Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 novembre 2013

Il libro racconta quel valore aggiunto, sociale ed economico
l'Unità, 14-11-2013
Oreste Pivetta
Scrivere di immigrazione è ormai narrare di una attualità che dura almeno da un quarto di secolo e chissà quanto ancora durerà, vissuta nel segno di un’emergenza continua dai toni più o meno acuti. Accogliamoli tutti, Il Saggiatore, di Luigi Manconi (sociologo e parlamentare, presidente della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani del Senato) e Valentina Brinis (ricercatrice presso l’associazione ABuonDiritto Onlus) prova a mostrare la via per superare la sindrome dell’allarme o dell’allarmismo perenni: sembra una provocazione, ma leggendo centoventi pagine diventa la sintesi di un modo ragionevole, antiretorico nel bene e nel male, persino utilitaristico, per discutere di una vicenda umana vissuta a volte come tragedia, temuta come a un’invasione, uno tsunami, sempre giudicata un problema, con un unico costante intatto interrogativo: «Che fare?». Talvolta la risposta è stata semplice: non fare nulla, fidare nella naturale osmosi tra i tanti della società italiana e i pochi delle nuove comunità straniere. Altre volte la misericordia o la solidarietà hanno ispirato l’iniziativa persino di un ministro o di un amministratore, più spesso di una parrocchia o di una associazione di volontari, seguendo le tradizionali “subculture” del paese, quella del cattolicesimo sociale, quella del socialismo democratico e quella liberale, tutte e tre indisponibili ad assecondare pulsioni xenofobe e tentazioni razzistiche. Altre volte ancora la risposta è stata di negazione, di rifiuto, con un atteggiamento che è stato ed è retaggio di razzismo ma anche sintomo dell’opportunismo di chi, da Bossi a Maroni a Grillo, cerca consenso elettorale favorendo sentimenti diffusi di chiusura, più forti quanto più acute sono le tensioni sociali. In ogni caso, tra indifferenza, solidarietà, pietà, ostilità, mai si sono imboccate in modo risoluto le strade che Manconi e Brinis indicano: quella dell’utilità, quella dei diritti. Perché non esistono condizioni di emergenza che legittimino la sospensione del diritto, d’altra parte una società avveduta dovrebbe riconoscere che l’immigrazione è utile. Se ne sono accorti migliaia di anziani e migliaia di figli che non se la sarebbero potuta cavare senza badanti peruviane, filippine, ucraine, moldave polacche. Si dovrebbe fare un passo avanti, perché un paese di vecchi, immobile, stanco e sfiduciato, ha bisogno, per crescere, di quella forza, intellettuale e fisica, di quella forza dinamica, vitale, ambiziosa rappresentata dagli immigrati. Accogliamoli tutti ragiona sulle responsabilità della comunità internazionale. E ha un senso solo se il soggetto di quest’esortativo è «noi europei, noi occidentali», capaci di esprimere una politica per la gestione razionale del fenomeno e l’integrazione degli stranieri in un’ottica di lungo periodo. Ma c’è altro, rispetto al nostro «che fare?», ed è importante perché è di oggi ed è tra noi. Elencando alcune vicende e luoghi come Surigheddu, in Sardegna, Treviso, Badolato, Novellara, vicende di lavoro, di nuovi lavori, di cooperative, piccole aziende (molte in agricoltura), tra contadini, mungitori, donne delle pulizie, falegnami, imbianchini, casi virtuosi di proficua integrazione, che hanno ridato vigore ad imprese sull’orlo del tracollo o persino già defunte, a campagne desertificate, a cascine abbandonate... Manconi e Brinis dimostrano la vitalità di una strategia dei piccoli passi, anche di un operare concreto in attesa di grandi leggi e di grandi interventi, di un operare con fantasia cogliendo necessità e ricchezze e particolarità di un territorio e un’urgenza del fare, propria di chi arriva, di chi ha bisogno e non può aspettare, che diventa vantaggio economico per la comunità, nel rispetto ovviamente dei diritti, che è valore per tutti, italiani e stranieri.



La nostra ricchezza. L’immigrato fa bene ai conti
Sono 5,186 milioni gli immigrati presenti in Italia. Nel 2007 erano 4 milioni
2.3 è  il numero di immigrati, in milioni, che sono occupati nel nostro Paese
Tra contributi e pensioni, il saldo tra quanto spendiamo e quanto incassiamo dagli stranieri è positivo per quasi un miliardo e mezzo all’anno
l'Unità, 14-11-2013
Adriana Comaschi
Oggi piccola imprenditrice, ieri bambina-soldato in fuga dalla guerra civile. Azeb Gebrewahid ne ha fatta di strada, in tutti i sensi. Da Adua a Bologna, passando per Karthoum e la Svizzera per approdare in Italia come richiedente asilo. Quando è sbarcata a Milano non aveva nulla, neanche una giacca per proteggersi dal freddo di dicembre, nessun appoggio. Ora ha una sua ditta di pulizie, tre dipendenti assunti e diversi stagisti. Italiani e stranieri.
Viene da pensare anche a lei, oggi che l’ampio dossier statistico sull’immigrazione 2013, a cura del Centro studi IDOS, certifica al di là di luoghi comuni e dibattiti pregiudiziali che gli immigrati sono una ricchezza per il Belpaese. Nel dettaglio: nel 2011, lo Stato italiano tra contributi e tasse ha incassato da cittadini stranieri 13,3 miliardi, a fronte di 11,9 miliardi di spese sostenute per loro. Il che dà un saldo netto di 1,4 miliardi. Spese peraltro concentrate sulla gestione delle emergenze, tra Cie («non devono essere una pena per gli irregolari», ha commentato proprio ieri il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge) e centri di accoglienza.
DA BIMBA SOLDATO A IMPRENDITRICE
Un punto fermo importante, in tempi di crisi, che rende giustizia a tanti lavoratori arrivati da lontano che qui hanno deciso di mettere radici. Oltre 2,3 milioni, in aumento anche sul totale degli occupati (sono il 10%). In gran parte dipendenti, soprattutto nel terziario (62%), ma si contano anche circa 200 mila autonomi. Leggi artigiani, commercianti, piccoli imprenditori che magari da zero mettono su ditte in grado di creare altro lavoro. Come nel caso della signora Azeb, etiope di origine ma ormai cittadina italiana, da oltre vent’anni in questo paese che, dice, «sento come mio perché è in Italia che è iniziata la mia vita civile, è come se fosse rinata. Sono cresciuta in mezzo alla guerra, a 12 anni mi hanno arrestata perché i mie fratelli combattevano, sono diventata anch’io un soldato per 9 lunghi anni. La mia fortuna è di essere rimasta ferita, mi hanno operata in Sudan. E da lì ho deciso di fuggire». Una volta riconosciuta come rifugiata ha cominciato a fare lavoretti, poi cinque anni da operaia specializzata in una ditta di pulizie. Fino all’«idea pazza di mettermi in proprio. Ho usato tutti i mie risparmi, ho ottenuto un prestito, hanno creduto in me e questo è stato importante». Nel giro di pochi anni la sua Sas assume un ragazzo nigeriano, uno domenicano e uno italiano, «ora sto per prendere un signore del Laos, ci sono tutti i continenti» scherza. Poi c’è chi si ferma per un anno e mezzo, come una ragazza italiana dopo il diploma, ci sono persone svantaggiate inserite con stages, «anche questa è una soddisfazione». La sua e altre sono storie di «Quasi italiani», che il docente Romano Benini ha riunito in un volume (Donizelli) dopo averle raccolte sul territorio tramite la Cna, l’associazione degli artigiania che cura anche la parte sulle imprese straniere del dossier Immigrazione. Storie di chi ha una presenza sul territorio consolidata da anni ma il principio è sempre quello, «capire detta Fosco Corradini, responsabile immigrazione Cna che si deve parlare di immigrazione come opportunità e non come problema». A maggior ragione visto quanto illustrato dal dossier Unar sul rapporto costo/benefici per la collettività. «Questi lavoratori continua non rubano il posto agli italiani, anzi coprono fette di mercato che altrimenti resterebbero scoperte». In agricoltura come nelle pulizie. «La crisi non ha colore, colpisce tutti, ne possiamo uscire solo uniti» commenta Kyenge.
NUOVI NATI E DISCRIMINAZIONI
Ed ecco alcune delle cifre più significative del rapporto. La popolazione straniera cresce ancora, nonostante il calo dei flussi di entrata dovuto alla crisi. I residenti stranieri arrivano nel 2012 a 4,3 milioni, pari al 7,4% della popolazione complessiva, 3,7 milioni sono i non comunitari: in tutto 5,2 milioni se si contano anche ricongiungimenti familiari e nuovi nati. Che sono quasi 80 mila (sempre nel 2012), ovvero il 14,9% di tutte le nascite, a cui si aggiungono i 26.700 figli di coppie miste. E a proposito di matrimoni tra cittadini italiani e stranieri, nel 2011 hanno toccato quota 18 mila, l’8,8% sul totale degli sposalizi. Gli studenti stranieri iscritti allo scorso anno scolastico sono invece 800 mila, l’8,8% del totale che sale al 9,8% nella scuole dell’infanzia e nella primaria: il 47% di loro è nato in Italia (l’80% nelle materne). Tornando al mondo del lavoro, sono quasi mezzo milione (477.519) le imprese con un titolare o più soci stranieri, per un valore aggiunto stimato si noti bene in 7 miliardi. Una realtà con una crescita annuale del 5,4%, nonostante il maggior costo degli interessi sui prestiti.
Note dolenti si registrano ancora sul fronte della discriminazione, «molto forte nello sport e nell’accesso al lavoro» avverte Kyenge. E nell’accesso alla casa: gli affitti incidono per il 40% sui redditi degli immigrati (per meno del 30% su quelli degli italiani), si trovano con più difficoltà e sono più spesso in nero. A scuola poi pochi i corsi di alfabetizzazione, mentre il liceo rimane un miraggio: l’80% degli alunni stranieri viene ‘orientato’ verso istituti tecnici e professionali.



Quel tesoro che viene da fuori
Era compito della politica seria evitare la «guerra dei poveri» e l’aumento dei sentimenti razzisti
l'Unità, 14-11-2013
Nicola Cacace
GLI IMMIGRATI COSTANO TROPPO ALL’ITALIA? FALSO. SOPPESANDO COSTI E BENEFICI I «NUOVI ITALIANI» PORTANO IN DOTE ALLE CASSE DELLO STATO UN GRUZZOLO DI UN MILIARDO E MEZZO DI EURO. È quanto emerge dal Dossier statistico 2013 del Centro Studi e Ricerche Idos, in collaborazione con l’Unar, la più completa rassegna documentata su un tema su cui le bugie propagandistiche sono
più abbondanti delle analisi serie.
Rispetto agli introiti di 13,3 miliardi che i 4 milioni di lavoratori stranieri danno allo Stato per contributi previdenziali e tasse ci sono 11,9 miliardi che lo Stato spende più per interventi di contrasto all’immigrazione che per le politiche di integrazione. E che lo Stato spende male per il «fenomeno immigrati» tutto il mondo lo ha visto anche nel recente dramma di Lampedusa con 350 morti annegati, lasciando i 200 superstiti giorni e giorni al vento ed all’acqua senza un minimo di protezione. Sarebbero bastate un po’ di tende della protezione civile, a costo zero, per non mostrare al mondo l’indegno spettacolo dei superstiti per giorni e giorni mal riparati sotto rifugi improvvisati e precari. Ma questo è l’eterno discorso dell’inefficienza della nostra pubblica amministrazione e, va detto, anche dei politici che la dirigono, spesso più attenti a mostrare lacrime che a promuovere interventi efficaci e anche meno costosi.
Le caratteristiche dell’immigrazione in Italia sono: a) la sua crescita impetuosa nell’ultimo decennio, da 1,5 milioni a 5 milioni; b) l’ingresso degli stranieri nei lavori più umili, mal pagati e pur necessari, favorito dal buco demografico italiano, cominciato ormai 35 anni fa, quando improvvisamente le nascite si sono dimezzate da un milione a mezzo milione l’anno. Ed oggi la presenza degli immigrati in tutti i settori è tale che se improvvisamente domani partissero o scioperassero, il Paese letteralmente fallirebbe. Altro che 1,5 miliardi di contributo netto allo Stato, le perdite di ricchezza ammonterebbero a decine e centinaia di miliardi! Andrebbero in crisi interi settori, dall’agricoltura all’allevamento, con quasi 200mila lavoratori stranieri alla pesca specie d’altura con 10mila stranieri, dalle costruzioni con almeno 300mila edili all’industria manifatturiera pesante (fonderie, concerie, carni, etc.) con più di 300mila stranieri, dal commercio, alberghi, pizzerie e ristoranti con 500mila stranieri alla sanità con almeno 30mila stranieri, dai trasporti con quasi 100mila stranieri ai servizi domestici con quasi 2 milioni di colf e badanti.
Un conto economico più completo di quello contabile del Dossier statistico 2013 porterebbe a stimare in molte decine di miliardi, almeno 100 (e non 1,5 miliardi... ), il contributo reale che gli immigrati apportano al Paese. A questo riguardo va detto che il successo crescente di partiti xenofobi e anti-euro in Europa, la stessa posizione anti immigrati di Grillo, derivano anche dai modi sbagliati ed incolti con cui la sinistra affronta il tema. Prendiamo un esempio, quanti italiani, davanti al «casino» mediatico dei drammatici sbarchi dall’Africa, sanno che dei 4 milioni di immigrazione netta in Italia del decennio 20002010, appena 25mila sono venuti dal Mediterraneo, poco più del 5%?
Alla Lega e ad altri xenofobi che parlavano di «invasione dall’Africa» nessun politico, nei tanti inutili talk show ha saputo buttare in faccia le cifre vere. Adesso il flusso complessivo di immigrazione si è dimezzato, da 400mila a 200mila l’anno, per la crisi in atto e per le nostre cattive politiche migratorie, attente più a criminalizzare che a integrare, più a rendere difficile l’ingresso a mestieri e professioni necessarie allo sviluppo che a favorirlo. E nessuno ha spiegato agli italiani come fece Elmut Kohl ai tedeschi in una famosa seduta del Bundestag che «se domani partissero tutti gli stranieri il Paese si fermerebbe, dagli ospedali alle fabbriche, dagli alberghi alla nettezza urbana, dai trasporti al commercio, dalla agricoltura alla pesca». Era compito della politica seria, soprattutto della sinistra, evitare la guerra dei poveri e l’aumento dei sentimenti razzisti, ahimé in atto, spiegando meglio alla gente che con la disoccupazione e la pesante crisi in atto gli immigrati non c’entrano neanche un poco. Anzi, se partissero, interi settori fallirebbero!



Lavoro, sanità, scuola: per gli stranieri discriminazione ''istituzionale''
Dossier statistico 2013. Focus dedicato alle discriminazioni: emblema dello stigma sono i rom. Ma per tutti gli immigrati è ancora difficile accedere alle prestazioni di welfare: dai bonus bebè, ai contributi casa, alle prestazioni sanitarie. Crollo delle compravendite immobiliari
Redattore Sociale, 13-11-2013
ROMA – Sottoinquadrati a livello lavorativo, poco seguiti a scuola, esclusi dall'erogazione di prestazioni di welfare: dai bonus bebè ai contributi per la casa, alle prestazioni sanitarie anche in presenza di disabilità. La discriminazione anche giuridico-istituzionale è una costante ricorrente per i cittadini stranieri che vivono nel nostro paese. Una realtà che viene messa in luce quest'anno anche dal dossier statistico immigrazione 2013, che allo stigma e al razzismo dedica un focus consiste. Il rapporto è infatti realizzato da Idos per Unar, l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.
Diversi sono gli effetti discriminatori riconducibili all’azione delle istituzioni pubbliche. Il dossier ricorda che i giudici di merito e la stessa Corte costituzionale si sono pronunciati su diverse fattispecie di esclusione dei cittadini stranieri, in particolare rispetto all’erogazione di prestazioni di welfare, ma non solo: il bonus bebè; il contributo per chi vive in case in affitto; le prestazioni sanitarie e in caso di disabilità; l’assegno per le famiglie numerose; l’iscrizione anagrafica; l’accesso al pubblico impiego; l’accesso alle libere professioni; l’ammissione al servizio civile.
Inoltre, la pesantezza della burocrazia è essa stessa inquadrabile come una forma di discriminazione. A sciogliere alcuni di questi nodi, è intervenuta la legge europea 2013 (n. 97/2013), che ha sancito che non devono sussistere ostacoli per l’accesso al pubblico impiego (per posizioni che non comportino l’esercizio dei pubblici poteri) dei titolari di permesso di soggiorno CE, dei familiari di cittadini Ue, dei rifugiati e dei titolari di protezione sussidiaria, così come nei loro confronti non possono essere applicate restrizioni, più o meno indirette, per l’accesso alle prestazioni assistenziali.
I rom. L'emblema dello stigma sono i cittadini di origine rom (circa 150 mila tra italiani e stranieri), additati come “abitanti dei campi”, “estranei”, “pre-moderni”. “Il presunto ‘buon senso’ con il quale ci si è rapportati alle loro comunità è stato ripetutamente censurato dai giudici e dagli organismi internazionali, che hanno ribadito come le condizioni di emarginazione e ghettizzazione in cui versano siano in contrasto con la garanzia dei loro diritti”, sottolinea il rapporto. La metà dei bambini rom lascia la scuola nel passaggio dalle elementari alle medie e sono solo 134 quelli iscritti nelle scuole superiori italiane (anche perché, nell’attuale contesto, molti si guardano bene dal dichiarare la loro origine).
La casa. Il dossier sottolinea inoltre che le compravendite immobiliari da parte di immigrati sono diminuite nettamente negli anni della crisi economica, passando da 135 mila nel 2007 a poco più di 45 mila nel 2012, soprattutto perché i mutui sono sempre più difficoltosi da ottenere e da saldare e coprono una percentuale ridotta del valore delle compravendite. Anche gli affitti, oltre a incidere per il 40 per cento sul reddito degli immigrati (per meno del 30 per cento tra gli italiani), si trovano con difficoltà e spesso nelle aree più degradate, con contratti non sempre regolari, e nell’insieme si stima che circa il 20 per cento degli immigrati viva in condizioni di disagio e di precarietà alloggiativa.
Il lavoro. Diversi i punti critici che caratterizzano anche l’inserimento nel mondo del lavoro: il sottoinquadramento, una condizione che riguarda il 41,2 per cento degli occupati stranieri; la diffusione del lavoro sommerso; l’acuirsi del lavoro sfruttato e paraschiavistico nonostante un elevato tasso di sindacalizzazione, il cui aumento sembra però essersi arrestato a causa della crisi (oltre 1 milione gli iscritti ai sindacati confederali, l’8,1 per cento di tutti gli iscritti); l’offerta prevalente di lavori a carattere temporaneo; il ridotto inserimento in posti qualificati; l’elevata incidenza degli infortuni (15,9 per cento del totale), la cui riduzione in valori assoluti sembra dovuta più al calo delle ore lavorate conseguente alla crisi che a una maggiore cultura della prevenzione (senza parlare dei cosiddetti “infortuni invisibili”, perché non denunciati: 164 mila in tutto secondo l’Inail).
La scuola. Negativo è anche il sistema scolastico per gli stranieri, soprattutto per la carenza di risorse economiche e professionali; di requisiti burocratici talvolta escludenti (la richiesta del codice fiscale anche per l’iscrizione, ad esempio, sfavorisce gli irregolari); carenza di interventi di sostegno per l’apprendimento della lingua italiana per i nuovi arrivati; orientamenti “selettivi” (con una presenza nelle scuole secondarie concentrata negli istituti tecnici e professionali nella misura dell’80,7 per cento); esiti insoddisfacenti, specialmente per gli studenti che non sono nati in Italia, nell’ammissione agli esami di scuola media (6,5 punti percentuali di meno rispetto agli italiani) e dispersione, sia nelle scuole medie (0,49 per cento rispetto allo 0,17 per cento degli italiani) che nelle secondarie superiori (rispettivamente: 2,42 per cento rispetto a 1,16 per cento).
La sanità. Secondo il dossier atti discriminatori si rilevano anche in campo sanitario. In Italia, infatti  solo 6, tra le regioni e le province autonome, hanno formalmente ratificato l’accordo, finalizzato a superare le disuguaglianze di accesso degli immigrati ai servizi sanitari. Ancora si riscontrano lentezze e indecisioni,  nell’iscrizione al Servizio Sanitario dei minori figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Un nodo irrisolto è anche quello dei minori comunitari in condizioni di fragilità sociale, non citati nel predetto accordo, ma che, secondo l’autorevole parere della Società italiana di medicina delle migrazioni, non possono essere trattati in maniera peggiorativa.
Le religioni. Per quanto riguarda l’appartenenza religiosa le maggiori difficoltà sono legate  alla disponibilità di luoghi di culto adeguati, ma non mancano le buone prassi di incontro, dialogo e collaborazione.. “Dopo reiterate proposte, ancora non si è giunti all’approvazione di una legge organica sulla libertà religiosa che superi la normativa del 1929 sui culti ammessi e le intese con le confessioni “diverse dalla cattolica” - si legge nel rapporto - l’Osservatorio sul pluralismo religioso, istituito presso il Ministero dell’Interno, attesta che sono 3.300 gli enti religiosi operanti in Italia, aumentati soprattutto a seguito della crescente immigrazione dall’estero (erano appena 500 nel 1997)”.
La quotidianità e lo sport. Nel quotidiano e nel mondo dello sport, infine, secondo l’Enar (European Network Against Racism), oltre alle discriminazioni dirette, è il caso di parlare di un razzismo quotidiano diffuso e crescente che consiste in atteggiamenti, comportamenti, modi di relazionarsi umilianti e inferiorizzanti. Si riscontrano atti di discriminazione nell’accesso ai pubblici esercizi, nonché una certa sovrarappresentazione statistica degli immigrati nel controllo dei documenti, nelle perquisizioni e nelle verifiche amministrative. In altri casi si parla di “razzismo utilitarista”, quello che porta ad accettare il cittadino straniero solo nella misura in cui “ci serve” e non avanza ulteriori esigenze. Non è esente dal razzismo il mondo dello sport. Nel campionato di calcio 2012-2013, ad esempio, sono stati 699 gli episodi di razzismo che hanno coinvolto le tifoserie (tra serie A, serie B, 1a e 2a divisione, Coppa Italia, Campionato Primavera e gare amichevoli), con ammende pari a quasi mezzo milione di euro e 29 società coinvolte. (ec)



Minori non accompagnati. I Comuni al governo: "Basta scaricabarile"
L'Anci: "Uscire dall'emergenza in un'ottica di sistema. Più chairezza sul riparto dei fondi, i comuni devono avere voce in capitolo nell'organizzazione dell'accoglienza"
stanieriinitalia.it, 14-11-2013
Roma - 14 novembre 2013 - ‘’Si convochino una Conferenza Stato-citta’ e una Conferenza Unificata sul tema dei minori stranieri non accompagnati, alla presenza di tutti i Sindaci coinvolti, a partire dal Sindaco di Lampedusa: il Governo deve venire allo scoperto e assumersi la responsabilita’ di affrontare il problema in modo serio e, soprattutto, in un’ottica di sistema’’.
E’ l’appello che arriva dalla Commissione Immigrazione dell’ANCI, che ieri si e’ riunita alla presenza del Delegato Giorgio Pighi e del Sindaco di Catania Enzo Bianco, in vista dell’incontro con il vice ministro con delega alle Politiche sociali Maria Cecilia Guerra. Chiare le richieste dei Comuni: ‘’Si riconosca all’ANCI  la regia di un sistema unico che ripercorra l’esperienza del Programma per i minori stranieri non accompagnati. Perche’ e’ ai Comuni che la legge attribuisce la piena responsabilita’ per la protezione di questi ragazzi’’.
E’ proprio il Delegato ANCI all’Immigrazione e Sindaco di Modena, Giorgio Pighi, a spiegare: ‘’Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, complici anche le norme frammentarie e poco chiare, viene ancora oggi gestito in maniera emergenziale e non in un’ottica gestionale’’. Per questo i rappresentanti della Commissione hanno chiesto al vice ministro ‘’innanzitutto maggiore chiarezza sul riparto del Fondo per i minori stranieri non accompagnati, che va suddiviso tenendo conto delle esigenze di tutti i territori e in un’ottica di sistema. I Comuni devono inoltre poter avere voce in capitolo nell’organizzazione dell’accoglienza, e non solo gli oneri che da essa derivano’’.
Paradigmatico il caso del Sindaco di Catania Enzo Bianco: ‘’Abbiamo sei mila migranti sul nostro territorio provinciale, ma non possiamo essere lasciati soli: il sacrificio va equamente distribuito sui territori, e non scaricato sui Comuni’’. Sposa appieno le parole di Bianco anche l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma, Rita Cutini: ‘’I Comuni – afferma – sono pronti a fare la loro parte e stanno gia’ lavorando in tal senso, ma bisogna adesso impostare un’ottica di sistema, uscendo dalla fase emergenziale’’.



Odio razziale in Rete, perquisizioni in tutta Italia
L’indagine «Stormfront II» è stata avviata alcuni mesi fa dalla Digos di Roma in collaborazione con la polizia postale  Corriere.it, 14-11-2013
Sono in corso delle prime ore di giovedì mattina trentacinque perquisizioni nei confronti di altrettante persone residenti in 22 diverse province italiane, tra cui Roma e Milano. Oggetto di indagine da parte della polizia, l’identificazione degli autori della diffusione sulla Rete, di idee fondate sull’odio razziale ed etnico e di incitamento a commettere atti di discriminazione e di violenza per motivi razziali ed etnici.
L’OPERAZIONE - L’operazione denominata Stormfront II, mira a individuare i componenti di un possibile forum razzista. Nel novembre del 2012, 4 persone furono arrestate ed un sito, Stormfront appunto, oscurato perché istigava all’odio razziale. Le nuove indagini sono state avviate alcuni mesi fa dalla Digos di Roma in collaborazione con la polizia postale.



CIE di Gradisca - La denuncia di un operatore: i migranti picchiati dalla Polizia
Perderò il lavoro ma sono felice: quel posto è fuori da ogni criterio umano
Pubblichiamo questa lettera inviata alla redazione del Progetto Melting Pot Europa da un operatore che lavorava all’interno del CIE di Gradisca fino al giorno della sua chiusura. Le sue parole e le sue sensazioni raccontano la realtà dei CIE più di ogni altro racconto.
Melting Pot Europa, 13-11-2013
Sono un operatore della cooperativa che opera all’interno del CIE. Per motivi che tutti potranno capire, non posso espormi con la firma, però non posso più tacere.
Sono preoccupato perché già siamo in ritardo di mesi nel ricevere lo stipendio e adesso che il CIE si chiude mi chiedo che fine faremo e quando prenderemo i nostri soldi. Però, anche se preoccupato della mia situazione economica, devo dire che mi si è liberato un peso che da tempo avevo nello stomaco. Non riuscivo più ad essere sereno, vedendo ogni giorno come erano trattati gli ospiti.
Mi chiedo: ma nessuno si interessa a loro? Ma come è possibile farli vivere per mesi ammassati in quelle condizioni. Ma sapete quante volte mi sono fatto la stessa domanda: in quello spazio dove l’aria rimane stagnante perché non esiste un vero ricambio, come è possibile evitare che si trasmettano malattie? Come fanno quei disgraziati a lavarsi in quelle docce dove l’acqua stagna nel pavimento? A casa mia mi hanno costretto ad inserire un impianto di aerazione nel servizio igienico perché era privo di finestre; perché per loro i WC non hanno finestre e neppure impianto di aerazione? Ricevono il pasto e lo tengono o per terra o sui tavolini, anche per ore. Ma il cibo rimane sicuro in quelle condizioni? Non hanno armadietti, mettono le scarpe e i vestiti per terra; è forse questa una condizione igienica adeguata? L’unica possibilità di respirare aria non viziata è quella di stare all’aperto dentro a delle piccole gabbie di ferro: ma se permettono ai cani di uscire in strada all’aperto, perché loro non possono loro respirare senza le sbarre?
Tutto il giorno stanno in quelle condizioni senza nessuna possibilità di poter organizzare una partita di calcio o altre cose di questo tipo. E poi pensiamo che all’uscita avranno imparato a essere cittadini rispettosi della Legge?
Mi hanno detto che nelle carceri spetta alla USL intervenire per garantire le condizioni di salute e per dare l’assistenza sanitaria. Perché al CIE no? È diverso da un carcere? Cosa cazzo fa la USL per questi disgraziati?
Sul giornale ho letto che se scappano dal CIE non possono essere per questo condannati, perché non è un reato. Allora perché sono rinchiusi? La Legge non è uguale per tutti? Per quale motivo a loro non sono concessi gli stessi diritti dei detenuti?
E poi consentitemi: tante volte li ho visti picchiati, insultati, minacciati e comunque sempre umiliati. Questo avviene da parte delle forze dell’ordine che quando intervengono vanno giù con la mano pesante.
Io proprio devo dire che sono contento: con le loro rivolte sono riusciti a far chiudere questo schifo di posto. Anche se rischierò il mio posto di lavoro, mi auguro che questo centro non riapra più, perché è una cosa fuori da ogni criterio umano. Mi ricorda troppo quello che ho letto sui lager nazisti.
La lettera è anonima ma la fonte è stata verificata



La rotta siriana. Seconda tappa: Mohamed in Paris
Corrieri.it, 14-11-2013
Germana Lavagna
Parigi si distende nella bruma del mattino. La luce del sole, che si alza poco sopra l’orizzonte, illumina di taglio il profilo ancora indistinto degli edifici mentre il pullman macina gli ultimi chilometri del viaggio ad un ritmo lento, scandito dagli intervalli del traffico. Secondo le ultime stime, i siriani ad aver fatto richiesta d’asilo in Francia sono meno di 600. Questo è il numero che formalizza il Governo nei suoi termini d’accoglienza. Un’accoglienza basata sull’assimilazione, più che sull’integrazione. Che apre le sue porte a chi già è un potenziale buon francese. “A chi, in qualche modo, ha qualcosa che lo lega qui”, spiega Nizar Touleimat, dell’associazione Democratie et Entraide en Syrie. Non ci sono vite ammucchiate in stazione, né tendopoli improvvisate sotto qualche ponte. Il flusso migratorio dei grandi numeri, quello che conosce l’Italia a partire dalle sue coste, qui non esiste. O meglio, è invisibile. Ad occuparsi dei migranti non ufficiali, tutti quelli che non chiedono asilo e che la Francia non vede, ci sono le associazioni. Come Revivre, fondata nel 2004 per sostenere in Francia gli oppositori del regime di Assad e ora impegnata a dare ospitalità ai profughi che attraversano Parigi nella speranza di raggiungere la Svezia. Sono 15 i membri che la compongono e che in questi mesi si sono prodigati per creare una rete di sostegno a chi passa dalla Francia, anche solo per un giorno. Almeno per evitare loro di dover passare la notte in strada.È al Jesuite Refugee Service, un’altra realtà ad occuparsi dell’accoglienza ai migranti, che incontro Moahamed.
Lui qui non è invisibile, è arrivato con un visto turistico richiesto all’ambasciata francese di Beirut. Ha iniziato le pratiche per la richiesta d’asilo, ma il limbo di attesa nel quale si trova sta diventando un incubo. Non può accedere a nessun tipo di servizio e non può fare richiesta per trovare un lavoro. E i pochi soldi che gli rimangono stanno finendo in fretta. Mohamed a Damasco, nel campo palestinese di Yarmouk, aveva fondato un piccolo giornale, Yarmouk.org. Con alcuni amici scriveva della realtà del campo, volevano far emergere la quotidianità, i valori e le vicende dei profughi palestinesi.
     ”Sono tre volte rifugiato – sorride Mohamed – prima in Siria come palestinese, poi a Beirut, ora in Francia”.
La penna in mano, Mohamed continua a raccontare la sua storia: “Sono un poeta, mi piace scrivere racconti e spero presto di pubblicare un libro. Non avrei mai lasciato Yarmouk, ma le bombe del regime prima e le minacce di Al Nusra poi, quando ero in Libano e scrivevo di loro, mi hanno costretto a questo nuovo salto nel vuoto. Pare che la mia vita sia un’infinita attesa. E ora che sono a Parigi, tutto ricomincia e si ripete per l’ennesima volta”. Da mesi Parigi sbandiera l’accoglienza di altri 500 profughi provenienti direttamente dai campi profughi siriani. Ma la domanda che serpeggia tra chi in Francia ci è già arrivato è:
    sarà in grado Parigi di offrire a queste vittime di guerra un’opportunità? Oppure anche per loro Parigi sarà “un parcheggio”.
Come per Moahammed.

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