte politica continuano a negare il riconoscimento della cittadinanza italiana anche ai giovani nati in Italia al compimento della maggiore età.
La norma è lapidaria e piuttosto sintetica quando all’articolo 4, comma 2, riconosce che, "lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data".
Nel corso degli anni la rigidità di quel "vi abbia risieduto legalmento senza interruzioni fino..." ha subito delle lievi attenutazioni, ma nonostante circolari e giurisprudenza, ancora sono molti i giovani nati in Italia che nonostante siano divenuti maggiorenni non riescono a veder riconosciuto il loro status di cittadini.
Facciamo un passo indietro,andando fino alla prima metà abbondante del nuovo secolo, quando i rigidi criteri previsti escludevano centinaia di persone. Senza alcun dubbio venivano infatti rifiutate tutte le richieste di riconoscimento della cittadinanza ai sensi dell’art 4, comma 2, quando non fosse possibile dimostrare la continuità anagrafica.
Un solo giorno di "vuoto", magari dovuto alla tardiva iscrizione nei registri anagrafici da parte degli ufficiali di Stato Civile del nuovo Comune di residenza, dopo un cambio di città, bastava a far considerare non soddisfatti i requisiti previsti.
Solo nel 2007, con la circolare del 7 novembre 2012, il Ministero dell’Interno ha parzialmente attenuato l’interpretazione da parte degli Uffici Comunali prevedendo che "l’iscrizione anagrafica tardiva del minore presso un Comune italiano, potrà considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana ... ove vi sia una documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza dello stesso nel nostro Paese nel periodo antecedente la regolarizzazione anagrafica".
La stessa circolare ha poi richiamato l’attenzione sul fatto che "se in periodi successivi alla nascita si rilevassero brevi interruzioni nella titolarità del permesso di soggiorno, al fine di favorire la possibilità di dimostrare la permanenza continuativa sul territorio italiano, l’interessato potrà inoltre produrre documentazione integrativa quale certificazione scolastica, medica o altro, che attesti la presenza in Italia, come già richiamato nella citata circolare del gennaio 2007."
Più recentemente la Sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1486 del 26 aprile 2012 si è ulterirmente spinta in avanti chiarendo che "non possono imputarsi al minore nato in Italia e figlio di genitori stranieri, gli inadempimenti di quest’ultimi circa i permessi di soggiorno e/o le formalità anagrafiche, sicché deve venire in rilievo la situazione di effettiva (e, quindi, legale) residenza del minore, da dimostrare, come nel caso in esame è stato dimostrato, da fatti significativi di una durevole e stabile permanenza residenza sul territorio fin dalla nascita ed inserimento nel tessuto sociale".
La Corte d’Appello, oltre a chiarire la questione della continuità della presenza, definisce anche l’interpretazione del concetto di residenza legale che può essere considerata tale secondo la definizione data dall’art 43 del Codice Civile, senza che quindi si sia proceduto all’iscrizione nei registri dell’anagrafe.
Nonostante le circolari e la pronuncia della corte d’Appello di Napoli (confermata in seguito anche da Firenze), gli Ufficiali di Stato Civile di moltissimi Comuni continuano ancora a ritenere non rispondenti ai requisiti le domande presentate da cittadini stranieri nati in Itala quando siano stati iscritti tardivamente all’anagrafe oppure quando i genitori, al momento della nascita, nonostante abbiano proceduto al riconoscimento del figlio ed alla registrazione della nascita presso gli appositi registri, non fossero in possesso del titolo di soggiorno.
Proprio in questi mesi questa situazione sta venendo alla luce in maniera più importante con centinaia di domande rifiutate da molti Comuni italiani.
Il problema? Non è difficile immaginarlo.
Le condizioni di soggiorno dei cittadini stranieri nel 1994 (18 anni fa) erano in questo paese alquanto precarie. Gli arrivi dall’Albania, gli sbarchi, gli stadi "d’accoglienza", i campi profughi, le baraccopoli, insieme ad una normativa prima poco chiara e definita (un insieme di decreti non organico), poi troppoo rigida (dal 1998 la Turco-Napòlitano, dal 2002 la Bossi-Fini) con la conseguente cancellazione anagrafica anche durante le fasi di rinnovo del permesso di soggiorno.
Così, tanto per citare solo due tra i tanti casi segnalati, può accadere che una tardiva iscrizione anagrafica, nonostante la circolare del 2007, ancora sia motivo di rifiuto, oppure che un breve periodo di soggiorno "irregolare" dei genitori (i minori in Italia sono sempre regolari) comporti ugualmente il rigetto della domanda.
La risposta degli uffici? Procedere con la richiesta ai sensi dell’art 9 (cittadinanza per residenza) che per i nati in Italia prevede un perido di residenza di soli 3 anni. Il problema però, oltre ai secolari tempi di attesa, rimane quello della dimostrazione del reddito che dipende dalla condizione dei genitori, in un perido in cui la crisi continua a produrre licenziamenti in particolare proprio tra i cittadini stranieri.
Così, mentre il Parlamento arranca e la politica procede per annunci ed intenzioni, la realtà di centinaia di migliaia di giovani nati in Italia continua a fare i conti non solo con una legge ingiusta ma anche e soprattutto con le limitazioni intepretative che i Comuni ed il Ministero, governati dagli stessi sostenitori della riforma, mettono in atto.



Milano: chi scivola nella povertà trova sempre più difficoltà per uscirne. E la situazione per gli stranieri è ancora più drammatica.
Lo dichiara l’XI Rapporto sulle povertà della Caritas Ambrosiana sulla base dell’analisi condotta nei centri di assistenza della diocesi di Milano.
Immigrazi0neoggi, 22-11-2012
In dieci anni nel territorio milanese sono aumentati di quattro volte i “poveri cronici” che si sono rivolti per almeno due anni consecutivi alla rete di assistenza della Caritas Ambrosiana. La dimostrazione che uscire dalla povertà e trovare una forma di riscatto economico e sociale in un periodo di crisi che non accenna ad alcuna rapida ripresa, è particolarmente difficile. A dichiararlo è l’XI Rapporto sulle povertà della Caritas Ambrosiana che ha condotto un’analisi su 16.751 utenti dei tre servizi centrali di Milano – Sai, Servizio accoglienza immigrati; Sam, Servizio accoglienza milanese; Siloe, Servizi integrati lavoro, orientamento, educazione – e di 59 centri di ascolto nel territorio della diocesi milanese.
Stranieri per lo più (73,5%), donne (2/3), in età lavorativa (3/4 del campione ha un’età compresa tra i 25 e i 54 anni), coniugati (45%) e con solo la scuola dell’obbligo (più della metà). Se nei primi anni i centri Caritas incontravano soprattutto “facce nuove” (nel 2002 i vecchi assistiti rappresentavano circa il 16% del totale degli utenti) in seguito hanno visto aumentare l’afflusso di persone già conosciute (nel 2011 hanno costituito il 40% degli utenti). L’anno che ha segnato il cambiamento è stato il 2010, spartiacque della crisi, durante il quale il numero di vecchi assistiti è aumentato di circa il 20% a fronte di un numero totale di utenti stabile. Il principale problema per gli stranieri è rappresentato dal lavoro senza alcuna differenza rispetto alla loro condizione giuridica; hanno chiesto aiuto in questo senso stranieri comunitari (74,2%) e regolari (67,9%) seguiti da irregolari (58,2%) e infine dagli italiani (46,7%). Per gli italiani la principale causa di povertà è invece rappresentata dallo scarso reddito (il 54,5% degli italiani contro il 46,9% di extracomunitari regolari).
Ma il dato ancora più allarmante è rappresentato dal 23% di stranieri che, pur vivendo da almeno 20 anni nel nostro Paese, ha ancora bisogno di assistenza per provvedere alle proprie necessità materiali. Con il tempo gli stranieri presenti da più tempo nel nostro Paese hanno regolarizzato la propria posizione (gli immigrati privi di regolare permesso sono diminuiti di due punti percentuali mentre i regolari sono passati dal 37,3% degli utenti totali nel 2010 al 40,5% nel 2011), hanno trovato un lavoro, ma non hanno ancora raggiunto l’autosufficienza economica, anche a causa della sopraggiunta crisi economica. Il segno di una integrazione ancora incompiuta.
“A causa della crisi ci troviamo di fronte ad un aumento dei bisogni e a una drastica riduzione di risorse. Dentro questa tenaglia stanno per essere stritolati i diritti di cittadinanza di una consistente fascia di popolazione”, ha commentato don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, mettendo in evidenza le forme di solidarietà sorte in molte parrocchie della diocesi. “Ci rincuora però vedere che sul territorio, dentro le nostre comunità stanno già nascendo proposte di aiuto e sostegno incentrate sulla gratuità e la solidarietà. Ci auguriamo che anche le pubbliche amministrazioni sappiano guardare ad esse non come semplici buone prassi, ma come piccoli mattoni di un nuovo tipo di welfare. Perché siamo convinti che le smart city, le città tecnologicamente avanzate, ecologicamente sostenibili, promosse anche dai programmi di sviluppo europei non potranno nascere se nel frattempo non costruiremo anche delle smart community, comunità più inclusive, capaci di creare percorsi di condivisione della cittadinanza, e quindi di essere più coese”.
(Maria Rita Porceddu)



Immigrazione: il Marocco e l’Europa, il ‘pericolo nero’ e la ‘difesa bianca’
il Fatto, 22-11-2012
Iside Gjergji
“Il Marocco è un albero che ha le radici in Africa, ma i suoi rami si estendono in Europa”, disse circa trent’anni fa il re del Marocco, Hassan II, mentre tentava di accreditare il suo paese nell’allora Comunità economica europea (ora Unione europea), non esitando a sbattere la porta in faccia all’Organizzazione dell’unione africana (ora Unione africana). Il tentativo di Hassan II si rivelò in seguito fallimentare. E così, il Marocco rimase escluso un po’ da tutto: dall’Europa e dall’Africa. Senza rami né radici. Il Marocco è oggi, infatti, l’unico paese africano a non far parte dell’Unione africana. Di certo non mancano i rapporti bilaterali con gli stati africani, ma questi sono quasi esclusivamente di tipo economico.
A giudicare dalle recenti politiche migratorie del governo marocchino, sembra che la tendenza generale sia quella di sempre: ovvero quella di tornare a salvaguardare i ‘rami, disconoscendo e tagliando (forse) per sempre le ‘radici’. L’impronta securitaria in tema di politiche migratorie, promossa dall’Unione europea, si abbatte come un’accetta sulle radici africane del Marocco, ovvero sulle migliaia di immigrati sub-sahariani presenti nel paese.
A partire dal mese di aprile 2012, infatti, un attacco sincronizzato, poliziesco e mediatico, contro gli immigrati africani è stato lanciato in tutto il paese: F’nideq, Tangeri, Rabat, Fès, Casablanca, Oujda e Nador. Violenze fisiche e morali, violazione del diritto nazionale e internazionale, respingimenti di massa di uomini, donne, bambini e richiedenti asilo (prima dalla Spagna al Marocco e poi dal Marocco all’Algeria), abbandono nel deserto di bambini e donne incinte, arresti arbitrari, arruolamento di teppisti per aggredire gli immigrati nelle città, nei casolari abbandonati o nei boschi in cui sono costretti a rifugiarsi. E’ questo che molti attivisti, associazioni e Ong operanti in Marocco stanno denunciando da mesi. Ma le loro grida sembrano rimbalzare contro gli enormi muri eretti nella Fortezza Europa.
Di sicuro, non si tratta di una assoluta novità; la violazione dei diritti degli immigrati sub-sahariani in Marocco è storia vecchia e già molte volte denunciata dalla stampa, così come da numerose organizzazioni, Amnesty International inclusa. Di nuovo, questa volta, c’è semmai l’uso dei teppisti per aggredire gli immigrati e la crescente violenza fisica e morale nei loro confronti, sia dalla parte delle forze dell’ordine che dai media nazionali, i quali tentano di fornire una giustificazione politica ed ideologica alle operazioni concrete della polizia e del governo.
Infatti, proprio mentre erano in corso decine di arresti di immigrati africani - costretti a firmare verbali non tradotti in una lingua a loro comprensibile e poi condotti ad Oujda, ossia la frontiera chiusa con l’Algeria, per essere lì completamente abbandonati a se stessi, non senza essere prima derubati di tutto, come spesso raccontano i testimoni – il periodico Maroc Hebdo pubblicava un articolo dai toni apertamente razzisti: “Le peril noir” (Il pericolo nero). Nell’articolo si trovano elencati tutti gli stereotipi razzisti, a cui la stampa italiana ed europea ci ha già abituati (anche se – bisogna darne atto – la settimana successiva lo stesso settimanale ha poi pubblicato le sue scuse ai lettori, contrariamente a quanto accade con i giornali italiani, che non risulta abbiano mai chiesto scusa per aver contribuito alla diffusione del razzismo).
Gli africani sub-sahariani venivano descritti nell’articolo come trafficanti di droga, ladri, violenti, sporchi e cattivi. Mentre le donne africane erano considerate tutte come prostitute. L’articolo si concludeva affermando che la presenza degli immigrati sub-sahariani in Marocco costituisce un pericolo per il paese, per la democrazia, per la sicurezza nazionale e per l’economia marocchina, lamentando l’intervento e le proteste (inopportune secondo l’articolo) delle Ong nelle operazioni di respingimento collettivo e chiedendo maggiore sostegno da parte dell’Unione europea nel controllo delle frontiere e dei movimenti migratori in Marocco.
L’Europa, d’altro canto, aveva già battuto un colpo, quando il 27 agosto scorso alcuni rappresentanti della polizia marocchina e spagnola si sono riuniti a Madrid per discutere della “pressione migratoria esercitata alle porte dell’enclave di Mellila”. L’esito dell’incontro lo si è potuto conoscere soltanto il 2 settembre 2012, quando circa 80 immigrati africani giunti in una piccola isola spagnola deserta, ma molto vicina alla costa marocchina, sono stati consegnati alla polizia marocchina e, quindi, respinti, senza essere ascoltati individualmente e senza neanche prendere in considerazione le loro richieste di asilo. Il quotidiano El Pais annunciava nello stesso giorno che il governo spagnolo e quello marocchino avevano deciso congiuntamente di riattivare una “clausola di riammissione” (ovvero respingimento collettivo) già contenuta in un accordo bilaterale risalente al 1992.  Per intenderci, si tratta della stessa clausola che fu utilizzata dal governo spagnolo per giustificare il respingimento dei 74 immigrati nel 2005, durante i cosiddetti “eventi di Ceuta e Mellila”, in cui trovarono la morte decine di immigrati.
Contro il “pericolo nero’ i signori bianchi (per nascita o per scelta) si ‘difendono’ da secoli: con la schiavitù, la fame, la colonizzazione, la deportazione, l’uccisione, l’uso delle armi chimiche, ecc. E chissà quando si fermeranno.



Al film “Io sono Li” di Andrea Segre il premio Lux 2012 del Parlamento europeo, ieri la cerimonia a Strasburgo.
Il regista: “Dedico questo premio a tutte le madri che cercano di dare un futuro ai loro figli viaggiando. E costrette a farlo illegalmente”.
Immigrazioneoggi, 22-11-2012
Il film di Andrea Segre Io sono Li è stato premiato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, nel corso della sessione plenaria di ieri a Strasburgo, con il premio Lux 2012. Il film esplora la storia di una donna cinese immigrata in Italia: impiegata in un laboratorio tessile di Roma, Li viene trasferita in un’osteria a Chioggia dove conosce un pescatore di origini slave. L’amicizia che ne nasce e il viaggio tra le due culture ha guadagnato al film l’onorificenza che dal 2007 premia il cinema indipendente impegnato a veicolare i valori dell’Unione europea e a creare uno spazio simbolico europeo. Allo stesso fine, il Parlamento ha avviato quest’anno le “Giornate premio Lux” (proiezioni dei film finalisti nei diversi Stati Ue) e finanziato la creazione dei sottotitoli in tutte le lingue dell’Unione.
“Dedico questo premio a tutte le madri che cercano di dare un futuro ai loro figli viaggiando. E costrette a farlo illegalmente” ha detto Segre parlando dal podio d’onore al centro dell’aula della plenaria. Il trentaseienne regista veneto, che ha sempre dedicato le sue opere ai temi della marginalità delle etnie, ha poi raccontato l’incontro con Laila, una donna senegalese i cui tre figli sono partiti in cerca di lavoro: uno morto mentre cercava di raggiungere le Canarie, uno disperso nel Sahara, l’ultimo “rinchiuso in un centro di espulsione in Italia”. “Mi ha detto che hanno speso tutto quello che avevano per viaggiare e che avevano sbagliato – ha commentato Segre – ma Laila ha anche detto che se qualcuno le avesse proposto di spendere la stessa cifra per farne viaggiare uno solo, loro avrebbero saputo scegliere”.
La videointervista a Segre realizzata lo scorso aprile da ImmigrazioneOggi.

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