Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 dicembre 2010

Immigrazione La norma entra in vigore da domani. In caso di ricorso i rimpatri dovranno essere sospesi
Clandestini, più difficili le espulsioni
La nuova direttiva europea; un mese per l'« allontanamento volontario»
Corriere della Sera, 23-12-2010
MILANO — La nuova direttiva europea sull'immigrazione, che entrerà in vigore domani, rischia di stravolgere l'intero meccanismo delle espulsioni dall'Italia. E di «azzerare» un decennio di leggi nazionali sulla «clandestinità», riportando l'intera materia alla fase precedente al 2002, quindi prima che venisse promulgata la «Bossi-Fini».
I punti chiave di incompatibilità tra la direttiva europea e l'attuale legge italiana: invece dell'«immediato accompagna¬mento alla frontiera» o, in alternativa, di una «detenzione» in un centro per l'espulsione (Cie), secondo la Ue allo straniero «clandestino» dovrà essere assicurato un periodo da 7 a 30 giorni per «l'allontanamento volontario» dall'Italia; il divieto di reingresso nel nostro Paese per uno straniero già espulso non potrà superare i 5 anni (la legge italiana oggi ne prevede 10); in caso di ricorso giudiziario, l'espulsione dovrebbe essere sospesa (blocco oggi non previsto).
La direttiva europea 115 risale al 2008 e avrebbe dovuto essere recepita dall'Italia entro domani. Ciò non è avvenuto. Conseguenza: in base al principio del primato delle norme comunitarie, le regole nazionali dovrebbero essere sostituite e quelle incompatibili non dovrebbero essere più applicate. Qualcuno lo ha definito «un regalo di Natale» per gli immigrati. Di fatto i tribunali e i giudici di pace italiani sono da giorni impegnati ad approfondire la materia per capire come dovranno comportarsi. Ai giudici di pace di Milano è arrivata qualche giorno fa una comunicazione per ricordare che «l'attuazione della direttiva comunitaria.. stravolgerà l'attuale sistema di espulsione».
È probabile che il tema esploderà dopo la metà di gennaio, quando i magistrati si troveranno ad esaminare procedimenti di espulsione scattati da domani in poi, e che quindi non siano già partiti sotto il «vecchio» sistema di regole.
Di certo i 18 giudici di pace mi-lanesi hanno avuto disposizione dal coordinatore dell'ufficio, Vito Dattolico, di applicare la nuova direttiva europea. «Viene introdotta una considerazione verso la persona — spiega Dattolico — che in passato spesso non c'è stata, in molti casi lo straniero era considerato niente più che un numero. Va ricordato che anche noi siamo stati un popolo di migranti».
E probabile che nelle prossi¬me settimane il conflitto tra le legge italiana e quella comunitaria possa essere sollevato davanti alla Corte Costituzionale.
Spiega l'avvocato Tommaso Cataldi, referente della sezione penale e immigrazione dei Giudici di pace milanesi: «In sostanza si torna all'antico, a prima della legge Bossi-Fini. Lo straniero sarà più tutelato, perché non potrà essere imbarcato su un aereo tanto facilmente e non potrà essere trattenuto nei Cie senza che ci sia pericolo di fuga o un rischio accertato per l'ordine pubblico. La direttiva europea considera solo come extrema ratio la limitazione della libertà personale e favorisce l'allontanamento volontario».
Un elemento centrale per capire come sarà applicata la direttiva ruota intorno al reato di clandestinità, introdotto dal «pacchetto sicurezza» del 2009. Le norme europee non si applicano infatti a espulsioni che siano conseguenza di una sanzione penale e quindi, alla lettera, non dovrebbero toccare l'Italia. Alcuni giuristi ritengono però che il reato di clandestinità sia stato introdotto proprio con l'obiettivo di «aggirare» la direttiva e che quindi non ne potrà limitare l'applicazione.



Obbligo di denuncia per chi ospita in casa extracomunitari
il Giornale, 23-12-2010
Marino Smiderle
Treviso - Come usa dire il prosindaco più amato dai trevigiani, Giancarlo Gentilini, nella Marca gli immigrati sono integrati alla perfezione. E, al di là delle dichiarazioni colorite dell’amministratore leghista («Vestiamoli da leprotti così possiamo prendere la mira e fare pim pim col fucile»), gli extracomunitari in regola qui se la passano benissimo, con tutte le preoccupazioni per il futuro legate alla crisi e al rischio occupazionale. Uno dei motivi, probabilmente, è proprio l’inflessibilità usata nei confronti di chi regolare non è. Ed è per questo che Domenico Presti, sindaco di Arcade (Treviso), poco più di quattromila abitanti, ha emesso un’ordinanza che impone la segnalazione obbligatoria degli ospiti stranieri.
L’ispirazione pratica gli è venuta da un’ordinaria operazione di controllo eseguita dai vigili del paese. «Hanno pescato per caso un albanese clandestino - ha spiegato il sindaco - ed è venuto fuori che, pur non avendo i documenti in regola, abitava da tempo ad Arcade, ospite di un residente con tutte le carte in regola. Siccome sospettiamo che i casi del genere siano diversi, abbiamo deciso di rafforzare i controlli con quest’obbligo di segnalazione peraltro già sancito dalla normativa nazionale».
Sarà un caso, ma l’entrata in vigore di quest’ordinanza è datata 20 dicembre, alcune settimane dopo la scomparsa di Yara da Brembate di Sopra, a Bergamo. Il sospetto di avere in paese delle persone non registrate, e quindi non conosciute, con la propensione al crimine, ha spinto Presti ad agire in maniera concreta. Lui ce l’ha in particolare con quelli che definisce criminali pendolari, quelli che vengono da queste parti con l’unico scopo di delinquere, trovando ospitalità da amici o conoscenti. «A chiunque ospiti cittadini stranieri (extracomunitari), in alloggi di propria pertinenza (in proprietà, in usufrutto o uso, in affitto, ecc.) o di propria residenza - recita il testo dell’ordinanza - è fatto obbligo di presentare ai competenti uffici comunali, comunicazione di ospitalità, entro 48 ore».
Per i comunitari, invece, «è fatto obbligo di presentare la comunicazione di ospitalità qualora il periodo in questione sia superiore a trenta giorni, anche non consecutivi, nell'anno solare».
C’è un mese di tempo per presentare ricorso con questa ordinanza e qualche accusa di razzismo è già echeggiata. Presti tira dritto ed è assolutamente convinto che questa iniziativa sia perfettamente conforme con i dettami della normativa nazionale. Di più, seguendo l’assioma-Gentilini, il sindaco di Arcade ha spiegato al Gazzettino che «l'ordinanza tutela gli stranieri che sono in regola, i quali non hanno nulla da temere. Le forze dell'ordine grazie alle comunicazioni di ospitalità velocizzeranno le indagini. Invito ai miei colleghi sindaci ad adottare misure simili per il controllo del territorio». Solo chi si nasconde ha da temere qualcosa, insieme a chi li ospita senza fare segnalazioni: tra le sanzioni è previsto pure il sequestro dell’abitazione "clandestina".



Case ai rom, la Procura indaga su discriminazione razziale
Il procuratore aggiunto Armando Spataro ha aperto un fascicolo sulla base della sentenza del Tribunale civile
Corriere della Sera, 23-12-2010
MILANO - Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha aperto un fascicolo, per ora senza indagati né ipotesi di reato, sulla base della sentenza del Tribunale civile di Milano che nei giorni scorsi ha accolto il ricorso presentato da 10 nomadi, a proposito delle case popolari assegnate e poi tolte dal Comune. Nella sentenza si parla di possibili comportamenti omissivi del Comune di Milano per motivi di discriminazione razziale. Il fascicolo, come ha spiegato il procuratore aggiunto Spataro, è stato aperto «d'intesa con il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati». Si tratta, ha aggiunto Spataro, «di un fascicolo iscritto al cosiddetto modello 45 e dunque non vi sono né indagati noti o ignoti, né ipotesi di reato». È un fascicolo di «atti relativi all'assegnazione delle case Aler ai nomadi e trae origine dall'ordinanza del giudice Roberto Bichi del 20 dicembre scorso, nella quale si fa riferimento a possibili attività determinate da motivi di discriminazione razziale». Il giudice civile, infatti, nella sua sentenza, con cui ha riconosciuto il diritto a 10 nomadi romeni di entrare nelle case popolari, che gli erano state prima assegnate e poi negate, aveva parlato di possibili ragioni di discriminazione razziale per i comportamenti omissivi del Comune di Milano. L'amministrazione comunale, infatti, aveva prima stipulato una convenzione per assegnare le case ai rom e poi aveva fatto marcia indietro. Mercoledì mattina si è tenuto un incontro con l'avvocato Alberto Guariso (che rappresentava i nomadi nel giudizio civile) e con don Massimo Mapelli della «Casa della carità». Saranno richieste informazioni anche al prefetto, che è anche commissario per l'emergenza nomadi in Lombardia.
Il campo nomadi di via Triboniano (Tam Tam) REPLICA ALLA MORATTI - In merito alle dichiarazioni del sindaco di Milano Letizia Moratti, che ha criticato la sentenza del tribunale civile, Spataro commenta: «Ovviamente alla magistratura non possono interessare le valutazioni politiche, le parole del sindaco Moratti non sono certamente nuove e in ogni caso vorrei ricordare che l'assegnazione delle case in questione alle 25 famiglie rom di via Triboniano fu frutto di una scelta dell'amministrazione comunale». Dunque, secondo Spataro, «non si riesce a comprendere di quale invasione di competenze si parla», riguardo alla decisione del tribunale civile. Infine, ha concluso Spataro, «che il mutamento di posizione del Comune sia avvenuto nei termini descritti nell'ordinanza è stato oggetto di una precisa intervista rilasciata dal prefetto di Milano il 30 ottobre al Corriere della Sera e richiamata dal giudice civile Bichi». Il giudice nell'ordinanza aveva fatto riferimento a possibili ragioni di discriminazione razziale riguardo ai comportamenti omissivi del Comune e della Prefettura.
DE CORATO: MAI DISCRIMINATO I ROM - Apprendendo dell'inchiesta, il vicesindaco Riccardo de Corato si è detto «stupito», e ha parlato di «secondo intervento a gamba tesa» da parte della magistratura, dopo la sentenza del Tribunale civile. «Spetta alla politica decidere i provvedimenti che riguardano l'amministrazione cittadina e non alla magistratura - ha commentato De Corato, in una nota -. Altrimenti conviene consegnare le chiavi della città ai giudici e ce ne andiamo tutti a casa. E va detto che non esiste una delibera che imponga la cessione di case ai rom. Il Comune ha solo concesso un affitto calmierato per 25 case Aler escluse dalla disciplina Erp e destinate a situazioni di fragilità sociale». «La questione discriminazione razziale - ha continuato - è poi sconfessata a priori. Perché nel momento in cui il prefetto, che è commissario all'emergenza nomadi, adotta un progetto di riqualificazione e messa in sicurezza dei campi autorizzati, e che prevede tra l'altro accompagnamento all'autonomia abitativa dei rom, piano finanziato dal ministero dell'Interno con 13 milioni di euro, be', questa è la prova provata che ci prendiamo a cuore del problema. Se fossimo razzisti, governo, prefetto, Comune, non avremmo scucito un euro».



Case ai rom: i pm indagano
Milano, ci fu discriminazione per motivi etnici?
Avvenire, 23-12-2010
MILANO DAVIDE RE
Armando Spataro, procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Milano, ha aperto ieri un fascicolo, per ora senza indagati né ipotesi di reato (tecnicamente a modello 45, ndr.), sulla base della sentenza del Tribunale civile di Milano, che nei giorni scorsi ha accolto il ricorso presentato da dieci famiglie rom, a proposito delle case popolari a loro assegnate e poi revocate da Palazzo Marino. L'attenzione della Procura della Repubblica di Milano si sarebbe focalizzata su un passaggio del pronunciamento del Tribunale civile: «comportamenti omissivi» da parte del municipio lombardo «per motivi di discriminazione razziale». Una decisione che ha subito sollevato un polverone. Con le Istituzioni, Comune e Regione in testa, che fanno quadrato e che rivendicano alla politica le decisioni sulla gestione dei beni pubblici. Per il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, il legista Davide Boni (a suo tempo sulla questione rom, uno dei principali promotori dell'incontro con il ministro dell'Interno Roberto Maroni in Prefettura, ndr.) infatti «le Istituzioni hanno tutto il diritto di contestare una presa di posizione», come quella già assunta in prima istanza dal Tribunale civile, «assolutamente vergognosa e non condivisibile». Perplesso anche il vice sindaco di Milano Riccardo De Corato che sulla nuova iniziativa di Spataro dice: «Stupisce questo secondo intervento a gamba tesa. Spetta alla politica decidere i provvedimenti che riguardano l'amministrazione cittadina e non alla magistratura. Altrimenti conviene consegnare le chiavi della città ai giudici e ce ne andiamo tutti a casa». Chiaro anche il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni: «Trovo che queste siano decisioni che competono alla politica». Di diverso avviso invece don Virginio Colmegna, direttore della Casa della Carità di Milano: «La magistratura ha indicato come mettere in pratica i patti sottoscritti». In mattinata, uno dei legali dei rom ha ricevuto una telefonata minatoria. «Chi difende i nomadi è un uomo morto», ha detto uno sconosciuto prima di attaccare la cornetta. L'apertura dell'indagine è stata decisa ha spiegato ancora Spataro «d'intesa con il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati». È un fascicolo ha aggiunto Spataro di «atti relativi all'assegnazione delle case Aler (ente regionale che gestisce sia le case lombarde, ma anche quelle del comune di Milano) ai rom e trae origine dall'ordinanza del giudice Roberto Bichi, nella quale si fa riferimento a possibili attività determinate da motivi di discriminazione razziale». Palazzo Marino, infatti, aveva prima stipulato una convenzione per assegnare le case ai rom e poi aveva fatto marcia indietro. Saranno richieste informazioni anche al prefetto, che è anche commissario per l'emergenza nomadi in Lombardia. Palazzo Marino aveva ampiamente criticato il dispositivo emesso dal Tribunale civile. Una sortita che ha trovato il chiarimento di Spataro: «Ovviamente alla magistratura non possono interessare le valutazioni politiche e le parole lette e attribuite al sindaco Moratti. Non sono certamente nuove e in ogni caso vorrei ricordare che l'assegnazione delle case in questione alle 25 fami-glie rom di via Triboniano fu frutto di una scelta dell'amministrazione comunale».



UN BORGOMASTRO PER I RAZZISTI
il Fatto Quotidiano, 23-12-2010
Gianni Barbacetto
"Noi siamo eletti e dobbiamo rendere conto ai milanesi delle nostre decisioni. Purtroppo i giudici non sono eletti e questo a volte può creare a noi amministratori qualche difficoltà". Mai frase di Letizia Moratti fu più sintomatica della sua inadeguatezza istituzionale. La dichiarazione è stata pronunciata dopo la sentenza del Tribunale civile di Milano che riconosce il diritto di avere una casa popolare a dieci famiglie di rom romeni. Una sentenza obbligata: a maggio, il Comune di Milano aveva firmato, assieme al prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi e ad alcune onlus che sostengono i nomadi, una convenzione che impegnava il Comune ad assegnare alcuni alloggi alle famiglie rom. Anche perché nel luglio 2009 il ministero dell'Interno (occupato dal leghista Roberto Maroni) aveva stanziato 13 milioni di euro proprio per affrontare "l'emergenza rom". Dunque, non c'è storia: il ministro mette i soldi, il prefetto vigila, il sindaco di Milano accetta e s'impegna. Ma c'è un ma: le elezioni. Tra qualche mese si vota, anche a Milano, per eleggere il sindaco. Ecco allora un clamoroso voltafaccia: la Lega vuol farsi vedere dagli elettori inflessibile contro i nomadi; Moratti rincorre la Lega, puntando sugli istinti razzisti che circolano a Milano e quindi, smentendo se stessa, blocca le promesse assegnazioni delle case popolari. Segue ricorso delle famiglie rom e il processo più facile del mondo: chi ha firmato un documento deve mantenere l'impegno, non può cambiare idea solo perché è entrato in campagna elettorale (e i rom non votano).
A questo punto le reazioni. Quella della Lega, nella sua rozzezza razzista, è perfino comprensibile: non dobbiamo togliere le case ai "nostri", i rom vadano a farsi fottere, chissenefrega delle convenzioni firmate. E "se i giudici vogliono fare politica, si facciano eleggere, poi giudicheranno i cittadini", come ha detto tre giorni fa il capogruppo del Carroccio Matteo Salvini. Che cosa vuoi rispondere, davanti alla geometrica idiozia di un tale ragionamento? Bisognerà ripetergli la stessa frase, chissà, quando Salvini magari si rivolgerà a un magistrato dopo aver deciso di vendere l'auto a un compratore che ha cambiato idea e non gliela vuole pagare. E Letizia Moratti? Lei no, lei tenta una diversa argomentazione. E finisce per fare peggio, povera donna. Il suo è stato un clamoroso voltafaccia: prima s'impegna e poi tradisce l'impegno preso. Ma in più ci aggiunge un abbozzo di ragionamento politico, col risultato di peggiorare le cose. Dice: i giudici decidono così perché non sono eletti, io ho deciso il contrario perché devo essere rie/etto. Attenti: è diverso da quello che dice Salvini. Ma non migliore. Proviamo a sviluppare il suo piccolo ma inquietante pensiero: i magistrati possono permettersi il lusso di fare una scelta di giustizia, sulla base delle leggi che dicono che gli impegni firmati vanno mantenuti; ma io non posso, poverina, non posso proprio permettermi di fare una cosa solo perché è giusta, poiché se voglio essere rieletta devo compiacere la pancia dei milanesi peggiori (gli altri purtroppo votano Giuliano Pisapia). Così rinuncia a essere sindaco della città per diventare il borgomastro dei razzisti, tradisce le istituzioni per schiacciarsi su una parte (e la più retriva). Bene ha fatto il procuratore aggiunto Armando Spataro ad aprire un'inchiesta penale per discriminazione razziale. La legge è ancora uguale per tutti e i magistrati, per fortuna, non sono ancora eletti dal popolo.



"Milano, atto razziale non dare le case ai rom"
Triboniano, la procura indaga per discriminazione. Minacce all 'avvocato dei nomadi
la Repubblica, 23-12-2010
DAVIDE CARLUCCI
MILANO—Discriminazione razziale. L'ipotesi di reato non è an¬cora indicata, ma è proprio in quella direzione che va l'inchiesta aperta dal procuratore aggiunto Armando Spataro d'intesa con il suo capo, Edmondo Bruti Liberati, sulle case negate ai rom dal Comune. E da palazzo Marino arriva la reazione piccata del vice sindaco Riccardo De Corato: «È il secondo intervento a gamba tesa in pochi giorni. Spetta alla politica decidere, non ai giudici». «La magistratura indica di mantenere i patti sottoscritti», replica invece don Virginio Colmegna, il direttore della Casa della carità che assiste i nomadi del campo del Triboniano, dove stamattina arriverà in visita l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi.
Ma alla vigilia di Natale in città il clima è da scontro, con l'irrigi-dimento della giunta, incalzata dalla Lega, su posizioni antirom. La procura ha acquisito l'ordinanza del tribunale civile che tre giorni fa imponeva al sindaco Le-tizia Moratti - e al commissario per l'emergenza nomadi, il pre¬fetto Gian Valerio Lombardi, al ministero dell'Interno, che ha stanziato i fondi, e alla Regione, che ha messo a disposizione gli immobili - di mantenere gli impegni presi con i nomadi del Triboniano: concedere 25 alloggi popolari ad altrettante famiglie che avevano firmato la rinuncia a restare nel campo accettando un programma di reinserimento.
La retromarcia del Comune e degli altri enti è stata letta dal tribunale civile, al quale erano ricorsi dieci famiglie, come un atto razzista: «Il diniego all'attuazione delle convenzioni riguarda esclusivamente soggetti accomunati dall'appartenenza alla medesima etnia». Un passaggio che per la procura rischia di trasformarsi in notizia di reato. Ne dovrà tenere conto la Moratti che martedì, mentre la Lega manife¬stava davanti a palazzo di giustizia contro l'ordinanza, si è spinta a dire: «Noi siamo eletti dai cittadini e ai cittadini rispondiamo. Purtroppo igiudici non sono eletti...». A questo punto, con un'indagine penale in corso, per lei si profila una secca alternativa: o assegna gli appartamenti entro il 12 gennaio, come ordina il tribunale, o rischia l'accusa di inottemperanza all'ordine del giudice. Il sindaco sembra voler girare la patata bollente a Lombardi: «Stiamo lavorando con il Prefetto che è l'autorità responsabile a Milano per l'emergenza rom. Tutte le decisioni sono state prese al tavolo della Prefettura».
L'inchiesta è contro ignoti e reca l'intestazione "atti relativi all'assegnazione delle case Aler". «La procura - spiega Spataro - intende acquisire informazioni e documenti per ricostruire in modo completo l'iter della vicenda».
Per questo, già in mattinata si è tenuto un incontro con l'avvocato Alberto Guariso, che rappresentava i rom nella causa contro il Comune - e che proprio ieri è stato minacciato di morte da un uomo che ha telefonato al suo studio - e con don Massimo Mapelli, della Casa della carità. «Saranno richieste informazioni anche al prefetto», ha aggiunto il pm, che ha anche speso qualche parola per replicare agli attacchi del sindaco alle toghe: «Alla magistratura non possono interessare le valutazioni politiche. Le parole lette stamani e a lei attribuite non sono certo nuove. Va ricordato, però, che la scelta dell'assegnazione delle case alle famiglie fu dell'amministrazione comunale. Non si riesce, quindi, a comprendere di quale invasione di competenze si parla, posto che un giudice civile ha ritenuto che si debba dare esecuzione a una delibera adottata proprio dal Comune».



Minacce di morte al legale degli zingari
Milano indagata per razzismo ma è la città più generosa coi rom
Libero, 23-12-2010
RENATO BESANA
Un fascicolo, in questo Paese, non si nega a nessuno, e la Procura di Milano non poteva certo lasciarsi sfuggire l'occasione di aprirne uno, per il momento senza indagati, né noti né ignoti, sul caso delle case popolari ai rom, prima concesse e poi negate dal Comune di Milano. Il tribunale civile, nell'accogliere il ricorso presentato da dieci famiglie ospitate nel campo di via Triboniano, aveva adombrato, nel rifiuto di assegnare gli alloggi, "possibili motivi di discriminazione razziale". Il procuratore della repubblica, Edmondo Bruti Liberati, ha voluto vederci chiaro e, pur senza delineare ipotesi di reato, ha affidato la questione a un suo aggiunto, Armando Spadaro, che svolgerà tutti gli accertamenti del caso.
Non ci permettiamo di anticipare gli esiti dell'indagine, ma il buon senso suggerisce che, se discriminazione c'è stata, era una discriminazione positiva, che si proponeva cioè di procurare vantaggi, come accade per esempio con le quote rosa, in virtù delle quali si garantiscono presenze femminili all'interno di organi elettivi. In questo caso, la residenza nel Triboniano è stata ritenuta condizione sufficiente per ottenere un alloggio di edilizia residenziale pubblica, pur senza aver maturato i requisiti necessari.
All'origine della vicenda c'è la necessità di sgombrare il campo, perché nell'area in cui sorge è prevista la realizzazione di uno svincolo autostradale per l'Expo 2015. Gli occupanti dell'insediamento, oggi circa 500 persone, avrebbero potuto essere semplicemente allontanati. Avevano tuttavia sottoscritto un "patto di legalità", dagli esiti quanto meno dubbi, mirante alla loro integrazione. Si decise dunque di guidarne l'esodo, così da non interrompere il percorso appena cominciato. Per i rom a Milano il ministero degli Interni aveva messo in bilancio 13 milioni di euro. La bella cifra permette tra l'altro di erogare un contributo di 15mila euro a chi decidesse di far ritorno in Romania. A 25 famiglie ritenute idonee si promise invece una casa popolare. Si trattava però di eludere le graduatorie di assegnazione. Per questo, venne chiesta una deroga alla Regione, che la concesse, purché a beneficiarne fossero non meglio specificate "fragilità sociali". Tanto ba -stò: il prefetto, in qualità di commissario straordinario all'emergenza rom, siglò insieme al Comune i contratti d'affitto, nel quadro d'una convenzione che, a quanto sembra, prevede anche un contributo una tantum di 3 mila euro, più 300 euro al mese.
I residenti nei dintorni dei campi sparsi per la città possono testimoniare che cosa significhi avere rom quali vicini di casa. Figuriamoci in contesti difficili come i quartieri di edilizia residenziale pubblica. Alla palese inopportunità del provvedimento, si è aggiunta la considerazione che la procedura seguita discriminava le migliaia di milanesi, italiani e no, ancora in lista d'attesa per un alloggio, pur avendone maturato il diritto. Dopo vivace cagnara, il Comune decise di cambiare indirizzo: delle case si sarebbero fatti carico i privati. Il gruppo Ligresti,
per esempio, ha messo a disposizione una cascina in periferia.
Tutto risolto? Neanche per sogno. A nessuno venne infatti in mente che i contratti già firmati, mancando una revoca formale, continuavano a essere validi. Dieci famiglie si sono quindi rivolte al tribunale, che ha dato loro ragione. Gli errori sono sempre orfani, e non sappiamo chi ringraziare per quest'ultimo, che si aggiunge ai molti compiuti nell'intera vicenda, partita dalla sottovalutazione delle questioni poste da un insediamento rom, e che soltanto l'ipocrisia impedisce di vedere. Di tutto però si può accusare il Comune di Milano, meno che di razzismo. Per il solo Triboniano spende sei milioni di euro l'anno, ai quali vanno aggiunti quelli per gli altri dodici campi regolari.
"Chi difende gli zingari è un uomo morto", s'è sentito dire al telefono Alberto Guariso, uno dei due avvocati che hanno patrocinato i rom nel ricorso contro il Comune. Un gesto vile, che gronda odio, dimostrando che il razzismo immaginario, a furia d'essere invocato, rischia di tradursi in realtà.



Eritrei, la suora testimone: «Picchiato a morte chi non paga»
Avvenire, 23-12-2010
Paolo Lambruschi
In tre mesi ha incontrato oltre 200 eritrei ed etiopi passati dall’inferno del Sinai. Racconti di torture orribili che confermano cosa sta accadendo nel deserto, anche se finora il governo del Cairo sostiene di non aver trovato conferme dei rapimenti. Azezet Kidane è una suora comboniana eritrea, vive nella missione di Betania e da giugno due volte alla settimana arriva in autobus a Tel Aviv, nel piccolo ambulatorio dei medici volontari dell’ong internazionale Phr ad ascoltare e assistere i rifugiati. Una testimonianza importante, quella di Suor Azezet. Conferma che negli ultimi tre mesi sono fortemente aumentati i casi di profughi provenienti dall’Eritrea e dall’Etiopia che si  rivolgono alla struttura sanitaria con gravi traumi fisici e mentali causati dalle prigionie nel deserto durante le quali vengono sottoposti a torture fisiche e psicologiche durissime.
«Ho incontrato 193 profughi da settembre ad oggi. Negli ultimi due mesi soprattutto persone provenienti dalla Libia. Aspettano troppo e i controlli di polizia sono troppo duri, così cercano altre possibilità. Molti raccontano di essere stati rapiti nel Sinai dai beduini e legati con i ferri insieme ad altre sei o sette persone e di essere stati picchiati quotidianamente. Alcuni sono stati messi a testa in giù e issati in alto oppure feriti agli arti e minacciati di amputazione. I trafficanti portano nelle prigioni del deserto persone vestite da medici, con il camice bianco. E dicono ai prigionieri terrorizzati che se non pagano toglieranno loro i reni. Sembra incredibile, ma sono le storie che sento ogni giorno, una peggio dell’altra».
E a chi non paga cosa succede?
Molti testimoni mi hanno detto la stessa cosa: in ogni gruppo due o tre persone sono state picchiate a morte.
Lei ha incontrato anche donne?
Sì, le racconto una storia emblematica. L’altro giorno è venuta in ospedale una giovane eritrea. Ha aspettato oltre un anno in Libia, poi, quando ha visto che non era più possibile arrivare via mare in Italia, ha chiesto a un trafficante di portarla in Israele. Ha pagato duemila dollari ma è stata rapita nel Sinai ed è stata tenuta prigioniera per 40 giorni dei beduini. I trafficanti l’hanno violentata più volte. Poi ha pagato il riscatto. È arrivata in Israele due settimane fa, era incinta. Nonostante tutti i nostri sforzi per convincerla a cambiare idea la settimana scorsa ha abortito nel campo profughi. Ora è distrutta dal rimorso e dalla vergogna, teme di aver contratto l’Aids. È terribile. Continuava a ripetermi che non sapeva chi era il padre e che non avrebbe potuto spiegare come stavano le cose al suo bambino.
Dalle testimonianze ha capito come è organizzato il traffico nel Sinai?
I trafficanti si passano le persone da un paese all’altro, ma ciascuno si tiene i soldi per la propria tratta. Tu hai pattuito duemila dollari dalla Libia ad Israele, ma quando arrivi nel Sinai devi pagarne altri duemila al trafficante che ti prende in consegna. Chi non può pagare viene sequestrato e deve telefonare ai parenti per trovare i soldi. Le richieste sono aumentate negli ultimi tempi, adesso sono arrivati a chiedere ottomila dollari.
Ci sono diverse bande nel Sinai?
Credo almeno una ventina. Nessuno mi ha detto il nome del trafficante, ma dalla descrizione del luogo di detenzione so già quali torture hanno subito. Se mi dicono che sono stati prigionieri in una casa di lamiera capisco che sono stati trattati peggio di tutti. I sequestratori sono razzisti. Ad esempio eritrei ed etiopi sono trattati peggio dei sudanesi.
Ha capito dove si trovano le prigioni?
Sicuramente nel Sinai egiziano. Tutti confermano che i criminali quando li hanno liberati li hanno fatti camminare scalzi fino al confine, a volte sette ore oppure solo un’ora. Poi li fanno correre quando arrivano alla «no man’s land», la terra di nessuno.
E la polizia egiziana?
Se li ferma per controlli intasca mance dai passatori.  Il rischio è quando si varca il confine, è capitato che lì la polizia spari sui profughi per ucciderli.



San Raffaele, Milano: Ucraina irregolare in lista trapianti.
Donna, 23-12-2010
Rozalia Tsurkan è la protagonista di una delle tante tristi storie che girano intorno alla piaga della immigrazione clandestina.
E’ una donna di 28 anni, Ucraina, positiva all’epatite C. Purtroppo per la mancanza di cure adeguate
il fegato della donna ha iniziato a riportare danni sempre più gravi, fino a contrarre all’Epatopatia e il Diabete di tipo I. Dopo una serie di esami, i medici le comunicano il triste pronostico: due settimane di vita.
Rozalia, invitata dai parenti immigrati in Italia, decide di partire e l’11 Dicembre arriva a Milano ma in seguito ad un malore viene ricoverata al San Raffaele. Dopo essere stata sottoposta ad un check up completo ed accurato dall’Equipe medica dell’ospedale si è giunti alla conclusione che la donna ha bisogno di un trapianto, urgente, del fegato. Qui arriva il triste ed amaro dilemma: Rozalia è un irregolare.
La donna, secondo l’Equipe medica e il Commissario della C.R.I., non può essere inserita nelle liste trapianti perché dal 19 Dicembre 2010 risulta un’immigrata clandestina.
Repentinamente è stata inviata una richiesta al Ministro per la Salute, Ferruccio Fazio, col fine di aiutare la giovane donna.
Rozalia, attualmente, è ricoverata al San Raffaele ove sta ricevendo meticolose cure e dove si sta valutando la sua situazione clinica. La buona notizia arriva qualche ora fa, il Ministro della Salute ha comunicato che per i casi di urgenza e se la donna è in Italia, anche se irregolare, l’inserimento alle liste trapianti e le cure necessarie vanno portate a termine, perché la vita del malato sia salvata.



Pigneto, immigrati senegalesi si uniscono al corteo degli studenti
Solidarietà, ieri, tra gli studenti che hanno sfilato lungo le vie del quartiere per dire no alla riforma Gelmini e un gruppo di immigrati senegalesi residenti nel VI Municipio
Roma Today, 23-12-2010
Carlotta Di Santo
"Loro sono stati con noi nelle nostre proteste, noi adesso siamo qui con loro, per il loro futuro”. Così un gruppo di immigrati senegalesi residenti nel VI Municipio che ieri, durante la tappa dei manifestanti al Pigneto, ha deciso di unirsi al corteo degli studenti contrari all’approvazione del ddl Gelmini. I senegalesi, che dagli studenti hanno ricevuto un pacco simbolico in segno di solidarietà, hanno portato con loro anche uno striscione rosso, sul quale si leggeva: “No allo sfruttamento, permesso di soggiorno subito”. “Per noi è semplicemente esaltante che gli studenti abbiano scelto di venire qui stamattina – ha detto Giulio Calella, esponente del comitato civico del Pigneto - questo ci consente di dare la loro forza alle nostre piccole battaglie. Grazie agli studenti, infatti, oggi acquista visibilità anche ciò che normalmente è invisibile all’opinione pubblica. Il comitato - ha inoltre aggiunto Calella - lotta contro la speculazione sul territorio, e questi ragazzi stanno dimostrando di essere attenti ai veri bisogni della gente”.
Per gli abitanti del Pigneto quella di ieri è stata una data significativa anche “per ribadire – come si legge in una nota del Comitato di Quartiere - i diritti alla cultura e alla salute, dal momento che sono trascorsi già sei mesi dalla chiusura della Biblioteca di via mori, l’unica per un quartiere con oltre 50.000 abitanti”. “Con l’iniziativa di ieri – continua la nota degli attivisti del VI - si chiede quindi che il governatore della Regione Lazio inserisca nel bilancio 2011 il finanziamento per bonificare dall’amianto la struttura di via Mori; che il sindaco di Roma si adoperi perché i 500mila euro già stanziati vengano immediatamente resi spendibili; che il presidente del Municipio Roma 6 si attivi concretamente per tutelare i diritti alla salute e alla cultura”.
Intanto, quando gli studenti attraversano il quartiere Prenestino, la gente si affaccia e applaude, qualcuno lancia persino pezzi di carta colorata. Al clima di festa segue commozione e raccoglimento quando il corteo, arrivato nella zona del Pigneto, intona Bella ciao e ricorda il prezzo pagato da quella Roma, popolare ma dignitosa, alla guerra e al totalitarismo. È più o meno in quel momento che giunge ai ragazzi la notizia dell’operaio morto nel crollo di un solaio alla Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza. Così, a otto giorni da quel 14 dicembre segnato dagli scontri con la polizia, la violenza e le fiamme nel centro della città, la morte di Mohammed Bannour, 35 anni, di origine tunisina, rimane l’unica nota stonata di una manifestazione pacifica di ragazzi che, lontani dalla “zona rossa”, hanno raccolto applausi sfilando in periferia.



Immigrato e consumatore
Cibo. Telefono. Affitto. Internet. Indagine su come vivono e spendono gli stranieri. E sui trucchi per risparmiare. Svelando un mondo
sconosciuto di investimenti. E di sogni
L'espresso, 23-12-2010
SABINA MINARDI
Si sfiniscono di lavoro. Mangiano pane e ricariche telefoniche. Seguono la patria sulle tv satellitari. E benedicono Internet: perché via Skype parlano gratis; perché comprare biglietti on line conviene; perché l'home banking funziona. E i social network aiutano a sentirsi meno soli. È la fotografia degli immigrati che vivono in Italia, che l'Eurisko ha appena scattato e che "L'espresso" racconta in esclusiva: un universo sfaccettato di quasi cinque milioni di persone. Che, non a caso, l'istituto di ricerca ha segmentato in sette identikit: dove gli ultimi arrivati, i più disperati in cerca di fortuna, sono solo una delle facce. Gli altri, integrati o sulla difensiva, quelli che strenuamente coltivano usi e tradizioni e quelli, invece, a cui basta un bambino in casa per affrettare il passo verso una vita "all'italiana", sono una nuova popolazione in sé: con desideri e bisogni da esplorare. Lo fa l'indagine "1 consumi dei migranti", con l'obiettivo di capire come gli immigrati scompongono il loro piccolo reddito mensile, al netto dei soldi destinati alle famiglie lontane: come risparmiano, a quali beni aspirano, cosa comprano con una somma a disposizione stimata, per un nucleo familiare di tre persone, in 1200 euro. Una famiglia italiana ne spende più del doppio.
« Abbiamo lavorato sui sei principali gruppi etnici - rumeni, nordafricani, ucraini, filippini, cinesi e latinoamericani - attraverso colloqui individuali, incontri con leader delle comunità e mille interviste personali, un campione rappresentativo degli immigrati in Italia, per distribuzione sul territorio e Paese di provenienza», spiega Elena Cappelletti che ha diretto la ricerca, alla sua terza edizione: «Gli intervistati erano tutti maggiorenni, con permesso di soggiorno tranne una piccola quota di irregolari, inclusi per rappresentare anche quelli che stanno peggio. Abbiamo descritto non persone di passaggio, ma gente in Italia da anni (in media nove) e con l'intenzione di restare: in sei casi su dieci». Lavorarori che danno all'economia un contributo importante: sono immigrati il 10 per cento dei dipendenti e i titolari del 3,5 per cento delle imprese. Pagano 7 miliardi e mezzo di euro di contributi previdenziali. Dichiarano al fisco un imponibile di 33 miliardi di euro. ? Vorrebbero votare? Non gliene importa granché: ha risposto no il 60 per cento degli immigrati, sì il 22, è indifferente il 18 per cento. Un crollo, rispetto alle edizioni precedenti: nei 2006 diceva no il 33 per cento; nel 2008 il 47. «È una delle differenze più appariscenti rispetto agli anni scorsi», spiega Cappelletti: «La conferma di quanto questa popolazione viva in modo ancor più accelerato gli umori degli italiani». E sulla parte politica che sentono più vicina, il 76 per cento, non sa: solo il 12 per cento sceglierebbe, oggi, il centrosinistra, il 7 il centrodestra, il 5 altri schieramenti. L'identikit. Età media di 37 anni (contro i 49 degli italiani), con figli nel 57 percento dei casi (contro il 39), hanno buona scolarità (per anni di studio paragonabile a quella italiana), un'identità religiosa (cristiana nel 46 per cento dei casi, musulmana nel 29) forte, anche se è precipitata la quota di chi frequenta regolarmente luoghi dì culto: solo il 16 per cento. Sono domestici, badanti, camerieri, operai. Ma anche liberi professionisti, impiegati: specie tra gli "integrati" (il 19 per cento): «Come facciamo a giudicarli tali? Dal numero di anni trascorsi in Italia, dall'uso di servizi italiani. E dall'apertura verso la nostra cultura e i nostri valori». Seguono "i consumisti giovani" (il 12 per cento), under 30 metropolitani, atrivi in Rete e inclini a consumi identici a quelli dei giovani
italiani; "gli etno-difensivi" (14 per cento), senegalesi, marocchini e tunisini specialmente, comunità straniera chiusa verso tutti; " le tele-conquistate " ( 8 per cento), rumene, ucraine: l'esercito di badanti per le quali i beni da sognare sono quelli mutuati dalla tv; "le casalinghe per sempre" (15 per cento), mogli e madri, marocchine, tunisine, russe, che restano a casa, con scarso confronto con gli italiani; le "nuove forze di lavoro" (14 per cento), gente che fatica in fabbrica o in campagna, senza una dimora, pur essendo in Italia da diversi anni; gli "ultimi arrivi" (il 19 per cento), trentenni che vivono di espedienti e con potere d'acquisto ridottissimo. In realtà, gli sforzi per adeguarsi al costo della vita sono di tutti, e a tutto campo. Per risparmiare si riducono le rimesse, si rinviano i ritorni a casa, si va in cerca di sconti.
Il costo della vita. Così, tra spese programmate e strategie varie, le entrate bastano: lo dice un immigrato su due dall'Europa centro-orientale, il 55 per cento degli asiatici, il 58 dei sudamericani. Ma non gli africani: solo il 38 per cento considera adeguato quanto guadagna. L'Italia non è diversa da come l'avevano immaginata prima di arrivare: tranne che per gli africani. «Sono il gruppo più in difficoltà. 1 soldi non bastano per vivere». Sono loro i più diffidenti verso gli italiani. A ragione: siamo un popolo simpatico, socievole, ma largamente razzista: ne è convinto un immigrato su due. Sta meglio chi in Italia ha la famiglia e reti di relazione: coi connazionali, però, con immigrati di nazionalità diversa non c'è interazione. E la crisi non ha peggiorato le cose. Anzi, in certi casi è stata persino un'opportunità. La spesa quotidiana. «Offerte e promozioni hanno consentito agli immigrati di comprare nei supermercati, i luoghi degli italiani e dei prodotti di marca, che incarnano valori di aspirazione e integrazione», spiega Cappelletti. Se il discount, cioè, resta il posto dove comprano di più, crescono gli acquisti nei supermercati. Fa un balzo, dal 31 al 41 per cento, la percentuale di chi sceglie negozi etnici. Che non vuol dire che la dieta resti ancorata alle origini: il 58 per cento ha cambiato modo di mangiare (e il 5 per cento mangia solo piatti tipici). Il cibo è comunque la principale voce di spesa: il 96 per cento degli immigrati lo mette al primo posto. Internet e telefonia. Il 94 per cento, invece, indica tra le uscite più significative la ricarica del cellulare. Che non è l'unico modo per restare in contatto con i propri cari: si chiama dal telefono fisso e, anche se meno che in passato, dai phone center. La novità è Internet: il tasso di connessione ha raggiunto quello degli italiani. Molto più rapidamente: la quota di stranieri con accesso a Internet è passata dal 26 per cento del 2006 al 42 del 2010. Ci si collega quasi quattro volte la settimana, per le mail e i social network. Il 9 per cento ha esperienze di e-commerce; il 29 conosce l'home banking. «Non è raro, grazie ai piani tariffari per immigrati, che abbiano anche più di un cellulare», dice Cappelletti : « E i telefonini attraggono come oggetti in sé: specie i più giovani, attenti al brand». Curiosità: come gli italiani, il 41 per cento ha un cellulare Nokia. L'abitazione. Se sulla comunicazione si esercita la fantasia, è l'abitazione che definisce la qualità della vita. E gli escamotage servono a poco: per il 70 per cento degli immigrati è la principale voce di spesa. Per effetto della crisi, in due anni la maggioranza ha rinunciato al sogno di comprarne una. Il 69 per cento vive con la famiglia, con amici o parenti, e si ritiene abbastanza soddisfatto (68 per cento) della sistemazione. La metà è in affitto, per una spesa di 430 euro al mese. Il 31 per cento condivide una stanza o è in una situazione ancora più precaria. I trasporti, le spese per i figli. Il 55 per cento degli immigrati ha in famiglia un'auto, l'11 per cento una moto o un motorino. Ecco perché per il 60 per cento di loro le spese di benzina sono tra le principali fonti di uscite. Seguono le spese scolastiche. E i figli sono il ponte per un'integrazione, anche se, sull'educazione, le posizioni si dividono: una mamma su due li fa vivere come i bimbi italiani. L'altra dice di ispirarsi a modelli educativi del paese d'origine. Ma per tutti la vita ruota attorno ai loro bisogni. Radio, tv, giornali. Di soldi per uscite e intrattenimento se ne spendono davvero pochi. La tv e fondamentale: la vedono 9 immigrati su I 0, il 74 per cento tutti i giorni, piace molto
al 58 percento. Serve a mantenere un legame con il paese d'origine: il 33 per cento ha un'antenna parabolica, uno su dieci è abbonato a Sky. L'ascolto della radio è identico a quello degli italiani: un'abitudine per il 51 per cento. Rispetto agli anni scorsi, si legge meno: meno giornali dal proprio Paese (dal 30 al 25 per cento); meno free press (dal 31 al 28 per cento), meno periodici (dal 30 per cento al 28). Salgono i lettori di quotidiani sportivi (dal 12 al 16) e in genere di quotidiani. Si spende meno in libri, in cd. E per la prima volta decisamente di più in lotterie e videopoker. ?



Rifugiati o clandestini? Storie di straordinaria follia burocratica
La funzionaria dell’Onu Laura Boldrini ha sintetizzato la sua notevole esperienza professionale nel libro “Tutti indietro. Storie di uomini e donne in fuga” (Rizzoli, 2010).
Agoravox, 23-12-2010
Troppe persone non sanno che i rifugiati stranieri che giungono in Italia per chiedere asilo politico sono tutelati da molte normative nazionali e internazionali, tra cui la Convenzione di Ginevra e la Costituzione italiana (www.costituzioneitaliana.it, art. 10).
Infatti esiste una Commissione nazionale per il diritto d’asilo che “ha di fronte varie possibilità: riconoscere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra; concedere la protezione sussidiaria; raccomandare la protezione umanitaria; dare il diniego. Nel primo caso verrà rilasciato un permesso di soggiorno di cinque anni… Inoltre la famiglia potrà ricongiungersi senza dover dimostrare di avere un reddito sufficiente e i requisiti di agibilità per l’alloggio, come invece è previsto dalla legge per gli immigrati. La protezione sussidiaria invece prevede il rilascio del permesso di soggiorno per tre anni… e il diritto al ricongiungimento familiare, ma solo se ci sono i requisiti di reddito e di alloggio. Con la protezione umanitaria, infine, la persona ha diritto al permesso di soggiorno per un anno… ma non al ricongiungimento familiare” (p. 22).
Chi richiede asilo, diversamente dai clandestini, fugge dalle guerre e dalle persecuzioni politiche e religiose. Il libro chiarisce le motivazioni legali e umanitarie che impongono di accogliere i rifugiati e racconta le enormi difficoltà burocratiche che nascono dalle differenti legislazioni nazionali europee nel campo dell’immigrazione. Per capire meglio questo aspetto è sufficiente riportare il caso di Zhara, donna somala con quattro figli al seguito, che dopo circa sette mesi dal suo arrivo in Svezia da parenti, “aveva ricevuto la visita di alcuni poliziotti che le avevano ordinato di preparare i bagagli e lasciare il Paese… Le spiegarono che non poteva rimanere perché aveva già presentato una domanda d’asilo in Italia e, in base al Regolamento di Dublino, era lì che doveva tornare, essendo quello il primo Paese europeo in cui era entrata” (p. 28).
Comunque in Italia non ci troviamo di fronte ad all’invasione descritta dai media: “l’ottanta per cento dei rifugiati si trova in paesi in via di sviluppo” e se in Italia si stima la presenza di 0,7 rifugiati ogni mille abitanti in Svezia ci sono ben 7 rifugiati ogni 1000 abitanti. In ogni caso non è facile dimostrare di essere un rifugiato poiché “quando si scappa da un regime è facile che i documenti per l’espatrio non vengano rilasciati” e “le vie legali che portano a un richiedente asilo in Europa sono pressoché inesistenti ma questo è un dato che si preferisce non considerare”.
Perciò la stampa italiana dimostra la sua scadente professionalità anche quando racconta i fenomeni legati all’immigrazione: i media si sono “appiattiti sull’equazione più amata dalla politica, cioè immigrazione uguale minaccia alla sicurezza. Da anni assistiamo a trasmissioni televisive in cui sono del tutto assenti i rappresentanti di immigrati e rifugiati, gli operatori che lavorano in questo ambito, gli esperti capaci di analizzare e interpretare in modo oggettivo i dati… si delega tutto ai politici, che si lanciano accuse reciproche sul tema della sicurezza senza sfiorare alcun altro ambito relativo all’immigrazione” (cosa impensabile nei paesi più civili).
Infine conviene precisare “che chi arriva sulle coste italiane rappresenta una piccola percentuale rispetto al numero di coloro che spesso entrano in Italia con un regolare visto e si trattengono allo scadere”. È però soprattutto tra chi arriva clandestinamente che si possono trovare alcuni soggetti maschili di dubbia reputazione che cercano maggiore fortuna in un paese lassista come l’Italia (purtroppo nessun delinquente va in giro a raccontare di essere un delinquente).
Laura Boldrini lavora nelle agenzie Onu da più di vent’anni. Dal 1998 è portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (www.unhcr.it). Ha operato in numerosi paesi in condizioni molto critiche: Kosovo, Afghanistan, Iraq, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda.
Nota - I proventi del libro verranno interamente devoluti a borse di studio per ragazzi afgani arrivati in Italia senza genitori.



Il nuovo melting pot
Europa, 23-12-2010
GUIDO MOLTEDO
La comunità di origine ispanica, più le diverse altre comunità etniche non bianche che compongono il mosaico americano, costituiranno la porzione maggioritaria della popolazione statunitense. Avverrà presto, in termini di tempi storici. Nel 2050. La previsione si basa sui dati resi noti due giorni fa dall'Us Census Bureau.
SEGUE A PAGINA 9
Il Census Bureau ha condotto, come fa ogni decennio, il censimento dei residenti in America, compresi gli immigrati illegali. E il risultato più clamoroso è la crescita della minoranza latina, che oggi conta 45 milioni di individui, il doppio di vent'anni fa, e che vanta il più alto tasso di natalità. Aggiungendo i prevedibili ulteriori flussi d'immigrazione dall'America Latina e dagli altri continenti del sud del mondo - e insieme alle altre minoranze di origine asiatica e africana, anch'esse più prolifiche della media - i latinos comporranno una massa critica tale da ridurre a minoranza l'attuale maggioranza bianca.
Altro che la politica. È la demografia che spaventa la classe media bianca degli Stati Uniti. E spiega un fenomeno rabbioso come quello del Tea Party e il successo di personaggi come Sarah Palin o Glenn Beck, paladini di un ampio movimento sociale e politico di reazione all'avvento sulla scena di un presidente come Barack Obama. Che è l'emblema di questa profonda e crescente trasformazione della chimica demografica statunitense.
L'America è un paese d'immigrazione, lo è dalla sua nascita e ha continuato a esserlo nel corso del tempo, via via cambiando le proporzioni della sua miscela etnica e culturale, ma sempre conservando un solido rapporto di forze a favore della maggioranza bianca, a sua volta egemonizzata dalla componente di matrice anglosassone e protestante.
Fino a una trentina d'anni fa questa America contava 240 milioni di abi-tanti, oggi ne ha più di 308. Un forte incremento quantitativo ma anche qualitativo, che non potrà che proseguire, a dispetto di un relativo rallentamento registrato negli ultimi tempi e dovuto evidentemente alla crisi economica. Da essere un paese in bianco e nero, con una maggioranza bianca e una minoranza nera relegata ai margini della società, oggi l'America è un caleidoscopio di razze e di culture e di religioni.
Non è un passaggio indolore. Il vecchio amalgama, con tutte le sue evidenti e violente contraddizioni, ha consentito all'America di diventare la superpotenza del mondo e di essere considerata da milioni di immigrati l'ambito approdo dove costruirsi una vita migliore. Oggi che uno storico come Paul Kennedy pone esplicitamente la domanda che di fatto domina il discorso pubblico americano - "Is America really in decline?" - sorge, di conseguenza, un altro interrogativo: in un contesto così complicato, di ridefinizione stessa del ruolo dell'America nel mondo, come agisce la "nuova" alchimia demografica che si sta costruendo?
Nell'immediato, essa sembra
contribuire al quadro di evidente spaesamento che vive l'America. È motivo di tensioni (basti vedere quelle relative all'immigrazione illegale), di conflitti tra comunità che, diversamente dal passato, tendono a restare coese piuttosto che a "sciogliersi" nel crogiolo americano. Nei tempi più lunghi, però, la "diversity" - la varietà etnica - si rivelerà ancora una volta un motore straordinario di crescita e di sviluppo, così com'è stato in passato. È l'"eccezionalismo" americano che ancora una volta si vede all'opera e di cui già si percepisce la forza: è sufficiente una breve visita in una delle università di eccellenza degli Stati Uniti o in uno dei centri di élite della ricerca, della cultura, dell'innovazione tecnologica per rendersi conto come già, ai livelli più alti della società statunitense, si sia già entrati in un'altra era. E si capisce perché oggi sieda alla Casa Bianca Barack Obama e perché uno dei suoi più probabili sfidanti, nel 2012, sarà Marco Rubio, figlio di profughi cubani, una delle rivelazioni delle ultime elezioni di medio termine.
Ma c'è un altro aspetto che colpisce di questo processo trasformativo, così come emerge dall'ultimo censimento. Ci sono vistosi spostamenti negli incrementi e nei decrementi della popolazione. Stati industriali come il Michigan, l'Ohio, la Pennsylvania, il New Jersey perdono abitanti, che invece aumentano negli stati del sud. È una metamorfosi di cui non è ancora chiara la portata, se non quella immediatamente politica, il fatto cioè che imporrà il ridise-gno dei collegi elettorali, apparentemente a favore dei repubblicani. Implicazioni politiche importanti, ma ben più rilevanti saranno quelle sui nuovi equilibri tra le parti dell'America.
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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