Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 luglio 2010

Sbarco nel siracusano, arrestati 4 scafisti libici
SIRACUSA (ITALPRESS) - Sbarco di immigrati a Portopalo di Capo Passero (Sr). A seguito del ritrovamento di due extracomunitari, nelle prime ore di stamani, su una spiaggia vicina all'Isola delle Correnti, polizia, guardia di finanza, carabinieri e capitaneria di porto hanno bloccato un motopeschereccio che si era incagliato nella scogliera. A bordo c'erano quattro libici, di eta' compresa fra 25 e 34 anni tratti in arresto per favoreggiamento dell'ingresso di clandestini nel territorio nazionale. Il barcone, della lunghezza di 15 metri, e' stato posto sotto sequestro. All'interno c'erano una sciabola e tre coltelli. Altri 24 extracomunitari, tutti presumibilmente di origine eritrea (dieci uomini, nove donne e cinque minorenni) sono stati rintracciati piu' tardi e accompagnati in un centro di prima accoglienza. (ITALPRESS). abr/com 11-Lug-10


Pesaro: attivato sportello immigrazione a Osteria Nuova di Montelabbate

Pesaro, 12 lug. (Adnkronos/Labitalia) - Grazie ad un protocollo d'intesa tra Provincia di Pesaro e Urbino e Unione dei Comuni 'Pian del Bruscolo', e' stato attivato uno sportello immigrazione ad Osteria Nuova di Montelabbate (Pesaro), in largo Donatori del Sangue 25, aperto dal lunedi' al giovedi' dalle ore 9 alle 13 ed il venerdi' dalle 14.30 alle 19 (cell.366/2078464, a cui risponde Klarita Grazhdani, mediatrice interculturale europea ed esperta in politiche per l'immigrazione, e-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , fax. 0721/472818).

Lo sportello fornisce assistenza, consulenza e mediazione a favore degli extracomunitari e dei soggetti interessati al disbrigo delle varie pratiche (cittadini, aziende, centri servizi territoriali). In particolare, ci si puo' rivolgere per indicazioni sulle modalita' d'ingresso e soggiorno, sulle procedure per il rilascio, rinnovo e conversione del permesso di soggiorno, sugli adempimenti per l'assunzione di lavoratori extracomunitari, comunitari e neocomunitari.
Lo sportello si occupa anche delle funzioni precedentemente svolte dall'ex call center presente nella prefettura di Pesaro e Urbino fino al 31 dicembre 2009: prenotazione degli appuntamenti per accedere allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura per i primi ingressi (in seguito a visto per lavoro o ricongiungimento familiare) e per accedere all'ufficio immigrazione della questura e relativi commissariati.



Meeting-Arci: esercizi (comici) di anti-razzismo

l'Unità 10 luglio 2010
Domenico Starnone
Si sa che un razzista, salvo casi rari di entusiastica spudoratezza, non si considera mai tale. Ritiene invece di avere prove certe che c'è gente stupida, indolente, pericolosa la quale non solo è incapace per natura di far bene nel paese d'origine, ma ha deciso di far male anche in casa nostra. Il razzista non vi dirà mai che questa sua convinzione ha a che fare col colore della pelle o col fatto puro e semplice che si tratta di stranieri, vale a dire persone con lingua, usi e costumi diversi dai suoi. Vi dirà invece, come fanno i nostri governanti, che il problema è la difesa dell'ordine pubblico, la tutela dei confini patrii, il rispetto delle nostre tradizioni, l'allarme terrorismo.
Di conseguenza, guardando queste tavole di Altan, Ellekappa, Staino, Vauro, mi sono domandato non se un razzista sorriderebbe a vederle, ma se sarebbe in grado di decifrarle. Mi sono tristemente risposto: no. Ecco allora un consiglio: fate uno sforzo, guardate queste tavole in compagnia di una persona reale o virtuale affetta da razzismo e xenofobia. O, più banalmente, insieme a quella parte di noi stessi che, in questi tempi bui, tende a diventare xenofoba e razzista. Può essere utile. Dovendo fare i conti con il vostro compagno palese o segreto, sarete costretti a chiedervi, non foss'altro che per spiegarlo al vostro accompagnatore, come fanno gli omini e le signore di queste vignette a mobilitarvi la testa con poche parole azzeccate.
Io mi sono messo alla prova con quattro delle opere esposte, discutendole con un ragazzo filoleghista. Ho cominciato da Altan, dalla sua tavola dove un migrante lacero dichiara a un rotondo uomo in divisa kaki: "sono un essere umano", e l'uomo in divisa risponde: "dicono tutti così".
Beh?
Beh - ho detto, - qui si cita il noto luogo comune che tutti i criminali, davanti alla legge, si dichiarano sempre innocenti. Infatti il poliziotto, quando commenta: "dicono tutti così", intende: tu, migrante, pretendi di essere un essere umano proprio come ogni delinquente pretende di essere innocente, ma io, che so che quelli come te sono solo bestie criminali, non ti credo.
Ah.
Sì.
Sono passato a una tavola di Ellekappa, al suo duo di signore tutte orecchini, collane, creste, piume. La prima signora enuncia: "inevitabile l'estrema povertà dell'Africa"; la seconda commenta: "costa caro mantenere l'Occidente".
Beh?
Beh - ho detto, - altro che civilizzazione di faccette nere nullafacenti, altro che aiuti umanitari. Facendo leva su "costa caro" e "mantenere", ti compare in testa l'Occidente per quello che è: un mantenuto di lusso tutto riccioli e mollezze.
Ah.
Sì.
Sono andato a Staino, a una sua vignetta dove Bobo è interrogato dal figlio: "babbo, noi siamo razzisti?" La risposta di Bobo è: "con il governo giusto, alla grande."
Beh?
Beh - ho detto, - attenzione al "noi", cioè io e te, cioè gli italiani; e attenzione soprattutto all'aggettivo "giusto". Bobo non dice: con "questo" governo; e nemmeno: con un governo di centro destra; ma dice: con il governo giusto. L'azione verbale è lì: in quel "noi", che ci tira dentro, e nell'oscillazione di senso di "giusto". Il risultato è: i governi giusti fanno cose buone; questo invece è il governo giusto per fare una cosa pessima: trasformarci tutti in razzisti.
Ah.
Sì.
Sono arrivato a Vauro, alla tavola dove il suo omino si trova di fronte a un Gesù Cristo conciato per le feste malgrado l'aureola. L'omino esclama: "Cristo! Ma che ti è successo?" Risposta di Gesù: "Niente, ho solo fatto un salto a Rosarno". E in testa alla tavola la citazione evangelica: "Quel che farete al più piccolo dei miei fratelli, l'avrete fatto a me".
Beh?
Beh - ho detto - quel "Cristo!" mi è esploso dentro non solo come appellativo di Gesù, ma "anche" come un'esclamazione di sorpresa, di fastidio, di sconforto, di incazzatura. E poi c'è il tono minaccioso della didascalia in alto, che stride con quel "niente" minimizzatore di Gesù, con "ho solo fatto un salto". Insomma ciò che mi è arrivato è: Cristo! a Rosarno l'hanno fatta così sporca che s'è spaventato anche Cristo.
Ah.
Sì.
E poi -- ho detto - hai visto quante frasi faticose ho dovuto usare io per dire cosa significa essere un razzista della peggior specie? Altan, ElleKappa, Staino, Vauro lo fanno invece con pochissime parole lievi che ti danno il piacere dei lampi rivelatori. Il sorriso, il riso vengono da lì: un problema terribile e complesso è ridotto a un guizzo di intelligenza, ma senza sacrificare nemmeno un po' della sua complessità.
Ah.
Sì.
Basta, continuate voi con l'esercizio, le tavole sono belle e dense. Fatelo per risvegliare l'intelligenza del razzista che vi accompagna. Ammesso che gliene resti un po'...



Ponte Galeria, Polverini firma protocollo per assistenza sanitaria

la Repubblica 12 luglio 2010
Il governatore del Lazio: "Il documento prevede interventi per migliorare le condizioni di vita degli ospiti e attivare percorsi di prevenzione, diagnosi e cura" Fra le iniziative anche la costruzione di un campo di calcetto

E' stato rinnovato oggi alla sede della Regione Lazio il protocollo d'intesa, approvato con una delibera del primo giugno, che garantisce agli stranieri del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria l'assistenza sanitaria. A firmare il documento la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ed il garante regionale dei detenuti, Angiolo Marroni.

"Questo protocollo - ha spiegato Polverini - fa parte dei miei doveri e rinnova un clima di collaborazione tra le istituzioni perché si possa fare di più in termini di accoglienza per persone che a volte scappano solo dalla loro miseria. Il protocollo prevede interventi per migliorare le condizioni di vita degli ospiti e, attraverso convezioni con l'Asl di Roma D, attivare percorsi di prevenzione, diagnosi e cura. Si potrà ottenere nel più breve tempo possibile la documentazione clinica per assicurare la continuità assistenziale, si struttureranno rapporti istituzionali per consentire il rilascio dei tesserini sanitari per l'accesso ai sevizi, ci sarà l'organizzazione per l'accesso all'assistenza specialistica con particolare riferimento ai Serp, ai dipartimenti di salute mentale e ai consultori, oltre all'agevolazione dei rapporti tra il Cie e lo Spallanzani per eventuali ricoveri ed assistenza specialistica".

Il governatore del Lazio ha anche annunciato che  alle 18 andrà a visitare il Cie di Ponte Galeria per verificare la situazione.  "Se non c'è nulla da nascondere di solito i luoghi devono essere aperti: stasera alle 18:00 andrò a visitare il cie di Ponte Galeria personalmente", ha detto Polverini

Fra le iniziative presentate oggi per migliorare le condizioni di vita nel centro di Ponte Galeria anche il finanziato di un campetto di calcio. "Sta per partire  - ha aggiunto Polverini - la costruzione di un campetto di calcio che sarà finanziato dalla Regione. Credo che si possa poi proseguire anche lavorando per dare un luogo di culto, di preghiera, intrattenimento".

"Le persone nel Cie, che non sono detenuti - ha spiegato Marroni - vivono una condizione molto pesante perché la struttura fu costruita a suo tempo con caratteristiche difficili da sopportare per viverci, anche per sei mesi. Se mi chiedessero di scegliere tra carcere e Cie sceglierei il carcere". "

Secondo quanto riferito dal direttore della cooperativa che gestisce i servizi interni alla struttura di Ponte Galeria, Giuseppe Di Sangiuliano, in estate saranno avviati anche dei lavori per la messa in sicurezza del Cie. Per gli ospiti della struttura già sono operative alcune attivitaà, come quelle di arte terapia, corsi di italiano e per le donne anche corsi di danza.



245 profughi – eritrei e somali – trasferiti da un campo libico ad un altro

migrare.eu
Valentina Brinis
Sette giorni fa il quotidiano l’Unità ha raccontato la vicenda dei 245 profughi – eritrei e somali – trasferiti da un campo libico ad un altro, da Misratah a Braq in cui sono attualmente rinchiusi in condizioni disumane. Uno spostamento effettuato in risposta a una rivolta originata, secondo il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, da un “equivoco”. Ai detenuti infatti era stato sottoposto un questionario per poter aver accesso a “lavori socialmente utili” confuso con quello che prevedeva invece l’espatrio forzato. Da qui la tragedia definibile tale per le condizioni disumane in cui si sono svolti i fatti e in cui si trovano ora queste persone.
“Siamo allo stremo e impotenti” racconta uno dei detenuti in una intervista via telefono ad Alessia Gizzi del Tg3. Ma questa non è l’unica testimonianza. Molte altre ne sono state raccolte, sempre attraverso telefonate, da operatori di associazioni italiane. Così è cominciata la maratona per diffondere e approfondire i fatti di Braq, per coinvolgere e sensibilizzare organi di stampa,autorità politiche, istituzioni e cittadini comuni affinché rimanga alta l’attenzione sulla vicenda. La richiesta è che la sorte, probabilmente drammatica, di quei 245 non resti in balia delle autorità di un paese, la Libia, che, non avendo sottoscritto la Convenzione di Ginevra, non riconosce loro lo status di rifugiato e non garantisce di conseguenza la loro incolumità. Ecco motivata l’esortazione “presto, fate presto” espressa nel corso della conferenza stampa organizzata dall’associazione A Buon Diritto, presieduta da Luigi Manconi, a cui hanno preso parte alcuni parlamentari (Fabio Granata Jean Leonard Touadì Flavia Perina Savino Pezzotta Livia Turco) e il condirettore dell’Unità Gianmaria Bellu. Dagli interventi è emersa la necessità di trovare una comune linea di azione che abbia come fine la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Ed è stata espressa con forza l’esigenza di riempire quel vuoto normativo in materia di diritto d’asilo in conformità con l’articolo 10 della Costituzione per cui: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Tra quei 245 quanti si sarebbero potuti appellare a quell’articolo? E quanti hanno cercato di farlo tentato di sbarcare sulle Coste italiane?



Il microcredito è più etnico

il Sole24ore.it
Francesca Maffini
Reni ha aperto un centro estetico, Tibebu, auto-trasportatore, ha acquistato un veicolo più grande, Akash ha inaugurato un piccolo negozio di alimentari, Comfort ha avviato un internet point. Sono bastate poche migliaia di euro (in media 10mila) perché questi progetti dalla carta passassero alla realtà. Sono serviti i microcrediti (finanziamenti inferiori ai 25mila euro secondo la definizione del Fondo europeo degli investimenti) per agevolare la vita di questi imprenditori immigrati.
Diffuso nei Paesi del Sud del mondo, negli ultimi anni il microcredito si sta radicando anche in Europa: nel 2009, stando al rapporto dell'European microfinance network, sono entrati in circolo 828 milioni di euro. Anche se, spiega Luisa Brunori, presidente dell'Osservatorio internazionale per la microfinanza dell'università di Bologna, «nel mondo occidentale è stato interpretato in modo diverso. Ha tenuto il nome, ma spesso ha perso gli elementi fondanti: fiducia, unità di gruppo e centralità delle donne. Il micro-prestito si basa sul dare direttamente fiducia alla persona, senza chiedere garanzie a terzi, e ai gruppi di lavoro che si devono formare, per aumentare il valore economico delle attività e creare capitale sociale».
Secondo l'ultimo rapporto Ritmi (Rete italiana della micro finanza), nel 2009 in Italia su 10 milioni 925mila euro di microcrediti, il 47% (5 milioni 123mila euro) è andato a immigrati. «Sono persone – sottolinea la professoressa Brunori – che, solitamente, hanno già superato difficoltà per arrivare in Italia dimostrando di essere disposti a rischiare. Però sono socialmente fragili, per loro un fallimento potrebbe essere altamente "distruttivo". Bisogna seguirli prima, durante e dopo l'avvio del l'impresa».
Un'attenzione che Extrabanca, nata da poco più di due mesi, cerca di avere. «Siamo strutturati per lavorare con le eccezioni – dice Alberto Rabbia, Chief operating officer di Extrabanca . Teniamo conto del rischio e degli scoring elaborati dal computer, ma valutiamo, per ogni cliente, le sfumature. Abbiamo già concesso qualche microcredito da 10-12mila euro per attività svariate: dal l'acquisto di biglietti aerei per tornare nel Paese d'origine a quello per nuovi arredi in casa e in ufficio». Le cifre
Il Fondo europeo per gli investimenti definisce microcredito per l'industria il prestito inferiore a 25mila euro. Questa è un'indicazione intorno alla quale le banche, le associazioni no profit, gli enti locali e religiosi si orientano. La media dei prestiti è intorno ai 10-12mila euro e le rate possono andare dai 12 agli 84 mesi (in base all'importo erogato).
I soggetti attivi
I principali promotori di progetti di microcredito sono soggetti privati esterni al mondo bancario, come associazioni no profit ed enti religiosi, che pesano per circa il 52 per cento. Seguono gli enti pubblici (26%) impegnati soprattutto nel microcredito al consumo per le famiglie, italiane e non, in difficoltà, e banche (22%).
I numeri
RICHIESTA POTENZIALE 5 miliardi
Secondo il rapporto della
Rete italiana di micro finanza (Ritmi) ammonta a questa
cifra il mercato potenziale di progetti di microcredito,
la maggior parte dei quali trainata da imprenditori immigrati.
CREDITI EROGATI DAL 2005
225 mln €
Valore totale dei crediti erogati in Italia da quando questa forma di finanziamento ha iniziato a diffondersi. Secondo il IV rapporto
sul microcredito in Italia,
i beneficiari sarebbero
circa 20mila.
START-UP IMMIGRATE 5.123.000
Somma di microcrediti erogata in Italia nel 2009
in favore degli immigrati. Si tratta – secondo l'ultimo rapporto della Rete italiana
della microfinanza –
del 47% del totale
(10 milioni 925mila euro)
MICROCREDITI 2009 564
Numero totale di microcrediti concessi agli immigrati in Italia nel 2009 secondo l'ultimo rapporto dell'European microfinance network. L'Italia è stata il terzo Paese per microprestiti "etnici", alle spalle di Francia e Spagna.
Norme & sentenze
UN CODICE A MISURA DI STRANIERI
Che cos'è il microcredito
L'erogazione di un prestito di piccola entità e senza richiesta di garanzie reali. Nato nei Paesi in via di sviluppo, dove i crediti sono di poche centinaia di dollari, nei Paesi industrializzati si sta diffondendo negli ultimi anni. L'obiettivo è sostenere piccole attività imprenditoriali, già avviate o in fase di lancio, per creare nuovo valore economico e creare capitale sociale.
Come si richiede
Il primo aspetto da curare prima di chiedere un microprestito imprenditoriale (start up o sostegno ad attività già avviate) è la definizione del progetto: fattibile, ben congegnato e sostenibile nel medio-lungo periodo. A seconda del soggetto a cui si vuole rivolgere la richiesta, ci sono moduli diversi da compilare (alcuni direttamente online). Se la domanda supera il primo scoglio, insieme ai responsabili dell'ente che deve erogare il prestito si valutano in dettaglio tutte le voci (importo, rate, eccetera).




Immigrazione e Costituzione

italiarazzismo.it  09 luglio 2010
Federica Resta Luigi Manconi
“La qualità di immigrato «irregolare» diventa uno “stigma”, che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto, (…) in base ad una presunzione assoluta, che identifica un «tipo di autore» assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento.”.
In quest’affermazione risiede, forse, il ‘cuore’ della sentenza 249/2010 – la cui motivazione è stata depositata ieri - che ha dichiarato l’aggravante cosiddetta di ‘clandestinità’ incostituzionale per violazione dei principi di ragionevolezza, offensività e materialità, secondo cui, insomma, non si può incriminare una persona per ciò che si è o si pensa di fare ma solo per ciò che si è fatto, sempre che si sia violato un bene ritenuto meritevole di tutela per l’ordinamento.
In quanto del tutto sganciata dal reato cui accede e dal suo disvalore, quest’aggravante determina un aggravio di pena sproporzionato rispetto alle finalità di tutela dell’interesse protetto (il controllo delle frontiere), come già sancito dalla Consulta (sent. 22/07) in relazione alla disciplina dell’immigrazione e, mutatis mutandis, ai reati di mendicità ‘non invasiva’ e ubriachezza abituale  (sentt. 519/95 e 354/02). L’aggravio di pena correlato alla mera condizione di irregolarità è quindi privo di alcun fondamento in quanto basato su di una presunzione assoluta di pericolosità sociale che già la Consulta (sent. 78/07, in relazione al divieto di concessione di misure alternative agli irregolari) ha ritenuto non desumibile da tale status e per ciò solo, ed attivabile anche quando lo straniero ignori (per colpa) la propria condizione di soggiornante irregolare. Né questo aggravio di pena potrebbe giustificarsi in ragione del fine di meglio consentire il controllo del territorio mediante la regolazione dei flussi migratori, perché del tutto in conferente rispetto a tale scopo.
L’aggravante, insomma, ha una “natura discriminatoria” non attenuata ma anzi, asseverata, dall’introduzione del cosiddetto reato di clandestinità, in quanto costituisce la premessa per “duplicazioni o moltiplicazioni sanzionatorie, tutte originate dalla qualità acquisita con un’unica violazione delle leggi sull’immigrazione, ormai oggetto di autonoma penalizzazione, e tuttavia priva di qualsivoglia collegamento con i precetti penali in ipotesi violati dal soggetto interessato”.
Meno netta e, a  volte, tautologica, la sentenza 250/2010, che ha respinto le questioni di illegittimità costituzionale sollevate in relazione al reato di clandestinità, che per il giudice rimettente contrasterebbe anche con il principio di solidarietà umana e sociale (art. 2 Cost.), in quanto criminalizza una condizione personale e sociale di marginalità, a fronte di un comportamento privo di offensività a terzi.  Nella qualificazione come reato di quella che è una mera condizione soggettiva, spesso indipendente dalla stessa volontà della persona, con un regresso all’epoca pre-illuminista si è infatti annullata la più grande conquista del diritto penale liberale: il passaggio dalla colpa d’autore o per la condotta di vita, alla colpa per il fatto.  E proprio su questo punto insisteva l’ordinanza con cui si è sollevata alla Consulta questione di legittimità costituzionale di questo reato. Le eccezioni sollevate sono state disattese principalmente in nome della discrezionalità del legislatore nelle scelte di politica penale, non ravvisandosi lesione di quei principi di ragionevolezza e offensività che neppure le Camere, nella loro sovranità, possono violare, nella selezione delle condotte da incriminare. La Corte, in particolare, ha ritenuto non irragionevole la scelta di elevare da illecito amministrativo a penale l’ingresso e il soggiorno illegali in quanto funzionale alla finalità di gestione delle migrazioni, che costituirebbe espressione peculiare di quella prerogativa essenziale della statualità consistente nel controllo del territorio. Argomento, questo, discutibilissimo: nel perseguimento di questa finalità, infatti, il legislatore non è del tutto libero, ma deve pur sempre realizzare un adeguato bilanciamento tra tale scopo e il sacrificio imposto alla libertà fondamentale per eccellenza (la libertà personale), che risulta inevitabilmente compressa da un simile reato. Che per la Corte, peraltro, non incrimina un mero status soggettivo, ma un comportamento ‘positivo’ di violazione della legge che regola le condizioni di ingresso nel territorio dello Stato. Affermazione, anche questa, discutibile almeno nella misura in cui non presupponga un’interpretazione restrittiva della norma penale, che la escluda cioè almeno quando il comportamento del migrante sia dettato da quei giustificati motivi che escludono persino il più grave reato di trattenimento ingiustificato nel territorio dello Stato.
Aspetto, questo, affrontato dalla Corte con poco coraggio: da un lato infatti si dice che anche al reato di clandestinità si applicano le scriminanti generali (es. stato di necessità) e le cause di esclusione della colpevolezza (es. l’ignoranza inevitabile della legge penale) che escludono qualsiasi altro reato, nonché la causa di improcedibilità per particolare tenuità del fatto prevista per i processi dinanzi al giudice di pace e il principio generale di civiltà giuridica secondo cui “ad impossibilia nemo tenetur” (e verrebbe da dire: ci mancherebbe altro!).
Dall’altro lato, però,  la Corte esclude che al reato di clandestinità possa applicarsi in funzione scriminante quelle più ampie ipotesi di giustificato motivo (es. impossibilità di recarsi alla frontiera) riconosciute per il trattenimento ingiustificato, in quanto, diversamente da quest’ultimo, il primo non presuppone l’esecuzione dell’espulsione da parte dello stesso migrante.
Diversamente dalla n. 249, dunque, quest’ultima sentenza si trincera dietro la discrezionalità del legislatore per attribuirgli scelte che sembrano violare persino quel limite ultimo della ragionevolezza che finanche le Camere devono rispettare.



Intervista a Christopher Hein
«Miope e tirchia quell'Italia che chiude la porta ai rifugiati»

l'Unità 12.07.2010
Umberto De Giovanangeli
Un rifugiato è prima di tutto un essere umano che ha bisogno di tutela non solo dal momento in cui mette piede in Italia o in un altro Stato dell'Unione europea. Dal momento in cui la persona è costretta a lasciare il proprio paese, dove non trova più protezione, e a intraprendere il viaggio verso l'esilio, quella persona è rifugiata e necessita di aiuto». Un aiuto troppo spesso negato. L'Unità ne parla con Christopher Hein, fondatore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), partendo dalle conclusioni, su citate, del libro da Hein curato «Rifugiati. Vent'anni di storia del diritto d'asilo in Italia» (Donzelli Editore». «I diritti umani vanni bene - riflette Hein - fino a quando ci si limita alle parole. Quando però c'è un prezzo da pagare, l'Italia si scopre "tirchia"». E miope. Qual è la ragione per cui si continua ad alimentare l'equivoco fra migranti e rifugiati?
«Le ragioni sono molteplici e di varia natura. Sui media, nell'immaginario collettivo, in Italia esistono i barconi di migranti, mai di rifugiati... L'immigrato è una figura conosciuta che appartiene al vissuto, alla memoria storica dell'Italia. Il rifu¬giato molto meno, o quasi niente. In Italia si fa fatica a ricordare i rifugiati durante il fascismo. Non c'è una grande consapevolezza che nel Ventennio c'erano antifascisti che hanno chiesto, come Sandro Pertini, asilo in Francia... E quando se ne parla, si fa riferimento all'esule" e non al rifugiato... Poi c'è una dimensione statistico-numerica: in Italia abbiamo oggi 4,5 milioni di immi-grati e forse, tutto sommato, 70mila rifugiati. È chiaro che la questione migrazione, quantitativamente parlando, ha una valenza ben maggiore di quella dell'asilo e dei rifugiati. C'è poi una terza dimensione, più politica...».
E in cosa consiste?
«Nell'assillo della "governabilità". Nell'immigrazione, almeno in teoria è possibile stabilire una quota d'ingresso. Invece per i rifugiati non si possono stabilire quote di accettazio¬ne. C'è questo elemento d'incertezza: cosa succederà l'anno prossimo in Egitto, in Iran, piuttosto che nei Paesi dell'Africa subsahariana o del Maghreb... e quindi si verificherà un altro esodo di massa come è accaduto durante la guerra nella ex Jugoslavia? Alla base c'è la mancanza di con-sapevolezza di un valore elementare, sancito peraltro dalla Costituzione italiana. A dominare è la paura verso un fenomeno che può sfuggirti di mano... E così entriamo nel campo della "schizofrenia" politica...
A cosa si riferisce?
«Penso al governo Berlusconi che prima fa la legge Bossi-Fini e poi nel 2002, fa la più grande sanatoria di tutti i tempi: quella di 700mila immigrati regolarizzati... Ma allora, che necessità c'è di respingere con la forza 700-1000-1500 eritrei e somali, se allo stesso tempo vari la sanatoria per badanti e lavoratori domestici che ha riguardato circa 300mila persone? Perché rischiare conflitti internazionali, condanne per violazione del diritto di asilo, e questo per 700-1000 persone?
Spesso nelle discussioni, quando presentiamo come Cir al nostra proposta di legge in attuazione dell'articolo 10 della Costituzione, ci sentiamo ripetere: ma se domani arrivano a Malpensa, a Fiumicino un miliardo di cinesi a chiedere asilo... Più che un argomento, è una ossessione che, va detto, non è propria solo di chi si riconosce nell'attuale maggioranza di governo. Questa del miliardo di cinesi è una leggen-da metropolitana ma che fa effetto».
Guardando al futuro, e avendo bene in mente la vicenda dei 245 eritrei se-gregati in un carcere libico, come governare il problema dell'asilo? «Ciò che noto è che un Paese come l'Italia che in tante battaglie per i diritti umani è stata in prima fila, protagonista - ad esempio sullo Statuto del Tribunale penale internazionale, che non a caso si chiama Statuto di Roma, con la presidenza di Giovanni Conso, o la stessa Convenzione europea per i Diritti umani che è stata siglata a Roma nel 1950, la stessa moratoria sulla pena di morte che ha visto l'Italia svol-gere un ruolo di primo piano all'Onu - dal momento però in cui applicare i diritti umani, o il diritto di asilo, costa qualcosa, allora c'è un freno, un chiudersi, un respingere... I diritti umani vanno benissimo finché non costano. E visto che l'accoglienza di rifugiati qualcosa necessariamente costa, allora si chiudono le porte. E questo non è solo eticamente sbagliato, è anche prova di miopia politica, perché molti di quegli asilanti respinti, penso all'America Latina, sono diventati poi parte della classe dirigente di quei Paesi».?


Immigrati eritrei, Gheddafi ordina un’inchiesta

Corriere della Sera 12 luglio 2010
Il racconto di un profugo: «In quelle celle botte, fame, sete e cadaveri abbandonati»
Le botte, la sete, il cibo scarso, i cadaveri buttati via come rifiuti. La Libia nei ricordi dell’eritreo T.D. non è un Paese per rifugiati. «Mi sento male anche solo a sentire gli altri che ne parlano». Come in questi giorni, con le notizie dei 245 connazionali minacciati di rimpatrio, detenuti nel carcere di Brak, tra testimonianze di torture e strazi, finché è arrivata la promessa di liberazione per svolgere non meglio definiti «lavori socialmente utili». L’ultimo aggiornamento, secondo l’agenzia locale Jana: il leader Muammar Gheddafi ha ordinato un’inchiesta «sulla situazione degli immigrati eritrei». Il ministero degli Esteri di Tripoli respinge le accuse riprese dalla stampa straniera e rivendica «trattamenti umanitari per gli ospiti».
Non è l’esperienza di T.D., 18 anni appena, partito ragazzino da un villaggio al confine con l’Etiopia per sottrarsi al servizio militare eterno di un Paese autoritario e instabile, e trovare un lavoro da saldatore. Qualche mese dai parenti in Sudan in attesa di un trafficante che gli organizzi il viaggio, con altri 133. Quattro giorni alla frontiera libica aspettando altri passeurs e tre Land Rover con il retro scoperto in cui si stipano tutti. Quindici scompaiono nel deserto, uccisi dal sole e dall’arsura, durante i venti giorni di viaggio. T. D. ce la fa, ma a un prezzo molto alto.
«La polizia libica mi arresta e mi porta nel centro di detenzione di Ganfuda, vicino a Bengasi». Il suo racconto è dettagliato grazie all’aiuto di un interprete di tigrino, che l’accompagna al Meeting internazionale antirazzista organizzato dall’Arci a Cecina. «Eravamo in 50 nella stessa stanza, divisi per nazionalità, c’erano anche 4 bambini. Si poteva stare all’aria aperta 15 minuti alla settimana. Abbiamo avuto malattie della pelle. Non ci davano medicine e ci dicevano: sei un animale, non ci interessa nulla di te, puoi anche morire».
Succede a un ragazzo nigeriano, che tenta di ribellarsi e viene messo in isolamento, niente cibo nè acqua. Dopo qualche giorno è raggiunto nella cella punitiva da un giovane eritreo, riacciuffato dopo una fuga. «Il mio compagno ha visto il nigeriano morire, ha chiamato le guardie, l’hanno lasciato lì tutta la notte, hanno preso il corpo il giorno dopo e l’hanno gettato».
Botte coi bastoni di gomma alla conta del mattino, botte alla sera, botte a ogni cambio di turno dei secondini. Peggio ancora per le donne, che vengono anche molestate. «L’acqua da bere finiva al principio della giornata, per lavarsi non ce n’era. Da mangiare solo riso e sale, anche per i bambini».
Sembra una delle storie dell’orrore raccontate dai rifugiati africani passati per la Libia nel documentario di Dagmawi Yimer (con Riccardo Biadene e Andrea Segre) Come un uomo sulla terra. «Anche io sono stato detenuto a Bengasi, ma in un altro carcere — spiega Dagmawi —. Perché questo trattamento per noi del Corno d’Africa? Sanno che abbiamo i soldi, che ce li facciamo mandare dalla famiglia». Migranti in transito con migliaia di dollari da spendere per i trafficanti: prede ambite dalla polizia libica.
Qualcuno riesce a scappare. T.D. racconta di avercela fatta, dopo sei mesi, e di aver raggiunto Tripoli. Evita così le violenze dell’agosto 2009 a Ganfuda, sulle quali ha raccolto numerose testimonianze e fotografie il giornalista Gabriele Del Grande (fondatore del sito Fortress Europe sulle vittime dell’emigrazione): sommossa dei detenuti somali, repressione con bastoni e armi da taglio, spari, decine di feriti, sei morti.
In quei mesi T.D. sta preparando il viaggio verso l’Italia. Ci riesce lo scorso novembre, i suoi scafisti evitano Lampedusa (e i respingimenti) e lo fanno sbarcare nel ragusano. Ora ha un «permesso di soggiorno per protezione sussidiaria». E per tre anni, almeno, spera di stare tranquillo.



L'immigrazione è una delle "chiavi" per la ripresa nel lungo periodo.

Lo afferma l'Ocse in un rapporto ad hoc, in cui spiega che la migrazione internazionale è diminuita durante la crisi economica ma con l'avvio della ripresa gli immigrati saranno ancora una volta necessari per colmare le carenze di manodopera e competenze.
Rainews 12.07.2010
"L'afflusso di immigrati verso i paesi Ocse - si legge nell'International Migration Outlook 2010 - è calato di circa il 6% nel 2008 a 4,4 milioni di persone,
invertendo l'andamento dei cinque anni precedenti" caratterizzato da "aumenti annui medi dell'11%". Inoltre "dati più recenti suggeriscono che i numeri della migrazione sono scesi ulteriormente nel 2009". Secondo l'organizzazione con sede a Parigi, il calo riflette una diminuzione della domanda di manodopera nei paesi Ocse: gli
immigrati sono stati duramente colpiti dalla crisi del mercato del lavoro, in particolare i giovani. La disoccupazione ha travolto soprattutto gli immigrati maschi
impiegati in settori come le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti. Tuttavia, sottolinea l'Ocse, in alcuni paesi c'è stato un contestuale aumento nei tassi di occupazione tra le donne immigrate, che hanno "compensato" la perdita di reddito dei loro coniugi disoccupati.

"Oltre l'impatto a breve termine della crisi - osserva il rapporto - l'immigrazione
continuerà a svolgere un ruolo fondamentale per le economie Ocse nel lungo periodo. Per questo, i governi degli Stati membri dovranno compiere ogni sforzo per aiutare gli immigrati che hanno perso il posto di lavoro, sia assicurando
loro gli stessi diritti dei disoccupati locali sia fornendogli supporto per la ricerca di lavoro e di formazione linguistica per aiutare la loro integrazione". Per il
segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, "è importante ricordare che gli immigrati rappresentano un notevole contributo all'economia nazionale specialmente quando i tempi sono buoni. Le attuali difficolta' economiche non cambieranno le tendenze demografiche a lungo termine e non dovrebbero essere usate come una scusa per limitare eccessivamente l'immigrazione. E' necessario quindi - ha concluso Gurria -
che le politiche dell'immigrazione abbiano una prospettiva di lungo periodo".

Tra l'altro, ammonisce l'organizzazione di Parigi, senza un aumento degli attuali tassi di immigrazione, la popolazione in età lavorativa nei paesi Ocse crescerà
solo dell'1,9% nei prossimi 10 anni rispetto a un incremento dell'8,6% tra il 2000 e il 2010.



Nulla invece per Eritrea, Somalia, Etiopia.

A questi migranti si nega addirittura il diritto di asilo secondo il Trattato di Ginevra
Shukri Said
Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. 11 luglio 2010
L'analisi
L’orrendo frutto dell’accordo sui respingimenti tra Italia e Libia, alla fine, ha mostrato il suo grado di maturazione spargendo il suo succo amaro sul capo di quasi tutti gli italiani perché l’arco di coloro che a quell’accordo hanno prestato il consenso è stato molto più ampio di quanto ci si sarebbe aspettato.
Il messaggio in bottiglia costituito da un sms ha permesso al mondo di conoscere la fine che fanno gli abitanti dei Paesi subsahariani orientali respinti dall’Italia senza alcuna selezione tra gli aventi diritto all’asilo e imprigionati nei lager libici in mezzo al deserto tra malattie e torture, con poco cibo, poca acqua, niente igiene e un caldo pazzesco.
Quanto si è appreso da quell’sms non è affatto una sorpresa, ma la conferma dell’esito annunciato all’indomani della ratifica di quell’accordo tra Italia e Libia e massimamente temuto dalla sua attuazione, quando il 15 maggio 2009 l’Italia donò le prime due motovedette alla Libia proprio per il pattugliamento della frontiera mediterranea. La vergogna di quell’accordo stigmatizzato da tanti della società civile italiana, dall’Ue e dall’Onu, ora ricade su tutti noi e ci impone una riflessione.
Le vittime dei respingimenti sono soprattutto eritrei, somali ed etiopi. Popoli che, con quello libico, sono appartenuti alle colonie italiane di cui il Fascismo fu tanto orgoglioso da proclamarsi Impero proprio in virtù di esse. L’Italia ha espressamente riconosciuto di aver provocato danni con l’occupazione dei territori africani. Lo attesta il trattato con la Libia alla quale si attribuiscono ben 5 miliardi di dollari di indennizzi.
Nulla, però, è stato sin qui previsto per gli altri Paesi occupati nell’epoca coloniale, tanto meno per quelli dell’Africa Italiana Orientale istituita nel 1938 accorpando Eritrea, Somalia ed Etiopia e da cui provengono in gran parte quei profughi respinti in mare dalla Libia cui il Governo Berlusconi ha appaltato la blindatura della frontiera a sud. Anche la conciliazione con il passato coloniale, dunque, si conferma una scelta ad personam, prevedendo il risarcimento in favore della sola Libia, ricca di petrolio e gas, ed a scapito dei Paesi più deboli. Metodo coerente con gli altri dell’attuale Governo: debole con i forti e forte con i deboli. L’Italia deve immediatamente modificare le sue scelte e farsi carico dei disperati delle sue ex colonie.
Inoltre, più di ogni altro Paese, deve farsi carico di intervenire nelle ex colonie per favorire la loro riorganizzazione ed il miglioramento delle condizioni di vita dei loro abitanti. Questo sarebbe certamente il modo migliore per attenuare la pressione dell’immigrazione che proprio da quei Paesi mira ad arrivare al nostro quale più familiare tra tutti gli altri, sia per lingua che per tradizioni. È assolutamente inaccettabile, invece, non solo rimanere inerti rispetto alla gravità delle condizioni in cui versano i Paesi dell’ex A.I.O. del 1938, mentre si china la testa dinanzi al Colonnello Gheddafi, ma addirittura rigettare in mare i profughi di quei Paesi evitando accuratamente di accertarne il diritto all’asilo secondo i principi del Trattato di Ginevra.
Tutti gli altri Stati che hanno avuto un passato da colonizzatori si sono fatti carico dei problemi dei territori occupati dopo il riconoscimento dell’indipendenza. L’Inghilterra li ha mantenuti tuttora associati nel Commonwealth, cioè nel benessere comune, in cui si è stabilito un libero o preferenziale diritto di migrazione da un Paese ad un altro.
La Francia ammise sul proprio territorio, e con la cittadinanza francese, circa un milione e mezzo di pieds noirs che lasciavano i Paesi del Maghreb che nel 1962 conquistarono l’indipendenza e mantenne per decenni facilitazioni alla libera circolazione con le ex colonie . Partecipando al colonialismo al pari di tutte le grandi nazioni dell’epoca, l’Italia volle mostrare al mondo di valere quanto le altre grandi potenze, ma quando si è trattato di assumersi le responsabilità che il colonialismo comportava, l’Italia non solo non ha riconosciuto nessuna facility ai cittadini delle ex colonie al momento di adottare i flussi di lavoratori extracomunitari, ma addirittura ha elevato alle sue frontiere il muro dei respingimenti indiscriminati.





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